Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, 5 dicembre 2024 n. 31137
PRINCIPIO DI DIRITTO
In relazione alla domanda di rimborso delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, la regolamentazione delle spese processuali, da porre a carico dell’amministrazione di appartenenza, spetta al giudice contabile, ma la parte ha diritto all’intero esborso sostenuto e la relativa statuizione – attinente al rapporto sostanziale fra amministrazione e dipendente – esula dalla giurisdizione contabile e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro e, quindi, di regola, al giudice ordinario.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 2 bis del d.l. n. 543 del 1996 convertito nella legge n. 639 del 1996, dell’art. 18 d.l. n. 67 del 1997 convertito nella legge n. 135 del 1997, dell’art. 10 bis, comma 10 del d.l. n. 203 del 2005 convertito nella legge n. 248 del 2005 e modificato dall’art. 17 del d.l. n. 78 del 2009 convertito nella legge n. 102 del 2009.
Con articolate ragioni di doglianza la sentenza impugnata è censurata per avere interpretato la disciplina applicabile nel senso di escludere la possibilità di liquidazione del rimborso delle spese legali in favore dell’incolpato assolto nel giudizio contabile, in via extragiudiziale e quindi al di fuori della statuizione sulle spese disposta dal giudice contabile.
- Il motivo è fondato. Ritiene infatti il collegio che il contrasto che è chiamato in questa sede a dirimere debba essere risolto nel senso dell’ammissibilità della liquidazione in sede extragiudiziale del diritto al rimborso del dipendente assolto in sede amministrativo- contabile, con conseguente possibilità per lo stesso di adire il giudice ordinario nell’ ipotesi di rifiuto da parte dell’amministrazione.
2.1. Occorre premettere che al tema centrale oggetto di causa, rappresentato dalla configurabilità o meno del diritto del dipendente pubblico, che sia stato prosciolto nel merito all’esito di giudizio per responsabilità amministrativo- contabile, di ottenere il rimborso da parte della amministrazione di appartenenza di tutte le spese legali sostenute per la difesa nel giudizio davanti alla Corte dei conti, eventualmente anche in misura superiore a quella liquidata a carico della medesima amministrazione dal giudice contabile, con conseguente possibilità di adire il giudice ordinario in caso di rifiuto, hanno dato, come sopra anticipato, opposte soluzioni Cass. Sez. IV n. 19195 del 19 agosto 2013, che tale diritto ha negato, e Cass. Sez. II n. 18046 del 6 giugno 2022, che tale diritto ha riconosciuto.
2.2. La prima sentenza risulta così massimata: <<Dopo l’entrata in vigore dell’art. 10 bis, comma decimo, del d.1. 30 settembre 2005 n. 203, conv. In legge 2 dicembre 2005, n. 248, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare – ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 cod. proc. civ. ed a carico dell’amministrazione di appartenenza – l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest’ultimo di chiedere in separata sede, all’amministrazione medesima, la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile.
Tale principio si applica anche in ipotesi di compensazione delle spese disposta dal giudice contabile nel vigore del testo del cit. art. 10 bis, comma decimo, d.l. n. 203 del 2005, anteriormente alla novella di cui all’art. 17, comma 30 quinquies, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. in legge 3 agosto 2009, n. 102››.
2.3. Le ragioni poste a fondamento della decisione possono così riassumersi:
- a) l’art. 10 bis, comma 10, d.l. n. 203 del 2005 convertito nella legge n. 248 del 2005, come si ricava dal richiamo all’art. 91 c.p.c., prevede l’adozione di una statuizione di condanna alle spese della P.A. di appartenenza del dipendente e non una semplice liquidazione, insuscettibile di formare titolo esecutivo;
- b) una siffatta statuizione non può emettersi, pena la manifesta violazione degli artt. 24 e 111 Cost., se non nei confronti di chi sia stato parte del processo. Deve quindi dedursi in via di interpretazione costituzionalmente conforme che se una condanna alle spese viene emessa (come espressamente prevede l’art. 10 bis, comma 10 cit. mediante rinvio all’art. 91 c.p.c.) a carico dell’amministrazione di appartenenza dell’incolpato prosciolto (amministrazione che può intervenire nel giudizio di responsabilità, sia pure nelle sole forme dell’intervento adesivo dipendente, l’unico ammesso in tale giudizio dalla giurisprudenza della Corte dei conti) ciò significa che l’amministrazione è già parte del processo quanto meno in qualità di soggetto rappresentato ex lege da un sostituto processuale (nell’accezione di cui all’art. 81 c.p.c.), da individuarsi nel Procuratore contabile;
- c) la scelta del legislatore di rimettere al giudice contabile il governo delle spese è espressamente finalizzata ad un maggior controllo della spesa pubblica, per evitare tanto i possibili abusi per rimborsi eccessivi concessi dalle amministrazioni di appartenenza, quanto il proliferare di contenziosi in sede civile per l’ipotesi in cui la P.A. neghi il rimborso. Tale scelta è coerente con la ratio ispiratrice del d.l. n. 203 del 2005 intitolato “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria” e del relativo art. 10 bis, comma 10 cit. nel quale è trasparente la finalità antiabusiva desumibile dalla scelta di rimettere alla competenza funzionale del giudice contabile ogni determinazione a riguardo;
- d) la coesistenza del sistema del “doppio binario”, giudiziale ed extragiudiziale, in relazione al rimborso delle spese di lite, non quindi è più ipotizzabile alla luce dell’art. 10 bis comma 10 cit., in quanto l’esplicito coinvolgimento in esso tanto del d.l. n. 543 del 1996, art. 3, comma 2 bis quanto del d.l. n. 67 del 1997, art. 18, comma 1 – che l’art. 10 bis, comma 10 cit. dichiara di voler interpretare – indubbiamente milita per una ridefinizione del sistema ad esclusivo appannaggio della sede giudiziale e per la competenza funzionale (anche a fini di contenimento della spesa pubblica) del solo giudice contabile.
2.4. La seconda sentenza risulta così massimata: <<La domanda di rimborso delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, non è riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurisce con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all’intero esborso sostenuto; ne consegue che al sindaco, sottoposto al giudizio contabile e definitivamente prosciolto, spetta il rimborso, da parte dell’amministrazione di appartenenza, delle somme versate al difensore in eccedenza rispetto a quanto liquidato nel giudizio contabile, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis del d.l. n. 543 del 1996, come convertito nella l. n. 639 del 1996, il quale opera a vantaggio di tutti i soggetti sottoposti a controllo contabile, inclusi gli amministratori e i sindaci degli enti locali.>>.
2.5. Le ragioni poste a fondamento della decisione possono così riassumersi:
- a) il rapporto sostanziale che si instaura tra l’incolpato e l’amministrazione di appartenenza è distinto da quello che ha per oggetto le spese regolate nel giudizio di responsabilità contabile poiché il primo corre tra soggetti diversi (da una parte, l’incolpato, dall’altra, la amministrazione di appartenenza dello stesso) da quelli del giudizio contabile e la decisione resa su di esso non investe il giudizio di responsabilità contabile attribuito alla giurisdizione della Corte dei conti;
- b) nel giudizio contabile la pronuncia sulle spese ha carattere processuale e si fonda sul principio per cui è il giudice della causa a dovere regolare le spese in base all’esito della lite (con la particolarità che dette spese sono poste a carico dell’amministrazione cui appartiene l’incolpato anche quando il danno riguardi un interesse facente capo ad una diversa amministrazione);
- c) la previsione dell’adozione nell’ambito del giudizio contabile di una statuizione di condanna alle spese dell’amministrazione, non incide sul diritto al rimborso, di natura sostanziale, rispetto al quale la sentenza di assoluzione opera come mero presupposto di fatto. L’importo è – in tal caso – liquidato con atto dalla stessa amministrazione, sentita l’Avvocatura dello Stato, che ne valuta la congruità. Avverso tale liquidazione è ammesso il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria;
- d) l’art. 3, comma 2 bis, del d.l. n. 543 del 1996 esprime un principio coerente con la più ampia scelta normativa indirizzata a limitare la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica e a << predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa, stabilendo quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo>> (Cass. n. 18046/2022, cit.).
2.6. Così delineate le ragioni alla base del contrasto, occorre dar conto della disciplina di riferimento, connotata, come evidenziato nella ordinanza di richiesta di rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte, dal succedersi di interventi normativi di non agevole interpretazione e coordinamento.
La relativa ricostruzione postula la precisazione di alcuni elementi di sistema sia in relazione alla struttura del giudizio contabile sia in relazione al rapporto tra l’amministrazione ed il dipendente prosciolto nel merito, rapporto nel quale si radica il diritto al rimborso delle spese legali.
2.7. Il quadro normativo che viene in rilievo è costituito dalle seguenti disposizioni:
- a) art. 3, comma 2 bis, del d.l. n. 543 del 1996 convertito, con modificazioni nella legge n. 639 del 1996, il quale ha previsto che: << In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti sono rimborsate all’amministrazione di appartenenza.>>;
- b) art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 1997, riferito ai dipendenti di amministrazioni statali, e quindi non direttamente rilevante in relazione alla presente fattispecie, il quale ha statuito che: <<Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità››;
- c) art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, convertito nella legge n. 248 del 2005, che, in dichiarata funzione d’interpretazione autentica, così recita: <<Le disposizioni dell’art. 3, comma 2- bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza››.
Tale disposizione è stata integrata dall’art. 17, comma 30 quinquies, del d.l. n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, il quale ha prescritto che: <<All’art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: “procedura civile”, sono inserite le seguenti: “non può disporre la compensazione delle spese del giudizio”››.
2.8. Infine, per completezza, anche se ratione temporis privo di diretta rilevanza (il giudizio contabile che ha visto coinvolto Maurizio Guarnacci si è concluso, infatti, con sentenza della Corte dei conti, Sez. Terza d’appello, n. 894 del 28 dicembre 2011), è opportuno richiamare l’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016 (Codice di giustizia contabile), intitolato “regolazione delle spese processuali”, il quale così recita : ‹‹Con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa››.
2.9. In relazione alla prima delle disposizioni in esame, vale a dire l’art. 3, comma 2 bis d.l. n. 543 del 1996 convertito con modificazioni nella legge n. 639 del 1996, al fine del corretto inquadramento della fattispecie, anche dal punto di vista storico-giuridico, è opportuno premettere che essa interviene all’indomani della riforma del procedimento di responsabilità amministrativa (art. 5 del decreto-legge n. 453 del 1993, convertito, con modificazioni, nella legge n. 19 del 1994, e art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20), accompagnatasi alla contestuale riorganizzazione su base regionale della Corte dei conti (art. 1 del decreto-legge n. 453 del 1993, convertito, con modificazioni, nella legge n. 19 del 1994); si pose all’epoca all’attenzione degli interpreti e degli operatori il problema relativo alla eventuale liquidazione, da parte del giudice contabile, delle spese di giudizio, e segnatamente di quelle legali, in favore dei convenuti prosciolti, a fronte dell’esistenza di diverse norme statali, regionali e contrattuali che assicuravano il rimborso delle spese legali in favore di dipendenti pubblici ingiustamente coinvolti in procedimenti giudiziari per fatti connessi all’ufficio (così, tra le altre, v. ord. sez. giurisd. Corte dei Conti Regione Campania n. 78 del 2019).
2.10. Invero, la disciplina previgente in tema di regolamento delle spese del giudizio contabile presentava profili di criticità in ragione delle incertezze connesse alla individuazione, con riferimento alla condanna alle spese dell’amministrazione, del limite all’applicabilità delle norme e dei termini della
procedura civile, rivenienti dal disposto dell’art. 26 r.d. n. 1038 del 1933 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti) secondo il quale <<Nei procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei conti si osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del presente regolamento.>>; tali criticità erano essenzialmente connesse alla struttura del giudizio contabile ed alla natura di parte pubblica, che esercita di ufficio la relativa azione, del Procuratore della Corte dei Conti, il quale, pertanto, non poteva essere condannato al rimborso delle spese in favore della parte assolta;
analogamente, alcuna statuizione di condanna alla rifusione delle spese di lite in favore della parte pubblica era ipotizzabile a carico dell’incolpato condannato; quanto alla amministrazione di appartenenza, occorreva avere riguardo alla particolare posizione rivestita dalla stessa nell’ambito del giudizio contabile nel quale si riteneva comunemente ammessa solo la possibilità di un intervento ad
adiuvandum.
2.11. In relazione a tale profilo la giurisprudenza della S.C. si era già espressa nei termini che seguono: << È stato già chiarito che, in fattispecie del genere di quelle esaminate, l’oggetto del giudizio reso dalla Corte è duplice. Il primo attiene al giudizio di responsabilità contabile degli originari convenuti. Il secondo si riferisce al rapporto che corre tra i convenuti e la loro “amministrazione di appartenenza”, verso la quale possono esercitare il diritto ad essere rimborsati delle spese sostenute nel giudizio di responsabilità, ricorrendone le condizioni. Ebbene, il secondo rapporto solo impropriamente è consequenziale al primo, perché corre tra soggetti diversi da quelli del giudizio di responsabilità (da una parte, gli incolpati; dall’altra la loro “amministrazione di appartenenza”) e perché la decisione resa su di esso non investe il giudizio di responsabilità contabile attribuito alla giurisdizione della Corte dei conti. Se ne ricava che l’avvenuta dichiarazione di compensazione delle spese del processo non è decisione esorbitante dalla giurisdizione, sia perché il contenuto della pronuncia non si risolve in un rifiuto di giurisdizione, nell’errato presupposto che questa appartenga ad altro giudice, sia perché la pronuncia non è espressione di giurisdizione in materia attribuita ad altro giudice, ordinario o speciale che sia.>> (Cass. Sez. Un. n. 17014 del 2003).
2.12. Voci di dottrina avevano poi evidenziato come in ragione della concezione della figura del Procuratore contabile come parte formale che, stante la sua natura di organo pubblico tenuto per dovere d’ufficio all’esercizio dell’azione di responsabilità, non può essere condannata alla rifusione delle
spese processuali in caso di assoluzione del convenuto in tali giudizi, la giurisprudenza unanime della Corte dei conti si era sempre orientata a compensare comunque le spese processuali, non essendosi mai ritenuto possibile condannare nemmeno l’amministrazione nel cui interesse agiva l’organo requirente, specie se non intervenuta nel processo, dato che essa non si considerava tecnicamente rappresentata in giudizio da tale organo; era suggerito quindi all’interessato di rivolgersi direttamente a detta amministrazione per il rimborso delle spese sostenute.
2.13. Le riscontrate criticità avevano indotto il legislatore a dettare norme particolari le quali stabilivano in vario modo forme di assistenza legale in favore di dipendenti sottoposti a giudizio di responsabilità contabile, salvo il limite della configurabilità di un conflitto di interesse fra l’ente e l’incolpato (per la relativa ricognizione v. Cass. Sez. Un. n. 17014/ 2003 cit.).
2.14. In tale quadro normativo l’art. 3 comma 2 bis d.l. n. 543 del 1996 convertito, con modificazioni, nella legge n. 639 del 1996 si inserisce quale “risposta” di carattere generale all’ esigenza, già avvertita a livello di disposizioni particolari della legge statale, regionale e della contrattazione collettiva, che l’incolpato assolto sia comunque tenuto indenne dalle spese affrontate nell’ambito del giudizio di responsabilità amministrativa.
Tanto non solo per intuibili ragioni di giustizia sostanziale ma anche a maggior tutela dello stesso buon andamento dell’amministrazione ex art. 97 Cost., per i possibili condizionamenti del dipendente pubblico, nell’espletamento dei propri compiti, in ragione del timore delle conseguenze economiche connesse a un procedimento giudiziario a suo carico, anche nell’ipotesi in cui detto procedimento si fosse concluso senza l’accertamento di responsabilità (in questi termini, sulla ratio dell’istituto, v. Corte cost. n. 267 del 2020 e Corte cost. n. 189 del 2020).
Nella medesima prospettiva puntuali affermazioni nella giurisprudenza della Corte di cassazione hanno riconosciuto che questo apparato normativo risponde a un interesse generale, quello di sollevare i funzionari pubblici, che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’amministrazione, dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento delle loro attività istituzionali (Cass. Sez. Un., n. 13861 del 2015).
Analogamente, il Consiglio di Stato ha affermato che il fine avuto di mira dal legislatore è volto a evitare «che il dipendente […] tema di fare il proprio dovere» (Consiglio Stato, sezione quarta, sentenze n. 280 del 2020 e n. 8137 del 2019).
2.15. Con l’art. 3 comma 2 bis cit. il legislatore ha mostrato quindi di volersi far carico in termini globali dell’esigenza di garantire al dipendente riconosciuto esente da responsabilità amministrativo-contabile il rimborso delle spese legali affrontate e tanto trova riscontro, sotto il profilo letterale, nell’ampiezza della formula utilizzata, rinvenibile nella enunciazione che le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza.
2.16. Vale ai nostri fini sottolineare che la previsione in esame si innesta sul piano del diritto sostanziale, senza preoccuparsi di specificare la “sede” nella quale il diritto al rimborso deve trovare attuazione; il recupero delle spese di lite da parte del dipendente assolto è configurato come posizione che ha consistenza di diritto soggettivo, la cui qualificazione in termini di rimborso (nozione che evoca un criterio di corrispondenza tra quanto in concreto sborsato a titolo di spese legali dal dipendente assolto e il relativo recupero a carico dell’amministrazione), senza ulteriori precisazioni, depone nel senso che il legislatore ha inteso affermare che il rimborso delle spese legali, almeno in via tendenziale e salvo quanto si dirà in prosieguo in relazione al parere di congruità demandato all’Avvocatura dello Stato, deve essere integrale, vale a dire commisurato all’effettivo esborso affrontato dall’incolpato poi assolto.
2.17. Venendo all’esame della seconda disposizione – art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 1997 -, occorre ribadire che, come già osservato, nella presente fattispecie esso rileva indirettamente, essenzialmente a fini ricostruttivi del significato normativo da attribuire alla successiva norma di interpretazione autentica; l’art. 18 cit. presenta una struttura maggiormente articolata rispetto all’art. 3 comma 2 bis d.l. n. 543 del 1996 convertito, con modificazioni, nella legge n. 639 del 1996 ma, in continuità con la relativa ratio ispiratrice, si pone anch’esso nell’ottica della piena garanzia del rimborso delle spese legali ( garanzia estesa anche ai giudizi per responsabilità civile, penale, oltre che amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali), la cui concreta liquidazione viene subordinata al parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato.
2.18. Anche nell’ art. 18 cit., peraltro, non si rinvengono sul piano testuale, per quel che qui rileva, elementi dai quali trarre l’indicazione che unica “sede” nella quale può trovare attuazione il diritto al rimborso è quella del giudizio contabile all’esito del quale l’incolpato sia mandato assolto da responsabilità.
Anzi, il fatto che la disciplina regolatrice del diritto del dipendente statale al rimborso delle spese legali faccia riferimento a vari tipi di giudizio fra i quali il giudizio di responsabilità penale, che non contempla, in ipotesi di assoluzione dell’imputato, alcuna condanna alle spese in favore di questi (non rilevando ai nostri fini la ipotesi in cui l’amministrazione quale persona offesa si sia costituita parte civile), depone nel senso che in linea di principio il legislatore non ha inteso precludere la possibilità di ottenere il rimborso in via extragiudiziale e quindi al di fuori del processo nel quale è stata esclusa la responsabilità dell’incolpato (o imputato).
2.19. Tanto premesso, occorre verificare se ed in che termini su tale assetto normativo, quanto meno sotto il profilo della riserva esclusiva al giudizio contabile dell’attuazione del diritto al rimborso delle spese legali, abbia inciso la norma, espressamente qualificata come interpretativa, di cui all’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. nella legge n. 248 del 2005, come integrata dall’art. 17, comma 30 quinquies, del d.l. n. 78 del 2009, conv. Nella legge n. 102 del 2009.
2.20. E’ innegabile che la previsione prima facie si presenti come obiettivamente ambivalente; ad una prima lettura, infatti, sembrerebbe “precisare”, in coerenza con la sua dichiarata natura interpretativa, che è il giudice contabile che in caso di proscioglimento nel merito deve procedere alla liquidazione dell’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto; affermazione questa che appare precludere la possibilità di ottenere un rimborso stragiudiziale, anche solo in via integrativa, di quello già disposta dal giudice contabile nel regolare le spese di lite; tale “precisazione”, ove intesa nei termini di cui sopra, si rivela tuttavia difficilmente conciliabile con il fatto che nel medesimo contesto normativo viene tenuto “fermo” il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza, enunciazione quest’ultima chiaramente evocativa della possibilità di una liquidazione stragiudiziale del diritto al rimborso all’esito di apposita istanza indirizzata direttamente all’amministrazione e quindi, appunto, in sede extragiudiziale.
Di tanto occorre tener conto in relazione alle possibili opzioni ermeneutiche relative al significato della disposizione in esame, opzioni sulle quali si gioca il contrasto destinato ad essere ricomposto nella presente sede.
2.21. A riguardo il Collegio ritiene non condivisibile l’approdo della sentenza di questa Corte n. 19195/2013 cit. la quale ha ritenuto che l’esplicito coinvolgimento nell’art. 10 bis comma 10 cit. tanto del d.l. . n. 543 del 1996, art. 3, comma 2 bis, quanto del d.l. n. 67 del 1997 cit., art. 18, comma 1, – che l’art. 10 bis, comma 10 dichiara di voler interpretare – sia significativo della volontà del legislatore di riservare esclusivamente alla sede del giudizio contabile la attuazione del diritto al rimborso.
2.22. Innanzitutto, come già evidenziato, le norme oggetto di interpretazione da parte dell’art. 10 bis comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. nella legge n. 248 del 2005, e cioè l’ art. 3 comma 2 bis, del d.l. n. 543 del 6 conv., con modif., nella legge n. 639 del 1996 e art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif., nella legge n. 135 del 1997, nel riconoscere il diritto del dipendente prosciolto nel merito al rimborso delle spese legali nei confronti dell’amministrazione di appartenenza nulla di specifico statuiscono con riferimento alla sede giudiziale di attuazione di tale diritto, tantomeno sembrano precludere la possibilità di un rimborso in via stragiudiziale.
Le previsioni in esame si innestano, infatti, sul solo piano del diritto sostanziale. Il relativo contenuto normativo, nel suo nucleo essenziale, si arresta infatti alla configurazione di una posizione avente natura di diritto soggettivo in favore del dipendente prosciolto nei confronti dell’amministrazione di appartenenza.
2.23. Al di là del dato testuale, ed in via ancora più radicale, deve osservarsi che la interpretazione che riserva al solo giudizio contabile la definizione del rimborso delle spese legali sopportate dal dipendente prosciolto, non tiene conto della considerazione di ordine costituzionale che, in base all’art. 103 Cost., il giudice dei diritti soggettivi è il giudice ordinario (v. sul punto, in particolare Corte cost. n. 641 del 1987) mentre ai sensi del comma 2 dell’art. 103 Cost., la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge, tra le quali ultime non può annoverarsi quella relativa al rimborso delle spese legali, in difetto di chiara enunciazione in tale senso del legislatore, e tenuto conto della finalità dichiaratamente interpretativa dell’art. 10 bis comma 10 cit.
2.24. Premesso quindi che le norme oggetto di interpretazioni non sembrano indicare con valenza preclusiva alcuna specifica sede, giudiziale o extragiudiziale, di attuazione del diritto al rimborso, è per l’appunto in relazione a tale lacuna che è possibile identificare il reale significato normativo della disposizione dell’art. 10 bis comma 10 cit. nel testo risultante dalla successiva integrazione del 2009.
Ed allora deve convenirsi che con tale previsione il legislatore ha inteso innanzitutto stabilire che il giudice contabile è tenuto, in caso di incolpato assolto, a statuire sulle spese di lite nei confronti dell’amministrazione di appartenenza; con l’integrazione del 2009 è stato poi chiarito che il giudice contabile non può in tale ipotesi compensare le spese del giudizio ma deve adottare ai sensi dell’art. 91 c.p.c. una statuizione di condanna alle spese.
2.25. La chiarificazione connessa alla qualificazione come norma di interpretazione dell’art. 10 bis, comma 10 cit. nel testo risultante dalla successiva integrazione del 2009 attiene quindi alla precisazione della doverosità della liquidazione del rimborso, in prima battuta in sede di giudizio contabile mediante l’adozione di una statuizione ex art. 91 c.p.c. di condanna dell’amministrazione. In tal modo si è inteso superare in via legislativa le incertezze e perplessità connesse alla peculiare struttura del giudizio contabile ed al ruolo che in essa, ma solo eventualmente, può assumere l’amministrazione di appartenenza dell’incolpato.
In questa prospettiva, la necessità di precisazione da parte dell’art. 10 bis, comma 10 cit., come successivamente integrato, in merito alla doverosità per il giudice contabile di adottare ex art. 91 c.p.c. una statuizione di condanna dell’amministrazione alle spese legali sostenute dall’incolpato assolto appariva giustificata dal fatto che proprio la peculiare struttura del giudizio contabile ed il fatto che l’amministrazione non si configurava quale parte necessaria dello stesso, rendeva non scontata la possibilità per il giudice contabile di adottare una statuizione di condanna alle spese della P.A.; ciò anche alla luce della considerazione che in tal modo veniva a prescindersi dal generale principio di causalità nella instaurazione del giudizio (rimessa alla iniziativa del Procuratore presso la Corte dei Conti, alla quale è estranea l’amministrazione), quale ordinario criterio regolatore delle spese di lite ex art. 91 c.p.c., criterio radicato nel comportamento antigiuridico (in quanto trasgressivo di norme di diritto sostanziale) della parte, poi risultata soccombente, che abbia provocato la necessità del processo (Cass. n. 21823 del 2021, Cass. n. 19456 del 2008).
2.26. Di tale criticità ha mostrato di volersi far carico la sentenza di questa Corte n. 19195/2013 cit. laddove ha sostenuto che il Procuratore, generale o regionale, presso la Corte dei conti, oltre alle funzioni di pubblico ministero, assume anche quella di rappresentante dell’amministrazione di appartenenza del dipendente, quale sostituto processuale della stessa ai sensi dell’art. 81 c.p.c.; ciò a fronte della circostanza che nel relativo giudizio non è prevista, come detto, la presenza quale parte necessaria dell’ amministrazione, essendo consentita la sola possibilità di un suo intervento ad adiuvandum.
2.27. L’opzione non è persuasiva; innanzitutto, essa si scontra con il rilievo, dirimente ex art. 81 c.p.c., del difetto di espressa previsione nella legge.
In ogni caso, essa non appare coerente con la funzione ed il ruolo del Procuratore generale presso la Corte dei conti, comunemente configurato quale organo che agisce nell’interesse dell’ordinamento, ovvero come rappresentante non tanto dello Stato-apparato, quanto dello Stato-comunità; è stato infatti precisato che il Pubblico Ministero non agisce (o interviene) a tutela di un interesse concreto (corrispondente, nel giudizio di responsabilità amministrativa, all’interesse di specifiche articolazioni della Pubblica Amministrazione): la sua azione risponde alla difesa del più generale interesse alla corretta applicazione della legge e ai generali fini dell’ordinamento (Corte dei Conti Sez. giurisdizionale Lazio n. 957 del 2009); nella medesima prospettiva la giurisprudenza della S.C. ha ribadito la natura di parte soltanto formale <<che riveste il Procuratore generale presso la Corte dei conti, in ragione della sua posizione istituzionale – di organo propulsore dell’attività giurisdizionale dinanzi alla Corte dei conti, al quale sono attribuiti poteri esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico, partecipando al giudizio non come esponente di un’amministrazione, ma quale portatore dell’interesse generale dell’ordinamento giuridico nella stessa >>.(Cass., Sez. Un., n. 5589 del 2020);
nello stesso ordine argomentativo, la sentenza a sezioni unite n. 37552 del 2021, nel ribadire che il Procuratore della Corte dei conti agisce a tutela di un interesse riconducibile all’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati, ha espressamente escluso che il Procuratore generale della Corte dei conti agisca quale rappresentante e sostituto dell’amministrazione danneggiata.
Analogamente, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente ribadito che il ruolo del Procuratore della Corte dei conti è posto a difesa dell’ordinamento, a presidio degli interessi dell’Erario globalmente inteso ed in definitiva alla tutela imparziale della buona gestione e che il Procuratore generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale di vigilanza sulla osservanza delle leggi e di repressione di danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi intervenendo a tutela degli interessi generali ed indifferenziati della comunità (Corte cost., n. 291 del 2008, Corte cost. n. 65 del 1992, Corte cost. n. 104 del 1989).
2.28. Una volta esclusa, alla stregua di quanto ora osservato, la possibilità di configurare una funzione di sostituto processuale in capo al Procuratore generale presso la Corte dei conti si scioglie anche l’altro nodo motivazionale nel quale si sostanzia uno degli argomenti “forti” della sentenza di questa Corte n. 19195/2013 cit. secondo la quale l’opzione esegetica qui condivisa darebbe luogo <<ad un sistema stabilmente produttivo di conflitti tra giudicati (uno contabile e uno civile) sul regime delle spese, potendosi in sede civile porre nel nulla, in tutto o in parte, la compensazione (o la differente liquidazione) delle spese già espressamente disposta dalla Corte dei conti in contraddittorio delle medesime parti.>> (Cass., n. 19195/2013, cit.).
2.29. Difetta, infatti, in relazione alla statuizione di condanna alle spese a carico dell’amministrazione adottata dal giudice contabile, con riferimento alla statuizione sul rimborso delle spese adottata in ipotesi dal giudice ordinario adito dal dipendente, quella identità soggettiva ed oggettiva di parti nei confronti delle quali la statuizione è resa, identità che è alla base della preclusione nascente dal giudicato.
Sotto il primo profilo viene in rilievo la considerazione che l’amministrazione non è parte necessaria del giudizio di responsabilità contabile, nell’ambito del quale le è consentito solo un intervento ad adiuvandum, e non è rappresentata, per quanto sopra detto, dal Procuratore generale presso la Corte dei conti; sotto il secondo profilo, viene in rilievo la considerazione che l’oggetto del giudizio di accertamento della responsabilità amministrativa-contabile non è sovrapponibile con quello connesso al diritto al rimborso.
2.30. Tale ricostruzione si pone in continuità con plurime pronunce di questa Corte (v., tra le altre, oltre Cass. Sez. Un. 17014/2003 cit., Cass., n. 6996 del 2010, Cass. Sez. Un., n. 5918 del 2011, Cass. Sez. Un., n. 3887 del 2020). In particolare, Cass. Sez. Un., n. 5918/2011 cit. ha negato la preclusione scaturente dal giudicato esterno formatosi nel giudizio contabile in relazione alla statuizione di compensazione delle spese di lite, osservando che <<A tal fine, deve sottolinearsi che il rapporto, che si instaura fra l’incolpato, poi assolto, e l’amministrazione di appartenenza, nulla ha a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile. Il primo, infatti, si riferisce al rimborso delle spese sopportate dall’incolpato, poi, assolto e si costituisce tra l’interessato e l’amministrazione di appartenenza. A questo rapporto è estraneo quello relativo al giudizio di responsabilità contabile. Tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (così Cass. Sez. Un. n. 17014/2003). Ora, mentre sul giudizio contabile la regolamentazione delle spese spetta appunto al giudice contabile, la statuizione sulle spese relative al rapporto sostanziale che intercorre fra amministrazione di appartenenza e dipendente – e sulla base del quale l’amministrazione è onerata ex lege del suo rimborso in favore del dipendente prosciolto – esula dalla giurisdizione contabile e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro – da cui il diritto al rimborso promana -, con la conseguenza che essa deve ritenersi attribuita, di norma, al giudice ordinario (v. in questo senso anche S.U. 24.3.2010 n. 69969). Sotto questo profilo, le Sezioni unite osservano che, nell’interpretazione del giudicato nascente dalla pronuncia del giudice contabile, non avrebbe dovuto essere trascurato l’elemento costituito dal doversi assicurare prevalenza alla tendenziale coincidenza tra pronunzia resa e pronunzia consentita. Ciò posto, ritiene questa Corte che il giudicato esterno costituito dalla pronuncia della Corte dei Conti – che rientra nei poteri di questa Corte interpretare – deve esserlo nel senso che la compensazione delle spese – istituto processuale concernente le parti del giudizio – non poteva riguardare il diritto del dipendente al rimborso, da parte dell’Amministrazione, delle spese sostenute per la difesa in giudizio.>>.
2.31. L’approdo qui condiviso risulta, inoltre, avallato da affermazioni della giurisprudenza costituzionale che hanno distinto tra il rapporto interno, intercorrente tra il dipendente e l’amministrazione, e la materia oggetto del giudizio di responsabilità (v. Corte cost, n. 112 del 1973 e Corte cost., n. 267/2020, cit.).
Il diritto al rimborso delle spese legali si radica infatti nel rapporto sostanziale tra dipendente ed amministrazione e costituisce, in definitiva, espressione del rischio del quale si fa carico l’amministrazione in connessione con l’attività svolta dal dipendente nell’interesse della stessa; tant’è che il diritto al rimborso viene meno in presenza di dipendente che abbia agito in conflitto di interesse con la propria amministrazione.
2.32. Alla luce delle considerazioni che precedono si chiarisce, con coerenza di sistema, il significato dell’inciso dell’art. 10 bis comma 10 cit. fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza nel senso che esso esprime la possibilità di chiedere, in via stragiudiziale, anche solo a fini integrativi della liquidazione del giudice contabile, il rimborso delle spese sostenute e quindi di agire in giudizio davanti al giudice ordinario in caso di contestazione di tale pretesa da parte dell’amministrazione.
2.33. Esula dalla specifica questione in controversia il tema della congruità della liquidazione operata in sede di giudizio contabile in relazione alla quale Cass. Sez. Un. n. 8455 del 2008 ha richiesto sul piano formale e probatorio che le stesse fossero assistite dalla valutazione di congruità dell’Avvocatura dello Stato.
2.34. In conclusione, la soluzione qui accolta, nel senso della persistenza del sistema del <<doppio binario>> anche dopo la norma di interpretazione autentica, è quella che si palesa maggiormente aderente al dato testuale ed all’interpretazione sistematica delle norme di riferimento nonché conforme all’art. 103 Cost.; essa non appare in contrasto con alcuna superiore esigenza e men che meno implica il rischio, temuto da Cass. 19195/2013 cit., secondo la quale <<la scelta di rimettere al giudice contabile il governo delle spese è espressamente finalizzata ad un maggior controllo della spesa pubblica, per evitare tanto i possibili abusi per rimborsi eccessivi concessi dalle amministrazioni di appartenenza, quanto il proliferare di contenziosi in sede civile ove quest’ultima neghi il rimborso chiesto dal suo dipendente prosciolto nel merito del giudizio contabile.>>.
Invero, il meccanismo prefigurato dal legislatore, con la previsione dell’obbligo a carico del giudice contabile di adottare ai sensi dell’art. 91 c.p.c. una statuizione di condanna dell’amministrazione alle spese in favore dell’incolpato assolto, appare ispirato ad una esigenza di semplificazione e di contenimento del moltiplicarsi dei giudizi aventi ad oggetto la domanda di rimborso delle spese legali, nel senso che la previsione dell’obbligo del giudice contabile di adottare la statuizione di condanna alle spese dell’amministrazione ben potrebbe rivelarsi idonea, ove la liquidazione dovesse risultare pienamente satisfattiva, a chiudere definitivamente ogni questione sul punto, senza necessità per l’incolpato assolto nel merito di presentare istanza all’amministrazione e quindi, in caso di mancato accoglimento della stessa, di dover adire il giudice civile.
2.35. Infine, la definizione del contrasto nei termini prefigurati si appalesa quella maggiormente garantista per la stessa amministrazione la quale, in quanto parte necessaria nel giudizio avente ad oggetto il rimborso delle spese instaurato davanti al giudice ordinario, avrà in questa sede la possibilità di una piena esplicazione del diritto di difesa, diversamente che nel giudizio davanti alla Corte dei conti.
- La solidità delle argomentazioni che sorreggono l’approdo ermeneutico raggiunto sulla base dell’esegesi della disciplina applicabile ratione temporis rende ultroneo l’esame delle disposizioni sopravvenute del Codice di giustizia contabile di cui al d. lgs. n. 174 del 2016.
- All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per il riesame della fattispecie alla luce dell’approdo ermeneutico sulla base del quale è stato definito il contrasto maturato tra le sezioni di questa Corte.
- Non è dato, come, viceversa, richiesto dal procuratore di parte ricorrente, far conseguire all’accoglimento del ricorso la “conferma” della sentenza di primo grado, senza rinvio quindi alla Corte di appello.
A riguardo non è ostativa la circostanza, invocata dalla parte ricorrente, dell’assenza di richiesta di rinvio nelle conclusioni del ricorso per cassazione; invero, ai sensi dell’art. 384, comma 2 c.p.c., il rinvio, in presenza dei relativi presupposti, si configura quale conseguenza della cassazione della sentenza impugnata direttamente derivante dalla legge e pertanto sottratta alla disponibilità della parte.
Sotto altro profilo, si evidenzia che non vi è spazio per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2 c.p.c.; l’accoglimento da parte della sentenza qui impugnata del motivo di appello del Ministero, incentrato sulla preclusione a far valere il diritto al rimborso delle spese legali derivante dalla statuizione di compensazione adottata dalla Corte dei conti, ha infatti assorbito l’esame degli ulteriori motivi di gravame concernenti la sussistenza dei concreti presupposti per il diritto al rimborso delle spese legali e per la determinazione della relativa entità; per l’esame di tali profili si richiedono quindi ulteriori accertamenti di merito non esperibili in questa sede, risultando per l’effetto integrata la condizione per il rinvio prevista dall’art. 384, comma 2 c.p.c.
- Alla Corte di rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.