Corte Costituzionale, sentenza 04 aprile 2025 n. 38
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, limitatamente alle parole «Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»;
Va, altresì, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen., sollevata, in riferimento all’art. 25, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione undicesima penale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Roma censura l’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che siano appellabili innanzi a sé – e non al tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento oggetto di gravame – i provvedimenti con cui il giudice abbia escluso, revocato o negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, sottoposti a sequestro preventivo, nonostante l’adozione delle misure governative di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo, delle medesime norme di attuazione.
Rinviando integralmente alla ricostruzione di recente effettuata da questa Corte (sentenza n. 105 del 2024, punto 3 del Considerato in diritto) del contesto normativo nel quale si inseriscono tanto il comma 1-bis.2 censurato quanto il precedente comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. – commi, entrambi, introdotti dal d.l. n. 2 del 2023, come convertito –, nonché alla più specifica esegesi in quella sede compiuta del comma 1-bis.1 (punto 4.3. del Considerato in diritto), conviene qui soltanto rammentare che quest’ultima disposizione prevede, al quinto periodo, la possibilità per il Governo di adottare – rispetto a stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale ovvero a impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva sottoposti a sequestro penale – misure di «bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi». Il medesimo quinto periodo dispone che, una volta che il Governo abbia adottato tali misure, il giudice procedente «autorizza la prosecuzione dell’attività». Il successivo sesto periodo prevede poi che il provvedimento di cui ai periodi precedenti, «anche se negativ[o]», sia trasmesso entro quarantotto ore alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.
Il comma 1-bis.2, ora censurato, testualmente dispone: «[n]ei casi disciplinati dal comma 1-bis.1, il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle imprese e del made in Italy o del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma».
Il rimettente censura il solo secondo periodo di questa disposizione, ritenendo che lo «spostamento di competenza» dal tribunale del riesame territorialmente competente al Tribunale di Roma determinato da questa disposizione da essa determinato violi la garanzia del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma Cost., e risulti intrinsecamente irragionevole, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
2.– Sull’ammissibilità delle questioni va osservato quanto segue.
2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato e Versalis spa hanno eccepito l’inammissibilità delle questioni, in ragione dell’erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dell’erroneità dei presupposti interpretativi da cui muove il rimettente. Ciò essenzialmente sul rilievo che i provvedimenti (di segno negativo o positivo) riguardanti la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti, impianti o infrastrutture sequestrati non sarebbero stati impugnabili prima dell’entrata in vigore dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, che dunque non avrebbe realizzato alcuno “spostamento” di competenza, ma avrebbe introdotto una competenza in radice nuova.
Nella discussione in udienza anche ISAB srl ha eccepito l’inammissibilità delle questioni riferite all’art. 25, primo comma, Cost., per erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo.
Le eccezioni non sono fondate.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’analisi del quadro normativo pertinente rileva ai fini dell’ammissibilità delle questioni solo se carente e tale da inficiare la chiarezza dell’iter logico argomentativo (ex multis, sentenza n. 228 del 2023, punto 3.2.1. del Considerato in diritto e precedenti ivi citati).
Nel caso di specie, il giudice a quo si è ampiamente confrontato con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, richiamando la giurisprudenza di legittimità che ritiene inammissibile l’appello avverso i provvedimenti di mera gestione dei beni in sequestro che non comportino una modifica del vincolo cautelare. Il rimettente ha tuttavia ritenuto che, in base a questa stessa giurisprudenza, ove il giudice procedente disponga il sequestro in funzione impeditiva dell’aggravamento delle conseguenze del reato o dell’agevolazione della commissione di altri reati, la determinazione delle concrete modalità di gestione del bene che ne è oggetto avrebbe «una oggettiva idoneità ad incidere sul vincolo reale, potendo depotenziarne e persino vanificarne l’efficacia in relazione al perseguimento delle finalità per le quali lo stesso è stato disposto». Sulla base di tale ricostruzione, ha quindi coerentemente argomentato le proprie censure in ordine alla violazione degli artt. 25, primo comma, e 3 Cost.
Ciò esclude ogni profilo di oscurità o illogicità tale da inficiare l’ammissibilità delle questioni. Se poi le premesse ermeneutiche da cui muove il rimettente siano corrette, è profilo che attiene al merito delle questioni (sentenza n. 36 del 2025, punto 4.3.1. del Considerato in diritto; sentenze n. 119 e n. 73 del 2023, in entrambe punto 5 del Considerato in diritto).
2.2.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, inoltre, le questioni relative alla violazione dell’art. 3 Cost. sarebbero del tutto ipotetiche, avendo il rimettente evocato una serie di scenari processuali non rilevanti nel giudizio a quo. A tale eccezione ha aderito ISAB srl nell’udienza pubblica.
Nemmeno questa eccezione è fondata.
La rilevanza delle questioni è determinata, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla necessità di fare applicazione della disposizione censurata nel giudizio a quo (ex multis, sentenza n. 116 del 2024, punto 3 del Considerato in diritto, e precedenti ivi citati).
Nel caso di specie, è indubitabile che il giudice a quo debba fare applicazione della disposizione censurata, che stabilisce la sua competenza a decidere, poiché «[l]a stessa instaurazione e successiva celebrazione del giudizio avanti a una determinata autorità giudiziaria, e non ad altra, costituisce momento integrante dell’“applicazione” della disciplina della competenza nel caso concreto» (sentenza n. 163 del 2024, punto 2.3.2. del Considerato in diritto; in senso analogo, sentenza n. 5 del 2025, punto 2 del Considerato in diritto). Tanto basta a ritenere rilevanti le questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost.
La prospettazione, da parte del rimettente, di scenari processuali di sovrapposizione o contrasto tra decisioni giudiziarie – asseritamente suscettibili di verificarsi, ancorché concretamente non verificatisi nel giudizio a quo – è meramente funzionale a illustrare i profili di irragionevolezza intrinseca da cui sarebbe affetta la disposizione censurata. La verifica della plausibilità di tali scenari e la loro valutazione da parte di questa Corte attiene, dunque, al merito della questione, e non alla sua ammissibilità.
3.– Nel merito, il rimettente lamenta anzitutto la contrarietà della disposizione censurata al principio del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
L’art. 104-bis, comma 1-bis.2, non conterrebbe, infatti, alcun criterio generale capace di indicare ex ante se a pronunciarsi sull’appello cautelare avverso la decisione del giudice procedente che comunque abbia negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto sia competente il Tribunale di Roma ovvero quello del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Lo spostamento di competenza dall’ufficio ordinariamente designato in base all’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen. al Tribunale di Roma sarebbe infatti ancorato all’adozione delle misure di bilanciamento di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis.1, quinto periodo: e cioè a un atto discrezionale del Governo, la cui adozione sarebbe – secondo il rimettente – sostanzialmente determinata dal maggiore o minore apprezzamento delle decisioni già adottate nella singola controversia dall’autorità giudiziaria territorialmente competente secondo le regole ordinarie, circa la prosecuzione o meno dell’attività produttiva di stabilimenti, impianti o infrastrutture sottoposti a sequestro.
La questione non è fondata, per le ragioni qui sintetizzate e, di seguito, più distesamente argomentate.
Come correttamente rilevato dal rimettente, la disposizione censurata determina uno spostamento della competenza a decidere sull’appello cautelare contro il provvedimento del giudice che abbia comunque negato l’autorizzazione a proseguire l’attività, necessariamente incidendo su procedimenti cautelari già in corso (infra, 3.1.).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, uno spostamento di competenza con effetto anche sui procedimenti in corso è compatibile con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge laddove tale spostamento sia (a) determinato da una disciplina legislativa di portata generale, (b) motivato da esigenze di rilievo costituzionale, e (c) ancorato a presupposti obiettivi stabiliti dalla legge stessa, così che il giudice che risulta competente possa dirsi anch’esso «precostituito per legge», e cioè sia chiaramente individuabile in base alle indicazioni fornite dalla legge (infra, 3.2.).
La disciplina censurata soddisfa tali condizioni, e non si pone pertanto in contrasto con la garanzia costituzionale evocata (infra, 3.3.).
3.1.– Il rimettente assume anzitutto che i provvedimenti sulla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento o impianto sequestrato sarebbero stati impugnabili anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 104-bis, comma 1-bis.2, norme att. cod. proc. pen. In particolare, secondo la sua ricostruzione, essi sarebbero stati impugnabili mediante il rimedio dell’appello cautelare di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen. Poiché giudice competente a provvedere su tale appello è, ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 322-bis, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento oggetto di gravame, la disposizione censurata avrebbe determinato uno spostamento di tale competenza in favore del Tribunale di Roma: spostamento che il rimettente ritiene, per l’appunto, incompatibile con la garanzia di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
Tale presupposto ermeneutico è, tuttavia, contestato tanto dall’Avvocatura generale dello Stato, quanto da tutte le parti costituite in giudizio, le quali ritengono, invece, che la disposizione censurata abbia introdotto un nuovo mezzo di gravame contro un provvedimento di natura sostanzialmente amministrativa che non sarebbe stato altrimenti impugnabile con il rimedio dell’appello cautelare di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen., e contro il quale sarebbe stato al più esperibile un mero incidente di esecuzione innanzi allo stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Questa Corte ritiene corretto il presupposto ermeneutico da cui muove il giudice rimettente.
3.1.1.– L’art. 322-bis cod. proc. pen. attribuisce al pubblico ministero, all’imputato e al suo difensore, nonché alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, la facoltà di proporre appello, tra l’altro, contro le «ordinanze in materia di sequestro preventivo», al di fuori dei casi di riesame previsti dal precedente art. 322. Dal momento che la richiesta di riesame ha ad oggetto il provvedimento genetico che instituisce il vincolo cautelare, il rimedio dell’appello risulta esperibile dal pubblico ministero contro l’ordinanza del giudice che abbia rigettato o accolto soltanto parzialmente la propria istanza di sequestro, nonché da tutti i soggetti indicati nell’art. 322-bis contro ogni altro provvedimento del giudice che abbia modificato il vincolo cautelare disposto con il provvedimento genetico, ovvero abbia rigettato istanze di revoca o modifica di quest’ultimo.
La giurisprudenza di legittimità esclude, peraltro, l’appellabilità dei provvedimenti (del pubblico ministero e dello stesso giudice) aventi ad oggetto l’esecuzione del sequestro, ovvero i provvedimenti con cui il giudice detti disposizioni relative alla mera gestione del bene sequestrato: provvedimenti, tutti, rispetto ai quali è possibile soltanto un incidente di esecuzione innanzi allo stesso giudice del sequestro (Corte di cassazione, sezione prima penale, ordinanza n. 8283 del 2021; sezione sesta penale, ordinanza 26 aprile-22 maggio 2018, n. 22843; sezione seconda penale, sentenza n. 44504 del 2015; sezione quinta penale, sentenza 31 ottobre 2014-10 marzo 2015, n. 10105; sezione sesta penale, sentenza n. 16170 del 2014; sezione terza penale, ordinanza n. 26729 del 2011).
Il nodo esegetico che occorre in questa sede sciogliere – in quanto preliminare alla soluzione della questione di legittimità costituzionale così come prospettata – è, dunque, se un provvedimento del giudice che comporti l’interruzione dell’attività produttiva di un’azienda sequestrata esorbiti dalla mera gestione e comporti una modifica del vincolo cautelare a suo tempo disposto, risultando così soggetto ad appello ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen.; ovvero costituisca mero atto esecutivo di gestione del bene sequestrato, come tale impugnabile soltanto con incidente di esecuzione.
3.1.2.– Tanto l’ordinanza di rimessione, quanto l’interveniente e le parti hanno invocato, a sostegno delle rispettive tesi, pronunce di legittimità che ora hanno ammesso, ora hanno negato, l’esperibilità dell’appello cautelare contro provvedimenti che hanno in vario modo interessato beni sottoposti a sequestro, traendo da tali provvedimenti argomenti a sostegno della rispettiva posizione.
L’ordinanza di rimessione ha sottolineato come la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto esperibile l’appello cautelare, ad esempio, avverso il rigetto della richiesta di autorizzazione a praticare trattamenti agronomici e fitosanitari su delle viti in sequestro allo scopo di preservarle dall’attacco di parassiti (Cass. n. 261 del 2018), ovvero contro il rigetto della richiesta di autorizzazione all’utilizzo di un’autovettura in sequestro (Cass. n. 45562 del 2015).
Per converso, l’Avvocatura generale dello Stato e le parti hanno citato precedenti in cui la Corte di cassazione ha ritenuto non esperibile l’appello avverso i provvedimenti di nomina o revoca del custode dei beni sequestrati (Cass. n. 18777 del 2015), o in relazione a profili di negligenza nella condotta dell’amministratore giudiziario (Cass. n. 39181 del 2014), o ancora avverso la revoca dell’autorizzazione all’utilizzo di macchinari industriali sequestrati (Cass. n. 40130 del 2015).
Nessuna delle pronunce menzionate costituisce, tuttavia, un precedente in termini in senso proprio, riferito alla specifica ipotesi – che qui rileva – di un provvedimento del giudice che imponga l’interruzione tout court dell’attività di uno stabilimento o di un impianto già sottoposto a sequestro.
3.1.3.– Ora, non pare dubbio a questa Corte che un provvedimento che escluda o revochi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di qualsiasi impresa i cui beni siano già assoggettati a sequestro non possa essere considerato quale mero atto, di natura sostanzialmente amministrativa, di gestione del bene sequestrato; ma incida piuttosto, in misura macroscopica, sull’intero fascio dei diritti limitati dal provvedimento genetico, così determinando una modificazione dello stesso vincolo cautelare.
Ciò vale, anzitutto, per l’imprenditore titolare dello stabilimento o dell’impianto sequestrato, i cui diritti – di evidente rilievo costituzionale ai sensi degli artt. 41,42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU – sono immediatamente incisi dal provvedimento che impedisca la prosecuzione delle attività produttive. Un ordine siffatto produce necessariamente, nell’immediato, un pregiudizio patrimoniale all’imprenditore, incidendo profondamente sulla stessa consistenza economica del diritto interessato dal vincolo cautelare. Ove poi la sua vigenza fosse protratta nel tempo, l’ordine in questione potrebbe addirittura compromettere la stessa sopravvivenza dell’impresa, con inevitabili conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori e i creditori.
Per altro verso, il provvedimento con il quale il giudice rigettasse l’eventuale richiesta del pubblico ministero di vietare la prosecuzione dell’attività produttiva, in presenza di evidenze che dimostrino la sua grave pericolosità per l’ambiente o la salute umana, rischierebbe di rendere inefficace il sequestro rispetto allo scopo di impedire che la prosecuzione dell’attività stessa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, determinando così ulteriori conseguenze pregiudizievoli per tali beni, anch’essi di evidente rilievo costituzionale.
Una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 322-bis cod. proc. pen. non può, dunque, non farsi carico della necessità di assicurare un rimedio giurisdizionale effettivo – avanti a un giudice diverso da quello che ha pronunciato la decisione contestata – contro provvedimenti che, in un senso o nell’altro, incidano così intensamente sullo stesso vincolo cautelare: nell’un caso determinando in via immediata gravi pregiudizi ai diritti delle persone titolari dell’impresa destinataria del sequestro (e in via mediata, a lavoratori e creditori); nell’altro caso frustrando, in ipotesi, la stessa idoneità del sequestro preventivo a conseguire gli scopi indicati nell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
Deve, pertanto, ritenersi che ogni provvedimento con cui il giudice disponga l’interruzione dell’attività di uno stabilimento o impianto sequestrato, ovvero disattenda una richiesta in tal senso del pubblico ministero, sia in via ordinaria impugnabile ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen. da tutti i soggetti ivi indicati.
3.1.4.– Conseguentemente, il rimedio previsto dalla disposizione censurata – lungi dal porsi come nuovo mezzo di impugnazione in precedenza non contemplato dall’ordinamento – costituisce lex specialis rispetto alla previsione generale di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen., derogando alla comune disciplina dell’appello cautelare – nella sola ipotesi di provvedimento di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività – sotto il duplice specifico profilo (a) della legittimazione di ulteriori soggetti istituzionali all’impugnazione (la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), e (b) dell’individuazione del giudice competente a conoscere dell’impugnazione nel Tribunale di Roma.
L’interpretazione che precede, d’altronde, trova conferma nella stessa relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 2 del 2023, ove si osserva che in base alla disposizione ora censurata il provvedimento del giudice che dispone l’interruzione dell’attività produttiva «può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice di procedura penale, in ampliamento rispetto al suo tenore ordinario [corsivo aggiunto]: sono legittimati all’impugnazione (oltre alle parti processuali, al soggetto al quale le cose sono state sequestrate e all’avente diritto alla restituzione) anche la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica». Lo stesso legislatore muove, dunque, dal presupposto dell’ordinaria ricorribilità in appello del provvedimento; sì che il senso della nuova disposizione è semplicemente quello di ampliare il novero dei legittimati all’impugnazione, oltre che – per quanto qui più direttamente rileva – di radicare la competenza a decidere sull’appello presso il Tribunale di Roma, anziché presso il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento, come previsto in via ordinaria dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.
L’applicazione della disposizione speciale appare, infine, condizionata all’effettiva adozione, da parte del Governo, delle misure di bilanciamento previste dal quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. La difesa di ISAB srl ha, invero, sostenuto che il riferimento del comma 1-bis.2 alla generalità dei «casi disciplinati dal comma 1-bis.1» dovrebbe indurre a ritenere che la disposizione speciale sia applicabile anche nell’ipotesi in cui il giudice del sequestro inibisca la prosecuzione dell’attività produttiva di un impianto o stabilimento dichiarato di interesse strategico nazionale ai sensi del quarto periodo del comma 1-bis.1: e dunque prima che il Governo abbia adottato proprie misure di bilanciamento, ai sensi del quinto periodo. La tesi è però smentita dal puntuale riferimento, compiuto dalla disposizione consurata, a quei (soli) provvedimenti di diniego della prosecuzione dell’attività emessi «nonostante le misure adottate nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale» [corsivo aggiunto]: espressione che richiama senza equivoci le «misure» di bilanciamento adottate dal Governo ai sensi, appunto, del quinto periodo del comma precedente.
Da tutto ciò deriva che: (a) prima dell’adozione, da parte del Governo, delle misure di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1, contro ogni provvedimento del giudice che comunque inibisca la prosecuzione dell’attività produttiva è esperibile l’appello cautelare ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., da parte di tutti i soggetti ivi indicati, avanti al tribunale territoriale; (b) dopo l’adozione di tali misure, il medesimo rimedio potrà invece essere esperito, anche da parte dei soggetti istituzionali indicati dal comma 1-bis.2, avanti il Tribunale di Roma.
3.1.5.– Trova, in definitiva, conferma il presupposto ermeneutico da cui muove il rimettente: la disposizione censurata stabilisce effettivamente uno «spostamento di competenza», rispetto ai provvedimenti di diniego dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva, dal tribunale territoriale al Tribunale di Roma, una volta che il Governo abbia adottato le misure di bilanciamento di cui al quinto periodo del comma 1-bis.1.
La disposizione produce così un effetto destinato a incidere su procedimenti cautelari già in corso. Ciò non solo con riferimento allo specifico procedimento relativo al sequestro del depuratore di Priolo Gargallo, avviato più di un anno e mezzo prima dell’entrata in vigore della disciplina censurata, e che ne ha costituito l’occasio (sentenza n. 105 del 2024, punto 3.1. del Considerato in diritto); ma anche, più in generale, rispetto a ogni scenario in cui tale disciplina possa trovare applicazione.
Infatti, le misure di bilanciamento previste dal quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. si riferiscono a stabilimenti o impianti oggetto di provvedimenti di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria, e si inseriscono dunque necessariamente nell’ambito di procedimenti cautelari già avviati.
Uno spostamento di competenza può, anzi, verificarsi anche nella specifica ipotesi – sulla quale tra l’altro si sofferma l’ordinanza di rimessione – in cui sia già radicato un giudizio di appello contro un provvedimento del giudice concernente la prosecuzione o interruzione dell’attività produttiva innanzi al tribunale territoriale individuato dall’art. 322-bis, e nelle more di tale procedimento intervenga il decreto di bilanciamento adottato dal Governo. Una tale evenienza vincolerà, infatti, il giudice ad adottare un nuovo provvedimento ai sensi del quinto periodo del comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen.: ciò che determinerà, a sua volta, lo spostamento della competenza a conoscere dell’impugnazione avverso tale provvedimento al Tribunale di Roma.
3.2.– La giurisprudenza di questa Corte ha spesso affrontato il quesito se una disciplina che determini uno spostamento di competenza con effetto anche sui procedimenti in corso sia compatibile con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25, primo comma, Cost.
Come questa Corte osservò sin dalla sentenza n. 29 del 1958, con l’espressione «giudice precostituito per legge» si intende «il giudice istituito in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di determinate controversie». Tale principio, si aggiunse qualche anno più tardi, «tutela nel cittadino il diritto a una previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere, o, ancor più nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi» (sentenza n. 88 del 1962, punto 4 del Considerato in diritto).
La costante giurisprudenza di questa Corte, peraltro, ha sempre ritenuto – a partire dalla sentenza n. 56 del 1967 – che la garanzia del giudice naturale precostituito per legge non sia necessariamente violata allorché una legge determini uno spostamento della competenza con effetto anche sui procedimenti in corso.
La violazione è stata esclusa, in particolare, in presenza di una serie di presupposti, necessari onde evitare ogni rischio di arbitrio nell’individuazione del nuovo giudice competente. Finalità, quest’ultima, che già la sentenza n. 56 del 1967 aveva ritenuto la ragion d’essere della garanzia del giudice naturale precostituito per legge, la quale mira non solo a tutelare il consociato contro la prospettiva di un giudice non imparziale, ma anche ad assicurare l’indipendenza del giudice investito della cognizione di una causa, ponendolo al riparo dalla possibilità che il legislatore o altri giudici lo privino arbitrariamente dei procedimenti già incardinati innanzi a sé.
3.2.1. – Anzitutto, è necessario che lo spostamento di competenza non sia disposto dalla legge in funzione della sua incidenza in una specifica controversia già insorta, ma avvenga in forza di una legge di portata generale, applicabile a una pluralità indefinita di casi futuri.
La menzionata sentenza n. 56 del 1967, in particolare, ritenne compatibile con l’art. 25, primo comma, Cost. una riforma legislativa delle circoscrizioni giudiziarie, immediatamente operativa anche con riferimento alla generalità dei processi in corso. Il precetto costituzionale in parola – si argomentò in quell’occasione – «tutela una esigenza fondamentalmente unitaria: quella, cioè, che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio. La illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verifica, perciò, tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali ovvero attraverso atti di altri soggetti, ai quali la legge attribuisca tale potere al di là dei limiti che la riserva impone. Il principio costituzionale viene rispettato, invece, quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (punto 2 del Considerato in diritto).
Tale criterio è stato mantenuto fermo da questa Corte in tutta la giurisprudenza posteriore relativa, in particolare, alle riforme ordinamentali che hanno introdotto regole sulla competenza, con effetto anche sui processi in corso (ex multis, sentenze n. 237 del 2007, n. 268 e n. 207 del 1987; ordinanze n. 112 e n. 63 del 2002 e n. 152 del 2001).
3.2.2.– In secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale ha spesso posto l’accento – in particolare laddove la disciplina censurata deroghi rispetto alle regole vigenti in via generale in materia di competenza – sulla necessità che lo spostamento di competenza sia previsto dalla legge in funzione di esigenze esse stesse di rilievo costituzionale. Tali esigenze sono state identificate, ad esempio, nella tutela dell’indipendenza e imparzialità del giudice (sentenze n. 109 e n. 50 del 1963, rispettivamente punti 2 e 3 del Considerato in diritto), nell’obiettivo di assicurare la coerenza dei giudicati e il migliore accertamento dei fatti nelle ipotesi di connessione tra procedimenti (sentenze n. 117 del 1972; n. 142 e n. 15 del 1970, entrambe punto 2 del Considerato in diritto; ordinanze n. 159 del 2000 e n. 508 del 1989), ovvero nell’opportunità di assicurare l’uniformità della giurisprudenza in relazione a determinate controversie (sentenza n. 117 del 2012, punto 4.1. del Considerato in diritto).
3.2.3.– Infine, è necessario che lo spostamento di competenza avvenga in presenza di presupposti delineati in maniera chiara e precisa dalla legge, sì da escludere margini di discrezionalità nell’individuazione del nuovo giudice competente (sentenze n. 168 del 1976, punto 3 del Considerato in diritto; n. 174 e n. 6 del 1975, entrambe punto 3 del Considerato in diritto; ordinanze n. 439 del 1998 e n. 508 del 1989) e da assicurare, in tal modo, che anche quest’ultimo giudice possa ritenersi «precostituito» per legge (sentenza n. 1 del 1965, punto 2 del Considerato in diritto).
Per contro, la garanzia in esame è violata da leggi, sia pure di portata generale, che attribuiscano a un organo giurisdizionale il potere di individuare con un proprio provvedimento discrezionale il giudice competente, in relazione a specifici procedimenti già incardinati (sentenze n. 82 del 1971, n. 117 del 1968, n. 110 del 1963 e n. 88 del 1962), o comunque di influire sulla composizione dell’organo giudicante in relazione, ancora, a specifiche controversie già insorte (sentenze n. 393 del 2002 e n. 83 del 1998).
3.3.– Questa Corte ritiene che la disciplina oggi censurata non si ponga in contrasto con le condizioni minime di compatibilità con l’art. 25, primo comma, Cost. desumibili dalla giurisprudenza costituzionale sin qui richiamata.
3.3.1.– Come poc’anzi sottolineato (supra, 3.1.5.), la disposizione censurata determina indubbiamente uno spostamento di competenza rispetto a procedimenti cautelari in corso.
Tale effetto discende, però, non già da una legge provvedimento che riguardi lo specifico procedimento cautelare concernente lo stabilimento oggetto del processo a quo – ciò che sarebbe senz’altro contrario alla garanzia costituzionale in esame –, ma da una «disciplina generale e astratta, e dunque potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi» (sentenza n. 105 del 2024, punto 3.2. del Considerato in diritto), in presenza del presupposto costituito dalla dichiarazione dell’interesse strategico nazionale – ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito – dello stabilimento o dell’impianto sottoposto a sequestro.
In particolare, il comma 1-bis.2 ora censurato ricollega all’adozione delle misure di bilanciamento disciplinate dal quinto periodo del comma precedente l’effetto di spostamento della competenza al Tribunale di Roma per il giudizio di appello cautelare contro il provvedimento che, a valle di tali misure, abbia comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto. L’adozione delle misure da parte del Governo, e il successivo provvedimento negativo dell’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, costituiscono dunque i presupposti indicati in via generale e astratta dalla legge, in presenza dei quali si verifica lo spostamento di competenza dal tribunale territoriale al Tribunale di Roma.
3.3.2.– Tale disciplina – che deroga a quella ordinariamente disegnata dall’art. 322-bis cod. proc. pen. – è stata giustificata dalla relazione illustrativa alla legge n. 17 del 2023, di conversione del d.l. n. 2 del 2023, con riferimento alla necessità di «mantenere unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale, nonché [di] maturare una specializzazione nella gestione di un profilo di intervento di certo delicato e complesso», in relazione alla peculiare situazione in cui il provvedimento di sequestro abbia ad oggetto stabilimenti o impianti di interesse strategico nazionale, o comunque ad essi serventi.
Come già rammentato (supra, 3.2.2.), l’obiettivo di assicurare l’uniformità della giurisprudenza – di indubbio rilievo costituzionale, in relazione al principio di certezza del diritto (sul cui rilievo costituzionale si vedano le sentenze n. 7 del 2025, punto 2.2.3 del Considerato in diritto, n. 146 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto, n. 147 del 2023, punti 4.4. e 4.5. del Considerato in diritto, n. 110 del 2023, punti 4.3.4. e seguenti del Considerato in diritto) e alla stessa tutela della parità di trattamento tra i consociati – è già stato ritenuto da questa Corte idoneo a giustificare deroghe, fissate in via generale dalla legge, alle regole generale sulla competenza (sentenza n. 117 del 2012, punto 4.1. del Considerato in diritto).
Con la disposizione in esame il legislatore ha inteso dunque assicurare uniformità di orientamenti interpretativi, da parte del giudice dell’appello cautelare, in una materia che coinvolge interessi strategici di portata nazionale, allorché il Governo si sia assunto direttamente il compito di effettuare il bilanciamento con i contrapposti interessi alla tutela dell’ambiente e della salute, precludendo così ogni rivalutazione da parte del giudice sul merito di tale bilanciamento e l’adozione di soluzioni diverse da quelle stabilite dal Governo (sentenza n. 105 del 2024, punto 4.3. del Considerato in diritto).
Vero è che la disciplina censurata introduce una deroga all’ordinario criterio dell’allocazione del processo penale presso il locus commissi delicti – criterio già definito “fisiologico” da questa Corte, in quanto rispondente «ad esigenze di indubbio rilievo», tra le quali quella di assicurare l’accertamento del reato nel luogo in cui la raccolta del materiale probatorio è più agevole e rapida, «anche in ottica servente al diritto di difesa dell’imputato» (sentenze n. 92 del 2018, punto 4 del Considerato in diritto, e, con specifico riferimento all’art. 25, primo comma, Cost., n. 168 del 2006, punto 4 del Considerato in diritto). Nondimeno, l’accentramento della competenza presso il Tribunale di Roma su controversie nelle quali sono direttamente coinvolti interessi strategici nazionali costituisce soluzione la cui logica riproduce – come sottolineato in particolare dalle difese di Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa – quella di varie altre discipline processuali già passate indenni al vaglio di conformità all’art. 25, primo comma, Cost. (in particolare, sentenza n. 237 del 2007, relativa all’attribuzione al TAR Lazio della competenza a conoscere delle ordinanze e dei provvedimenti del Commissario alla protezione civile nelle situazioni di emergenza; in senso analogo, in relazione a esigenze di tutela della collettività contro la criminalità di tipo mafioso, sentenze n. 182 e n. 159 del 2014).
La plausibilità di tale soluzione esime questa Corte dal verificare la sostenibilità, al metro dell’art. 25, primo comma, Cost., della possibile ratio ulteriore – suggerita e puntualmente confutata dal rimettente, ma non risultante dai lavori preparatori – secondo cui l’intenzione del legislatore sarebbe stata quella di assicurare l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici dell’appello rispetto a possibili condizionamenti locali, determinati dalla «vicinanza geografica» del tribunale territoriale al locus commissi delicti.
3.3.3.– Il profilo più delicato concerne, semmai, la verifica della sufficiente precisione dei presupposti definiti dalla legge, in presenza dei quali si verifica lo spostamento di competenza: requisito cruciale, come si è rammentato, per evitare il rischio che tale spostamento possa essere fatto dipendere dalla decisione discrezionale di un altro organo giudiziario o, a fortiori, di un organo del potere esecutivo.
Dal punto di vista formale, per la verità, i presupposti dello spostamento di competenza sono chiaramente definiti dalla disposizione censurata: esso avviene, come poc’anzi evidenziato (supra, 3 e 3.2.), allorché (a) il Governo abbia adottato le misure di bilanciamento, e (b) il giudice abbia, cionondimeno, comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto.
Il rimettente assume, tuttavia, che tale meccanismo consenta di fatto al Governo di determinare discrezionalmente lo spostamento della competenza a conoscere dell’appello cautelare, in spregio alla logica di tutela dell’art. 25, primo comma, Cost., attraverso la decisione di adottare le misure di bilanciamento: decisione che potrebbe essere assunta, in concreto, di volta in volta in relazione al «maggiore o minore apprezzamento» delle decisioni in proposito già adottate dal giudice della cautela.
Questa Corte non è persuasa da tale argomento.
La decisione del Governo di adottare le misure di bilanciamento non è una decisione “sulla” competenza del giudice (come invece quella prefigurata dall’art. 30, secondo comma, del codice di procedura penale del 1930, che conferiva al procuratore della Repubblica, in presenza di certi presupposti, la facoltà di rimettere al pretore procedimenti penali di competenza del tribunale: sentenza n. 88 del 1962), ma è semplicemente una decisione dalla quale deriva, in via riflessa e meramente eventuale, un effetto sulla competenza del giudice dell’appello cautelare. Un effetto, più in particolare, che si verifica nella sola ipotesi in cui il giudice del sequestro abbia disatteso tali misure, disponendo comunque l’interruzione dell’attività.
Una volta dunque che il Governo abbia esercitato il proprio potere di dettare regole cogenti sulla prosecuzione dell’attività degli stabilimenti o impianti sequestrati, la nuova regola sulla competenza – chiaramente definita dalla disposizione censurata – è che ogni successiva controversia, derivante dall’eventuale decisione del giudice che disattenda le indicazioni governative (assumendone, evidentemente, l’illegittimità, ogni sindacato sul merito di tali indicazioni essendogli ormai precluso), rientri nella competenza di un nuovo giudice “precostituito per legge”, ossia il Tribunale di Roma. Senza che, a valle del decreto governativo che stabilisce le misure, residui alcun potere discrezionale in capo a chicchessia per l’individuazione del giudice competente a giudicare dell’appello cautelare.
3.4.– Da tutte le considerazioni sin qui svolte discende, in conclusione, l’infondatezza della censura formulata in riferimento all’art. 25, primo comma, Cost.
4.– Resta a questo punto da esaminare la censura formulata dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.
Al riguardo, conviene preliminarmente rammentare che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, nella configurazione degli istituti processuali il legislatore gode di ampia discrezionalità, censurabile soltanto laddove la disciplina palesi profili di manifesta irragionevolezza (ex multis, sentenze n. 189 e n. 83 del 2024, rispettivamente punto 9 e punto 5.5. del Considerato in diritto; n. 67 del 2023, punto 6 del Considerato in diritto).
Ritiene questa Corte, per le ragioni di seguito illustrate, che le incongruenze denunciate dal rimettente – lungi dal poter essere derubricate a inconvenienti eventuali di mero fatto nell’applicazione della disposizione censurata – siano effettivamente sintomatiche di una manifesta irragionevolezza della disciplina così come allo stato strutturata.
4.1.– Il giudice a quo ritiene, in sintesi, che la disposizione censurata – introducendo una competenza del Tribunale di Roma derogatoria rispetto alla ordinaria competenza del tribunale territoriale per la sola ipotesi in cui il giudice del sequestro abbia comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività, dopo l’adozione da parte del Governo delle misure di bilanciamento – produca un «intreccio» e una «sovrapposizione di competenze» tra i due tribunali. Tale situazione sarebbe foriera di ricadute non coerenti con lo stesso obiettivo legislativo di assicurare unitarietà di indirizzi applicativi e specializzazione del giudice competente a valutare la prosecuzione dell’attività produttiva.
4.2.– Tanto l’Avvocatura generale dello Stato quanto le parti contestano tale assunto, essenzialmente sulla base dell’argomento che la disposizione censurata non avrebbe determinato alcuno spostamento di competenza per una parte soltanto del contenzioso successivo all’adozione delle misure di bilanciamento da parte del Governo, ma avrebbe semplicemente introdotto un nuovo rimedio – in precedenza non esistente – contro il provvedimento del giudice che, nonostante tali misure, abbia comunque disposto l’interruzione dell’attività dello stabilimento o dell’impianto.
Come poc’anzi distesamente argomentato (supra, 3.1.), tale argomento non può però essere condiviso. Contro il provvedimento di un giudice che escluda o revochi l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività di qualunque impresa destinataria del sequestro, o che all’opposto – disattendo la richiesta del pubblico ministero – autorizzi la prosecuzione dell’attività stessa, non può non ammettersi, in via generale, la possibilità di proporre appello ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., da parte di tutti i soggetti ivi indicati.
4.3.– Una tale situazione produce, strutturalmente, le incongruenze denunciate nell’ordinanza di rimessione, quanto meno sotto un duplice concorrente profilo.
4.3.1.– In primo luogo, la disposizione censurata attribuisce la competenza al Tribunale di Roma a conoscere dell’appello soltanto contro il provvedimento del giudice che, a valle dell’adozione delle misure di bilanciamento, abbia negato l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, ma non contro l’eventuale provvedimento che tale autorizzazione abbia invece rilasciato, in ottemperanza alle indicazioni governative.
Contro quest’ultimo provvedimento resta però ammissibile un appello del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., sia pure per ragioni attinenti alla sola legittimità del decreto governativo di bilanciamento. In tale ipotesi, il testo della disposizione censurata – inequivocamente riferito ai soli casi in cui il giudice «abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto» – non consente di attrarre l’appello alla competenza del Tribunale di Roma; con la conseguenza che di esso dovrà continuare a conoscere il tribunale territoriale, ai sensi della lex generalis rappresentata dall’art. 322-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La disposizione censurata giunge così al risultato – affatto singolare dal punto di vista sistematico – di stabilire la competenza dell’uno o dell’altro tribunale in sede di appello secundum eventum litis, ossia secondo il tenore della decisione adottata dal giudice che ha disposto il sequestro: la competenza si radicherà innanzi al tribunale territoriale, nel caso di decisione conforme al decreto di bilanciamento adottato dal Governo; innanzi al Tribunale di Roma, nel caso di decisione che, all’opposto, disattenda tale decreto.
Ciò determina un risultato del tutto distonico rispetto a quello, dichiaratamente perseguito dal legislatore, di «maturare unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale» e di «mantenere una specializzazione» dell’organo giudicante in tutte le decisioni che attengono alla prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti o impianti in relazione ai quali il Governo abbia dettato specifiche misure di bilanciamento.
Ne consegue l’evidente incongruità della disciplina rispetto alla sua finalità: ciò che a sua volta si traduce in un vizio di irrazionalità, intesa quale species dell’irragionevolezza intrinseca, della legge (sentenze n. 197 del 2023, punto 5.5.4. del Considerato in diritto, n. 186 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto, e n. 166 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto).
4.3.2.– In secondo luogo, lo spostamento di competenza per il solo giudizio di appello contro il provvedimento che comunque abbia negato la prosecuzione dell’attività dello stabilimento o impianto sequestrato “a valle” del decreto governativo di bilanciamento crea strutturalmente le condizioni per lo svolgimento parallelo di diversi procedimenti di appello, innanzi a diversi tribunali, contro i provvedimenti del giudice della cautela aventi a oggetto i medesimi beni.
Quest’eventualità appare specialmente problematica nell’ipotesi in cui il provvedimento che vieta la prosecuzione dell’attività nonostante le misure di bilanciamento sia stato adottato dal giudice a seguito di una istanza di revoca, modifica o rivalutazione del sequestro precedentemente disposto. In tal caso, è giocoforza concludere che il provvedimento sia impugnabile presso il Tribunale di Roma nella sola parte in cui vieta la prosecuzione dell’attività e presso il tribunale locale – da parte di tutti i soggetti indicati dall’art. 322-bis cod. proc. pen., compreso il pubblico ministero – per la parte residua. Il che crea inevitabilmente il rischio di decisioni contrastanti, e comunque non coordinate, aventi a oggetto i medesimi stabilimenti o impianti.
Evidentemente nella consapevolezza di questo rischio, ISAB srl suggerisce di interpretare la disposizione censurata nel senso che essa eserciterebbe una «vis attractiva» alla competenza del Tribunale di Roma rispetto a ogni appello proposto contro le decisioni del giudice comunque attinenti al vincolo cautelare. La tesi, tuttavia, non persuade, in assenza di qualsiasi appiglio nel testo della disposizione: la quale è – anzi – chiarissima nel confinare la propria operatività alle ipotesi di provvedimenti che, nonostante l’adozione delle misure di bilanciamento da parte del Governo, abbiano comunque negato l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività produttiva.
Le difese di Sonatrach raffineria italiana srl e Versalis spa obiettano, invece, che lo scenario di due procedimenti di appello paralleli contro i provvedimenti del giudice della cautela – l’uno avente a oggetto «il profilo amministrativo-gestionale» concernente la prosecuzione o interruzione dell’attività, l’altro concernente il vincolo cautelare in sé considerato – non darebbe luogo a inconvenienti significativi, stante il diverso oggetto dello scrutinio svolto dai due tribunali; né rappresenterebbe un’anomalia nel sistema, dal momento che altre disposizioni prefigurerebbero diversi strumenti di impugnazione contro differenti statuizioni contenute nel medesimo provvedimento giudiziario.
A tali argomenti va però obiettato che, come poc’anzi osservato (supra, 3.1.3.), i due profili non sono affatto agevolmente distinguibili: un provvedimento che disponga l’interruzione dell’attività produttiva di uno stabilimento o di un impianto sottoposto a sequestro incide in profondità sullo stesso vincolo cautelare, per ciò stesso modificandolo. Senza contare la possibilità che il provvedimento, anziché autorizzare in toto la prosecuzione dell’attività, la autorizzi soltanto parzialmente ovvero – come prospettato durante la discussione in udienza – con riferimento soltanto a taluni degli impianti o stabilimenti, e non ad altri. Ciò vale a marcare una chiara differenza dell’ipotesi ora all’esame rispetto a quella – menzionata da Sonatrach raffineria italiana srl nelle sue difese, e peraltro del tutto eccezionale nel sistema – in cui è ammessa impugnazione innanzi a diversi giudici contro le statuizioni relative alle misure di sicurezza personali e a quelle, affatto eterogenee, concernenti il risarcimento del danno.
In definitiva, la disposizione censurata consente che si svolgano giudizi di appello paralleli, innanzi a diversi tribunali, aventi a oggetto i medesimi stabilimenti o impianti di interesse strategico nazionale. Con conseguente pregiudizio non solo rispetto alla finalità, perseguita dal legislatore, di garantire l’uniformità degli indirizzi interpretativi in materia e la specializzazione dell’organo giudicante, ma anche rispetto all’esigenza di garantire, nell’immediato, decisioni tra loro coerenti rispetto al singolo procedimento cautelare avviato con il sequestro di un determinato impianto o stabilimento.
Il che integra, ad avviso di questa Corte, un ulteriore vizio di manifesta irragionevolezza della disciplina censurata.
4.4.– Da tutto ciò consegue l’illegittimità costituzionale del secondo periodo della disposizione censurata («Sull’appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.»), per violazione dell’art. 3 Cost.
Resta pertanto in vigore il primo periodo, non censurato in questa sede, che estende la legittimazione attiva a proporre appello cautelare ai soggetti istituzionali ivi menzionati, in presenza delle condizioni indicate dalla disposizione all’esame.
Rientra altresì nella discrezionalità del legislatore la possibilità di accentrare la competenza nel rispetto dei principi sin qui richiamati.