<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 24 Settembre 2019, n. 38954/19</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Per le SSUU, chi sia stato reso destinatario di un provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art.131-bis c.p. vedrà tale provvedimento iscritto nel casellario giudiziale, ma ad esclusivo “<em>uso e consumo</em>” del circuito giudiziario: solo altri giudici penali – se del caso chiamati ad accertare la c.d. “<em>serialità ostativa</em>” (in presenza di una abitualità nel reato, il beneficio della non punibilità per particolare tenuità del fatto non potrà infatti più essere accordato, anche al cospetto di precedenti provvedimenti “<em>non definitivi</em>”) – saranno dunque nelle condizioni di rintracciare il pertinente “<em>precedente</em>”, proprio giusta consultazione del casellario giudiziale.</p> <p style="text-align: justify;">Diversa la posizione dei terzi interessati, ed in particolare dei datori di lavoro e delle Pubbliche Amministrazioni, che non troveranno invece menzione dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto nei certificati del casellario giudiziale rilasciati su loro richiesta.</p> <p style="text-align: justify;">(gb)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong><em>: il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: "</em>Se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. debba essere iscritto nel casellario giudiziale, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, come modificato dall'art. 4 ci. Igs. 16 marzo 2015, n. 28<em>".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Prima di esaminare gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sulla questione oggetto di remissione, è opportuno ricostruire, brevemente, il quadro normativo di riferimento e la relativa evoluzione, per quanto di interesse ai fini della soluzione della questione proposta. La vigente regolamentazione del casellario giudiziale è stata introdotta dal d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, d'ora innanzi "</em>Testo Unico<em>"), il quale ha sostituito, rendendola organica, la disciplina precedentemente contenuta nel codice di rito e nel R.D. 18 giugno 1931, n. 778. Nel nuovo sistema sono peraltro confluite banche dati diverse, tra cui appunto quella del casellario giudiziale, oggi definito dall'art. 2, lettera a) del Testo Unico (come modificato dal d.lgs. 12 maggio 2016, n. 74) come il «</em>registro nazionale che contiene l'insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati<em>». Il catalogo dei provvedimenti di cui è disposta l'iscrizione nel casellario giudiziale è contenuto nell'art. 3, comma 1 del citato decreto. Catalogo che è stato ripetutamente modificato da successivi interventi normativi, i quali ne hanno ora ampliato (ad esempio inserendo i provvedimenti concernenti la messa alla prova dell'imputato) ed ora ridotto (escludendo quelli in materia di fallimento) l'estensione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla lettera f) dell'elenco contenuto nel richiamato comma, in origine dedicata esclusivamente ai provvedimenti definitivi di proscioglimento o di non luogo a procedere per difetto di imputabilità ed a quelli applicativi di una misura di sicurezza, il d. Igs. 16 marzo 2015, n. 28 ha introdotto il riferimento ai provvedimenti con i quali viene dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., istituto configurato dal medesimo decreto. Sotto il profilo della tecnica normativa, il legislatore si è limitato a tal fine ad aggiungere alla disposizione in questione un periodo contenente tale riferimento, collegato a quello preesistente mediante una virgola e la congiunzione "</em>nonché<em>". Il citato d.lgs. n. 28 del 2015 ha peraltro modificato anche altre disposizioni del Testo Unico. In particolare, all'art. 5, comma 2, dopo la lettera d), è stata inserita la lettera d -bis), al fine di estendere la disciplina dell'eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto trascorsi dieci anni dalla loro pronunzia. Nell'art. 24, comma 1, e nell'art. 25, comma, 1, è stata aggiunta invece la lettera f-bis), prevedendo in entrambi i casi la non menzione dei suddetti provvedimenti giudiziari, rispettivamente, nel certificato generale ed in quello penale rilasciati a richiesta dell'interessato. Le due disposizioni menzionate da ultime definiscono peraltro anche il contenuto dei certificati rilasciati, ai sensi dell'art. 25-bis e 28 del Testo Unico, a richiesta, rispettivamente, dei datori di lavoro e delle pubbliche amministrazioni, per come previsto dagli articoli da ultimo richiamati. Infine, per desiderio di completezza, è opportuno ricordare che l'art. 1, comma 18, legge 23 giugno 2017, n. 103, ha conferito delega al Governo per l'ulteriore revisione dello statuto del casellario giudiziale, prevedendo in particolare, tra i criteri ed i principi direttivi, l'eliminazione dell'iscrizione dei provvedimenti applicativi della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e l'attribuzione al pubblico ministero del compito di verificare, prima che venga emesso il provvedimento, che il fatto addebitato sia occasionale. La delega è stata attuata dal d. Lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103), ma non sul punto specifico (ed in proposito la Relazione illustrativa si limita ad evidenziare la volontà del legislatore delegato di non dare seguito alla direttiva, senza però precisare le ragioni di tale scelta). Il menzionato decreto ha invece eliminato la tradizionale dicotomia tra certificato generale e certificato penale del casellario, abrogando, tra l'altro e con effetto dal 26 ottobre 2019, l'art. 25 del d.P.R. n. 313 del 2002. La novella non ha però inciso sul contenuto del certificato unico che verrà rilasciato a partire dalla data menzionata all'interessato ed al datore di lavoro, che rimane quello stabilito dall'art. 24 comma 1 del Testo Unico per il certificato generale, con esclusione dunque, come si è detto, della menzione dei provvedimenti adottati in riferimento all'art. 131-bis cod. pen. Per quanto riguarda il certificato destinato alle pubbliche amministrazioni, il d. Igs. n. 122 del 2018 ha riformulato l'art. 28 del Testo Unico, il quale ora contiene una autonoma disciplina secondo cui alle stesse viene rilasciato, a secondo delle necessità, un certificato generale ovvero un certificato "</em>selettivo<em>", ma, al comma 7 del citato articolo, viene espressamente previsto che entrambi non debbano fare menzione dei provvedimenti giudiziari che dichiarino la non punibilità per particolare tenuità del fatto, esattamente come nel caso dei certificati rilasciati all'interessato ed ai privati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In ordine al significato della illustrata modifica apportata all'art. 3, comma 1, lettera f) del Testo Unico è insorto solo di recente un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Ed infatti, fino alla pronunzia della sentenza Serra del 2017 menzionata nell'ordinanza di remissione, le Sezioni semplici hanno costantemente negato che i provvedimenti di archiviazione adottati in riferimento all'art. 131-bis cod. pen. potessero essere iscritti nel casellario giudiziale. La questione è stata affrontata in relazione all'eventuale interesse dell'indagato a ricorrere avverso il provvedimento di archiviazione adottato ai sensi dell'art. 411, comma 1 -bis, cod. proc. pen. per ragioni diverse dalla violazione del diritto al contraddittorio in forza della relativa vocazione ad essere, per l'appunto, iscritto nel casellario giudiziale. Interesse che è stato ritenuto insussistente in ragione dell'esclusione di qualsivoglia pregiudizio per l'indagato in conseguenza dell'adozione del suddetto provvedimento ed in particolare della possibilità che lo stesso sia oggetto di iscrizione. Nell'affermare il principio, Sez. 3, n. 30685 del 26/01/2017, Vanzo, Rv. 270247 ha evidenziato come l'applicazione dell'art. 131-bis, cod. pen. presupponga l'accertamento della responsabilità dell'indagato per il fatto reato contestato e come pertanto dovrebbe dubitarsi della compatibilità costituzionale e convenzionale della disposizione relativa all'archiviazione per particolare tenuità del fatto qualora tale provvedimento effettivamente determinasse un effetto pregiudizievole quale quello dell'iscrizione nel casellario, posto che all'interessato non viene attribuita la possibilità di rinunziare alla causa di non punibilità ovvero di impugnare il merito della decisione dinanzi ad una giurisdizione superiore. Nel respingere i dubbi sulla legittimità costituzionale della relativa disciplina sollevati dal ricorrente, Sez. 5, n. 3817 del 15/01/2018, Pisani, Rv. 272282 giustifica l'esclusione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto dal novero di quelli iscrivibili anche e soprattutto in ragione della natura non definitiva del medesimo, argomentando in tal senso dalla possibilità per il pubblico ministero di ottenere la riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen. Secondo la pronunzia in esame, tale natura assume valore dirimente, giacchè il tenore testuale dell'art. 3, comma 1, lettera f). d. Igs. n. 313 del 2002 indicherebbe come, in tema di difetto di imputabilità, di misure di sicurezza e, per l'appunto, di non punibilità per particolare tenuità del fatto, i provvedimenti di cui è prevista l'iscrizione sarebbero solo quelli definitivi. Anche Sez. 1, n. 31600 del 25/06/2018, Matarrese, Rv. 273523, ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse l'impugnazione avverso il provvedimento di archiviazione argomentando dalla non definitività dello stesso.La sentenza Matarrese si segnala peraltro per aver invece accolto il ricorso nella parte in cui con il medesimo era stata dedotta anche l'illegittimità dell'ordine di iscrizione nel casellario contestualmente adottato nel caso di specie dal G.i.p. In proposito viene rilevato come quest'ultimo sia provvedimento autonomo rispetto a quello di archiviazione, la cui adozione è però di competenza esclusiva dell'ufficio del casellario e non spetta pertanto al giudice della cognizione. Sempre nel senso di escludere che il provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto sia soggetto ad iscrizione, in quanto non definitivo e perchè tale iscrizione si risolverebbe in una violazione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati dell'indagato si sono espresse anche Sez. 3, n. 45601 del 27 giugno 2017, Benetti; Sez. 3, n. 46379 del 26 giugno 2017, Gobbo; Sez. 3, n. 47832 del 3 novembre 2016, dep. 2017, Rinaldi; Sez. 1, n. 53618 del 27 settembre 2017, Di Lauro.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>All'oramai consolidato orientamento testé illustrato si è recentemente contrapposta Sez. V, n. 40293 del 15 giugno 2017, Serra, Rv. 271010. In realtà tale pronunzia ha affrontato la questione oggetto di remissione in via incidentale, all'esclusivo fine di ribadire il principio, poi massimato, per cui il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma 1, cod. proc. pen., è nullo se emesso senza l'osservanza della speciale procedura prevista al comma 1-bis di detta norma, non essendo le disposizioni generali contenute negli artt. 408 e ss. del codice di rito idonee a garantire il necessario contraddittorio sulla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen. In motivazione la sentenza Serra osserva però come l'instaurazione del contraddittorio con l'indagato nelle forme previste dalla disposizione sopra richiamata sia condizione ineludibile per la validità del provvedimento di archiviazione in quanto quest'ultimo non è completamente liberatorio, essendo destinato ad essere iscritto nel casellario giudiziale in virtù di quanto disposto dall'art. 4 d. Igs. n. 28 del 2015. Nonostante la natura meramente assertiva di tale affermazione, appare evidente che la stessa presupponga una interpretazione del significato della modifica apportata all'art. 3, comma 1, lettera f) del d.P.R. n. 313 del 2002 dall'intervento normativo citato dalla sentenza diametralmente opposta a quella adottata dalle pronunzie che si inseriscono nell'orientamento maggioritario, dando così vita al segnalato contrasto, ancorchè l'articolazione delle argomentazioni poste a sostegno della posizione minoritaria è in definitiva imputabile all'ordinanza di remissione, il cui contenuto è stato illustrato in precedenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va peraltro ricordato come, antecedentemente alla pronunzia della sentenza Serra, sulla questione oggetto del rilevato contrasto già si sono pronunziate le Sezioni Unite, sebbene in via incidentale. Nello stabilire l'ambito applicativo dell'art. 131-bis cod. pen., Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, Rv. 266591 hanno infatti ricordato come lo stesso sia definito non solo dalla gravità del reato desunta dalla pena edittale, ma anche dal profilo soggettivo afferente alla non abitualità del comportamento, per come definito dal terzo comma dell'art. 131-bis cod. pen. In proposito la sentenza Tushaj ha precisato che il testo della legge lascia subito intendere che il requisito dell'abitualità è frutto del sottosistema generato dalla riforma e che al relativo interno deve essere letto. Muovendosi all'interno di tale logica, evidenzia che «</em>sarebbe dunque fuorviante riferirsi esclusivamente alle categorie tradizionali, come quelle della condanna e della recidiva<em>» per stabilire quando il comportamento deve ritenersi abituale. Ed in tal senso viene, pertanto, definito l'ambito operativo della norma in questione, affermandosi che «</em>la norma intende escludere dall'ambito della particolare tenuità del fatto comportamenti "seriali"»,<em> come rivela il riferimento operato dalla disposizione succitata agli istituti codicistici del delinquente abituale, professionale e per tendenza. In tale ottica per le Sezioni Unite deve quindi ritenersi fondamentale il riferimento che sempre il terzo comma dell'art. 131-bis opera alla commissione di "</em>più reati della stessa indole<em>". Sicché l'abitualità ostativa può concretarsi «</em>non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l'esistenza<em>». A questo punto la sentenza Tushaj si è posta il problema della rilevanza, ai fini della valutazione della non abitualità del comportamento, degli eventuali altri reati commessi dal medesimo autore e ritenuti non punibili ai sensi dell'art. 131- bis cod. pen., sul presupposto che il relativo provvedimento deve essere «</em>iscritto nel casellario<em>». Iscrizione che per le Sezioni Unite è ineludibile in ragione della considerazione per cui «</em>la procedura di memorizzazione delle pronunzie adottate per tenuità dell'offesa costituisce strumento essenziale per la stessa razionalità ed utilità dell'istituto<em>», mentre «</em>l'assenza di annotazione determinerebbe, incongruamente, la possibilità di concessione della non punibilità molte volte nei confronti della stessa persona<em>». Né tale annotazione costituirebbe «</em>un vulnus a diritti fondamentali, quando l'accertamento dell'esistenza del reato implicato in tale genere di pronunzia non sia avvenuto all'esito del giudizio<em>». Per la sentenza Tushaj «</em>tali perplessità non tengono conto del fatto che l'annotazione è l'antidoto indispensabile contro l'abuso dell'istituto<em>», mentre «</em>se questo è il trasparente scopo della previsione, non si scorge per quale ragione chi abbia fruito del beneficio all'esito di una procedura che lo ha personalmente coinvolto, possa dolersi della discussa annotazione<em>». La paventata lesione dei diritti dell'interessato è peraltro esclusa dal fatto che «</em>la trascrizione della decisione serve e rileva solo all'interno del sottosistema di cui ci si occupa<em>». Conseguendone pertanto che «</em>il rilievo dell'accertamento in ordine all'esistenza dell'illecito implicato dalla dichiarazione di non punibilità è allora esattamente e solo quello di costituire un "reato" che, sommato agli altri della stessa indole richiesti dalla legge nei termini di cui si è detto, dà luogo alla legale abitualità del comportamento<em>» e che «</em>nella valutazione complessiva afferente al giudizio di abitualità ben potranno essere congiuntamente considerati reati oggetto di giudizio ed illeciti accertati per così dire incidentalmente ex art. 131-bis<em>». In definitiva, secondo la pronunzia delle Sezioni Unite in esame, il requisito del comportamento abituale esige un contesto che consenta la conoscibilità del nesso di serialità e conseguentemente la concretezza e l'immediata operatività dell'effetto ostativo. Effetti questi ultimi, possibili soltanto con la memorizzazione dei provvedimenti di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., ancorché non definitivi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In sintonia e continuità con la linea interpretativa tracciata dalla sentenza Tushaj, il Collegio ritiene che l'orientamento per cui i provvedimenti di archiviazione per particolare tenuità del fatto non debbano essere iscritti nel casellario giudiziario non possa essere condiviso e che il principio, pur apoditticamente affermato, dalla sentenza Serra sia invece corretto. Il percorso logico-sistematico sviluppato nella citata pronunzia delle Sezioni Unite - peraltro sostanzialmente ignorato da quelle che si riconoscono, invece, nell'orientamento che si intende disattendere - non solo appare condivisibile, in quanto coerente alla ratio dell'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen., ma risulta altresì confortato da una serie di indici normativi e sistematici ulteriori rispetto a quelli evidenziati dalla stessa sentenza Tushaj. In tal senso va innanzi tutto osservato che il tenore testuale della lettera f) dell'art. 3, comma 1, del Testo Unico, per come modificata dal d. Igs. n. 28 del 2015, non è univocamente interpretabile nel senso per cui esclusivamente i provvedimenti definitivi che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. sono destinati all'iscrizione nel casellario. Infatti la locuzione «</em>nonché quelli<em>», che introduce l'ampliamento dell'originario catalogo definito dalla citata disposizione, è certamente riferita ai «</em>provvedimenti giudiziari<em>» menzionati nella prima parte della stessa, ma non anche necessariamente alla loro qualificazione come «</em>definitivi<em>». E ciò a maggior ragione se si pensa che nel Testo Unico vengono utilizzate le distinte espressioni «</em>provvedimenti giudiziari<em>» e «</em>provvedimenti giudiziari definitivi<em>» secondo il significato tipico loro attribuito dall'art. 2 lettere f) e g) dello stesso; circostanza idonea a legittimare l'opinione per cui, qualora il legislatore avesse voluto effettivamente evocare solo i provvedimenti definitivi in tema di tenuità del fatto, avrebbe più coerentemente fatto ricorso alla locuzione «</em>nonché quelli definitivi<em>» e non già a quella effettivamente dispiegata. In definitiva, il dato testuale presenta tratti di indubbia ambiguità che non consentono di estrarre con la necessaria certezza il significato della disposizione affidandosi esclusivamente all'interpretazione letterale, che necessita pertanto di essere integrata ricorrendo ad altri strumenti ermeneutici.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Un primo elemento idoneo a definire l'effettiva estensione dell'obbligo di registrazione dei provvedimenti riguardanti la non punibilità per tenuità del fatto è ricavabile dalla ricostruzione della volontà storica del legislatore, questa sì univocamente rivelatasi nella Relazione ministeriale allo schema del d. Igs. del 2015, dove espressamente si afferma «</em>la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto d'archiviazione<em>» ed ancor più specificamente si precisa, ad illustrazione delle modifiche apportate al Testo Unico, che «</em>il requisito della "non abitualità" del comportamento<em> (....) </em>impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tali causa<em>». La Relazione, in definitiva, evidenzia - negli stessi termini poi ribaditi dalla sentenza Tushaj - l'intimo ed irrinunciabile collegamento esistente tra la memorizzazione di tutti i provvedimenti che hanno applicato il nuovo istituto e l'effettiva operatività della condizione di non abitualità del comportamento. E proprio in tal senso, tra l'altro, il documento in questione giustifica la scelta di configurare, al comma 1 -bis dell'art. 411 cod. proc. pen., una speciale procedura che prevede la garanzia per l'indagato di accedere al contraddittorio qualora l'archiviazione venga richiesta in riferimento allo stesso art. 131-bis. Condizione che presuppone, ai sensi del comma 3 dell'art. 131-bis cod. pen., anche la considerazione dei pregressi reati della stessa indole commessi dall'autore. Come già ricordato dalla sentenza Tushaj, è peraltro significativo che la disposizione richiamata, nel definire la serialità ostativa, faccia riferimento ai "</em>reati<em>" commessi e non alle "</em>condanne<em>" subite ed imponga la valutazione anche dei fatti ritenuti di particolare tenuità. Ne deriva l'evidente esigenza di consentire al giudice del nuovo reato, perché possa rispettare il dettato normativo, di conoscere anche i provvedimenti, comunque adottati, che hanno riconosciuto la causa di non punibilità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Un secondo e decisivo elemento in favore dell'iscrizione dei provvedimenti di archiviazione è poi ritraibile dalle altre modifiche apportate dal d. Igs. n. 28 del 2015 al Testo Unico. Come illustrato in precedenza, la novella è intervenuta anche sulle disposizioni (artt. 24 e 25) che stabiliscono il contenuto dei certificati del casellario, vietando che gli stessi menzionino i «</em>provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale<em>» ed ha esteso agli stessi provvedimenti l'obbligo di eliminazione delle iscrizioni (previsto dall'art. 5 del Testo Unico) trascorsi dieci anni dalla loro pronunzia. Si è già ricordato, però, come, nel Testo Unico, le espressioni «</em>provvedimenti giudiziari<em>» e «</em>provvedimenti giudiziari definitivi<em>» abbiano un significato autonomo e tipico, in quanto tassativamente definito dall'art. 2. Disposizione per la quale i primi sono «</em>la sentenza, il decreto penale e ogni altro provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria<em>», mentre i secondi sono i provvedimenti divenuti irrevocabili o, comunque, non più soggetti ad impugnazione «</em>con gli strumenti diversi dalla revocazione<em>». E' dunque evidente che le descritte modifiche apportate nel 2015 - nell'evocare i "</em>provvedimenti giudiziari<em>" e non solo quelli "</em>definitivi<em>" - presuppongono l'avvenuta iscrizione nel casellario di tutti i provvedimenti concernenti la particolare tenuità del fatto, compresi quelli di archiviazione, dissolvendo così l'ambiguità del periodo aggiunto dalla stessa novella all'art. 3, comma 1, lettera f) del Testo Unico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Stabilito dunque che la disposizione da ultima richiamata impone l'iscrizione nel casellario non solo dei provvedimenti definitivi che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., è necessario affrontare le riserve sulla compatibilità costituzionale e convenzionale di tali conclusioni avanzate dalle pronunzie che hanno dato vita all'orientamento qui disatteso e che hanno portato le pronunzie che vi si riconoscono a concludere per una lettura più restrittiva della lettera f) dell'art. 3, comma 1, del Testo Unico. In proposito è agevole evidenziare come alcuna lesione dell'art. 24 Cost. è prospettabile, nella misura in cui la speciale disciplina prevista dal comma 1-bis dell'art. 411 cod. proc. pen. consente all'indagato di dispiegare le proprie difese dinanzi al giudice investito della richiesta di archiviazione per tenuità del fatto. Nemmeno appaiono condivisibili i dubbi - sviluppati soprattutto nella sentenza Vanzo - in merito alla presunta incompatibilità dell'iscrizione con l'art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Innanzitutto tali dubbi non appaiono formulati nella misura in cui imputano all'iscrizione del provvedimento di archiviazione la lesione del suindicato diritto, quando, semmai, questa deriverebbe dall'obbligo di considerare, ai fini della valutazione della non abitualità del comportamento, anche i reati dichiarati non punibili anticipatamente. E' infatti agevole sostenere che, anche qualora non si procedesse alla registrazione nel casellario di tali decisioni, il giudice dovrebbe tenerne conto ai sensi del terzo comma dell'art. 131-bis cod. pen. se comunque documentate agli atti, a meno di non voler escludere che tale disposizione riguardi i reati della stessa indole per i quali la tenuità del fatto è stata dichiarata al di fuori del giudizio. Conclusione che finirebbe per compromettere in radice le finalità deflattive e di rapida espulsione dell'autore di fatti bagatellari dal circuito giudiziario - con il conseguente risparmio dei costi di varia natura che l'accesso alla fase processuale gli comporta - che l'anticipazione della pronunzia liberatoria intende perseguire, posto che il pubblico ministero, per evitare i già segnalati possibili abusi dell'istituto, difficilmente rinuncerebbe in tal caso ad esercitare comunque l'azione penale allo scopo di vedere adottato un provvedimento sicuramente assoggettabile ad iscrizione. Non di meno, va ricordato che la citata disposizione sovranazionale configura il diritto di riesame presso una giurisdizione superiore esclusivamente in riferimento alle dichiarazioni di colpevolezza od alle condanne. Deve però escludersi che la valutazione pregiudiziale sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all'indagato compiuta in sede di archiviazione costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza nel senso inteso da tale disposizione, avvenendo in una fase anteriore al giudizio. Conclusione peraltro confortata dal fatto che il provvedimento di archiviazione non produce gli effetti invece riservati dall'art. 651-bis cod. proc. pen. alle dichiarazioni giudiziali dell'esimente. Né l'iscrizione in sé considerata può essere ritenuta un effettivo pregiudizio che l'indagato ha un reale interesse ad evitare. La più volte ricordata esclusione dei provvedimenti che dichiarano la non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. dalle certificazioni del casellario, rende infatti evidente come l'iscrizione assolva esclusivamente a quella funzione di memorizzazione della loro adozione destinata, come già evidenziato dalla sentenza Tushaj, ad esplicare i propri effetti soltanto nell'ambito del sottosistema definito dalla disposizione da ultima richiamata ed all'interno del circuito giudiziario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In conclusione, a risoluzione del contrasto prospettato dai giudici remittenti, deve essere affermato il seguente principio di diritto: «Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione». </em></p>