La sentenza in esame origina dalla trasmissione degli atti ai sensi dell’articolo 374 cp.c. in relazione alla questione di inammissibilità per vizio della procura.
Più precisamente, l’ordinanza interlocutoria enuclea tre quesiti rispetto ai quali si rinviene una giurisprudenza di legittimità non omogenea e – nella specie -:
«a) se, in caso di procura a margine o in calce al ricorso, la verifica dell’anteriorità del rilascio rispetto alla notifica dell’impugnazione possa esser compiuta anche solo mediante l’esame dell’originale depositato in cancelleria;
- b) se, in caso negativo, sia sufficiente la semplice menzione della procura sulla copia notificata o, in alternativa, quali requisiti minimi debbano possedere eventuali ulteriori elementi di riscontro e se essi debbano risultare necessariamente sulla copia;
- c) quali condizioni siano richieste, per il medesimo effetto, in caso di procura rilasciata su foglio separato».
Tale ordinanza conclude affermando di ritenere necessario delineare le regole formali e i criteri che condizionano l’ammissibilità del ricorso, «anche allo scopo di evitare restrizioni eccessive per l’accesso al processo, oltre che nell’ottica di bilanciare la esigenza funzionale di porre regole di accesso alle impugnazioni con quella ad un equo processo, ricavabile dall’art. 6 CEDU (così Cass. s.u. 26338/2017)».
Ebbene, le Sezioni Unite, ripercorrendo le argomentazioni della predetta ordinanza interlocutoria, riprendono la distinzione tra procure speciali – anche in riferimento al periodo antecedente la novella del 2009 (3.1.) – e si soffermano sulla nozione di specialità della procura tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto quello temporale (3.2.). Rispetto a quest’ultimo concetto, in particolare, lo stesso Collegio ricostruisce i due orientamenti divergenti prospettati dall’ordinanza interlocutoria fino ad approfondire l’alternativa tra mandato conferito nel ricorso – a margine o in calce – o apposto su foglio separato.
Ciò premesso, la Suprema Corte si accinge a delineare la sua posizione richiamando, anzitutto, la triade normativa rilevante – articoli 365, 366 e 369 c.p.c. – e segnalando l’assenza di riferimenti normativi al contenuto della copia notificata del ricorso.
Di qui, appellandosi ad un terzo filone interpretativo non considerato nell’ordinanza interlocutoria, il Collegio recupera l’incidenza dell’art. 83 c.p.c. sulla precitata triade normativa in quanto determinante l’inclusione del rilascio della procura nell’atto processuale. Invero, da tale necessaria incorporazione derivano altrettanto necessari effetti giuridici, quale la garanzia del requisito della specialità – oggettiva e temporale – del mandato al difensore.
In particolare, in merito al profilo temporale, dalla congiunzione materiale tra procura e atto processuale può desumersi la data della prima, sebbene non espressamente indicata.
L’adesione da parte delle Sezioni Unite al terzo orientamento viene giustificata dalle stesse sia per motivi di ordine logico sia per un’esigenza di effettività della tutela, rispetto alla quale si riscontra una recente maggior sensibilità.
A questo punto, la Suprema Corte si avvia all’enunciazione del principio di diritto attraverso considerazioni e riflessioni particolarmente interessanti, di cui si propone il testo integrale – con alcune evidenziazioni personali in grassetto -:
«12. La complessiva, semplificatoria evoluzione del sistema nel senso della effettività, da intendersi pure come agevolezza ragionevole, della fruizione della giurisdizione – sensibilità davvero intensificata rispetto non solo all’epoca in cui insorse il primo orientamento, ma anche all’epoca in cui si sviluppò il secondo con l’intento di confinarne parzialmente gli effetti -, conduce evidentemente, per quanto finora si è illustrato e considerato, alla necessità di adesione al terzo orientamento.
L‘incorporazione della procura nell’atto ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 3, non può intendersi come ontologicamente limitata, e quindi non realmente rendente la procura una parte dell’atto incorporante. E’ intrinsecamente illogico, infatti, da un lato affermare l’unitarietà per attribuire la specialità alla procura, e dall’altro estrarre da tale unitarietà l’elemento temporale, costituendo una singolare divergenza: l’atto incorporante ha una data, l’atto che include ne ha un’altra. In tal modo l’unitarietà inciampa in un forzato ossimoro, perché per l’introduzione della procura l’atto incorporante diventa unitario e al contempo non unitario, affiancando per certi effetti una fusione a una mera giustapposizione per altri.
- L’impostazione tradizionale comprime la logica giuridica anche sotto un altro profilo.
Nel caso in cui l’inammissibilità/improcedibilità derivino dall’assenza, nella copia notificata, della procura (primo orientamento) o di specifici elementi a essa fungibili (secondo orientamento, nella forma più rigorosa), qualora emerga che la procura invece esiste nell’originale, si crea una insuperabile presunzione di posteriorità dell’incorporazione rispetto alla notifica, privando di ogni effetto quindi l’incorporazione stessa. L'”errore” della copia può anche dirsi che retroagisce sull’originale, come se fosse inattuabile la creazione di una copia difettosa/incompleta.
- Un’ottica interpretativa, è questa che può definirsi della scorporazione parziale, che – si rileva oramai ad abundantiam – non appare d’altronde sintonica con la configurazione che l’ordinamento attribuisce all’avvocato, il quale non riveste meramente un ruolo di mandatario in un negozio privato, ma altresì espleta una funzione costituzionalmente pregnante e dunque di pubblico rilievo rapportata all’effettiva fruizione dei diritti processuali, la presenza di un difensore integrando componente imprescindibile di un giusto processo, come già si evince anche in epoca precostituzionale, in generale, dall’art. 82 c.p.c., e, in specifico, proprio dall’art. 365 c.p.c., che fa valere l’iscrizione ad un albo speciale normativamente regolato (R.D. 1578/1933).
Il principio costituzionale e sovranazionale di effettività, dunque, già sopra emerso, ritorna adesso anche da quest’ottica insorgente dalla radicale correlazione avvocato/difesa che ontologicamente si traduce in difesa/processo, a discostarsi dalla tradizionale interpretazione maggioritaria di questa tematica per condividerne una diversa lettura, coincidente appunto con un normale paradigma logico di fruizione di un fenomeno giuridico unificatorio: l’incorporazione.
- Si è dinanzi alla incorporazione di due elementi di natura diversa, ciascuno dei quali però, utilizzato da solo, non produrrebbe reali effetti in relazione alla fruizione dei diritti processuali: il ricorso privo di procura speciale al suo interno sarebbe inammissibile, e la procura non apposta in calce o a margine di un atto processuale non inciderebbe per aprire un processo. Anche questo conferma che l’unitarietà è lo scopo cui l’atto e la procura sono predisposti, vale a dire che l’incorporazione non è un fenomeno relativo/parziale/eventuale, bensì è il compimento, inclusivo e assoluto, cui sono diretti i due componenti (salva, naturalmente, l’ipotesi, qui ictu oculi non ricorrente, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3).
L’incorporazione, allora, come è stato riconosciuto dal terzo orientamento, fa sì che anche la data di emissione dell’atto processuale investa e quindi cronologicamente identifichi la procura. Poiché allora l’atto – di ricorso, di controricorso, di ulteriore ricorso che diventa ricorso incidentale – nasce dopo la sentenza cui attiene e prima della propria notifica, la sua data viene condivisa dalla procura, la quale, pertanto, non infligge sotto tale profilo inammissibilità alcuna all’iniziativa di difesa della parte che l’ha rilasciata.
Ne consegue che su questo aspetto di ammissibilità incide soltanto l’originale, cui controparte, per eccepire la mancanza della procura speciale o vizi di questa differenti da quello temporale, ha la possibilità di accedere dopo il deposito (aspetti, tutti questi, si ripete, che vanno estinguendosi per la sopravvenienza del processo telematico).
- In conclusione, deve pronunciarsi il seguente principio di diritto per rispondere al primo quesito dell’ordinanza interlocutoria, risposta che assorbe gli altri quesiti e che peraltro fa venir meno il problema prospettato dal primo quesito stesso: “L’incorporazione della procura rilasciata ex art. 83 c.p.c., comma 3, nell’atto di impugnazione estende la data di quest’ultimo alla procura medesima, per cui si presume che quest’ultima sia stata rilasciata anteriormente alla notifica dell’atto che la contiene. Pertanto non rileva, ai fini della verifica della sussistenza o meno della procura, l’eventuale mancata riproduzione o segnalazione di essa nella copia notificata, essendo sufficiente, per l’ammissibilità del ricorso per cassazione, la presenza della procura nell’atto originale“.
Ne consegue che l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura deve essere rigettata, con rimessione del ricorso per l’esame del suo contenuto alla Seconda Sezione Civile».
Cassazione civile, sezioni unite, sentenza n. 35466/2021