- Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973; la Commissione tributaria regionale aveva errato nel ritenere sufficienti gli studi di settore per legittimare l’accertamento che, in quanto basato sugli studi di settore, necessitava di ulteriori elementi istruttori da parte dell’Ufficio, dovendosi pure considerare che dalla stessa sentenza risultava che lo stesso Ufficio aveva formulato una proposta transattiva e che comunque la Società aveva chiesto l’esercizio dei mezzi istruttori ex art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992, essendo nell’impossibilità, a distanza di anni, di dimostrare i lavori di pavimentazione della strada; peraltro, nell’anno di imposta in questione era notorio che la crisi aveva colpito anche e soprattutto il settore dell’abbigliamento. 1.1 Il motivo è infondato. 1.2 Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità Corte di Cassazione – copia non ufficiale 4 dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635 e, di recente, Cass., 20 giugno 2019, n. 16545; Cass., 15 luglio 2020, n. 14981). Dunque, il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa) (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 14981, citata). 1.3 Inoltre, va rilevato che a paralizzare l’applicabilità degli studi di settore, non è sufficiente la sola allegazione, ossia la sola affermazione della esistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 presunzione di maggior reddito, con conseguente onere incombente sull’Amministrazione di giustificare l’affermazione contraria, in quanto tale assunto non risponde ad una corretta lettura delle norme e che, piuttosto, dai principi enunciati dalle Sezioni Unite sopra richiamati si evince che, nella ripartizione dell’onere probatorio, spetta al contribuente quello non solo di allegare, ma anche di provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, in modo da giustificare un reddito inferiore a quello che normalmente si desume secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre sull’ente impositore incombe l’onere di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Cass., 21 dicembre 2021, n. 40936). 1.4 In sede di contraddittorio, il quale deve avvenire già in fase amministrativa, ma anche e soprattutto nel giudizio, il contribuente dovrà, quindi, non solo dedurre, ma anche dimostrare che i parametri utilizzati sono erronei perché basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici o potrà anche dedurre e dimostrare che l’ufficio impositore è incorso in un errore nell’applicare i parametri alla sua realtà, in ragione della sussistenza di caratteri per così dire anormali, ossia di elementi che la diversificano rispetto a quelli in riferimento ai quali è stata individuata la normalità reddituale Pertanto, qualora il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di offrire elementi, anche presuntivi, idonei a contrastare l’opposta presunzione fondata sugli studi di settore «senza limitazione di mezzi e contenuto», si limiti ad una mera asserzione, non confortata da validi riscontri probatori e documentali, risulta evidente che l’ufficio impositore prima ed il giudice poi non hanno elementi per escludere che l’attività in esame sia una attività «normale» ed abbia quindi una redditività normale. Viceversa, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 se il contribuente prospetta la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale gli studi di settore fanno riferimento, spetta all’Ufficio prima ed al giudice poi valutare se tali circostanze siano vere e se esse siano effettivamente idonee a «giustificare» un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse. Ne discende che, a fronte di una rappresentazione di carattere presuntivo, e, quindi, presuntivamente attendibile, spetta al contribuente, che vi ha interesse, dedurre e provare la sussistenza di elementi di discordanza o disomogeneità idonei a togliere valore alla presunzione di cui all’art. 2729 cod. civ. (cfr. Cass., 30 ottobre 2018, n. 27617). 1.5 Si tratta di principi che, nel caso in esame, sono stati correttamente applicati dai giudici di merito, che da un lato hanno evidenziato che il contraddittorio era stato attivato dall’Ufficio e che allo stesso, peraltro, aveva partecipato la società contribuente, e dall’altro che quest’ultima non aveva introdotto elementi idonei a superare gli esiti dell’accertamento; mentre per quanto concerne la circostanza dedotta del minor afflusso di clientela dovuto alla pavimentazione stradale nell’anno d’imposta considerato, la società contribuente non aveva dato la prova di quanto asserito. 1.6 Non vi è stata, dunque, alcuna violazione dell’art. 2697 cod. civ., non avendo il giudice di appello attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata; ed invero, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità Corte di Cassazione – solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civi. (cfr. Cass., 19 agosto 2020, n. 17313). 2. Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sulla eccepita violazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992; la Commissione tributaria regionale aveva omesso ogni pronuncia sulla richiesta di esercizio dei poteri istruttori ex art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992; la società ricorrente aveva dedotto, nell’atto di appello, il fatto di essere impossibilitata, a distanza di anni, a dimostrare l’esecuzione dei lavori stradali, che le avevano procurato un grave danno, rendendo assai difficoltoso l’accesso al negozio, quindi, nel momento in cui la Commissione Tributaria Provinciale, pur ritenendo ammissibili e potenzialmente idonee le giustificazioni date dal contribuente, aveva però riscontrato la carenza istruttoriodocumentale poi trasfusa in sentenza, avrebbe dovuto essa stessa esercitate i poteri istruttori ivi previsti che prevedevano la «… facoltà di accesso, di richiesta dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale …» e «… quando occorre acquistare elementi conoscitivi di particolare complessità possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici ovvero disporre consulenza tecnica»; ciò in quanto la società ricorrente non avrebbe potuto documentare altrimenti l’esistenza e la consistenza dei lavori stradali disposti dall’ente proprietario della strada, né avrebbe potuto avvalersi di dichiarazioni testimoniali. 2.1 Il motivo, che presenta profili di censura sovrapponibili alle doglianze oggetto del primo motivo di ricorso, è inammissibile, poiché alla mera affermazione dell’omessa pronuncia sulla eccepita violazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992, cui non fa riferimento il giudice di appello, non si associa alcun riferimento agli Corte di Cassazione – copia non ufficiale 8 atti processuali, inteso a consentire a questa Corte una verifica ≪prima facie≫, della fondatezza della doglianza. 2.2 Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, ≪in primis≫, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (Cass., 28 luglio 2005, n. 15781; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass., 8 giugno 2016, n. 11738). 2.3 In ogni caso, il giudice di appello ha affermato che i riferimenti al minor afflusso di clientela dovuta ai lavori di pavimentazione stradale si fermavano alla mera enunciazione senza che da essi potesse ricavarsi alcun concreto contributo sul piano della possibile dimostrazione dell’incoerenza dello studio di settore applicato (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), così evidenziando che la società contribuente non aveva assolto all’onere probatorio che le spettava, secondo i criteri di ripartizione di cui all’art. 2697 cod. civ.. 3. Il terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 53, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992; la Commissione tributaria, in ogni caso, ove si fosse implicitamente pronunciata sulla questione dell’esercizio dei poteri istruttori ex art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992, aveva falsamente applicato la norma richiamata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 9 3.1 Il motivo è infondato sia sotto il profilo della violazione di legge, che sotto quello della falsa applicazione di legge. 3.2 Sotto il primo profilo, va richiamato il principio statuito, anche di recente, da questa Corte secondo cui «Nel processo tributario, retto dal principio misto acquisitivo-dispositivo, l’art. 7, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, stante l’abrogazione del comma 3 (che consentiva un vero e proprio potere officioso in «supplenza» della parte probatoriamente inerte), attribuisce alle commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di «soccorso istruttorio», che, motivatamente, può essere esercitato non per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio (come nel caso in esame, il cui onere probatorio del minor afflusso di clientela dovuto alla pavimentazione stradale asseritamente eseguita nell’anno d’imposta considerato spettata alla società contribuente), ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata (cfr. Cass., 11 maggio 2021, n. 12383). 3.3 Si tratta di un principio, come affermato nell’ordinanza richiamata, già sancito da questa Corte, in considerazione tanto della giurisprudenza di legittimità formatasi circa il citato art. 7 (nelle sue formulazioni antecedente e successiva alla modifica del 2005) quanto delle statuizioni della Consulta (Corte Cost., sentenza n. 109 del 2007); la Corte, in particolare, nell’ordinanza n. 12383 del 2021, citata, ha richiamato l’approdo ermeneutico e l’iter logico-giuridico nonché ricostruttivo di Cass., 31 luglio 2020, n. 16476, ai sensi del quale «Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta»; di Cass., 19 giugno 2018, n. 16171, che ha sostanzialmente ribadito che «il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per Corte di Cassazione – copia non ufficiale 10 supplire a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere probatorio a proprio carico, ma solo, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti»; di Cass., 20 gennaio 2016, n. 955, secondo cui l’art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992 «laddove attribuisce al giudice il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, e dunque anche nell’ora abrogato comma 3, dev’essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio»; di Cass., 22 giugno 2019, n. 14960, secondo cui «il detto potere può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia»; di Cass., 24 marzo 2010, n. 7078, che precisa che la parte su cui ricade l’onere della prova non deve avere essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita, «ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi». 3.4 In conclusione, il principio che emerge dalla giurisprudenza di questa Corte sull’interpretazione del citato art. 7 comma 1, è quello per cui «il potere di indagine autonoma del Giudice tributario è esercitabile, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti od acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata. Questo potere sopravvive alla riconosciuta natura dispositiva del processo tributario, sancita anche da Corte cost. n. 109 del 2007 che ha nei detti termini delineato i limiti dei poteri di cui all’art. 7 comma 1, anche a seguito dell’abrogazione del successivo comma 3 (che consentiva un vero e proprio potere Corte di Cassazione – copia non ufficiale 11 d’ufficio in «supplenza» della parte probatoriamente inerte)» (cfr. Cass., 11 maggio 2021, n. 12383, richiamata, in motivazione). 3.5 Sotto il secondo profilo, va precisato che questa Corte di legittimità ha da tempo individuato nelle due distinte categorie della violazione di legge e falsa applicazione di legge, richiamate a definizione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto lasciando al primo la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto ed al secondo l’applicazione della norma stessa una volta che sia stata correttamente individuata ed interpretata (Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155). Con l’ulteriore precisazione che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata e che il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista, pur rettamente individuata e interpretata, non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (cfr. Cass., 30 aprile 2018, n. 10320). 3.6 Non rientra, quindi, nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’allegazione della società contribuente di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., 14 gennaio 2019, n. 640). 4. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 12 Nessuna statuizione va assunta sulle spese processuali, non avendo l’Amministrazione resistente svolto difese.
Cassazione civile, Sez. I, ordinanza 29 dicembre 2022, n. 38037