Corte Costituzionale, 06 febbraio 2025, n. 9
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, del codice penale, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il GUP del Tribunale di Grosseto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 605, sesto comma, cod. pen., aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 150 del 2022, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito, nel proprio atto di intervento, l’inammissibilità delle questioni in ragione di una serie di vizi che concernerebbero l’atto introduttivo del giudizio, compendiabili come segue:
– il rimettente ha pronunciato in esito all’udienza, l’11 dicembre 2023, un primo provvedimento (la cui scansione compare nell’atto di intervento dell’Avvocatura, e che risulta in effetti dal fascicolo del giudizio a quo) intitolato «dispositivo di ordinanza», con cui si è limitato a indicare la disposizione censurata e un solo parametro di legittimità costituzionale che assumeva violato (l’art. 3 Cost.), ordinando contestualmente la sospensione del processo in corso, la trasmissione degli atti a questa Corte, la notificazione della «presente ordinanza» alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché la comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere;
– tale provvedimento, secondo quanto riferisce l’Avvocatura, è stato notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 14 dicembre 2023;
– il 3 gennaio 2024 il medesimo rimettente ha poi depositato un secondo provvedimento, intitolato «ordinanza di rimessione di questione di legittimità costituzionale», corredato da ampia motivazione e concluso da un dispositivo nel quale il dubbio di illegittimità costituzionale relativo alla medesima disposizione è riferito a due distinti parametri: l’art. 3 Cost., già presente nel primo dispositivo, e l’art. 76 Cost.;
– questo secondo provvedimento non sarebbe stato, peraltro, notificato al Presidente del Consiglio dei ministri;
– secondo l’Avvocatura, il primo provvedimento sarebbe stato inidoneo a sollevare una questione di legittimità costituzionale, in difetto di indicazione dei «motivi» della questione stessa, come prescritto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);
– dal canto suo, il secondo provvedimento sarebbe stato emesso quando il giudizio a quo era ormai sospeso, allorché il rimettente si era già spogliato della propria potestas iudicandi.
L’eccezione non è fondata.
2.1.– Anzitutto, in risposta a uno specifico quesito formulato da questa Corte ai sensi dell’art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’Avvocatura generale dello Stato ha precisato in udienza che, in effetti, anche il secondo provvedimento datato 3 gennaio 2024 è stato notificato in pari data al Presidente del Consiglio dei ministri, come risulta altresì dalla relata di notifica trasmessa a questa Corte.
Il medesimo provvedimento è stato, inoltre, comunicato ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e trasmesso quindi alla cancelleria di questa Corte, mediante deposito telematico, il successivo 15 gennaio 2024, per essere infine pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio 2024.
Deve, pertanto, escludersi – con riferimento al provvedimento del 3 gennaio 2024, l’unico pervenuto a questa Corte – un difetto nell’instaurazione del contraddittorio, così come disciplinato dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953.
2.2.– Quanto al primo provvedimento, datato 11 dicembre 2023 e pronunciato in esito all’udienza svoltasi lo stesso giorno, esso costituiva – nelle evidenti intenzioni del giudice, come esplicitate del resto dal titolo del provvedimento – il mero dispositivo di una successiva ordinanza di rimessione che il giudice si riservava implicitamente di redigere: e cioè dell’ordinanza, completa di motivazione, poi depositata il 3 gennaio 2024.
Un tale modus procedendi, per quanto non consueto al di fuori delle ipotesi espressamente disciplinate dal codice di procedura penale (riferite alla pronuncia della sentenza e alla decisione del tribunale del riesame), non può, ad avviso di questa Corte, ritenersi vietato da alcuna specifica disposizione che regola il processo penale.
Esso ha anzi ricevuto indiretto avallo da alcune pronunce – per il vero non recenti – della stessa Corte di cassazione, ove si è precisato che, laddove il giudice anticipi in esito all’udienza il dispositivo di un’ordinanza riservando a un momento successivo la redazione dei motivi, il perfezionamento dell’ordinanza medesima si verifica, a ogni effetto di legge, soltanto nel momento del deposito della motivazione (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 10 dicembre 2002-28 gennaio 2003, n. 4039; nello stesso senso – con riferimento alle impugnazioni avverso provvedimenti camerali soggetti alla disciplina di cui all’art. 127 cod. proc. pen. – sezione prima penale, ordinanza 16 dicembre 1994-24 marzo 1995, n. 6062).
Da ciò discende che l’effetto sospensivo del giudizio a quo, pur preannunciato nel dispositivo datato 11 dicembre 2023, si è prodotto soltanto con il deposito dell’ordinanza completa, il successivo 3 gennaio. Dal che l’infondatezza dell’argomento dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui quest’ultimo provvedimento sarebbe stato pronunciato da un giudice ormai sprovvisto di potestas iudicandi.
2.3.– Dal punto di vista, poi, della regolarità dell’instaurazione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale innanzi a questa Corte, deve ritenersi che la notificazione al Presidente del Consiglio dei ministri del mero dispositivo datato 11 dicembre 2023 sia stata invero inutile, ma certamente inidonea a determinare la nullità delle notifiche e comunicazioni successive dell’ordinanza completa prescritte dalla legge.
Notifiche e comunicazioni che, come poc’anzi osservato, risultano tutte essere state effettuate, unitamente alla trasmissione dell’ordinanza e del fascicolo alla cancelleria di questa Corte.
2.4.– Quanto, infine, all’aggiunta del parametro di cui all’art. 76 Cost. nel testo dell’ordinanza datata 3 gennaio 2024 rispetto al dispositivo preannunciato l’11 dicembre 2023, conviene rammentare che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – «le discrepanze tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione possono essere risolte tramite l’impiego degli ordinari criteri ermeneutici, quando dalla lettura coordinata delle due parti dell’atto emerga l’effettiva volontà del rimettente (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2022 e n. 58 del 2020; ordinanze n. 214 del 2021 e n. 244 del 2017)» (sentenza 35 del 2023, punto 3.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso sentenza n. 228 del 2022, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Il dispositivo, pur di regola presente nelle ordinanze di rimessione, non ha dunque la medesima funzione operativa che assume nelle sentenze, presentandosi piuttosto – in questo contesto – come mera espressione sintetica delle doglianze argomentate dal giudice a quo nella parte motiva; spettando comunque a questa Corte, in esito alla lettura dell’intero provvedimento, la precisa individuazione della disposizione censurata e dei parametri di legittimità costituzionale che il rimettente intendeva sottoporre al giudizio della Corte stessa, i quali (fatti i salvi i casi di illegittimità costituzionale consequenziale e di autorimessione) delimitano gli stessi confini del thema decidendum nell’incidente di legittimità costituzionale.
Alla luce di tale criterio, non è dubbio che l’ordinanza di rimessione completa di tutti i suoi elementi – depositata il 3 gennaio 2024 – ben potesse formulare, nella sua parte motiva, dubbi di compatibilità della disposizione censurata anche con un parametro non preannunciato nel dispositivo previamente depositato.
Di talché non si vede perché il giudice non potesse altresì, nell’ottica di una maggiore chiarezza della propria ordinanza, integrare il dispositivo dell’ordinanza stessa mediante un riferimento esplicito a tale ulteriore parametro.
2.5.– In definitiva, le questioni di legittimità costituzionale formulate dal rimettente con la propria ordinanza del 3 gennaio 2024 debbono ritenersi ammissibili in riferimento tanto all’art. 3 Cost., quanto all’art. 76 Cost.
3.– Nel merito, occorre innanzitutto esaminare la censura formulata in riferimento all’art. 76 Cost., che attiene alla corretta formazione dell’atto normativo e ha quindi priorità logica (ex multis, sentenze n. 203 del 2022, punto 9 del Considerato in diritto, n. 150 del 2022, punto 5 del Considerato in diritto, e n. 72 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto).
La questione non è fondata.
3.1.– Secondo il rimettente, il mantenimento, da parte del legislatore delegato, del previgente regime di procedibilità d’ufficio dell’ipotesi aggravata di sequestro di persona di cui all’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen. si porrebbe in contrasto con il criterio di delega di cui all’art. 1, comma 15, lettera b), della legge n. 134 del 2021, che testualmente dispone: «prevedere l’estensione del regime di procedibilità a querela di parte a ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell’ambito di quelli puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni; prevedere che ai fini della determinazione della pena detentiva non si tenga conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità».
Ad avviso del giudice a quo, la previsione della seconda parte della lettera b) sarebbe nella sostanza da interpretare come un divieto, per il legislatore delegato, di prevedere un regime di procedibilità differenziato per le ipotesi circostanziate rispetto a quello previsto per l’ipotesi base del singolo delitto.
3.2.– Sul punto, deve riconoscersi che il criterio secondo cui il legislatore delegato non dovrebbe “tener conto delle circostanze” risulta piuttosto oscuro. Disposizioni di tenore siffatto sono frequenti, nell’ordito del codice penale e in quello del codice di rito, per individuare l’ambito applicativo di istituti la cui operatività dipende dai limiti di pena previsti per i singoli reati, prescrivendo al giudice di non tenere conto – a questo fine – delle eventuali circostanze che qualifichino il concreto fatto di reato all’esame.
Meno evidente è il significato di una simile disposizione allorché il suo destinatario sia il legislatore delegato, il quale non ha di fronte a sé uno specifico fatto di reato suscettibile in concreto di essere qualificato da eventuali circostanze, ma soltanto previsioni astratte contenute nelle disposizioni incriminatrici.
Certamente non persuasiva è, comunque, l’ipotesi interpretativa formulata dal rimettente, che non appare conciliabile con il tenore letterale della disposizione.
L’unica spiegazione ragionevole di tale criterio, nello specifico contesto di una legge delega, appare piuttosto quella di consentire al legislatore delegato di prevedere l’estensione del regime di procedibilità a querela anche rispetto a ipotesi aggravate di reato la cui pena minima superi il limite di due anni fissato nella prima parte della lettera b), purché tale limite sia rispettato con riferimento alla fattispecie base.
L’espressione «non si tenga conto delle circostanze» permetteva, in altre parole, al legislatore delegato di estendere il regime di procedibilità a querela a tutte le fattispecie di reato – semplici o aggravate – per i quali la pena minima prevista per l’ipotesi non aggravata fosse contenuta entro il limite di due anni, salvo l’ulteriore limite (indicato dall’ultima parte della disposizione) rappresentato dall’obbligo di tener ferma la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità.
In questa chiave, restava tuttavia affidata al legislatore delegato la valutazione se estendere anche alle fattispecie circostanziate di un reato la previsione della procedibilità a querela introdotta per la fattispecie base.
Nel caso in esame, il legislatore delegato ha, per l’appunto, scelto di circoscrivere l’estensione del regime di punibilità a querela ai soli fatti previsti dal primo comma, e di mantenere invece – per le ragioni poc’anzi esaminate – il previgente regime per le ipotesi aggravate ai sensi dei commi successivi, non eccedendo in tal modo dai limiti della propria, ampia, discrezionalità nell’attuazione della delega (sul punto, di recente, sentenze n. 22, punto 8 del Considerato in diritto, e n. 7 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto).
4.– Neppure è fondata la questione formulata in riferimento all’art. 3 Cost.
4.1.– A fronte di una censura strutturalmente analoga, in quanto mirante a rendere procedibili a querela fattispecie delittuose per le quali era prevista la procedibilità d’ufficio, alcuni anni fa questa Corte ha rammentato il proprio costante orientamento secondo cui le scelte legislative relative al regime di procedibilità dei singoli reati sono censurabili soltanto per manifesta irragionevolezza (sentenza n. 248 del 2020, punto 9.3. del Considerato in diritto; in senso analogo, ordinanza n. 178 del 2003 e precedenti ivi citati).
Il medesimo standard è stato nella sostanza utilizzato in una più recente occasione a fronte di una censura che, parimenti, atteneva alla previsione del regime di procedibilità d’ufficio del delitto di sottrazione e trattenimento di minore all’estero (sentenza n. 71 del 2024).
4.2.– Ciò premesso in via generale, va rilevato che le censure del rimettente, ulteriormente arricchite dagli argomenti spiegati dalla difesa dell’imputato, ruotano attorno a due linee argomentative essenziali.
Da un lato, la scelta legislativa sarebbe intrinsecamente contraddittoria rispetto alle stesse finalità perseguite dalla legge delega, e poi dal legislatore delegato (infra, 4.3.).
Dall’altro, la scelta di non estendere la procedibilità a querela all’ipotesi di sequestro di persona commesso a danno del coniuge creerebbe una serie di incongruenze rispetto a due distinti tertia comparationis, rappresentati dal regime di procedibilità a querela previsto dal primo comma dello stesso art. 605 cod. pen., nonché da quello previsto per le lesioni personali compiute nei confronti del coniuge (infra, 4.4.).
Il rimettente formula, infine, un petitum in via subordinata, assumendo la contrarietà all’art. 3 Cost. quanto meno della mancata previsione della procedibilità a querela allorché il fatto sia commesso nei confronti del coniuge non (più) convivente (infra, 4.5.).
4.3.– Sotto il profilo, anzitutto, dell’allegata contraddittorietà intrinseca della scelta legislativa, il rimettente ritiene che le ragioni di incentivo alla riparazione dell’offesa e alla riconciliazione tra le parti che stanno alla base della scelta del regime di procedibilità per la fattispecie base sussistano, a maggior ragione, laddove le parti siano legate da un rapporto di coniugio. E ciò anche a garanzia del valore costituzionale dell’unità familiare, riconosciuto come tale dall’art. 29 Cost.
Sul punto, occorre rilevare preliminarmente che – da quanto risulta dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022 – il legislatore delegato ha in via generale proceduto all’estensione della procedibilità a querela «in rapporto a reati di non particolare gravità, posti a tutela di beni individuali, personali e patrimoniali» (pag. 320).
Ciò principalmente in ottica di efficienza del sistema, «tenendo conto delle necessarie esigenze di tutela della persona offesa e della collettività, nonché dei beni pubblici coinvolti nel reato», ma anche al fine di diminuire l’attuale carico giudiziario che incide inevitabilmente sulla durata del processo, essendo oggi lo Stato «costretto […] a celebrare procedimenti penali che potrebbero essere definiti anticipatamente con il risarcimento del danno, la piena soddisfazione della persona offesa e l’estinzione del reato» (pag. 321).
Con riferimento specifico al delitto di sequestro di persona, la relazione osserva poi che la procedibilità a querela è stata prevista per le sole ipotesi non aggravate previste dal primo comma dell’art. 605 cod. pen., le quali «possono presentare e non di rado presentano nella prassi una ridotta offensività», come quando la durata della privazione della libertà sia assai breve.
«In simili casi», prosegue la relazione, «il fatto può presentare un disvalore assai ridotto o essere comunque oggetto di condotte riparatorie o risarcitorie, che favoriscano la remissione della querela o l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 162-ter c.p.» (pag. 322).
Il legislatore delegato ha tuttavia conservato, sulla base di un’esplicita indicazione della legge delega (su cui supra, 3.1.), la procedibilità d’ufficio nelle ipotesi, tra l’altro, in cui sussista «una particolare esigenza di tutela delle vittime, che potrebbero essere condizionate e non libere nella scelta processuale di presentare una querela» (pag. 320). Nell’ambito delle ipotesi base cui si riferisce il primo comma, è stata dunque stabilita una eccezione alla procedibilità a querela nelle ipotesi in cui la persona offesa sia incapace per età o infermità.
A questo punto, la scelta del Governo – nell’ambito dei suoi fisiologici margini di discrezionalità nell’attuazione della legge delega – di non estendere la procedibilità a querela alla specifica ipotesi aggravata del fatto commesso nei confronti del coniuge appare agevolmente riconducibile, anch’essa, alla necessità di tenere conto delle particolari esigenze di tutela della vittima nel contesto di relazioni familiari.
Relazioni in cui essa è strutturalmente esposta al rischio di subire pressioni da parte dell’autore del reato o di altri familiari: sia affinché non denunci gli episodi di violenza subiti, sia – e forse soprattutto – affinché ritratti le accuse in un momento successivo.
Come rilevato dall’amicus curiae, d’altronde, l’art. 55 della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica prevede l’obbligo a carico delle parti contraenti di stabilire che le indagini e i procedimenti penali per i reati di violenza fisica di cui all’art. 35 «non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima quando il reato è stato commesso in parte o in totalità sul loro territorio, e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l’accusa o ritirare la denuncia».
La nozione di violenza fisica non è espressamente definita dalla Convenzione; ma la riconduzione delle privazioni della libertà personale a tale nozione è attestata nelle fonti internazionali di soft law, come risulta ad esempio dalla definizione di violenza fisica contenuta nel glossario elaborato dall’European Institute for Gender Equality su cui richiama l’attenzione l’amicus curiae: «Physical violence can take the form of, among others, serious and minor assault, deprivation of liberty and manslaughter».
Può, comunque, restare qui impregiudicata la questione se dall’obbligo convenzionale di cui all’art. 55 della Convenzione di Istanbul derivi, o meno, un corrispondente obbligo a carico del legislatore, in forza dell’art. 117, primo comma, Cost., di prevedere la procedibilità d’ufficio anche per il delitto di sequestro di persona commesso in danno del coniuge.
Certo, però, non può negarsi la ragionevolezza della scelta compiuta in tal senso dal legislatore delegato, alla luce delle medesime motivazioni che suggeriscono in generale di prevedere la procedibilità d’ufficio per ogni forma di violenza fisica maturata in contesti domestici o di relazioni affettive: e ciò in considerazione degli elevati rischi di indebite pressioni cui le persone più vulnerabili sono, in questi contesti, strutturalmente esposte.
L’interesse alla conservazione dell’unità del nucleo familiare non può prevalere rispetto alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole persone che ne fanno parte (sentenze n. 223 del 2015, punto 5.1. del Considerato in diritto e n. 494 del 2002, punto 6.1. del Considerato in diritto).
Di questa basilare esigenza il legislatore delegato si è fatto carico, prevedendo la procedibilità d’ufficio del sequestro di persona commesso nei confronti del coniuge; senza con ciò porsi in contraddizione alcuna con i criteri generali che hanno ispirato il suo intervento in materia di ridefinizione del novero dei delitti procedibili a querela.
4.4.– Una serie di ulteriori argomenti del rimettente e della difesa dell’imputato mirano poi a mostrare le irragionevoli disparità di trattamento che sussisterebbero tra la regola della procedibilità d’ufficio per l’ipotesi aggravata in esame e l’opposta regola della procedibilità a querela prevista per altre ipotesi, evocate quali tertia comparationis.
4.4.1.– Un primo argomento, speso dal rimettente, assume quale tertium il primo comma dell’art. 605 cod. pen.
Secondo il rimettente, sarebbe, in particolare, illogico non aver previsto la procedibilità a querela per l’ipotesi aggravata di cui al secondo comma, e averla invece prevista per tutte le ipotesi – anche le più gravi – riconducibili al primo comma, nonché per quelle aggravate ai sensi di disposizioni diverse dai commi successivi dello stesso art. 605 cod. pen. e nelle quali non sia espressamente prevista la procedibilità d’ufficio.
Sul punto, occorre però sottolineare che – in via generale – la maggiore o minore gravità costituisce soltanto uno dei possibili criteri che il legislatore può adottare, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, per decidere sul regime di procedibilità dei singoli reati (sentenza n. 220 del 2015, punto 3 del Considerato in diritto).
Come recentemente osservato da questa Corte, le ragioni sottese alla scelta del legislatore di prevedere la procedibilità a querela per delitti che offendano diritti individuali possono essere individuate «sia in funzione di obiettivi di deflazione processuale, direttamente connesse al principio – di rango costituzionale e convenzionale – della ragionevole durata del processo, sia nell’ottica di favorire soluzioni conciliative e riparatorie, in grado di soddisfare il giusto bisogno di tutela della vittima senza dover necessariamente pervenire all’esito della condanna e dell’inflizione della pena», quanto meno laddove «il fatto non sia di particolare gravità e la vittima non versi in condizioni di vulnerabilità, che potrebbero viziarne la capacità di decidere liberamente se presentare querela o rimettere la querela già presentata» (ordinanza n. 106 del 2024).
La scelta di prevedere un regime di procedibilità d’ufficio per una data fattispecie di reato non può, dunque, essere censurata sulla base del mero argomento della maggiore gravità di un diverso reato che il legislatore ha, in via generale, ritenuto opportuno – per una o più delle ragioni indicate – sottoporre al regime di procedibilità a querela.
4.4.2.– Assumendo ancora come tertium il primo comma dell’art. 605 cod. pen., la difesa dell’imputato sottolinea invece l’illogicità di un assetto normativo che prevede la procedibilità d’ufficio per il sequestro di persona commesso in danno del coniuge, e la procedibilità a querela per lo stesso fatto commesso in danno del convivente more uxorio ovvero dell’altra parte dell’unione civile, che rientrano nella fattispecie base di reato prevista dal primo comma. Anche in queste ipotesi, infatti potrebbero sussistere le condizioni di vulnerabilità della vittima che suggerirebbero di prevedere un regime di procedibilità d’ufficio.
In questa medesima direzione, tanto il rimettente quanto la difesa dell’imputato assumono quale ulteriore tertium comparationis il regime di procedibilità del delitto di lesioni personali, che è oggi perseguibile a querela anche quando risulti aggravato perché commesso nei confronti del coniuge (art. 582, secondo comma, in riferimento all’art. 577, primo comma, numero 1, cod. pen.).
Pure questo argomento mira a porre in luce l’incongruenza tra la disciplina ora censurata, che prevede la procedibilità d’ufficio in ragione della situazione di particolare vulnerabilità del coniuge, e quella individuata come tertium, in cui – a fronte, questa volta, di un identico rapporto tra autore e vittima – il legislatore prevede invece la procedibilità a querela.
Se, tuttavia, tali argomenti fossero ritenuti persuasivi, la disparità di trattamento denunciata dovrebbe essere logicamente eliminata non già nel senso auspicato dall’ordinanza di rimessione, ma in un senso diametralmente opposto: e cioè estendendo il regime di procedibilità d’ufficio anche con riferimento alle ipotesi assunte come tertia comparationis, sulla base di una comune ratio di tutela della situazione di vulnerabilità della vittima.
Il che peraltro non sarebbe possibile a questa Corte, a ciò ostando il generale divieto di pronunce in malam partem in materia penale (da ultima, ordinanza n. 106 del 2024, e precedenti ivi citati).
Non a caso l’amicus curiae sollecita questa Corte a sollevare innanzi a sé questione di legittimità costituzionale della stessa previsione della procedibilità a querela per le ipotesi in cui il sequestro di persona sia commesso in contesti di violenza domestica diversi da quelli indicati nell’art. 605, secondo comma, numero 1), cod. pen.: e ciò non sulla base dell’art. 3 Cost., ma dell’allegata contrarietà di tale disciplina agli obblighi internazionali vincolanti per il nostro Paese e, conseguentemente, all’art. 117, primo comma, Cost. (ciò che permetterebbe un sindacato anche in malam partem: sentenza n. 37 del 2019, punto 7.1. del Considerato in diritto, e ulteriori precedenti ivi citati).
Il suggerimento, peraltro, non può essere accolto, difettando all’evidenza tanto la rilevanza di una simile questione nel giudizio a quo, quanto la sua pregiudizialità rispetto allo stesso giudizio di legittimità costituzionale (ex multis, sentenze n. 159 del 2023, punto 19 del Considerato in diritto, e n. 24 del 2018, punto 4.1.2. del Considerato in diritto).
4.5.– In via subordinata, infine, il rimettente auspica una pronuncia che stabilisca la procedibilità a querela quanto meno del fatto di sequestro di persona commesso nei confronti del coniuge non (più) convivente, le ragioni di particolare vulnerabilità della vittima venendo meno, ad avviso del giudice a quo, una volta cessato il rapporto di convivenza.
Anche in questo caso, la censura – che torna all’evidenza a muoversi sul terreno dell’irragionevolezza intrinseca – non è fondata.
L’esperienza mostra infatti che, anche quando la convivenza venga meno, la persona più vulnerabile del rapporto continua, non infrequentemente, a essere esposta alle condotte violente o comunque sopraffattorie del proprio coniuge o ex coniuge, spesso esacerbate dalla frustrazione e dalla rabbia derivanti proprio dalla rottura della relazione. Del tutto ragionevole appare, pertanto, la soluzione normativa che non differenzia tra le due ipotesi per quanto concerne il regime di procedibilità.
Il che appare, del resto, conforme alla più generale tendenza della legislazione recente a estendere la tutela rafforzata prevista per le persone all’interno di rapporti familiari o affettivi anche alle situazioni di cessata convivenza, nonché addirittura di separazione o di divorzio: si pensi alla circostanza aggravante di cui all’art. 612-bis, secondo comma, cod. pen. o a quella di cui all’art. 577, primo comma, numero 1), cod. pen.