Corte Costituzionale, sentenza 17 dicembre 2024 n. 204
PRINCIPIO DI DIRITTO
1) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24, commi 1, lettere d) ed e), e 2-bis; 24-bis; 13; 32; da 36 a 41 e 43 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate, in riferimento agli artt. 101, 104, 105 108, 110 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione;
2) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 5, della legge 31 agosto 2022, n. 130 (Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari), sollevate, in riferimento agli artt. 48, 104, primo comma, 107 e 108 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione;
3) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 12 del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., con riguardo al principio di ragionevolezza, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione;
4) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 4-ter e 5, del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 97, con riguardo al principio di buon andamento, 101 e 108 Cost., con riguardo ai principi di autonomia e indipendenza del giudice, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione;
5) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 106 e 107 Cost., con riguardo ai principi di indipendenza e inamovibilità del giudice, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia;
6) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022, in combinato disposto con gli artt. 13 e 13-bis del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., con riguardo al principio di ragionevolezza, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione;
7) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1-bis; 8, comma 1; 9, commi 2 e 2-bis; e 11, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento all’art. 106 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione;
8) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022 e degli artt. 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108 110 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima;
9) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 31 e 34 del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima;
10) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15 del d.lgs. n. 545 del 1992, e dell’art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23», sollevate, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, 104, 108 e 111, primo e secondo comma, Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima;
11) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 (e il correlato art. 8, comma 4, della legge n. 130 del 2022), anche in combinato disposto con gli artt. 6 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e 51 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 97, 101, 108 e 111 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima;
12) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-ter; 4-quater; 9; 32; 36; e 37 del d.lgs. n. 545 del 1992, e dell’art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 104, 108, 110, 111, nonché 10, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 47 CDFUE, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima;
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- Con ordinanza iscritta al n. 144 del reg. ord. 2022 la Corte di giustiziatributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, solleva questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992 e della legge n. 130 del 2022;
1.1. Lamenta […] il giudice a quo l’accentuato rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Ministero dell’economia e delle finanze determinato dagli artt. 24, commi 1, lettere d) ed e), e 2-bis; e 24-bis nonché di da tutte le disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992 (e in specie, tra esse, gli artt. 13, 32, da 36 a 41 e 43) nella loro formulazione vigente (novellate o meno dall’anzidetta legge) che attribuiscono competenza gestionale e di supporto amministrativo in ordine all’organizzazione giudiziaria tributaria al MEF anziché ad altra amministrazione centrale dello Stato. Tali disposizioni sarebbero in contrasto con i principi dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici, costituzionalmente garantiti dagli artt. 101,104,105108 e 110 Cost., nonché dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU, così come interpretato e applicato dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di equo processo, che fungerebbe da disciplina interposta ai fini della valutazione della conformità a Costituzione della legge ordinaria per effetto della previsione dell’art. 117, primo comma, Cost.;
1.2. L’inquadramento dell’organizzazione giudiziaria tributaria all’interno di un apparato del MEF sarebbe in conflitto con i principi di autonomia e indipendenza in quanto finirebbe per determinare condizionamenti, anche involontari, comunque non corrispondenti alla funzione di garanzia imparziale della giurisdizione e alla par condicio delle parti nel processo;
1.3. La giurisdizione tributaria sarebbe ancor più esposta al rischio di assenza di indipendenza e autonomia con le modifiche introdotte dalla legge n. 130 del 2022 che riconoscerebbero alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze una pervasiva “funzione di supporto” anche nell’attività ispettiva che dovrebbe invece essere esercitata in istituzionale autonomia da parte dell’organo di autogoverno della giustizia tributaria;
1.4. Un’analoga funzione di supporto sarebbe riconosciuta in capo alla predetta Direzione ai fini delle attività dell’ufficio del massimario nazionale in aggiunta alla funzione di organizzazione e supporto per l’espletamento dei corsi di aggiornamento riconosciuta alla Scuola centrale tributaria incardinata anch’essa nel MEF, cosicché il sapere giurisprudenziale sarebbe sottoposto a condizionamento ab externo, contrastando con la garanzia di parità delle parti nel processo;
1.5. L’assenza di indipendenza sarebbe accentuata dalla disciplina novellatrice censurata che avrebbe modificato la natura del rapporto di servizio dei magistrati tributari, reclutati con pubblico concorso, i quali diventerebbero “lavoratori dipendenti” dal MEF;
1.6. Un ulteriore profilo di censura attiene alla differente disciplina del trattamento economico dei giudici tributari attualmente in servizio determinata con decreto ministeriale, mentre per i magistrati tributari di nuova nomina il trattamento economico avviene con fonte normativa primaria (ai sensi dell’art. 13-bis della legge n. 130 del 2022);
1.7. Lamenta altresì il rimettente che l’art. 8, comma 5, della legge n. 130 del 2022, che disciplina la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per la consiliatura successiva all’entrata in vigore della anzidetta legge, violerebbe i principi di cui agli artt. 48,104, primo comma, 107 e 108 Cost., per effetto dello squilibrio, determinatosi nella fase transitoria di applicazione della legge n. 130 del 2022, nel rapporto proporzionale tra elettorato attivo ed elettorato passivo, con riserva di posti a favore di alcune categorie;
1.8. Il rimettente dubita inoltre della legittimità costituzionale degli artt. 7 e 12 del d.lgs. n. 545 del 1992, che disporrebbero l’irrogazione di una misura espulsiva automatica in difetto di un procedimento disciplinare che consenta di valutare la gravità del fatto e la proporzionalità della sanzione, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’;
1.9. Il giudice a quo censura, inoltre, i commi 4-ter e 5 dell’art. 11 del d.lgs. n. 545 del 1992, per violazione del principio di buon andamento dell’organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.) oltre che dei principi di autonomia e indipendenza del giudice (artt. 101 e 108 Cost.);
1.10. Riferisce il rimettente che le disposizioni censurate introdurrebbero nell’ordinamento giudiziario tributario una sanzione disciplinare, mascherata da requisito del concorso interno per l’accesso alle funzioni superiori. Le disposizioni censurate, laddove escludono la partecipazione al suddetto concorso a coloro che abbiano registrato un rapporto inferiore al sessanta per cento tra provvedimenti tardivamente depositati e provvedimenti complessivamente depositati, violerebbero i principi di autonomia e indipendenza del giudice;
1.11. Le disposizioni censurate determinerebbero inoltre un vulnus ai principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’organizzazione dei pubblici uffici poiché costituirebbero un disincentivo alla produttività dei giudici tributari, che sarebbero tendenzialmente stimolati ad assumere il minor carico possibile di provvedimenti da redigere, al fine di rispettare la proporzione fissata con riguardo al parametro del termine di cui si è detto;
1.12. Il rimettente dubita altresì della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022 laddove attribuisce al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria il potere di assegnare d’ufficio, in applicazione non esclusiva, giudici tributari appartenenti al ruolo unico, presso le sedi nelle quali non è possibile assicurare l’esercizio della funzione giurisdizionale individuate dallo stesso Consiglio di presidenza;
1.13. Ciò violerebbe i principi di indipendenza e inamovibilità del giudice, (artt. 106 e 107 Cost.), il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e il principio di buon andamento dell’organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.);
1.14. Il giudice a quo lamenta inoltre l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022 in combinato disposto con gli artt. 13 e 13-bis del d.lgs. n. 545 del 1992 per violazione del principio di eguaglianza, in quanto determinerebbe una differenziazione dello “status” delle due categorie di componenti dell’ordine giudiziario tributario che si rifletterebbe in una ingiustificata discrepanza del trattamento economico riconosciuto a ciascuna di esse, sia pur a fronte di identiche funzioni esercitate;
1.15. Infine, il rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 1-bis, 8, comma 1, 9, commi 2 e 2-bis, e 11, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, i quali prevederebbero che ai giudici tributari onorari sia garantita la maggioranza dei posti di componente delle corti di giustizia tributaria di secondo grado e che soltanto questi ultimi siano utilizzabili in “applicazione” per la stabile composizione dei collegi di qualsivoglia ufficio ogni volta in cui ciò appaia necessario per garantire l’esercizio minimo della funzione giudiziaria tributaria. Tale normativa violerebbe l’art. 106 Cost.;
1.16. Con ordinanza iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificate e integrate dalla legge n. 130 del 2022;
1.17. Il rimettente censura innanzitutto l’art. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022, e gli artt. 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992, nelle parti in cui prevedono per le procedure di interpello e di concorso, nonché per la nomina dei magistrati e giudici tributari la competenza «del Ministro dell’Economia e Finanze e del Ministero dell’Economia e Finanze, invece della competenza rispettivamente del Ministro della Giustizia e del Ministero della Giustizia», per violazione degli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104,108,110 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU;
1.18. Tale normativa determinerebbe la mancanza di autonomia e la soggezione economica e amministrativa dei giudici al MEF e ciò contribuirebbe – a detta del rimettente – a fornire un’immagine di dipendenza della giustizia tributaria che non soddisferebbe i requisiti richiesti per l’equo processo dalla Corte EDU, la quale avrebbe sempre sottolineato la necessità che in una società democratica la giustizia debba non solo essere indipendente, ma debba anche apparire tale agli occhi delle parti e del pubblico;
- Con la seconda questione, il rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 31e 34 del d.lgs. n. 545 del 1992i quali – secondo la sua prospettazione – violerebbero gli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104,108,110 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, in tema di equo processo. Ritiene il rimettente che l’inquadramento degli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado nel MEF anziché nel Ministero della giustizia comprometterebbe l’indipendenza della stessa Corte;
2.1. Con il terzo motivo di censura il giudice a quo lamenta che l’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dall’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e dall’art. 11 del d.lgs. n. 156 del 2015, laddove sottrae ai presidenti delle corti di giustizia tributaria la vigilanza sull’andamento dei servizi di segreteria attribuendo loro solo la possibilità di segnalarne la qualità e l’efficienza alla Direzione del MEF per non meglio precisati “provvedimenti di competenza”, violerebbe gli artt. 97, secondo comma, 101, 104, 108 e 111, commi primo e secondo, Cost. La normativa in esame difatti comprometterebbe sia l’imparzialità e l’autonomia del giudice tributario sia il buon funzionamento dell’azione amministrativa, nella fattispecie, «delle segreterie e degli altri uffici della Corte Tributaria»;
2.2. Con ordinanza iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 in combinato disposto con l’art. 51 cod. proc. civ. e con l’art. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, secondo comma, 108,111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU; degli artt. 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992 nonché dell’art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, secondo comma, 108,111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione con l’art. 6 CEDU; degli artt. 32,36 e 37 del d.lgs. n. 545 del 1992, nonché dell’art. 20, comma 2-bis, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 104, 108, 110, nonché 10, 11, 117, questi ultimi in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU e all’art. 47 CDFUE;
2.3. La prima questione riguarda l’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 (e il correlato art. 8, comma 4, della legge n. 130 del 2022), anche in combinato disposto con gli artt. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 51 cod. proc. civ., nella misura in cui assegnano al MEF la determinazione discrezionale del compenso (in particolare, variabile, ma anche fisso, nei limiti minimi ormai stabiliti dalla legge) dei giudici tributari;
2.4. Lamenta il rimettente che il potere di determinazione in via amministrativa della retribuzione affidato al MEF provocherebbe una particolare situazione di soggezione del giudice tributario al potere discrezionale del predetto dicastero. Tale soggezione violerebbe i principi di indipendenza del giudice, garantiti dall’art. 108 Cost. e di indipendenza e imparzialità della funzione giurisdizionale ovvero del giusto processo in condizioni di parità tra le parti, dinanzi ad un giudice terzo e imparziale (artt. 101, secondo comma, e 111 Cost.; art. 6 CEDU);
2.5. Le disposizioni censurate violerebbero anche il principio di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) della giustizia tributaria, determinando una situazione di stallo istituzional-processuale che sarebbe arduo risolvere se non in violazione della disciplina dell’obbligo di astensione del giudice posta a presidio dell’indipendenza e imparzialità della funzione giurisdizionale e della parità tra le parti del processo;
2.6. La normativa in esame violerebbe altresì i principi costituzionali del giusto processo e della parità delle parti del processo (art. 111 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 47 CDFUE), trovandosi il MEF, creditore sostanziale e parte del giudizio, in una posizione non pari-ordinata rispetto a quella del contribuente e addirittura di supremazia rispetto al giudice;
- Il rimettente censura inoltre gli artt. 9,32,36,37 del d.lgs. n. 545 del 1992; 4-ter e 4-quater del d.lgs. n. 545 del 1992; e 20, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3 (principio di ragionevolezza), 97 (buon andamento), 101, secondo comma, 104, 108, 110, 111 nonché 10, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all’art. 6 CEDUe all’art. 47CDFUE;
3.1. Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della normativa censurata che attribuisce al MEF: la gestione dei concorsi per l’accesso alla magistratura tributaria; il compito di determinare le variazioni della dotazione organica dei giudici tributari e del personale amministrativo, le assunzioni di personale, i comandi e i distacchi, le mobilità, i trasferimenti, i premi di produttività; il servizio automatizzato per la gestione delle attività degli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e del consiglio di presidenza incardinato presso il centro informativo del Dipartimento delle entrate; le «funzioni di spettanza statale» nel settore della gestione e dello sviluppo del sistema informativo della giustizia tributaria e del processo tributario telematico lasciando i presidenti di corte di giustizia tributaria privi di adeguate leve gestionali;
3.2. Le disposizioni censurate consentirebbero inoltre alla direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario presso il Dipartimento delle entrate del Ministero dell’economia e delle finanze di formulare e proporre al Ministro indirizzi per gli uffici periferici ai fini della difesa dell’Amministrazione finanziaria; l’esercizio di tali facoltà – ritiene il giudice a quo – potrebbe influenzare in modo incisivo la giustizia tributaria;
3.3. La progressiva implementazione delle competenze del MEF in materia di giustizia tributaria avrebbe comportato l’estensione della struttura burocratica ministeriale. Ciò, secondo il rimettente, sarebbe non ragionevole e contrario al principio costituzionale di buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.);
3.4. Dinanzi al descritto panorama normativo, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate, innanzitutto con riguardo alla necessaria indipendenza e autonomia della magistratura tributaria e prima ancora della funzione giurisdizionale (giusto processo e parità delle parti), come previsto dagli artt. 101, secondo comma, 104, 108 (per le magistrature speciali), 110, 111 nonché 10, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui prevede il diritto che ogni causa sia esaminata «da un tribunale indipendente e imparziale», nonché in relazione all’art. 47 CDFUE (essendo i tributi materia dell’UE), nella parte in cui prevede che «[o]gni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente […] da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge»;
- Le tre ordinanze di rimessione sottopongono a questa Corte numerose questioni di legittimità costituzionale che riguardano parzialmente le stesse norme, si basano su parametri pressoché coincidenti e argomentazioni sostanzialmente analoghe. Deve essere pertanto disposta la riunione dei giudizi per essere decisi con unica sentenza (ex plurimis, sentenze n. 171 e n. 98 del 2024);
- Le censure possono suddividersi in due grandi gruppi: il primo riguardante quelle relative all’ipotizzata lesione dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici tributari, sub specie di asserita perdita di serenità e turbamento psicologico del magistrato a causa dell’eccessiva ingerenza del Ministero dell’economia e delle finanze nella gestione della giustizia tributaria; il secondo gruppo riguarda, in particolare, il compenso, la nomina, la promozione dei giudici tributari, i poteri del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il sistema elettorale del Consiglio di presidenza, le sanzioni disciplinari e l’attribuzione di funzioni collegiali ai giudici onorari;
- Si ritiene opportuno ripercorrere brevemente i momenti caratterizzanti l’articolato e complesso quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento;
6.1. Con la legge 14 luglio 1864, n. 1830 (con la quale fu stabilita, tra l’altro, un’imposta sui redditi della ricchezza mobile) furono istituite commissioni comunali e consorziali, per lo svolgimento di tutte le operazioni occorrenti per appurare e determinare le somme dei redditi e dell’imposta dovuta dai contribuenti. Contro le “somme di reddito” deliberate dalle già menzionate commissioni era ammesso il ricorso, tanto nell’interesse dei contribuenti quanto nell’interesse del fisco, presso una commissione provinciale;
6.2. Con successiva legge 20 marzo 1865, n. 2248 (Per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia), Allegato E (Legge sul contenzioso amministrativo), furono aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e furono affidate al giudice ordinario le controversie tra cittadini e pubbliche amministrazioni nelle quali si facesse «questione di un diritto civile o politico» (art. 2), comprese quelle relative alle imposte dirette e indirette; vennero tuttavia escluse dalla competenza delle autorità giudiziarie le questioni relative all’estimo catastale e al riparto di quota e tutte quelle sulle imposte dirette (sino a che non avesse avuto luogo la pubblicazione dei ruoli) che rimanevano attribuite alle predette commissioni;
6.3. Le commissioni così delineate erano, dunque, organi amministrativi incardinati presso l’amministrazione delle entrate. Questa natura, tuttavia, non era idonea ad assicurare l’indipendenza e l’imparzialità;
6.4. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, con sentenza n. 12 del 1957, questa Corte ritenne che le commissioni tributarie, «pur comunemente chiamandosi amministrative per ragioni storiche e tradizionali», costituissero «organi di giurisdizione speciale» in quanto «chiamate a giudicare in materia di diritti soggettivi, definendo, nel contrasto tra il Fisco e il contribuente, qual è la volontà della legge che nel caso concreto dev’essere attuata»; in particolare, nella predetta sentenza si sottolineava come le commissioni tributarie pervengono alle loro pronunce «attraverso l’applicazione di formali disposizioni di procedura, poste dalla legge per la regolarità dei loro giudizi e anche a tutela dei diritti delle parti contendenti; che le loro pronunce, come qualsiasi altra pronuncia di organo giurisdizionale, nel caso di mancanza di impugnativa, acquistano valore definitivo e forza di giudicato formale»;
6.5. Veniva così affermata la natura giurisdizionale delle commissioni tributarie; natura confermata con successiva sentenza n. 287 del 1974 nella quale questa Corte ha sottolineato come la legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) e il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), intervenendo sulla composizione delle commissioni tributarie, sul loro funzionamento e sulle loro competenze funzionali (principalmente al fine di assicurarne l’autonomia e l’indipendenza e in modo da garantire l’imparziale applicazione della legge), avevano eliminato tutte le disposizioni dalle quali traeva fondamento la tesi della natura amministrativa delle commissioni tributarie, determinando «la sicura convinzione che le commissioni tributarie, così revisionate e strutturate, debbono ora considerarsi organi speciali di giurisdizione»;
6.6. Le commissioni tributarie sono state quindi da ultimo disciplinate dal d.lgs. n. 545 del 1992 e dal d.lgs. n. 546 del 1992 quali organi giurisdizionali composti da giudici non professionali prevedendo criteri oggettivi di reclutamento e l’istituzione di un organo di autogoverno, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria;
6.7. Questa Corte, confermando l’indirizzo già assunto fin dalla sentenza n. 41 del 1957 (e ribadito nella sentenza n. 215 del 1976) sulla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, con ordinanza n. 144 del 1998, ha chiarito che l’«ampliamento della competenza delle commissioni tributarie non vale a far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale, in quanto è rimasto non snaturato né il sistema di estrazione dei giudici (anzi migliorato dal punto di vista dei requisiti di idoneità e di qualificazione professionale e delle incompatibilità), né la giurisdizione nell’ambito delle controversie tributarie» e che «pertanto le attuali commissioni tributarie non possono essere considerate, agli effetti del combinato disposto dell’art. 102 e VI disposizione transitoria della Costituzione, nuovi giudici speciali, come tali vietati»;
6.8. La modifica della disciplina della giustizia tributaria realizzata con la legge n. 130 del 2022 – che si colloca nell’ambito degli interventi previsti nel PNRR per superare le criticità del “sistema Paese” – vuole rappresentare una risposta organica e di sistema per risolvere molte delle problematicità insite nel precedente assetto ordinamentale;
6.9. Intervenendo su taluni aspetti cruciali e delicati della giustizia e del processo tributari, la novella normativa ha avvicinato molto la giurisdizione tributaria a quella ordinaria;
6.10. Si tratta di una riforma che, a completamento di un percorso di 160 anni, ha contribuito in modo decisivo a realizzare nel nostro ordinamento una giurisdizione (che si affianca a quella ordinaria, amministrativa, contabile e militare), composta, a regime, da magistrati tributari: a) professionali a tempo pieno; b) selezionati con pubblico concorso; c) specializzati nella materia tributaria;
- Tutto ciò premesso, deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione con cui l’Avvocatura generale dello Stato ha contestato l’ammissibilità, per difetto di rilevanza, delle censure sollevate con le tre ordinanze dalle tre Corti di giustizia tributarie rimettenti;
7.1. La difesa statale evidenzia che i giudici rimettenti non sarebbero chiamati a fare diretta applicazione nei giudizi a quibus delle disposizioni censurate poiché esse atterrebbero allo status del giudice, alla composizione del CPGT nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che riguarderebbero l’operare del giudice e non avrebbero una effettiva interferenza nel decidere in relazione alle concrete questioni poste al loro esame e alle specifiche e conseguenti decisioni che sono chiamati ad adottare nei giudizi a quibus.
- L’eccezione di inammissibilità delle censure è fondata per i motivi che seguono;
8.1.Occorre primariamente verificare l’esistenza della «necessaria relazione di “dipendenza funzionale” tra giudizio a quo e tema agitato attraverso la questione di legittimità costituzionale: relazione che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve assumere i connotati della pregiudizialità, la quale comporta l’impossibilità di definire il procedimento pregiudicato in assenza della delibazione della quaestio pregiudicante» (sentenza n. 164 del 2017);
8.2. In linea di principio, tutte le volte in cui questa Corte è entrata nel merito di questioni di legittimità costituzionale relative a norme riguardanti lo status di magistrato, ciò è avvenuto in ragione di una incidenza diretta di quelle norme con l’oggetto del giudizio a quo;
8.3. Così, ad esempio, nel giudizio deciso con la sentenza n. 237 del 2013, questa Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di norme che avevano disposto la soppressione di diversi uffici giudiziari: oggetto del giudizio di costituzionalità era, in quella sede, la potestà di ius dicere dei giudici rimettenti, direttamente e immediatamente dipendente dalle norme censurate. Nessun dubbio poteva sussistere, pertanto, sulla rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale;
8.4. Analogamente, il nucleo principale delle questioni decise con la sentenza n. 18 del 1989 riguardava la struttura e la composizione dell’organo giudicante e involgeva lo status di giudice, la sua composizione, nonché, in generale, le garanzie e i doveri che riguardano il suo operare, tutti aspetti ontologicamente rilevanti nell’àmbito dei relativi procedimenti dai quali le questioni provenivano;
8.5. Nelle tre ordinanze i giudici a quibus affermano che le questioni di legittimità costituzionale sono direttamente rilevanti nei rispettivi giudizi principali, in quanto la disciplina normativa censurata sarebbe concretamente e immediatamente produttiva di un turbamento della serenità decisionale nonché dell’autonomia e indipendenza del giudice tributario;
8.6. Questa Corte, tuttavia, non ha escluso che norme, pur non immediatamente applicabili nel processo, possano incidere in maniera evidente e attuale sulle garanzie costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando l’esercizio della relativa attività. Ciò presuppone «che tale incidenza – per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti – sia tale da determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere, a prescindere da qualsiasi profilo che possa riguardare un eventuale “perturbamento psicologico” del singolo giudice» (ancora sentenza n. 164 del 2017), sempre che non si tratti di una questione meramente ipotetica e astratta;
8.7. Ai fini della rilevanza occorre ulteriormente verificare se le norme asseritamente interferenti sullo status di magistrato ne compromettano l’indipendenza e la terzietà riflettendo lesioni non solo potenziali delle garanzie costituzionali ma violazioni attuali in relazione alla concreta questione posta all’esame dei rimettenti e alla specifica e conseguente decisione che sono chiamati a adottare nei giudizi a quibus;
8.8. Questi presupposti sono del tutto assenti nelle odierne questioni, alla luce della stessa motivazione sulla rilevanza fornita dai giudici rimettenti in relazione all’attuale sistema normativo sull’organizzazione della giustizia tributaria e sui concreti e specifici elementi caratterizzanti i giudizi a quibus che permettano di dubitare realmente dell’indipendenza del giudice;
8.9. Nelle fattispecie in esame, infatti, l’asserito perturbamento del giudice, derivante dalla sensazione di dover giudicare in merito a una controversia tributaria non “in un campo neutro” ma, per così dire, “in casa” del MEF, con i possibili condizionamenti connessi ai profili organizzativi, è privo di riscontri oggettivi circa la concreta lesione ad opera delle disposizioni censurate delle garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura sancite dalla Costituzione a presidio dell’attività giurisdizionale;
8.10. Alla luce di tutto quanto sopra, le questioni di legittimità costituzionale relative al primo gruppo di censure sono inammissibili per difetto di rilevanza in quanto non si ravvisa in concreto quella situazione di effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere tali da condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere del giudice tributario;
8.11. Il secondo gruppo di censure prospetta una serie di dubbi di legittimità costituzionale relativi a disposizioni aventi ad oggetto il compenso, la nomina, la promozione dei giudici tributari, i poteri del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il sistema elettorale del Consiglio di presidenza, le sanzioni disciplinari e l’attribuzione di funzioni collegiali ai giudici onorari e quindi al corretto funzionamento della giustizia tributaria;
8.12. Anche queste questioni sono inammissibili per irrilevanza.
8.13. L’oggetto dei giudizi a quibus riguarda, infatti, controversie tra l’Agenzia delle entrate e privati afferenti, rispettivamente, alla debenza del contributo unificato (r.o. n. 50 e n. 128 del 2023) e dell’imposta sul valore aggiunto (r.o. n. 144 del 2022), che nulla hanno a che vedere con il compenso, la nomina, la promozione dei giudici tributari, i poteri del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il sistema elettorale del medesimo Consiglio, le sanzioni disciplinari e la partecipazione ai collegi da parte dei giudici onorari;
8.14. Peraltro, neppure si profila il pericolo di una sostanziale sottrazione delle disposizioni censurate al controllo di legittimità costituzionale, essendo agevole ipotizzare altre sedi in cui le medesime questioni potrebbero trovare una ben più pertinente ragion d’essere. Difatti, la normativa in esame potrebbe essere eventualmente sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) nel corso di un giudizio instaurato dinanzi alla competente autorità giurisdizionale;
- Alla luce della giurisprudenza di questa Corte già richiamata con riguardo al primo gruppo di censure, devono essere dichiarate inammissibili, perché irrilevanti, anche tutte le questioni del secondo gruppo sollevate con le tre ordinanze indicate in epigrafe.