<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Natura della qualifica di coadiutore del curatore fallimentare ex art 32 L. fall. e configurabilità della giurisdizione italiana rispetto a illeciti amministrativi contestati a enti di nazionalità estera laddove per il reato presupposto sussista la giurisdizione nazionale</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI PENALE, (ud. 11/02/2020) Sent. n. 11626, 07/04/2020</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Indubbiamente il tema più intrigante della sentenza in esame è quello della parificazione tra persona giuridica e persona fisica ai fini dell’identificazione della legge applicabile e dell’applicazione del principio di territorialità di cui agli artt. 3 e 6 c.p. </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte di Cassazione si sofferma su un ulteriore argomento: la qualificazione giuridica del coadiutore del curatore fallimentare, di cui all’art 32 comma 2, RD 267/1942 (legge fallimentare). </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il coadiutore è un professionista nominato dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, per la gestione e il recupero dei beni della massa attiva, in generale avente funzione integrativa dell’attività del curatore con riferimento ad un determinato settore o all’intera procedura. </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sulla base di tale descrizione e alla luce dell’art 231 della L. fall. il coadiutore, parificato al curatore per quanto riguarda gli oneri e le responsabilità civili e penali, agisce come pubblico ufficiale e per questo a costui si ritengono pienamente applicabili gli artt. 318 ss c.p. in materia di delitti dei p.u. contro la Pubblica Amministrazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>La persona giuridica è chiamata a rispondere dell'illecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussista la giurisdizione nazionale commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti all'altrui direzione o vigilanza, in quanto l'ente è soggetto all'obbligo di osservare la legge italiana e, in particolare, quella penale, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove esso abbia la propria sede legale ed indipendentemente dall'esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che disciplinino in modo analogo la medesima materia anche con riguardo alla predisposizione e all'efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa dell'ente stesso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve, pertanto, essere recepito l'analogo principio di diritto di recente affermato dalla giurisprudenza di merito là dove ha ritenuto applicabile la disciplina del Decreto n. 231 ad una società straniera priva di sede in Italia, ma operante sul territorio nazionale, in relazione ai delitti di omicidio e lesioni personali colposi (nel noto caso dell'incidente ferroviario di Viareggio) (v. Trib. Lucca, sentenza 31/07/2017, n. 222).</em></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</strong></p> <p style="text-align: justify;">3.2. Mette conto di notare che <strong>il coadiutore del curatore fallimentare è un professionista nominato da quest'ultimo ai fini della gestione dei beni assoggettati alla procedura concorsuale, del recupero di beni alla massa attiva e dello svolgimento di attività professionale in rappresentanza della curatela</strong>. Il curatore provvede alla nomina del coadiutore previa autorizzazione del "comitato dei creditori", dunque dell'organo istituzionalmente preposto a consentire la migliore realizzazione delle finalità del procedimento concorsuale: la nomina del coadiutore risponde, pertanto, ad una specifica esigenza della procedura fallimentare nel cui interesse questo soggetto svolge la sua attività. <strong>Secondo la migliore dottrina, il coadiutore è, pertanto, un ausiliario, più che del curatore, della massa in quanto presta un'opera integrativa (e non sostitutiva come il delegato) dell'attività del curatore con compiti inerenti ad un determinato settore o a determinati aspetti dell'intera procedura concorsuale</strong>. Conclusivamente, secondo quanto teste rilevato, <strong>pare non revocabile in dubbio che il coadiutore svolga un'attività di carattere pubblicistico sub specie giudiziario, tenuto conto del procedimento in seno al quale essa si espleta -</strong> cioè la procedura concorsuale di natura giurisdizionale - <strong>e della finalità cui essa è rivolta</strong> - cioè la salvaguardia dell'interesse dei creditori a recuperare e mantenere salva la garanzia patrimoniale su cui essi possano far valere le proprie ragioni -. Secondo la stessa prospettazione difensiva, C. operava in ausilio del curatore e, soprattutto, si occupava della custodia giudiziaria dei beni assoggettati al fallimento, funzioni entrambi strettamente connesse e funzionali alla procedura concorsuale di natura propriamente giudiziaria.</p> <p style="text-align: justify;">3.3. <strong>La qualifica di pubblico ufficiale del coadiutore del curatore fallimentare risulta confermata per tabulas dalla previsione della L.Fall., art. 231), là dove estende anche a tale figura le disposizioni di cui agli artt. 228, 229 e 230 stessa legge, con ciò realizzandone la piena parificazione quanto agli oneri ed alle responsabilità anche penali - rispetto al curatore del fallimento</strong>. In particolare, il combinato disposto degli artt. 228 e 231 - nel prevedere expressis verbis l'estensione al coadiutore del curatore dell'ipotesi delittuosa speciale di cui allo stesso 228 qualora non siano ravvisabili le fattispecie incriminatrici in tema di pubblici ufficiali di cui agli artt. 315, 316, 317, 319, 321, 322 e 323 c.p., e, quindi, giusta l'espresso richiamo agli artt. 318 e 319, anche di cui all'art. 319-ter c.p. - ne riconosce implicitamente, ma inequivocabilmente, la veste pubblicistica.</p> <p style="text-align: justify;">[…omissis…]</p> <p style="text-align: justify;">6.4. Condivisibile risulta inoltre il passaggio argomentativo nel quale la Corte capitolina ha notato come, ai fini della procedibilità in ordine all'illecito amministrativo, sia <strong>del tutto irrilevante la nazionalità - appunto straniera dell'ente, non essendovi ragione alcuna per ritenere che le persone giuridiche siano soggette ad una disciplina speciale rispetto a quella vigente per le persone fisiche sì da sfuggire ai principi di obbligatorietà e di territorialità della legge penale codificati all'art. 3 c.p. e art. 6 c.p., comma 1</strong>, secondo i quali rispettivamente - "la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilire dal diritto pubblico interno e dal diritto internazionale" e "chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana". D'altronde, lo stesso art. 6, comma 2, considera commesso il reato in Italia, sottoponendolo alla giurisdizione del giudice italiano, anche qualora sia qui commessa una sola frazione dell'azione o dell'omissione o si sia qui verificato l'evento di condotta delittuosa, a maggior ragione allorchè sia stato commesso in Italia (o qui debba ritenersi commesso) il reato-presupposto, componente la struttura complessa dell'illecito amministrativo. D'altronde, l'esigenza di ripristinare la legalità e l'ordine violato - che appunto sta alla base del riconoscimento della giurisdizione nazionale e della connessa istanza punitiva - non potrebbe non riconoscersi in relazione ad un illecito che discenda direttamente da un fatto-reato che abbia realizzato sul territorio nazionale l'offesa o la messa in pericolo del bene protetto.</p> <p style="text-align: justify;">6.5. <strong>La lettura proposta dagli enti ricorrenti, oltre a porsi in frontale contrasto con i rammentati principi di obbligatorietà e di territorialità della legge penale, comporterebbe un chiaro vulnus al principio di eguaglianza, realizzando una chiara - ed ingiustificata - disparità di trattamento fra la persona fisica straniera (pacificamente soggetta alla giurisdizione nazionale in caso di reato commesso in Italia) e la persona giuridica straniera (in caso di reato-presupposto commesso in Italia).</strong></p> <p style="text-align: justify;">6.6. Deve, pertanto, ritenersi che l'ente risponda, al pari di "chiunque" cioè di una qualunque persona fisica -, degli effetti della propria "condotta", a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove si trova la sua sede principale o esplica in via preminente la propria operatività, qualora il reato-presupposto sia stato commesso sul territorio nazionale (o debba comunque ritenersi commesso in Italia o si versi in talune delle ipotesi nelle quali sussiste la giurisdizione nazionale anche in caso di reato commesso all'estero), all'ovvia condizione che siano integrati gli ulteriori criteri di imputazione della responsabilità D.Lgs. n. 231 del 2001, ex artt. 5 e seguenti. Per tale ragione è del tutto irrilevante la circostanza che il centro decisionale dell'ente si trovi all'estero e che la lacuna organizzativa si sia realizzata al di fuori dei confini nazionali, così come, ai fini della giurisdizione dell'A.G. italiana, è del tutto indifferente la circostanza che un reato sia commesso da un cittadino straniero residente all'estero o che la programmazione del delitto sia avvenuta oltre confine.</p> <p style="text-align: justify;">6.7. Nè la soluzione ermeneutica sin qui tratteggiata - nel prevedere l'assoggettamento dell'ente straniero all'illecito amministrativo conseguente dall'omessa predisposizione di modelli organizzativi conformi a quello imposti dal decreto 6 giugno 2001, n. 231 -, può ritenersi tale da introdurre un trattamento discriminatorio fra soggetti anche giuridici comunitari in contrasto con la libertà di stabilimento stabiliti dagli artt. 43 e 48 del Trattato CE, come ventilato dalle difese. Seguendo la linea del ragionamento difensivo si dovrebbe allora ritenere che il cittadino straniero non possa essere chiamato a rispondere di un reato commesso in Italia per il solo fatto che, nel proprio ordinamento, le regole a disciplina dell'attività presidiata dalla sanzione penale siano diverse, conclusione - questa - in chiaro contrasto con i principi di obbligatorietà e di territorialità espressi dal nostro codice penale. Anzi, in senso contrario, <strong>non può non rilevarsi come l'inapplicabilità alle imprese straniere delle regole e degli obblighi previsti dal Decreto n. 231 ed il conseguente esonero da responsabilità amministrativa realizzerebbe un'indebita alterazione della libera concorrenza rispetto agli enti nazionali, consentendo alle prime di operare sul territorio italiano senza dover sostenere i costi necessari per la predisposizione e l'implementazione di idonei modelli organizzativi. </strong></p> <p style="text-align: justify;">6.8. A rinforzo dell'ermeneusi privilegiata <strong>si consideri altresì la disposizione introdotta al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 97-bis, comma 5, con il D.Lgs. 9 luglio 2004, n. 197</strong> (in attuazione della direttiva 2001/24/CE in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi), <strong>con cui il legislatore ha espressamente esteso la responsabilità per l'illecito amministrativo dipendente da reato "alle succursali italiane di banche comunitarie o extracomunitarie", considerando</strong> dunque - ai fini della responsabilità ex Decreto n. 231 - <strong>l'aspetto dell'operatività sul territorio nazionale a discapito di quello della nazionalità o del luogo della sede legale e/o amministrativa principale dell'ente.</strong></p> <p style="text-align: justify;">6.9. A nulla rileva che (come obbiettato dalle ricorrenti), a norma della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 25 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, siano disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione e dalla legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti. Ed invero, detta disposizione ha chiaramente riguardo a profili civilistici (di regolamentazione degli aspetti costituitivi, statutari, organizzativi, operativi ecc. degli enti) e non può in alcun modo esonerare le persone giuridiche che "si trovano nel territorio dello Stato", qualunque nazionalità esse abbiano, dall'osservare - al pari delle persone fisiche - la legge penale vigente in Italia a norma dell'art. 3 c.p., comma 1 e, dunque, dal rispondere degli illeciti commessi con le condotte e le attività che esse svolgano nel nostro Paese a mezzo dei propri rappresentanti e/o soggetti sottoposti all'altrui direzione o vigilanza.</p> <p style="text-align: justify;">6.10. Tirando le fila delle considerazioni che precedono, <strong>si deve affermare il principio di diritto secondo il quale la persona giuridica è chiamata a rispondere dell'illecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussista la giurisdizione nazionale commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti all'altrui direzione o vigilanza, in quanto l'ente è soggetto all'obbligo di osservare la legge italiana e, in particolare, quella penale, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove esso abbia la propria sede legale ed indipendentemente dall'esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che disciplino in modo analogo la medesima materia anche con riguardo alla predisposizione e all'efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa dell'ente stesso. Deve, pertanto, essere recepito l'analogo principio di diritto di recente affermato dalla giurisprudenza di merito là dove ha ritenuto applicabile la disciplina del Decreto n. 231 ad una società straniera priva di sede in Italia, ma operante sul territorio nazionale, in relazione ai delitti di omicidio e lesioni personali colposi</strong> (nel noto caso dell'incidente ferroviario di Viareggio) (v. Trib. Lucca, sentenza 31/07/2017, n. 222).</p> <p style="text-align: justify;"><em>Ludovica Fiaschetti</em></p>