CONSIGLIO DI STATO, V – sentenza 21.01.2022 n. 383
MASSIMA
- L’impugnativa autonoma degli atti di indizione di una procedura evidenziale è, in via di principio, inammissibile, per carenza di una lesione concreta e attuale, stante la connotazione meramente endoprocedimentale e alla luce del rilievo che la lesione si verifica (e l’interesse sorge) solo a seguito dell’eventuale esito finale negativo della procedura. È tuttavia consentita l’immediata impugnazione nel caso in cui le condizioni e/o le regole evidenziali risultino tali da precludere a priori una utile partecipazione alla gara, sortendo con ciò un effetto di immediata esclusione.
- Ogni contestazione in ordine al corretto inquadramento delle figure professionali richieste dalla stazione appaltante è rimessa, in via di principio e sulla base della iniziativa dei soggetti interessati, alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, incidendo solo in via riflessa sulla correttezza delle regole di gara. Sussiste l’interesse a contestare la prefigurazione prospettica del costo del lavoro, relativamente alle figure professionali richieste dalla lex specialis, solo in presenza di concreta e specifica dimostrazione di un attuale e divergente inquadramento, incidente sulle modalità della retribuzione del personale e, di risulta, sui termini e sulle modalità di formulazione dell’offerta economica.
- Nella quantificazione paradigmatica del valore dell’appalto, posto a base di gara, la stazione appaltante non ha, in via di principio, l’obbligo di indicare, separatamente e specificamente, la misura (in termini percentuali) del valore delle spese generali. La clausola del bando recante l’indicazione di un importo generale stimato non è condizionante, non incidendo sulla possibilità di formulare una offerta congrua, coerente e competitiva, e dunque è priva di carattere escludente, con conseguente impossibilità di immediata impugnazione, prima degli esiti della gara.
- Premesso che per gli appalti di servizi non sussiste la preclusione – scolpita, per i soli appalti di lavori, dall’art. 95, comma 14 bis d. lgs. n. 50/2016 – alla richiesta, da parte della stazione appaltante, di prestazioni aggiuntive, suscettibili di incrementare il punteggio riconoscibile, non è dato di postulare una incompatibilità “di principio” tra la proposta, di tenore migliorativo, di ore di servizio aggiuntive rispetto a quelle capitolari e l’attitudine normativa e programmatica dell’accordo quadro oggetto di affidamento.
- Sono conoscibili da ogni operatore economico, mediante interpello informativo, i termini dell’impegno negoziale prospetticamente correlato al rispetto della clausola sociale di assorbimento del personale.
- Mentre la suddivisione in lotti rappresenta una opzione regolare ed ordinaria, finalizzata ad incrementare il novero dei partecipanti alle gare e connotata da sindacabile discrezionalità negativa (dovendo motivarsi il mancato frazionamento in maniera congrua e circostanziata), il vincolo quantitativo di aggiudicazione (come l’eventuale limitazione del numero di offerte proponibili in relazioni ai singoli lotti) opera in una discrezionale prospettiva distributiva (propriamente antitrust), intesa come tale a disincentivare la concentrazione di potere economico e a precludere l’accaparramento di commesse da parte di operatori forti, postulando solo la espressa formalizzazione in termini di lex specialis e la prefigurazione di regole o criteri oggettivi e non discriminatori per l’affidamento selettivo.
- Appare corretto riferire il vincolo quantitativo di aggiudicazione, correlato al divieto di plurime aggiudicazioni, estensivamente anche agli operatori economici sostanzialmente riconducibili ad un unitario centro decisionale o ad una organizzazione economica operante in forma di holding.
- In assenza di palesi profili di irragionevolezza (o di attitudine distorsiva della competizione concorrenziale), le modalità di organizzazione della gara devono ritenersi rimesse alla valutazione tecnico-discrezionale della stazione appaltante, non suscettibile, come tale, di sindacato giurisdizionale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- L’appello principale è infondato e va respinto.
- Con il primo motivo di gravame, Roma Capitale si duole che la sentenza impugnata abbia disatteso, relativamente al motivo di doglianza accolto, la propria eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado: a suo dire, il TAR avrebbe errato nel ritenere “a priori insostenibile e dunque impossibile la formulazione di un’offerta”, e ciò in quanto il giudizio di sostenibilità, in termini concreti, dell’offerta avrebbe potuto essere formulato solo all’esito della eventuale fase di verifica della stessa, con ciò rilevando solo in una fase successiva della procedura: di tal che non sussistevano, in assenza di attitudine escludente, le condizioni per l’immediata impugnazione del bando.
2.1. Il motivo non è fondato.
Com’è noto (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2019, n. 2732), l’impugnativa autonoma degli atti di indizione di una procedura evidenziale è, in via di principio, inammissibile, per carenza di una lesione concreta e attuale, stante la connotazione meramente endoprocedimentale ed alla luce del rilievo che la lesione si verifica (e l’interesse sorge) solo a seguito dell’eventuale esito finale negativo della procedura. Invero, a fronte di una clausola asseritamente illegittima della lex specialis di gara, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare.
Nondimeno, l’immediata impugnazione è possibile nel caso in cui le condizioni e/o le regole evidenziali risultino tali da precludere a priori una utile partecipazione alla gara, sortendo con ciò un effetto di immediata esclusione. Vanno, in particolare considerate, in termini generali, immediatamente escludenti (cfr. Cons. Stato, ad. plen. 26 aprile 2018, n. 4), le clausole della lex specialis che: a) impongano, ai fini della partecipazione alla procedura evidenziale, oneri manifestamente inintelligibili ovvero del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto della gara; b) scandiscano regole idonee a rendere la partecipazione degli operatori economici incongruamente difficoltosa o, addirittura, impossibile; c) prefigurino disposizioni abnormi o irragionevoli, che rendano impraticabile il ragionevole calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della formalizzazione dell’offerta, ovvero comprimano irragionevolmente i tempi per la relativa elaborazione e presentazione; d) fissino condizioni negoziali che rendano a priori il prospettico rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente; e) scolpiscano clausole impositive di obblighi contra jus; f) presentino gravi carenze nell’indicazione dei dati essenziali per la formulazione dell’offerta.
Ciò posto, nel caso di specie l’indicazione prescrittiva – relazionalmente correlata alle indicazioni tabellari risultanti dalla contrattazione collettiva di settore – dei criteri con i quali gli operatori economici avrebbero dovuto procedere, pur nella libertà di una complessiva ed autonoma modulazione, alla quantificazione delle voci di costo del personale da impegnare nella attuazione della commessa rappresenta, di per sé, un obiettivo e rilevante vincolo conformativo, idoneo a condizionare in apicibus (e – in quanto se ne denunci, come nella specie, il carattere arbitrario, l’assetto illogico, il tenore non adeguato e l’attitudine anticoncorrenziale – ad alterare) i termini dell’ordinario calcolo di convenienza economica rimesso alla valutazione delle imprese.
Sotto questo profilo, se ne deve riconoscere e ribadire, a fini della legittimazione alla immediata contestazione, il carattere obiettivamente ‘escludente’.
3.- Con il secondo motivo, Roma Capitale lamenta, nel merito, violazione degli artt. 23, 35, 54, 95, 97 e 216, comma 4 del d. lgs. 50/2016; segnatamente, assume che, stante la mancata pubblicazione delle nuove tabelle ministeriali approvate, null’altro avrebbe potuto fare che applicare le tabelle previgenti, risalenti all’anno 2013, per giunta facendo espressamente salva, nei capitolati speciali descrittivi, la possibilità di adeguare il costo del lavoro in sede di contratti applicativi dell’aggiudicando accordo quadro, “tenendo conto delle eventuali modifiche intervenute”.
3.1.- Il motivo non persuade.
Importa osservare che, nella vicenda in esame, la stazione appaltante ha utilizzato, per la prefigurazione dei criteri di elaborazione delle offerte, tabelle ministeriali temporalmente risalenti e superate, già al momento della pubblicazione del bando (avvenuta in data 1° luglio 2019), dalla contrattazione collettiva di settore (l’accordo di rinnovo del CCNL Cooperative sociali era divenuto efficace in data 31 maggio 2019).
Orbene, pur dovendosi ribadire che, per consolidato intendimento, i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali ancorate alla contrattazione collettiva di settore costituiscano, di per sé, un mero parametro di valutazione della complessiva adeguatezza e congruità dell’offerta, la quale va acquisita, ai fini dell’apprezzamento dei profili di anomalia, in termini globali ed omnicomprensivi (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2020, n. 3694), deve ritenersi obiettivamente irragionevole ed incongrua – a fronte della circostanza gli accordi sindacali avessero apprezzabilmente incrementato, per il settore di riferimento, la quantificazione parametrica delle voci di costo del personale (mediamente, del 6%, giusta le risultanze documentali) – la scelta di conservare, per gli operatori economici interessati alla formalizzazione di una proposta negoziale competitiva, il dato storico superato, risalente a sei anni addietro e non aggiornato.
Del resto, merita rimarcare che la stessa disciplina regolamentare, approvata da Roma Capitale con la delibera consiliare n. 135/2000 (integrata dalla successiva delibera n.191/2015), prevede (art. 1, lettera c) che, ai fini della “determinazione dei criteri economici per l’aggiudicazione” dei contratti, la fissazione dei “corrispettivi delle prestazioni richieste” avrebbe dovuto essere ancorata al “costo del lavoro riferito alle tabelle aggiornate dei CCNL”: con ciò ribadendo, con disposizione prescrittiva ed autovincolante (e, in ogni caso, conforme ai richiamati principi generali), la preclusione alla valorizzazione di parametri tabellari non aggiornati.
A diverso intendimento non può, del resto, indurre la circostanza che, trattandosi di accordo quadro e, quindi, di accordo meramente programmatico, le imprese aggiudicatarie avrebbero in tesi potuto (anche in forza della espressa previsione capitolare, che recava, in tali sensi, una positiva apertura alle sopravvenienze) rimodulare ed aggiornare, volta a volta, il tenore della proposta economica in sede di contratti attuativi, anche tenendo conto dei nuovi parametri tabellari: di là da ogni altro rilievo, è invero sufficiente osservare che la lesività della lex specialis – che, nei sensi chiariti, ne autorizza l’immediata impugnazione – si misura sulla sua attitudine a condizionare a priori la stessa formulazione di una offerta competitiva per l’aggiudicazione del contratto normativo.
4.- Per le esposte ragioni, l’appello principale è complessivamente infondato.
Vanno, a questo punto, esaminati i plurimi motivi affidati all’appello incidentale.
4.1.- Con il primo motivo, le parti intimate lamentano error in judicando relativamente al ritenuto inquadramento della figura professionale dell’”operatore educativo per l’autonomia e la comunicazione” (OEPA) della categoria e livello contrattuale C1 (in luogo del rivendicato D1 o, quanto meno, C3 o C2) e della figura del “coordinatore” nella categoria D1 (invece che E1 o, quanto meno, D3), in asserita violazione delle delibere del Consiglio comunale capitolino nn. 135/2000 e 191/2015, del CCNL di riferimento, nonché degli artt. 23,71 e 97 del d. lgs. 50/2016, in relazione alla disciplina di tutela dei lavoratori.
4.2.- Il motivo, così come formulato, è inammissibile.
Premesso che, alla luce del vigente contratto collettivo di categoria (“per i dipendenti e soci delle cooperative e soci delle cooperative sociali esercenti attività nel settore socio-sanitario, assistenziale-educativo e di inserimento lavorativo”) la figura professionale dell’OEPA rientra prima facie, avuto riguardo alle mansioni dispiegate, nella categoria C1 (che ricomprende l’”operatrice/ore socio assistenziale”, l’”addetta/o all’assistenza di base o altrimenti definita/o” e l”operatrice/ore tecnico dell’assistenza”) e la figura del coordinatore nella categoria D1, va osservato, per quanto riguarda la presente controversia, che le appellanti non hanno dimostrato – relativamente alla propria struttura dei costi del personale, rilevante nella presente sede evidenziale ai fini della corretta ed adeguata formulazione dell’offerta all’interno della gara in contestazione – di aver operato, nei confronti dei propri soci e/o dipendenti, un inquadramento contrattuale diverso da quello richiesto dalla stazione appaltante, anche in esito a rivendicazioni sindacali o in ragione di contestazioni formulate in sede di giustizia del lavoro.
Ne discende allora: a) che, per un verso e in termini generali, ogni contestazione in ordine al corretto inquadramento delle figure professionali considerate, alla luce delle mansioni concretamente dispiegate, della regolamentazione di settore e della contrattazione collettiva di riferimento, è rimessa, in via di principio e sulla base della iniziativa dei soggetti interessati, alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, incidendo solo in via riflessa sulla correttezza delle regole di gara; b) che, perciò, non sussiste l’interesse a contestare la prefigurazione prospettica del costo del lavoro, relativamente alle figure professionali richieste dalla lex specialis, in assenza di concreta e specifica dimostrazione di un attuale e divergente inquadramento, incidente sulle modalità della retribuzione del personale e, di risulta, sui termini e sulle modalità di formulazione dell’offerta economica.
5.- Con distinto motivo, le appellanti incidentali si dolgono che – in allegata violazione delle previsioni delle delibera consiliare n. 131/2000 – la stazione appaltante non abbia tenuto conto del valore minimo previsto per le spese generali, pari al “10 per cento dell’importo complessivo del prezzo di aggiudicazione dell’appalto” (art. 1 lettera c), successivamente incrementato al 13 per cento, in forza della delibera consiliare n. 191/2015.
5.1.- Il motivo è inammissibile.
Importa premettere che le “spese generali” rappresentano una voce di costo che comprende il valore di tutte le risorse – escluse quelle riconducibili alla manodopera e ad altre voci separatamente indicate – che l’operatore economico dichiara di impiegare per l’esecuzione della commessa.
Nella quantificazione paradigmatica del valore dell’appalto, posto a base di gara, la stazione appaltante non ha, in via di principio, l’obbligo di indicare, separatamente e specificamente, la misura (in termini percentuali) del valore delle spese generali: e ciò perché ogni operatore economico è in grado di formulare la propria offerta, tenendo conto della propria struttura dei costi.
Nel caso di specie, il bando recava l’indicazione di un importo generale stimato, come tale soggetto a ribasso, di tal che ciascun operatore economico, come peraltro correttamente ritenuto dal primo giudice, era abilitato alla formulazione della proposta negoziale, inclusiva della relativa voce di costo, senza che la relativa indicazione potesse ritenersi condizionante.
Sotto questo assorbente profilo – di là dalla asserita attitudine vincolante della indicazione programmatica rinveniente dalla regolamentazione comunale, relativamente alla predeterminazione di un valore percentuale ne infra quem – si tratta, all’evidenza, di una clausola della lex specialis priva di carattere escludente e non incidente sulla possibilità di formulare una offerta congrua, coerente e competitiva, cosicché non ne è ammessa, giusta i principi richiamati, l’immediata impugnazione, prima degli esiti della gara.
6.- Con ulteriore motivo, si lamenta error in judicando per violazione degli artt. 23, 30, 54, 95 e 97 del d. lgs. 50/2016, una ad eccesso di potere sotto plurimo profilo, relativamente alla previsione, nell’offerta tecnica, del riconoscimento di 20 punti (sugli 80 previsti) in base alle offerte di prestazioni aggiuntive “senza oneri per l’amministrazione”, di cui 10 punti per l’offerta di ore aggiuntive di servizio ed ulteriori 10 punti per l’offerta di “proposta migliorativa laboratoriale”.
Segnatamente, nel critico assunto delle appellanti incidentali, tale previsione – inserita nel contesto dell’affidamento di un accordo quadro, per il quale notoriamente il volume prestazionale è, per definizione, un volume potenziale suscettibile, come tale, di variare anche notevolmente al momento della stipula dei singoli contratti attuativi – avrebbe reso impossibile o, comunque, oltremodo difficoltosa, la formulazione di una proposta negoziale congrua, sostenibile e competitiva.
6.1.- Il motivo non è fondato.
Premesso che, per gli appalti di servizi, non sussiste la preclusione – scolpita, per i soli appalti di lavori, dall’art. 95, comma 14 bis d. lgs. n. 50/2016 – alla richiesta, da parte della stazione appaltante, di prestazioni aggiuntive, suscettibili di incrementare il punteggio riconoscibile (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2019, n. 8534), non è dato di postulare una incompatibilità “di principio” tra la proposta, di tenore migliorativo, di ore di servizio aggiuntive rispetto a quelle capitolari (che risponde, all’evidenza, ad una logica di miglioramento qualitativo del servizio, meritevole di punteggio premiale) e l’attitudine normativa e programmatica dell’accordo quadro oggetto di affidamento.
Invero, scopo dell’accordo quadro è quello di “stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste” (cfr. art. 3, comma 1 lettera iii) d. lgs. n. 50/2016): il che lascia intendere che la quantità di prestazioni da erogare all’esito della aggiudicazione non debba essere necessariamente e precisamente individuata. Né all’operatore economico interessato al conseguimento del punteggio premiale, è preclusa la formulazione di un’offerta che – tenendo complessivamente conto, ai fini del necessario apprezzamento di congruità, della sostenibilità dei costi e delle capacità tecniche, economiche e finanziarie – incorpori un potenziale monte ore aggiuntivo rispetto a quello, minimo, previsto dalla lex specialis di gara.
7.- Con distinta censura, le appellanti incidentali lamentano – prospettando sul punto error in judicando della impugnata statuizione, nella parte in cui ha respinto il corrispondente motivo formulato in prime cure – violazione dell’art. 51 del d. lgs. n. 50/2016, avuto riguardo alla mancata indicazione di elementi necessari alla formulazione dell’offerta e, segnatamente, del numero, delle qualifiche, delle mansioni, dei livelli retributivi e dell’anzianità del personale destinato ad essere assorbito dall’aggiudicatario in virtù della scolpita “clausola sociale”.
In proposito, si dolgono che – con apprezzamento generico ed astratto – il primo giudice abbia ritenuto sufficiente il rinvio, per relationem, alla documentazione disponibile presso i singoli municipi interessati dalla procedura evidenziale: laddove, come documentato con apposita allegazione probatoria, solo alcuni di essi si sarebbero resi disponibili a fornire le necessarie informazioni.
7.1.- Il motivo non è fondato.
L’art. 28 del bando in contestazione prevede, relativamente alla “clausola sociale di assorbimento del personale”, che “per l’esecuzione del[l’] accordo quadro, l’aggiudicatario, al fine di garantire il livello occupazionale, la continuità degli interventi ed evitare il turn-over degli operatori, dovrà impegnarsi, subordinatamente alla compatibilità ed all’armonizzazione con l’organizzazione d’impresa, ad assorbire ed utilizzare prioritariamente, per il periodo di durata dell’accordo quadro, negli eventuali contratti applicativi, il personale, qualora disponibile, indicato nell’elenco depositato presso il Municipio, già impiegato dal precedente affidatario”.
La regola è, per sé, idonea a mettere in condizione ogni operatore economico, in relazione a ciascuno dei lotti messi a gara, di conoscere i termini dell’impegno negoziale prospetticamente correlato al rispetto della clausola sociale: la quale, sotto il profilo in questione, non appare indeterminata, ma semplicemente determinabile, con il medio del (non irragionevole né sproporzionato né eccessivamente oneroso) interpello informativo.
A diverso intendimento non può indurre l’allegata circostanza, affidata alla documentazione probatoria versata agli atti del giudizio, che solo una parte dei municipi avrebbero fornito adeguato riscontro alla istanza con la quale si era chiesto di acquisire il numero, le qualifiche, le mansioni, i livelli retributivi e l’anzianità del personale destinato ad essere assorbito, ed anzi uno dei municipi (il VII) avrebbe fornito risposta meramente interlocutoria.
Invero, per un verso, quest’ultima istanza risulta formulata da soggetto non rientrante nel novero delle odierne appellanti incidentali (sicché non è in grado di dimostrare che analogo riscontro sia stato fornito anche ad esse, né – prima ancora – che le stesse, nel proprio interesse, si siano concretamente ed effettivamente attivate allo scopo); e, per altro verso, non sono specificate, di là da ogni altro rilievo, le ragioni per le quali le informazioni concretamente fornite dai municipi interpellati sarebbero, per i profili in contestazione, insufficienti e/o incomplete.
8.- Con distinto mezzo, le appellanti lamentano error in judicando, per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, lett. p), 48 e 51, del d. lgs. n. 50/2016, una ad eccesso di potere sotto plurimo profilo: la contestata legge di gara sarebbe, segnatamente, illegittima nella parte in cui, pur autorizzando i concorrenti a presentare offerte anche per una pluralità (od anche per la totalità) dei lotti, precludeva l’aggiudicazione di più di un lotto, e ciò vuoi che gli operatori economici avessero inteso partecipare singolarmente, vuoi che avessero optato per il raggruppamento temporaneo d’imprese ovvero per la forma consortile. Siffatta clausola strutturerebbe, in tesi, un inammissibile vincolo alla più ampia partecipazione alla gara, in quando fondata sull’erroneo ed illegittimo presupposto per cui il concorrente che partecipa a distinti lotti, come singolo o in forma associata, costituisca sempre un medesimo operatore economico. Trattandosi, in altri termini, ogni volta di concorrenti distinti, non sarebbe lecito impedire la partecipazione (in forma individuale e associata) e l’eventuale aggiudicazione (purché non nella medesima figura soggettiva) di più lotti distinti.
8.1.- Il motivo è infondato.
Come è noto (cfr., da ultimo e in termini, Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2021, n. 6481), la ratio dell’imposizione del limite di aggiudicazione dei lotti è quella di favorire la massima partecipazione possibile da parte delle piccole e medie imprese, sicché esso costituisce senz’altro uno strumento proconcorrenziale, conforme alle previsioni dell’art. 51, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, rimesso alla scelta discrezionale della stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, III, 18 gennaio 2021, n. 518).
Peraltro, la logica che sorregge – in un contesto evidenziale programmaticamente strutturato, ai sensi del comma 1 dell’art. 51 del d. lgs. cit., dalla (mera) suddivisione dell’appalto in lotti (funzionali o prestazionali) – l’opzione (distinta, autonoma ed ulteriore) per una limitazione quantitativa del “numero dei lotti che possono essere aggiudicati a ciascun offerente” esibisce una sua concreta specificità, che qualifica e connota il (generico) obiettivo del favor per l’apertura competitiva al mercato (essenzialmente a salvaguardia delle imprese minime, piccole e medie) nel senso di una (più rigorosa ed incisiva) limitazione a forme di concentrazione, accaparramento e acquisizione centralizzata delle commesse pubbliche.
Si deve, invero, rimarcare che, laddove la suddivisione in lotti rappresenta, in quanto tale, una opzione regolare ed ordinaria, come tale connotata da sindacabile discrezionalità negativa (al segno che l’art. 51, comma 1 cit. – dettato in recepimento dell’art. 46 della direttiva 2014/24/UE e dell’art. 65 della direttiva 2014/25/UE, in conformità al criterio di delega di cui alle lettere dd) e ccc) della l. n. 11/2016 – impone una congrua e circostanziata motivazione, nel corpo degli atti indittivi o nelle “relazioni uniche” di cui agli artt. 99 e 139, del mancato frazionamento: cfr. Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2017, n. 272; Id., sez. V, 11 gennaio 2018, n. 123; Id., sez. III, 12/02/2020, n. 1076), il vincolo quantitativo di aggiudicazione (come, prima ancora, l’eventuale limitazione del numero di offerte proponibili in relazioni ai singoli lotti: cfr. art. 51, comma 2) postula solo – in funzione di trasparenza e parità di trattamento – la espressa formalizzazione in termini di lex specialis e la prefigurazione di “regole o […] criteri oggettivi e non discriminatori” per l’affidamento selettivo.
In altri termini, laddove il frazionamento è, in via di principio e sia pure tendenzialmente doveroso (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 luglio 2020 n. 4361) – proprio perché mira ad incrementare il novero dei partecipanti alle gare, elidendo la naturale barriera del sovradimensionamento dei requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria per l’accesso al mercato: cfr. art. 30, comma 1 d. lgs. n. 50/2016 cit.) – il vincolo di aggiudicazione opera in una (più) discrezionale prospettiva distributiva (propriamente antitrust), intesa come tale a disincentivare la concentrazione di potere economico, a precludere l’accaparramento di commesse da parte operatori ‘forti’, strutturati ed organizzati facenti capo ad unico centro decisionale.
Se è, perciò, eccezionale la regola che volta a volta limiti (o precluda o conformi) la partecipazione alle procedure evidenziali, non altrettanto può dirsi in ordine ad un vincolo, come quello correlato al divieto di plurime aggiudicazioni, che, senza precludere la competizione, operi, nei sensi chiariti, in funzione non solo proconcorrenziale, ma propriamente distributiva e antitrust.
Sicché appare corretto – in una plausibile logica sostanzialistica, orientata a disincentivare ed impedire forme e modalità di partecipazione che, anche quando non siano collusive o propriamente abusive (incorrendo, come tali, in specifiche cause di esclusione come illeciti anticoncorrenziali: cfr. art. 80, comma 5, lett. c) d. lgs. n. 50/2016), risultino, ai fini evidenziati, elusive del divieto di accaparramento – riferire il limite, estensivamente, anche agli operatori economici sostanzialmente riconducibili ad un unitario centro decisionale o ad una organizzazione economica operante, a guisa di grande player di mercato, in forma di holding.
E, all’evidenza, analoga conclusione ragionevolmente si impone laddove, come nel caso di specie, la stazione appaltante ha inteso precludere l’aggiudicazione plurima a favore di soggetti che – partecipando sia come singoli, sia come unitario raggruppamento di imprese, in forma associata – concorressero per una pluralità (o addirittura per la totalità) dei lotti messi a concorso.
Si tratta, di nuovo, di una logica coerente con una disciplina di gara che – lungi dal limitarsi al frazionamento dell’appalto (ex art. 51, comma 1) – ha specificamente voluto, nei termini illustrati, segmentare e distribuire l’affidamento dei lotti: i quali, a diversamente opinare, ben avrebbero potuto essere acquisiti, a dispetto delle finalità proconcorrenziali, da un unico ed organizzato gruppo societario, che si avvalesse di una pluralità di operatori economici.
Né si tratta di opzione ermeneutica fondata sul ragionamento analogico (come tale preordinato alla estensione di una regola ad una caso non previsto né codificato): la illustrata ratio interna alla disposizione fa, invero, palese, che la stessa postula una nozione estensiva di “operatore economico” (cfr. ancora Cons. Stato, sez. V, n. 6481/2021 cit.).
9.- Con distinto motivo, si censura la stessa scelta di procedere (giusta modalità ispirate ad una sostanziale “aggregazione” di diverse realtà operative) alla divisione in lotti su base territoriale, sul critico assunto che si tratterebbe – con precipuo riferimento alla realtà del settore e della struttura delle cooperative che ordinariamente vi operano – di opzione sostanzialmente anticoncorrenziale, la quale – senza soddisfare, in tesi, alcuna reale esigenza pubblica – sortirebbe l’esclusivo effetto di imporre artificiose aggregazioni tra gli operatori economici.
9.1.- Il motivo è infondato.
Di là dalle considerazioni già esposte in relazione al motivo che precede (in base alle quali va ribadito che la divisione in lotti, su base funzionale o municipale, è di per sé idonea ad implementare una logica proconcorrenziale, in quanto ispirata al frazionamento dell’oggetto, altrimenti unitario, della gara), vale osservare che le appellanti non hanno in alcun modo dimostrato che l’individuazione dei lotti (su base essenzialmente territoriale, in relazione al tipo di servizio da fornire) sarebbe stata, in concreto operata, a mezzo di una artificiosa “aggregazione” di ambiti operativi disomogenei e naturalmente distinti: essendo, per converso, plausibile l’assunto di Roma Capitale, valorizzato dal primo giudice, secondo cui la “dimensione” dei lotti e la loro articolazione fosse rispondente ai criteri di omogeneità prefissati dal regolamento comunale, al fine di scongiurare situazioni di difformità sul territorio, con riguardo a livelli di accesso e di qualità del servizio prestato.
In assenza di palesi profili di irragionevolezza (o di attitudine distorsiva della competizione concorrenziale), le modalità di organizzazione della gara devono, in definitiva, ritenersi rimesse alla valutazione tecnico-discrezionale della stazione appaltante, non suscettibile, come tale, di sindacato giurisdizionale.
10.- Le appellanti lamentano, ancora, violazione e falsa applicazione dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, avuto riguardo alla asserita eterointegrazione della lex specialis (segnatamente, dell’art. 7.2, punto 6, lett. b e c) del capitolato speciale di gara, anche in relazione ai criteri di valutazione dell’offerta tecnica) ad opera dei chiarimenti resi dalla stazione appaltante.
Si dolgono, sul punto, che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe dichiarato l’inammissibilità del motivo (peraltro, esaminando comunque nel merito per dichiararne, ad abundantiam, l’infondatezza), sull’assunto della attitudine non escludente della clausola.
10.1.- Il motivo non è fondato.
Le appellanti ritengono che – a fronte delle previsioni capitolari che, per come interpretate, avrebbero scolpito la rilevanza dell’attestato di formazione inerente la professione OEPA esclusivamente quale requisito di partecipazione – i successivi chiarimenti forniti dalla stazione appaltante ne avrebbero sancito, in guisa asseritamente ed illegittimamente “innovativa”, la possibile valorizzazione (anche) ai fini della attribuzione del punteggio.
Di là dal merito della questione, esattamente il primo giudice ha ritenuto la doglianza non ammissibile: non trattandosi di regola idonea a precludere – alla luce delle valutazioni economiche e tecniche di ciascun concorrente – la formalizzazione di una proposta negoziale competitiva, deve escludersene, alla luce dei principi già richiamati, la natura immediatamente escludente e, con ciò, l’immediata impugnabilità, trattandosi di questioni suscettibili di acquisire rilevanza esclusivamente all’esito di valutazione delle offerte e solo in caso di esito sfavorevole della fase di aggiudicazione.
11.- Con ulteriore motivo, si lamenta error in judicando per travisamento dei presupposti; violazione della determinazione n. G09091 del 28 giugno 2017 della Regione Lazio; violazione dell’art. 55 del d.lgs. n. 117/2017 e della L.R. n. 11 del 10 agosto 2016; errore ed illogicità manifesti.
Segnatamente, si contesta: a) la mancata individuazione della corretta figura professionale dell’OEPA e l’ambiguità dei criteri di valutazione; b) l’omessa stima del preciso fabbisogno di OEPA e del presunto numero dei beneficiari; c) la irragionevole ed errata individuazione del fabbisogno di ore di coordinamento; d) la mancata attivazione delle procedure previste dall’art. 55 del d.lgs. n. 117/2016 e dalla L.R. n. 11/2016, relativamente al coinvolgimento del c.d. terzo settore nella fase di programmazione degli interventi.
11.1.- Le censure, così come articolate, sono complessivamente inammissibili.
Per un verso, infatti, importa ribadire che non si tratta di prescrizioni ambigue, incerte e/o di ardua intellegibilità, tali da precludere la possibilità di partecipare alla procedura evidenziale attraverso l’elaborazione e la formulazione di un’offerta in base alle caratteristiche del servizio richiesto, delle qualificazioni del personale da adibire alle relative mansioni e degli ulteriori requisiti tecnici e professionali.
Per altro verso – con particolare riferimento alle contestazioni inerenti la strutturazione dell’accordo quadro – si tratta, come correttamente rilevato dal primo giudice, di valutazioni tecnico-discrezionali rimesse all’apprezzamento della stazione appaltante, le quali si sottraggono al sindacato giurisdizionale con il solo limite, non emergente nel caso di specie, di una loro intrinseca irrazionalità o di una obiettiva incongruenza ed inadeguatezza.
12.- Alla luce delle considerazioni che precedono, vanno respinti sia l’appello principale che l’appello incidentale, con conferma della statuizione impugnata.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.