<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI – ordinanza 17 aprile 2019 n. 10771</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va ribadito quanto dalla Corte più volte affermato (Cass., S.U. 31 ottobre 2014, n. 23257; S.U. 21 aprile 2015, n. 8077; S.U. 28 aprile 2015, n. 8570; S.U. 29 aprile 2015, n. 8622; S.U. 8 aprile 2016, n. 6895; S.U. 7 settembre 2018, n. 21927; S.U. 17 dicembre 2018, n. 32618; S.U. 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) onde la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità erariale, sia perché a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell'insindacabilità di opinioni e voti ex art. 122, quarto comma, Cost., non estensibile alla gestione dei suddetti contributi. Né può in ciò ravvisarsi un </em>vulnus<em> alle prerogative del Consiglio regionale, per essere oggetto di autodichia la verifica delle spese dei gruppi consiliari in base all'art. 1, comma 5, della legge regionale n. 32 del 1997 (nella formulazione precedente alla modifica recata dalla legge regionale 21 dicembre 2012, n. 17), dacché l'invocata guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., in quanto deroga alla regola generale della giurisdizione (Corte cost. n. 200 del 2008), «</em>non mira ad assicurare una posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma a preservare da interferenze e condizionamenti esterni delle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale<em> </em>(ex plurimis, sentenze n. 195 del 2007, n. 392 e n. 391 del 1999<em>)» (Corte cost. n. 332 del 2011), e «</em>non copre gli atti non riconducibili ragionevolmente all'autonomia ed alle esigenze ad essa sottese<em>» (Corte cost. n. 289 del 1997); a tal riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 235 del 2015, ha ribadito - proprio a fronte di analoga doglianza mossa dalla Regione Emilia-Romagna in sede di giudizio per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri sorto a seguito di atti di citazione emessi dalla Procura regionale nei confronti dei capigruppo e di alcuni consiglieri regionali - che, in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti), anche se sottratti alla giurisdizione di conto prima dell'esercizio finanziario 2013 (cfr. Corte cost. n. 130 del 2014), conclusione questa che resta ferma anche rispetto alla disciplina recata dalla citata legge regionale n. 32 del 1997 e, quindi, all'intervenuta approvazione dei rendiconti da parte del comitato tecnico o dell'ufficio di presidenza. Opinare diversamente - si afferma ancora nella sentenza n. 235 del 2015 - condurrebbe «</em>al risultato abnorme, e senza dubbio contrario alla natura eccezionale della guarentigia di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., di delineare un'area di totale irresponsabilità civile, contabile e penale in favore dei consiglieri regionali<em>», peraltro venendo a configurare, «</em>in maniera paradossale e del tutto ingiustificata, una tutela della insindacabilità delle opinioni dei consiglieri regionali più ampia di quella apprestata<em> [...] </em>ai parlamentari nazionali<em>», in contrasto «</em>sia con il principio di responsabilità per gli atti compiuti, che informa l'attività amministrativa (artt. 28 e 113 Cost.), sia con il principio che riserva alla legge dello Stato la determinazione dei presupposti (positivi e negativi) della responsabilità penale (art. 25 Cost.)».</p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L'accertamento rimesso alla Corte dei conti, affinché non debordi dai limiti esterni imposti alla relativa giurisdizione, non può investire l'attività politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di «</em>merito<em>» dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformità alla legge dell'azione amministrativa (art. 1 della legge n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015). E tuttavia, l'astratta riconducibilità delle spese sostenute dai singoli consiglieri alle categorie di cui alla delibera consiliare n. 5 del 2012 non vale, di per sé, a fare escludere necessariamente la possibilità che le singole spese siano «</em>non inerenti<em>» all'attività del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entità o proporzionalità, oltre che all'effettività delle spese medesime, anche sotto il profilo della veridicità della relativa documentazione. In siffatto alveo - e, dunque, nei limiti interni della giurisdizione contabile - rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della «</em>manifesta difformità<em>», in ciò consistendo propriamente il giudizio di non «</em>inerenza<em>» delle attività di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruità e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalità pubblicistiche dei gruppi; in tal senso deve intendersi il principio secondo cui non è ravvisabile un profilo di immunità costituzionalmente garantita in capo agli organi regionali, avendo anch'essi l'obbligo di rispettare il vincolo di destinazione dei contributi erogati ai gruppi, la cui violazione può essere accertata in sede giurisdizionale nei confronti dei responsabili; ed è proprio questa la verifica compiuta dai giudici contabili nella sentenza impugnata in questa sede, imperniata su un giudizio di manifesta incongruità tra i contributi percepiti e i fini per i quali erano stati erogati ai gruppi del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’interpretazione offerta nel caso di specie alle norme pertinenti dalla Corte dei Conti - sebbene contraddetta da altre decisioni della stessa Corte dei conti, orientatesi sul punto in senso diverso (v. Corte dei conti, 1 Sezione giurisdizionale appello, 21 febbraio 2018, n. 77; 1 marzo 2018, n. 93) - è una delle interpretazioni possibili del testo normativo, e dunque non debordante dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, il cui solo travalicamento potrebbe tradursi in eccesso di potere giurisdizionale riferito all'attività legislativa, come rilevato in altre occasioni (S.U. 22 marzo 2019, 8230; S.U. 23 dicembre 2014, n. 27341; S.U. 11 luglio 2011, n. 15144). </em></p>