<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte costituzionale, sentenza 24 ottobre 2019, n. 223</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, recante «</em>Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103<em>», sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, del codice penale, dal Tribunale ordinario di La Spezia, sezione penale</em><em>.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Prima di esaminare il merito della questione, giova precisare che il giudice rimettente non lamenta qui un mancato esercizio della delega da parte del legislatore, né un relativo parziale esercizio: ipotesi, queste, che secondo la costante giurisprudenza della Corte possono determinare una responsabilità politica del Governo verso il Parlamento, ma non una violazione dell’art. 76 Cost., a meno che il mancato parziale esercizio della delega stessa non comporti uno stravolgimento della legge di delegazione (sentenze n. 304 del 2011, n. 149 del 2005, n. 218 del 1987, n. 8 del 1977 e n. 41 del 1975; ordinanze n. 283 del 2013 e n. 257 del 2005). Il giudice a quo lamenta, invece, la non corretta osservanza di uno specifico criterio di delega – quello di cui all’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 – che il Governo ha deciso di esercitare mediante il d.lgs. n. 36 del 2018, che ha per l’appunto previsto la procedibilità a querela di una serie di delitti contro la persona e contro il patrimonio previsti dal codice penale e puniti con pena detentiva non superiore a quattro anni. Nell’esercitare tale delega, il Governo avrebbe – nella prospettiva del rimettente – arbitrariamente omesso di prevedere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., anche se tale delitto prevede pene detentive inferiori nel massimo al limite di quattro anni indicato dalla legge delega, e nonostante non ricorra – secondo il giudice a quo – alcuna delle ipotesi eccezionali nelle quali doveva, in base al citato art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, conservarsi la regola previgente della procedibilità d’ufficio. Come è accaduto nella recente sentenza n. 127 del 2017, la Corte è dunque chiamata a valutare se il Governo, nell’esercitare </em>in parte qua<em> la delega conferitagli dal Parlamento, abbia o meno errato nel dare applicazione ai principi e ai criteri direttivi il cui rispetto condiziona, in forza dell’art. 76 Cost., la legittimità costituzionale del decreto legislativo. Ove risultasse che il Governo abbia interpretato e applicato in maniera non corretta il criterio di delega in parola, e abbia quindi indebitamente omesso di prevedere la procedibilità a querela del delitto di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., tale omissione si risolverebbe in una violazione dell’art. 76 Cost.: non diversamente, del resto, da ciò che accadrebbe ove il Governo avesse previsto la procedibilità a querela di un’ipotesi delittuosa che, secondo le indicazioni del legislatore delegato, doveva invece restare procedibile d’ufficio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Occorre subito sottolineare che, a fronte della previsione di pene detentive massime non superiori a 4 anni nelle due ipotesi delittuose contemplate dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., il solo </em>thema decidendum<em> nella presente controversia è se il Governo fosse autorizzato a non prevedere la procedibilità a querela di tali fattispecie in ragione dell’operatività di una delle tre eccezioni, previste dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, al criterio generale che abbracciava tra l’altro «</em>i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria<em>», diversi dalla violenza privata. Posta l’ovvia inapplicabilità, nella specie, dell’eccezione prevista dal numero 3) della disposizione – riferita ai soli reati contro il patrimonio –, e considerata l’altrettanto pacifica inapplicabilità dell’ulteriore eccezione prevista al numero 2) – riferita all’ipotesi in cui ricorrano circostanze aggravanti a effetto speciale o taluna delle circostanze di cui all’art. 339 cod. pen., stante la riconosciuta natura di fattispecie autonome delle ipotesi previste dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 11 aprile-6 maggio 2019, n. 18802; sezione terza penale, sentenza 14 febbraio-10 giugno 2019, n. 25538; sezione prima penale, ordinanza 20 dicembre 2018-10 gennaio 2019, n. 1046; sezione quarta penale, sentenza 24 maggio-14 giugno 2018, n. 27425; sezione quarta penale, sentenza 16 maggio-15 settembre 2017, n. 42346; sezione quarta penale, sentenza 1 marzo-14 giugno 2017, n. 29721) –, resta da valutare se la scelta del Governo di non includere le fattispecie delittuose previste dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. nel novero dei reati procedibili a querela ai sensi del d.lgs. n. 36 del 2018 si giustifichi in relazione all’eccezione prevista dal numero 1), riferita all’ipotesi in cui «</em>la persona offesa sia incapace per età o per infermità<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La mancata inclusione tra i delitti procedibili a querela tanto della fattispecie di lesioni personali dolose di cui all’art. 582 cod. pen., nell’ipotesi in cui consegua una malattia di durata superiore a venti giorni, quanto delle fattispecie di lesioni stradali gravi e gravissime di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., è stata giustificata dal Governo, nella Relazione illustrativa al primo schema di decreto legislativo (A.G. 475), «</em>in ragione della considerazione che il legislatore ha già equiparato, ai fini della descrizione della fattispecie, la malattia allo stato di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, come si ricava agevolmente dalla disposizione in punto di aggravante di cui all’articolo 583, comma 1, n. 1, c.p. Il delitto di lesioni si connota, quindi, per l’evento, che ben può consistere in uno stato di incapacità, e la previsione di delega non qualifica ulteriormente la condizione di incapacità, non specifica se essa debba essere intesa come temporanea o permanente, piena o anche solo parziale, sicché il legislatore delegato non può che accoglierne la nozione più ampia<em> […]. </em>Il criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 16, lettera a), numero 1), legge n. 103/2017 impone dunque di preservare la procedibilità d’ufficio quando ricorre la condizione di incapacità della persona offesa per (età o per) infermità<em>». La Commissione giustizia della Camera dei deputati, nel formulare il 6 dicembre 2017 il proprio parere favorevole con condizioni allo schema di decreto legislativo, ha espresso sul punto il proprio dissenso, richiedendo alla condizione numero 3) che la procedibilità a querela fosse estesa anche alle fattispecie di cui all’art. 590-bis, primo comma, cod. pen. Secondo la Commissione, infatti, la condizione di incapacità della vittima, per età o per infermità, dovrebbe «</em>ritenersi riferibile ai casi in cui le particolari condizioni di vulnerabilità della vittima, per età o per infermità, preesistano al comportamento criminoso dell’autore del reato e siano perciò da questo indipendenti. La maggiore gravità del fatto, cui si lega la scelta di mantenere ferma la perseguibilità d’ufficio, sembrerebbe, quindi, essere ancorata alla circostanza che l’agente, per la realizzazione del reato, ha sfruttato una situazione di minorata difesa della vittima, antecedente alla condotta punita, che ha reso più agevole l’esecuzione, piuttosto che ad una situazione di infermità procurata anche a seguito della condotta criminosa<em>». Nessun rilievo sul punto specifico è stato invece mosso allo schema dalla Commissione giustizia del Senato della Repubblica. Lo schema di decreto legislativo (A.G. 475-bis), approvato in secondo esame dal Consiglio dei ministri dell’8 febbraio 2018, non ha ritenuto di accogliere la condizione espressa dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, reiterando gli argomenti già illustrati nella Relazione al primo schema e aggiungendo che il delitto in parola, «</em>peraltro già oggetto di recente intervento normativo<em>», suscita «</em>particolare allarme sociale<em>», ed è comunque connotato «</em>da una certa gravità posto che l’evento lesivo risulta essere conseguenza della violazione di una regola cautelare di condotta posta a presidio proprio della sicurezza della circolazione stradale<em>». Su tale secondo schema di decreto la Commissione giustizia della Camera dei deputati non ha espresso alcun parere, mentre la Commissione giustizia del Senato della Repubblica ha espresso parere non ostativo il 7 marzo 2018.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>I rilievi della Commissione giustizia della Camera dei deputati, ripresi in senso adesivo da varie voci dottrinali e riproposti dall’ordinanza di rimessione oggi all’esame, fanno leva essenzialmente sull’argomento testuale – di per sé nient’affatto peregrino – secondo cui l’espressione «</em>sia incapace<em>» alluderebbe a una condizione di incapacità della persona offesa preesistente alla condotta criminosa, e non già a una situazione creata dalla condotta criminosa stessa, come avviene nel caso delle lesioni personali. A fronte di ciò, va peraltro sottolineato come la formula normativa utilizzata dal legislatore delegante sia in radice ambigua, non risultando chiaro se essa debba essere riferita alla necessaria presenza, nello schema della fattispecie delittuosa, di una persona offesa incapace per età o per infermità – come accade, ad esempio, nelle ipotesi di corruzione di minorenne (art. 609-quinquies cod. pen.) o di circonvenzione di incapaci (art. 643 cod. pen.), peraltro punite con pena detentiva massima superiore a quattro anni e quindi già a priori non comprese nella delega –, ovvero all’ipotesi in cui, nel singolo caso concreto, la persona offesa attinta dalla condotta criminosa sia incapace, magari proprio per effetto dello stesso evento criminoso. È evidente, peraltro, come la ratio dell’eccezione in parola miri a confermare la regola della procedibilità d’ufficio per le ipotesi in cui la persona offesa sia una persona vulnerabile a causa della propria incapacità, in modo da assicurare che la tutela dell’ordinamento non venga fatta dipendere dalla sua iniziativa giudiziaria: iniziativa il cui esercizio, eventualmente tramite un rappresentante legale o un curatore speciale – la cui esistenza e la cui nomina non può, peraltro, essere data in questi casi per scontata – potrebbe risultare più difficoltoso di quanto normalmente accada rispetto alla generalità delle persone offese. Ciò posto, era in facoltà del Governo ritenere che una tale esigenza di tutela rafforzata ricorra anche rispetto al delitto di lesioni stradali gravi o gravissime previsto dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., che è produttivo di notevoli conseguenze pregiudizievoli per la salute della vittima, le quali a loro volta possono determinare una situazione di incapacità, transitoria o permanente, tale da renderle più difficoltosa una eventuale iniziativa giudiziaria volta a sollecitare la persecuzione penale del responsabile delle lesioni. D’altra parte, la previsione della procedibilità a querela delle ipotesi delittuose contemplate dall’art. 590-bis, primo comma, cod. pen., si sarebbe posta in aperta contraddizione con la scelta, compiuta appena due anni prima dal Parlamento con la legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), di prevedere la procedibilità d’ufficio di tutte le fattispecie di lesioni stradali di cui all’art. 590-bis cod. pen., in considerazione del particolare allarme sociale determinato dalle condotte che con la nuova incriminazione si intendevano contrastare; mentre, all’evidenza, la scelta del legislatore delegante appariva volta a prevedere la procedibilità a querela per fatti di modesto contenuto offensivo, come emerge del resto dall’espressa previsione, al numero 3) dell’art. 1, comma 16, lettera a), della legge delega, di un’eccezione alla regola della procedibilità a querela per i reati contro il patrimonio produttivi di un danno alla persona offesa di rilevante gravità.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In conclusione, la Corte ritiene che il Governo non abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, nell’adottare una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante – del criterio dettato dall’art. 1, comma 16, lettera a), numero 1), della legge n. 103 del 2017; e si sia mantenuto così entro il perimetro sancito dal «legittimo esercizio della discrezionalità spettante al Governo nella fase di attuazione della delega, nel rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). E tanto più nel caso di specie, al cospetto di una delega “</em>ampia<em>” o “</em>vaga<em>”, che interviene per “</em>blocchi<em>” di materie, riferendosi genericamente a due Titoli del codice penale. Dal che discende la non fondatezza della questione di legittimità in questa sede prospettata.</em></p>