Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 11 ottobre 2023, n. 28403
PRINCIPI DI DIRITTO
L’attuazione di una procedura di giustizia digitale si traduce in una diversa portata dell’indice (a formazione del ricorrente) degli atti del fascicolo in precedenza inseriti manualmente, posto che, all’attualità, in termini di autoresponsabilità, solo il buon fine del procedimento di deposito attivato dalla parte determina per essi l’appartenenza al fascicolo informatico stesso.
Il cancelliere, in altri termini, accettando informaticamente l’atto di parte che pur si concluda con un elenco di altri atti che essa vuol depositare, non attribuisce alcuna attestazione di immediata esistenza nel fascicolo a quegli stessi atti, che la parte può depositare a corredo del primo, solo e proprio ciò bastando in realtà – rispettate le forme di introduzione – per la loro effettiva fascicolazione informatica.
Difatti, in tema di deposito telematico del ricorso in cassazione, il definitivo consolidarsi dell’effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione da parte della cancelleria (cd. quarta PEC, con sequenza rimasta nella sostanza immutata nell’art.196-sexies disp. att. c.p.c.): l’inserzione così conseguita stabilizza l’atto (ogni atto, principale o complementare) secondo una caratteristica di immutabilità e non rimuovibilità.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. L’unico motivo solleva, in relazione all’art.395 n. 4 c.p.c., l’errore (di fatto) revocatorio laddove le Sezioni Unite sarebbero incorse in una ‘mera svista materiale’, così ritenendo tardivo e successivo il deposito della sola sentenza impugnata, a dispetto di un primo deposito della stessa invece regolare e contestuale al deposito del ricorso medesimo; secondo il ricorrente, la prova del predetto deposito – avvenuto in via telematica sul PCT il 21.7.2022 ed ora offerta in dimostrazione da due screen shot tratti da una visura effettuata su un portale di accesso – si evinceva dalle indicazioni dell’apposito ‘allegato’, richiamato al n.3 dell’indice in calce al ricorso, corroborato in via indiretta dalla conferma di regolare ricezione della cancelleria (limitatasi a sollecitare il pagamento del contributo unificato e di quello integrativo), mentre il deposito del 5 settembre 2022 era effettuato dalla parte dopo avere constatato, a seguito di accesso al portale, la “non visibilità” proprio di alcuni allegati originari; parimenti, è evidenziata la portata decisiva del ricorso per revocazione rispetto ad ogni altro suo elemento, in chiave di pieno accoglimento, alla stregua delle originarie conclusioni favorevoli dello stesso P.G. assunte per l’udienza del 25.10.2022;
2. Rileva preliminarmente il Collegio che il Primo Presidente, con pronuncia resa il 23 febbraio 2023, ha dichiarato ‘non luogo a provvedere’ su analoga istanza della parte che, sulla base delle medesime circostanze e in data 15 febbraio 2023, aveva sollecitato l’avvio d’ufficio del procedimento di correzione di errore materiale;
3. Il ricorso è infondato; la giurisprudenza di questa Corte ha più volte statuito che per la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391-bis c.p.c. è presupposto un errore di fatto, che ricorre ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, rimanendo estranee le vicende imperniate su una decisione conseguente ad una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, cioè attinente alla sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. 10040/2022).
Così che, in un accostamento ermeneutico coerente con i principi del giusto processo e di effettività della difesa anche di recente precisato, tra gli atti e documenti della causa dai quali l’errore stesso deve risultare, andrebbero al più compresi quelli ad essa attinenti e ritualmente depositati dalla parte interessata «pur se, per mero disguido della cancelleria non imputabile alla parte stessa, essi siano stati inseriti in diverso fascicolo d’ufficio» (Cass. 29634/2019, ripresa anche da Cass. 9786/2023); il principio, al di là della sua non perfetta prossimità di fattispecie (ed inoltre tratto dal ben diverso contesto anteriore alla operatività del processo telematico di cassazione), non appare nel caso in esame tuttavia correlato ai “fatti” esaminati al culmine decisorio del giudizio che, con l’ordinanza di queste Sezioni Unite n. 34207/2022, ha definito il ricorso rubricato al Registro Generale con il numero 17894/2022.
4. Non pertinente invero l’improprio richiamo in ricorso di un errore di fatto che sarebbe stato commesso dal “Supremo giudice relatore”, la pronuncia collegiale ha correttamente dato conto che nell’archivio degli atti in PCT – non modificabile dopo il regolare ciclo di accettazione e vigente l’art.16-bis d.l. 18 ottobre 2012, n.179 – e dunque tra gli unici afferenti al procedimento così promosso dalla parte (R.G. n. 17894/2022), nessuna sentenza impugnata risultava depositata il 21.7.2022, avendo tale atto esordito solo il 5.9.2022, senza alcuna evidenza, nemmeno indiretta, di un “disguido di cancelleria” ovvero di un errore di accesso o stivaggio informatico o anomalo rifiuto; né gli elementi recati all’attenzione odierna di queste Sezioni Unite appaiono anche solo indizianti di un deposito rispettoso del dettato di cui all’art.369, co. 2, c.p.c. deviato dalla percezione del Collegio in virtù di errori del sistema informatico (non segnalati neanche dalla parte) o carenze di archiviazione o ricezione (in fase di accettazione degli atti da parte della cancelleria).
5. Infatti dal semplice riscontro della ‘nota di iscrizione a ruolo’ a “ricorso” (cioè all’atto originario così denominato dalla parte in PCT, quale evidenziato nelle due “schermate” allegate, accluse al ricorso odierno come ‘fotocopie’, senza altro riferimento) non può ricavarsi, per la sola menzione interna degli estremi del provvedimento impugnato, la sua appartenenza già al momento del deposito al fascicolo informatico, cioè il 21.7.2022 e con attribuzione presso la Corte del numero di R.G. N. 17894/2022.
Va aggiunto che, tra l’altro, nemmeno può dirsi che la sentenza impugnata compaia con la sua denominazione tra i separati “atti a corredo”, nessuno dei quali appare in realtà intestato in relazione al suo possibile contenuto (l’altro in formato .pdf è la notifica, mentre null’altro si evince dagli screen shot, evidenzianti tutti allegati generici); con il deposito telematico, quale avvenuto nella specie, l’ingresso o meno nel corrispondente fascicolo di uno o tutti o parte o alcuno degli atti genericamente e solo enumerati in calce all’atto (principale), ed ivi citati in punto di “elenco” degli stessi, non rimette al cancelliere (cioè all’ufficio accettante) la certificazione del rispettivo e reale avvenuto deposito; anch’esso infatti dipende da omogeneo e relativamente autonomo deposito telematico di parte degli atti cd. secondari o di corredo complementare, senza connessione, per di più, neanche con le discrezionali denominazioni finali per essi utilizzate dall’avvocato depositante.
6. Occorre peraltro aggiungere che esula del tutto dalla fattispecie, oltre che per i limiti dell’istituto della revocazione, una possibile influenza indiretta del principio del raggiungimento dello scopo quale sinora applicato dalla giurisprudenza affermatasi nella transizione da processo analogico a processo compiutamente telematico presso la Corte di legittimità.
Queste Sezioni Unite ne hanno fatto applicazione (sulla scia della sentenza n. 22438/2018 in tema di deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore o con attestazione priva di sottoscrizione autografa; conf. Cass. 33433/2022), escludendo la improcedibilità del ricorso con deposito in cancelleria di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, co. 1bis e 1ter, della l. cit., oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ex art. 23, co. 2, d. lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all’originale notificatogli, con possibilità che alla mera intimazione della controparte segua il deposito di asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (Cass. s.u. 8312/2019; conf. Cass. 15712/2019, 7610/2021).
In realtà il dato comune alle due vicende era costituito dal certo e previo deposito in cancelleria, nel secondo caso e proprio «nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione», della predetta copia; si tratta di circostanza invece del tutto esclusa nella specie.
7. Le citate decisioni, invero e come notato in dottrina, hanno intercettato l’esigenza di consentire la più ampia espansione, nel perimetro di tenuta del sistema processuale, del diritto fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), in coerenza con il principio-obiettivo dell’effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio-mezzo, il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 Carta dei diritti fondamentali, art. 19 del Trattato sull’Unione europea, art. 6 CEDU).
Di qui il valore ben conferibile a criteri di ragionevolezza e proporzionalità a guida di eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso al giudice – e quindi anche le sanzioni processuali radicali come l’improcedibilità – improntando la lettura della strumentalità delle forme degli atti del processo al citato raggiungimento dello scopo; nella fattispecie, tuttavia, la parte non ha allegato né indicato per rilevanza probatoria alcun elemento che integri, al fondo e pregiudizialmente, quel fatto necessario – il deposito della sentenza impugnata, al limite irregolare ma effettivo, nel prescelto contesto digitale – che permetta di superare ogni eventuale deficit di forme e modalità, per quanto contingenti, nelle quali però il processo stesso viene ad essere configurato in base all’esercizio, ragionevole, della discrezionalità di cui gode il legislatore nell’articolarne gli istituti.
Sul punto, tra le molte, Corte cost. con la sentenza n. 243 del 2014 (ed in realtà già con le pronunce n. 221 del 2008, n. 216 del 2013), ha precisato che la garanzia costituzionale del diritto di difesa non può implicare che sia contrario a Costituzione, o irragionevole, «imporre all’esercizio di facoltà o poteri processuali limitazioni temporali, senza le quali i processi potrebbero durare per un tempo indefinibile, con grave nocumento delle esigenze di giustizia.
Ed inerisce alla stessa natura dei termini perentori che essi non siano prorogabili e non consentano provvedimenti di sanatoria, proprio per motivi di certezza e di uniformità la cui ragionevolezza non può essere contestata. Anzi, nel processo civile l’immutabilità dei termini perentori, legali e giudiziali, tende ad assicurare una effettiva parità dei diritti delle parti, contemperando l’esercizio dei rispettivi diritti di difesa (sentenza n. 106 del 1973) … purché i termini stessi siano congrui e non tali da rendere eccessivamente difficile per gli interessati la tutela delle proprie ragioni … La lesione del diritto alla tutela giurisdizionale si ha solo quando la irrazionale brevità del termine renda meramente apparente la possibilità del suo esercizio».
La conservazione in sede attuativa della legge 26 novembre 2021, n. 206, anche per il deposito telematico, del termine di 20 giorni, all’altezza del precetto e della sanzione dell’art.369 co.2 n.2 c.p.c., non manifesta, con ogni evidenza, alcun dubbio di irrazionale brevità, anzi implicando un adempimento più agevolmente svolgibile rispetto alla fisica attività di accesso materiale all’ufficio giudiziario.
8. L’attuazione per questa parte di una procedura di giustizia digitale si traduce pertanto in una diversa portata dell’indice (a formazione del ricorrente) degli atti del fascicolo in precedenza inseriti manualmente, posto che, all’attualità, in termini di autoresponsabilità, solo il buon fine del procedimento di deposito attivato dalla parte determina per essi l’appartenenza al fascicolo informatico stesso.
Il cancelliere, in altri termini, accettando informaticamente l’atto di parte che pur si concluda con un elenco di altri atti che essa vuol depositare, non attribuisce (in realtà cooperando nel sistema informatico in punto di controlli ben diversi) alcuna attestazione di immediata esistenza nel fascicolo a quegli stessi atti, che la parte può depositare a corredo del primo, solo e proprio ciò bastando in realtà – rispettate le forme di introduzione – per la loro effettiva fascicolazione informatica; a sua volta, secondo il principio per cui, in tema di deposito telematico del ricorso in cassazione, il definitivo consolidarsi dell’effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione da parte della cancelleria (cd. quarta PEC, con sequenza rimasta nella sostanza immutata nell’art.196-sexies disp. att. c.p.c.) (Cass. 19307/2023), l’inserzione così conseguita stabilizza l’atto (ogni atto, principale o complementare) secondo una caratteristica di immutabilità e non rimuovibilità.
9. Occorre allora riconoscere che il pregresso valore lato sensu certificatorio dell’attività del cancelliere, per come desumibile dall’art. 36 (per tale parte ora abrogato) e dall’art.74 (formalmente ancora vigente) disp. att. c.p.c. (richiamando per Cass. 5893/2022, 8217/2016 che la «effettiva presenza nel fascicolo di parte dei documenti indicati nell’indice … può essere contestata solo con la proposizione della querela di falso»), appare irreversibilmente incrinato dalla utilizzazione, operata dalla parte, della costituzione mediante atto informatico, poiché il cancelliere – in occasione di tale operazione – non procede (come non ha proceduto nella specie, già secondo le regole tecniche vigenti ratione temporis), ad alcuna sottoscrizione dell’indice del fascicolo della parte.
Valeva infatti anche all’epoca qui rilevante il disposto dell’art.16-bis d.l. 18 ottobre 2012, n.179 per il quale il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici; la disposizione appare ora pienamente trasfusa nell’art.196-quater disp. att. c.p.c..
10. Già queste Sezioni Unite hanno d’altronde riconosciuto – nella ribadita affermazione di attuale operatività del principio dispositivo e di acquisizione probatoria, come correlati ai meccanismi di produzione e ritiro dei documenti – che l’equiparazione a tali fini del processo telematico a quello con atti analogici, non toglie che sia sorta una inedita «impossibilità tecnica di procedere nel processo telematico al ritiro del singolo documento o dell’intero fascicolo» (Cass. s.u. 4835/2023).
Si tratta di osservazione che vale a conferma, come detto, della piena tracciabilità di qualunque operazione d’intervento sugli atti, spinta ora sino al punto di assicurare per essi la definitiva appartenenza al processo telematico, altra questione ponendosi, come nella specie, ove si deduca a dibattito se il relativo ingresso sia per davvero accaduto nel termine e nelle forme di legge ovvero si sia dato un oggettivo impedimento a tale compiutezza operazionale; né l’evento, né un qualsiasi fattore interferente emergono in realtà dal ricorso, in guisa così da evidenziare l’errore di percezione nell’ordinanza impugnata, che ha correttamente escluso che nel fascicolo informatico la sentenza impugnata fosse inserita nel termine dell’art. 369 co.2 c.p.c.
11. Pari osservazione di irrilevanza appartiene al deposito successivo del 27.7.2022 (accludente la documentazione del versamento dei contributi prima non assolto), con scelta denominativa della parte quale “atto generico”; a sua volta la sentenza CNF del 13.6.2022 appare quale “ALLEGATO.3” (non altrimenti denominato dal ricorrente, al pari di altri due allegati) a corredo del terzo atto (ancora denominato “atto generico”), depositato solo il 5.9.2022; 12.infine, e del tutto ovviamente, nessuna correlazione logica può essere ascritta alla corrispondenza della cancelleria che, richiedendo alla parte l’integrazione di versamento del contributo e omettendo altri rilievi, non ha pacificamente proceduto ad alcuna certificazione o anomala asseverazione implicite di pretesa completezza documentale della produzione a quella data già in PCT, compito e prerogativa che sono del tutto estranei alla pubblica amministrazione; tale condotta non ha per vero instaurato alcuno stato soggettivo di affidamento della parte, tale da giustificare ex post la oggettiva tardività del deposito di completamento ex art. 369 co.2 c.p.c., né risultano attivati o dibattuti istituti di rimessione nei termini.
13. Il ricorso, prospettando a queste Sezioni Unite una qualificazione di erroneità percettiva infondata, non può dunque essere accolto.
14. Sussistono i presupposti dell’obbligo per la parte di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. s.u. 4315/2020).