<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 20 ottobre 2020 n. 218</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto attraverso l’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità della questione, in quanto il giudice a quo non avrebbe chiarito le ragioni del mancato esperimento dell’incidente probatorio, né quelle della imprevedibile irripetibilità dell’audizione del “testimone assistito”, tali da rendere applicabile nel caso di specie l’art. 512 cod. proc. pen.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.1.– L’eccezione è infondata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il giudizio di rilevanza, per costante giurisprudenza costituzionale, è riservato al giudice rimettente, sì che l’intervento di questa Corte deve limitarsi ad accertare l’esistenza di una motivazione sufficiente, non palesemente erronea o contraddittoria, senza spingersi fino a un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In altre parole, nel giudizio di costituzionalità, ai fini dell’apprezzamento della rilevanza, ciò che conta è la valutazione che il giudice a quo deve effettuare in ordine alla possibilità che il procedimento pendente possa o meno essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata, potendo questa Corte interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento (sentenze n. 122 del 2019, n. 71 del 2015).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il che non si verifica nel caso di specie.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nell’ordinanza di rimessione, infatti, il Tribunale di Roma espone che nel corso del dibattimento è stata accertata l’irreperibilità sopravvenuta del dichiarante, non prevedibile al momento in cui le medesime dichiarazioni erano state rese. In tal modo, il giudice a quo ha operato una adeguata descrizione della fattispecie concreta e, nel postulare la riconducibilità del caso in esame all’art. 512 cod. proc. pen., in conseguenza della invocata declaratoria di incostituzionalità, ha specificato in motivazione, sulla base di una valutazione comunque compiuta in una fase iniziale del processo, l’effettiva ricorrenza degli essenziali elementi costitutivi di tale norma, e cioè che la sopravvenuta impossibilità di rintracciare il “testimone assistito” era ricollegabile a fatti o circostanze imprevedibili ed era assoluta, tenuto conto delle ricerche e degli accertamenti effettuati, così adeguatamente, e comunque in modo non implausibile, motivando la rilevanza della questione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.2.– Né si può contestare al rimettente di non avere esperito un tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme della norma impugnata, interpretazione che, a parere del giudice a quo, è comunque impedita dalla formulazione letterale della disposizione (sentenze n. 204 e n. 95 del 2016).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Nel merito, la questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. è fondata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.1.– Al fine di una più agevole comprensione della questione devoluta alla cognizione di questa Corte, appare necessario procedere ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo rilevante.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 512 cod. proc. pen. contiene la disciplina della «Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione». Il comma 1 prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 513 cod. proc. pen. riguarda, invece, la lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare. Il comma 1 consente al giudice di disporre la lettura, a richiesta di parte, dei verbali delle dichiarazioni rese dall’imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, sempre che l’imputato sia assente ovvero rifiuti di sottoporsi all’esame, non potendo tali dichiarazioni essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all’art. 500, comma 4, cod. proc. pen. Il comma 2 dell’art. 513 cod. proc. pen. stabilisce poi che, se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell’art. 210, comma 1, il giudice, a richiesta di parte, dispone l’accompagnamento coattivo del dichiarante o l’esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l’esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contradditorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante o procedere all’esame, si applica l’art. 512 cod. proc. pen., sempre che l’impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Qualora, infine, il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l’accordo delle parti.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 210 cod. proc. pen., sotto la rubrica «Esame di persona imputata in un procedimento connesso», stabilisce al comma 1 che «Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell’articolo 195, anche di ufficio». Tali persone, pur avendo l’obbligo di presentarsi al giudice (comma 2), e pur godendo della garanzia della presenza del difensore (comma 3), hanno comunque facoltà di non rispondere (comma 4). Per completezza, appare utile ricordare che l’art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., dispone che «Si ha connessione di procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento». Ai sensi del comma 6 dell’art. 210 cod. proc. pen., poi, «Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato. Tuttavia a tali persone è dato l’avvertimento previsto dall’art. 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l’ufficio di testimone».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’art. 197-bis cod. proc. pen., inserito dall’art. 6 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), riguarda, invece, le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l’ufficio di testimone. Il comma 1 di questa disposizione stabilisce che l’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 o di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b) (reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. Il comma 2 estende la possibilità di assumere l’ufficio di testimone all’imputato di procedimento connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera c) o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), nel caso previsto dall’art. 64, comma 3, lettera c) (e cioè allorquando, prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona sia stata avvertita che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’art. 197 e le garanzie di cui all’art. 197-bis).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In tali ipotesi, precisano i successivi commi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., il testimone è assistito da un difensore; non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione; le dichiarazioni rese non possono essere utilizzate contro il dichiarante; le dichiarazioni rese da chi abbia così assunto l’ufficio di testimone sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (in forza del richiamo all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. contenuto nel comma 6).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– Dal richiamato quadro normativo risulta corretta la premessa dalla quale muove il rimettente, e cioè che le dichiarazioni rese al giudice delle indagini preliminari dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. in sede di interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen., nel caso in cui le stesse divengano irripetibili per impossibilità dell’esame dello stesso imputato, non sono suscettibili di lettura nel corso del dibattimento. Da un lato, infatti, l’art. 513 cod. proc. pen. si riferisce espressamente alle sole dichiarazioni rese dall’imputato nella precedente fase delle indagini preliminari ovvero, attraverso il richiamo all’art. 210, comma 1, a quelle rese dal coimputato ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera a), nei confronti del quale si procede o si è proceduto separatamente e che non può assumere l’ufficio di testimone. Dall’altro lato, l’art. 512 cod. proc. pen. contiene una elencazione da ritenersi tassativa degli atti dei quali può essere data lettura in caso di impossibilità di ripetizione, e tra questi non sono compresi quelli assunti dal giudice per le indagini preliminari, essendo menzionati quelli assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.1.– Tale lacuna normativa è già stata portata alla cognizione di questa Corte che, con l’ordinanza n. 112 del 2006, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 512 cod. proc. pen., censurato in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui «non consente la lettura, per impossibilità sopravvenuta, delle dichiarazioni rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da soggetto che ha successivamente assunto la veste di testimone assistito ex art. 197-bis cod. proc. pen.». In quella occasione la Corte ha osservato che l’inapplicabilità dell’art. 513 cod. proc. pen., ritenuta nel caso di specie dal giudice rimettente, poggiasse sull’erroneo presupposto che il dichiarante, coimputato nel medesimo procedimento, giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e successivamente morto, avesse già assunto la qualità di “testimone assistito”. Ha quindi ritenuto che, stante la sopravvenienza della morte del dichiarante, la qualifica del soggetto dovesse essere comunque identificata non in via ipotetica, ma all’atto della dichiarazione dibattimentale, così da determinare le concrete modalità di svolgimento della prova. Questa Corte ha poi posto in risalto che proprio la pregressa qualità già rivestita dal dichiarante al momento in cui le dichiarazioni erano state rese imponeva di dare soluzione alla questione nell’ambito di disciplina dell’art. 513 cod. proc. pen., restando inconferente l’evocazione dell’art. 512 cod. proc. pen., norma riferibile, piuttosto, a dichiarazioni di sicura matrice testimoniale. In particolare, l’ordinanza n. 112 del 2006 ha precisato che «la qualifica del dichiarante – nella prospettiva del regime delle letture e, quindi, di una utilizzazione processuale estranea al contraddittorio – deve essere riguardata alla stregua della “condizione” processuale rivestita da quel soggetto al momento in cui le dichiarazioni sono state rese, giacché è proprio in funzione di questa condizione soggettiva che gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen. hanno rispettivamente calibrato la corrispondente disciplina delle letture: il primo, con riferimento alla condizione delle persone informate sui fatti e che rivestiranno in dibattimento la qualità di testimoni (donde la mancata previsione di dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari nel corso delle indagini); il secondo, con riferimento a quella di soggetti a vario titolo ed in varia forma “compromessi” rispetto al tema del procedimento, e che perciò in sede dibattimentale assumeranno la qualità di dichiaranti diversa da quella del testimone “puro”».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.2.– Ad avviso di questa Corte, merita di essere rimeditata l’affermazione contenuta nell’ordinanza n. 112 del 2006 di questa Corte, secondo cui la qualifica di “testimone assistito” viene assunta dal dichiarante al momento dell’esame dibattimentale, valendo sino a quel momento, ai fini della eventuale lettura delle dichiarazioni in caso di irripetibilità, la posizione che il dichiarante aveva al momento in cui ha reso le dichiarazioni in relazione alle quali ne è richiesto l’esame in qualità di “testimone assistito” in sede dibattimentale. In realtà, ai fini della disciplina della lettura delle dichiarazioni predibattimentali, per l’assunzione della qualità di testimone – “puro” o “assistito” che sia – non rileva soltanto l’atto della deposizione dibattimentale, ma già l’attribuzione dei relativi obblighi, che discendono dalla citazione o dalla ammissione del giudice e, prima ancora, dall’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. formulato all’imputato di reato connesso o collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b) prima delle sue dichiarazioni sulla responsabilità di altri.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Dalla necessità di configurare la qualificazione del dichiarante in termini temporalmente e funzionalmente meno rigidi discende, all’evidenza, come l’introduzione nell’ordinamento, per effetto della legge n. 63 del 2001, della figura del “testimone assistito”, di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen., e la correlata contrazione dell’ambito di operatività dell’art. 210 cod. proc. pen. abbiano ampliato le lacune e le incongruenze della disciplina delle modalità di recupero in dibattimento delle dichiarazioni rese nelle fasi precedenti, quale risultante dal rapporto tra gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen. Tali norme lasciano, invero, senza soluzione il problema della lettura degli atti qualora l’esame della persona da escutere ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen. sia divenuto impossibile per fatti o circostanze sopravvenute ed imprevedibili ed estranei alla volontà del dichiarante.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La esplicita previsione che nei casi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 197-bis cod. proc. pen. le persone ivi indicate possano essere sentite come testimoni, rende evidente, da un lato, la non assimilabilità della posizione di costoro a quella di chi può avvalersi del diritto al silenzio (con la conseguente disciplina delineata dall’art. 513, comma 2, in caso di irripetibilità delle dichiarazioni) e, dall’altro, l’avvicinamento della posizione di tali soggetti a quella dei testimoni, sia pure con le garanzie procedurali e con le limitazioni di efficacia probatoria delineate compiutamente dai successivi commi del medesimo art. 197-bis.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>5.– Già l’ordinanza n. 355 del 2003 di questa Corte ha avuto modo di sottolineare la “centralità” del modello offerto dall’art. 512 cod. proc. pen. agli effetti del recupero di dichiarazioni non riproponibili nel contraddittorio dibattimentale «per accertata impossibilità di natura oggettiva», come appunto prevede l’art. 111, quinto comma, Cost.; avendo, peraltro, la sentenza n. 440 del 2000 prima ancora chiarito come, sulla base del quadro delineato dalle modifiche introdotte nell’art. 111 Cost. dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), non possa più ammettersi una interpretazione estensiva dello stesso art. 512 cod. proc. pen., in quanto specifica ipotesi di deroga del principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.– In tale prospettiva, dovendosi ora guardare all’art. 512 cod. proc. pen. come norma di riferimento e residuale in tema di recupero degli atti a contenuto dichiarativo di cui sia impossibile la ripetizione in dibattimento per circostanze sopravvenute, in conformità ai principi di cui all’art. 111, quinto comma, Cost., risulta irragionevole, alla luce dell’art. 3 Cost., che tale disposizione non contempli le dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità dell’imputato, rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da un soggetto giudicato per reato collegato, a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen, il quale abbia poi assunto l’ufficio di testimone ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Poiché dall’assunzione della qualità di testimone, all’atto della deposizione dibattimentale, discendono l’attribuzione dei relativi obblighi, nonché le modalità di escussione e i correlati adempimenti formali (fatte salve le garanzie e le regole di valutazione della prova espressamente previste nell’art. 197-bis cod. proc. pen.), si impone, dunque, l’applicabilità allo stesso soggetto del regime di acquisizione delle pregresse dichiarazioni dettato dall’art. 512 cod. proc. pen., ove la sua deposizione in dibattimento sia impedita da una impossibilità sopravvenuta di ripetizione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>6.1.– Avuto riguardo, peraltro, alla qualità che il soggetto, che ha poi assunto l’ufficio di “testimone assistito”, rivestiva al momento delle dichiarazioni predibattimentali delle quali sia divenuta impossibile la ripetizione, tra gli atti passibili di lettura, da aggiungere all’elenco già contenuto nell’art. 512 cod. proc. pen., non possono non comprendersi le dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari nell’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 cod. proc. pen.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In proposito, non può non rilevarsi che, se in base all’attuale formulazione dell’art. 512 cod. proc. pen. può essere data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione, la mancata previsione di identica possibilità per il caso in cui l’atto assunto sia un atto formato dal giudice per le indagini preliminari risulta del tutto irragionevole. Le dichiarazioni rese dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lettera b), che abbia assunto la qualità di testimone assistito, sia per effetto dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia per effetto dell’intervenuta pronuncia nei suoi confronti di sentenza di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., del resto, ben sarebbero suscettibili di lettura ove assunte dal pubblico ministero, sicché risulta, anche da tale ulteriore prospettiva, del tutto irragionevole che ciò non sia possibile nel caso in cui l’interrogatorio sia stato assunto dal giudice per le indagini preliminari con le garanzie proprie di tale tipo di atto; né, ai fini che qui rilevano, appare significativo il fatto che l’interrogatorio di garanzia costituisca uno strumento di difesa (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 4 dicembre 2002-23 gennaio 2003, n. 3388), venendo esso in rilievo per le dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>7.– Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, cod. proc. pen., per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>7.1.– Resta assorbita la questione sollevata in riferimento all’art. 111 Cost.</em></p>