Corte Costituzionale, ordinanza 28 luglio 2023, n. 179
Va anzitutto dichiarata ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Camera dei deputati nei confronti del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione con il ricorso indicato in epigrafe;
La Corte, inoltre, dispone che la propria cancelleria dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla Camera dei deputati e che questa, insieme al ricorso, sia notificata, a cura della ricorrente, al Consiglio di Stato, alla Corte di cassazione e al Senato della Repubblica, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria della Corte, entro il termine di trenta giorni dall’ultima notificazione, a norma dell’art. 26, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 28 febbraio 2023, la Camera dei deputati ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (reg. confl. poteri n. 4 del 2023) nei confronti della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato in riferimento alle sentenze, rispettivamente, della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 12 aprile-12 maggio 2022, n. 15236, e del Consiglio di Stato, sezione quinta, 31 maggio 2021, n. 4150;
che, in particolare, la ricorrente riferisce che le sentenze in esame sono state pronunciate nell’ambito di un giudizio instaurato congiuntamente di fronte al giudice amministrativo dalle società P.R.S. Planning Ricerche e Studi srl e HSPI spa, rispettivamente mandataria e mandante di un costituendo Raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) finalizzato alla partecipazione a una procedura ristretta di rilievo comunitario, avviata dall’amministrazione della Camera per l’appalto di servizi di monitoraggio di contratti Information and Communication Technology (ICT) della Camera stessa;
che il menzionato RTI si è classificato al primo posto della graduatoria finale della procedura ma, all’esito della verifica della anomalia delle offerte, il Servizio amministrazione della Camera ne ha deliberato l’esclusione dalla procedura con provvedimento dell’11 ottobre 2019;
che il provvedimento di esclusione è stato impugnato congiuntamente dalle due società innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio;
che, con sentenza 24 aprile 2020, n. 4183, il TAR Lazio, sezione prima, ha respinto il ricorso, previo rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Camera, affermando la propria giurisdizione;
che, nel giudizio di appello instaurato innanzi al Consiglio di Stato dalle società soccombenti, si è costituita la Camera dei deputati, chiedendo il rigetto del ricorso e proponendo appello incidentale contro la sentenza del giudice di prime cure, nella parte in cui aveva ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo;
che, con la sentenza n. 4150 del 2021, il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha accolto l’appello principale e respinto l’appello incidentale della Camera, affermando per quanto qui di rilievo che la giurisdizione domestica della Camera deve essere limitata «alle controversie che abbiano per oggetto non qualsiasi atto di amministrazione della Camera dei deputati ma esclusivamente quegli atti adottati in una materia in ordine alla quale, all’organo costituzionale, è costituzionalmente riconosciuta una sfera di autonomia normativa», e che, pertanto, non rientrando la materia dell’affidamento a terzi dei contratti di lavori, servizi e forniture in tale sfera di autonomia normativa, le relative controversie sono sottratte alla giurisdizione domestica della Camera;
che, avverso tale pronuncia, la Camera ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, della Costituzione, denunciando il difetto assoluto di giurisdizione del giudice amministrativo e affermando, in particolare, che le norme regolamentari che escludono la giurisdizione di qualsiasi giudice esterno alla Camera stessa sulle controversie come quella in esame possiedono «rango primario, equiparato a quello delle norme di legge», e non possono essere disapplicate da parte del giudice comune;
che, con la sentenza n. 15236 del 2022, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, ha respinto il ricorso della Camera, sul rilievo che «[r]iconoscendo la propria giurisdizione e decidendo il fondo della controversia, il Consiglio di Stato non ha disapplicato i Regolamenti parlamentari, ma ne ha solo interpretato la portata, correttamente escludendo che le disposizioni da esse recate giustificassero l’attrazione, nell’ambito della cognizione dell’Organo di autodichia, dell’impugnazione del provvedimento, adottato dal Servizio Amministrazione della Camera, di esclusione dell’offerta del costituendo raggruppamento dalla procedura di gara di rilievo comunitario per l’affidamento dell’appalto»;
che la Camera ritiene che la Corte di cassazione ed il Consiglio di Stato, con le citate pronunce, nel considerare sottratte alla giurisdizione domestica le controversie inerenti agli affidamenti di appalti banditi dall’Amministrazione della Camera, abbiano leso la sfera di attribuzioni a essa riservata dagli artt. 64, primo comma, e 55 e seguenti Cost., questi ultimi in quanto attribuiscono alle camere «specifiche funzioni e una posizione di particolare indipendenza»;
che la Camera precisa che oggetto del conflitto è anzitutto la sentenza n. 15236 del 2022 delle sezioni unite della Corte di cassazione, ma che «per tuziorismo» viene espressamente censurata anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 4150 del 2021, la quale parimenti afferma la giurisdizione del giudice amministrativo in luogo di quella dell’organo di autodichia della Camera «con sostanziale medesimezza di argomentazioni»;
che la Camera evidenzia l’ammissibilità del presente conflitto sia per quanto riguarda il profilo soggettivo che per quanto riguarda quello oggettivo;
che, nel merito, la Camera afferma che «i confini dell’autodichia hanno subìto, nella giurisprudenza più recente di [questa] Corte, una significativa ridefinizione», e ritiene che questa più ristretta interpretazione «non [possa] conoscere ulteriori ridimensionamenti, pena il venir meno del senso stesso della previsione costituzionale dell’autonomia normativa e organizzativa della Camera»;
che la Camera richiede pertanto a questa Corte «un’attenta valutazione degli attuali indirizzi interpretativi, al fine di fare chiarezza sul delicato tema dell’autodichia e di non correre il pericolo di assistere alla sua rovinosa fine», facendo presente che la decisione del presente ricorso ha «portata di sistema», dal momento che essa rileva «per tutti gli organi costituzionali cui, espressamente o implicitamente, l’ordinamento riconosce l’autodichia»;
che, nel contestare le affermazioni in senso contrario contenute nella sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, la Camera afferma in primo luogo che «le procedure di affidamento di servizi bandite dalla Camera dei deputati, quale quella oggetto della controversia de qua, [sono] legittimamente disciplinate da atti adottati dalla Camera stessa nell’ambito della sua autonomia normativa»;
che rileverebbero, in particolare, l’art. 12, comma 3, lettera e), del Regolamento della Camera, il quale dispone che l’Ufficio di Presidenza adotta i regolamenti e le altre norme concernenti «i criteri per l’affidamento a soggetti estranei alla Camera di attività non direttamente strumentali all’esercizio delle funzioni parlamentari», nonché il Regolamento di amministrazione e contabilità della Camera dei deputati, adottato in attuazione di tale previsione, i cui artt. 39 e seguenti disciplinano le «procedure di selezione dei contraenti e [le] altre attività amministrative della Camera in materia di contratti di lavori, servizi e forniture»;
che, pertanto, stante la connessione fra autonomia normativa e autodichia, non potrebbe non riconoscersi la giustiziabilità delle controversie in esame dinanzi al Consiglio di giurisdizione della Camera;
che, in secondo luogo, la Camera sottolinea che gli atti oggetto di impugnazione dinanzi al TAR avrebbero pacificamente natura amministrativa e sarebbero in quanto tali oggetto della riserva di autodichia, in forza dell’art. 12, comma 3, lettera f), del Regolamento della Camera, ai sensi del quale l’Ufficio di Presidenza adotta i regolamenti e le altre norme concernenti, tra l’altro, «i ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli altri atti di amministrazione della Camera medesima»;
che la ricorrente sottolinea che, in attuazione di tale ultima disposizione, nonché dell’art. 12, comma 6, del Regolamento della Camera, è stato adottato il Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernenti i dipendenti, il cui art. 2 istituisce il Consiglio di giurisdizione, competente a decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima» (art. 1);
che la Camera afferma, inoltre, che la sottrazione delle controversie in esame alla cognizione del giudice amministrativo non violerebbe il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva dei terzi, poiché quest’ultimo sarebbe pienamente garantito dagli organi di autodichia, come avrebbe affermato questa Corte nella sentenza n. 262 del 2017;
che la ricorrente evidenzia, quindi, che il provvedimento di esclusione impugnato di fronte al Tribunale amministrativo regionale «si colloca nella fase pubblicistica della procedura, finalizzata all’individuazione del contraente», e non in quella privatistica, che vede attribuite al giudice comune le controversie relative all’esecuzione del contratto, sottolineando come, relativamente a quest’ultima fase, essa non abbia mai inteso contestare la giurisdizione del giudice ordinario, riconoscendo che «nella fase di esecuzione del contratto non vi [è] alcuno spazio per l’autodichia»;
che la Camera si sofferma sul rapporto fra giurisdizione concernente il personale e giurisdizione concernente le gare, affermando che non possa ritenersi che nelle controversie sulle gare non siano in gioco apparati serventi delle Camere, come si evincerebbe anche dalla sentenza n. 129 del 1981 di questa Corte, nonché da molte norme vigenti che danno testimonianza del fatto che le pubbliche amministrazioni operano impiegando un complesso di risorse finanziarie, umane e strumentali, tutte necessarie al perseguimento dei loro scopi istituzionali;
che, secondo la Camera, non sarebbe fondata la tesi, fatta propria dalla sentenza della Corte di cassazione oggetto del presente conflitto, secondo cui «l’applicazione del diritto comune degli appalti (e, con esso, la sottoposizione del contenzioso alla giurisdizione amministrativa) non appare suscettibile di intaccare il pieno e libero svolgimento da parte della Camera della sua alta funzione né di interferire negativamente sull’amministrazione dei servizi interni», dal momento che «[i]l fondamento dell’autonomia normativa, organizzativa e contabile delle Camere si rinviene nell’esigenza di consentire agli organi costituzionali di dettare (e vedere applicate) le norme più opportune (non solo per garantire una corretta gestione delle somme loro affidate, ma anche) per consentire un libero ed efficiente esercizio delle funzioni, assicurando in tal modo la loro indipendenza da altri poteri dello Stato», come avrebbe riconosciuto questa Corte nella stessa sentenza n. 262 del 2017, attraverso il richiamo alla precedente sentenza n. 129 del 1981;
che, secondo la Camera, l’affermazione contenuta nella sentenza di questa Corte n. 262 del 2017, secondo cui non possono essere riservate agli organi di autodichia le controversie relative agli appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni costituzionali, costituirebbe mero obiter dictum, che in quanto tale non potrebbe valere come autentico precedente.
Considerato che, con ricorso depositato in data 28 febbraio 2023 (reg. confl. poteri n. 4 del 2023), la Camera dei deputati ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione, in riferimento alla sentenza delle sezioni unite civili n. 15236 del 2022, e del Consiglio di Stato, in riferimento alla sentenza della sezione quinta n. 4150 del 2021;
che, in questa fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali, impregiudicata restando ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;
che, quanto al profilo soggettivo, non sussistono dubbi sulla legittimazione della Camera a promuovere conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato (ex plurimis, ordinanza n. 250 del 2022);
che, ugualmente, è indubbia la legittimazione a essere parte di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, «a fronte della costante giurisprudenza di questa Corte, che tale legittimazione riconosce ai singoli organi giurisdizionali, in quanto competenti, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle proprie funzioni, la volontà del potere cui appartengono» (sentenze n. 262 del 2017 e, negli stessi termini, n. 52 del 2016);
che, quanto al requisito oggettivo, il ricorso, pur se promosso in riferimento a due decisioni giudiziarie, non lamenta un mero error in iudicando, bensì la lesione della sfera di competenze riconosciuta alla Camera dall’art. 64, primo comma, nonché, più in generale, dagli artt. 55 e seguenti Cost.;
che, in particolare, la Camera lamenta il superamento, da parte delle citate sentenze della Corte di cassazione a sezioni unite e del Consiglio di Stato, dei limiti che il potere giurisdizionale incontra a garanzia delle sue attribuzioni costituzionali;
che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte;
che, ai sensi dell’art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, va disposta la notificazione anche al Senato della Repubblica, stante l’identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in relazione alle questioni di principio da trattare (ex plurimis, ordinanze n. 250 del 2022, n. 91 del 2016 e n. 137 del 2015).