<p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 17 aprile 2019 n. 88</strong></p> <p style="text-align: justify;">La disposizione nel caso di specie censurata prevede che: «Quando ricorrono le circostanze aggravanti di cui agli articoli 589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 589-ter, 590-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 590-ter, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti»; tale disposizione è stata inserita dall’art. 1, comma 2, della legge n. 41 del 2016, che ha sostituito l’originario art. 590-bis cod. pen. con gli attuali articoli da 590-bis a 590-quinquies cod. pen., a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 8, della medesima legge, ed assegna alle aggravanti ad effetto speciale dei due nuovi reati – omicidio stradale (art. 589-bis cod. pen.) e lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis cod. pen.) – un regime particolare: l’esclusione dal giudizio di comparazione tra circostanze previsto in generale dall’art. 69 cod. pen. Invero, nell’originaria formulazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. (ante 1974) questo particolare regime di esclusione accomunava tutte le circostanze aggravanti (in realtà, anche quelle attenuanti), per le quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (cosiddette circostanze a effetto speciale); apparteneva alla discrezionalità del legislatore, che intendesse dare particolare rilievo ad una circostanza del reato, conformarla come circostanza ad effetto speciale; in tal caso non si sarebbe posta l’esigenza di comparazione con le circostanze attenuanti, che avrebbero operato dopo quelle ad effetto speciale. Questa generale fattispecie di esclusione della comparazione delle circostanze è venuta meno nel 1974 (decreto-legge 11 aprile 1974 n. 99, recante «Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale», convertito, con modificazioni, in legge 7 giugno 1974, n. 220) con la riformulazione del quarto comma dell’art. 69 cod. pen. in termini diametralmente opposti. Si prevedeva infatti che il regime del bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti si applicasse anche a qualsiasi circostanza per la quale la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato; il legislatore però ben presto ha sentito la necessità, per alcune aggravanti solitamente qualificate come “privilegiate”, di reintrodurre in modo mirato l’esclusione della comparazione tra circostanze per perseguire una politica di più rigoroso contrasto di alcune condotte delittuose: un’ipotesi che è venuta all’esame della Corte è stata l’aggravante prevista dall’art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 6 febbraio 1980, n. 15, per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, e quelle contemplate per il nuovo reato previsto dall’art. 280 cod. pen. (attentato per finalità terroristiche o di eversione); con due pronunce quasi coeve (sentenze n. 38 e n. 194 del 1985) la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’una e dell’altra disposizione accedendo a un’interpretazione adeguatrice secondo cui il giudice poteva sì tener conto delle attenuanti, ma solo dopo aver calcolato l’aggravamento di pena per la circostanza aggravante privilegiata (ciò che il giudice rimettente riteneva non fosse possibile fare); ha affermato in particolare la Corte (sentenza n. 38 del 1985) che «[n]ell’art. 69 cod. pen., infatti, l’obbligatorietà del giudizio di bilanciamento ha una sua razionalità nell’essenza stessa di quella valutazione, che è giudizio di valore globale del fatto»; ma il legislatore può sospendere l’applicazione dell’art. 69 cod. pen., togliendo al giudice il potere discrezionale di operare il bilanciamento a compensazione delle aggravanti o a favore delle attenuanti in un’ottica di inasprimento sanzionatorio; si tratta di una «grave limitazione» che in sé non è illegittima, ma non può accompagnarsi anche alla irrilevanza ex lege delle circostanze attenuanti; con questa limitazione, si è quindi riconosciuto che appartiene alla discrezionalità del legislatore introdurre speciali ipotesi di circostanze aggravanti privilegiate che sono sottratte al bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen. In seguito numerose sono state le disposizioni che, in riferimento a particolari reati, hanno previsto aggravanti speciali sottratte alla comparazione dell’art. 69 cod. pen., tra le quali spicca l’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa (art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, recante «Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa», convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203); qesta clausola di esclusione della comparazione è oggi prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. (Circostanze aggravanti e attenuanti per reati connessi ad attività mafiose) articolo inserito dall’art. 5, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1º marzo 2018, n. 21, recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103» che stabilisce, al secondo comma, che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma della medesima disposizione, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante. I quarto comma dell’art. 69 cod. pen. è stato in seguito novellato introducendo un’eccezione di carattere generale al bilanciamento delle circostanze, ma solo come divieto di prevalenza delle attenuanti. L’art. 3, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), ha così riformulato il quarto comma dell’art. 69 cod. pen.: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato». Ancora più recentemente l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 21 del 2018 ha introdotto l’art. 69-bis cod. pen. che prevede per i delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6) del codice di procedura penale un generale divieto di bilanciamento di circostanze aggravanti e attenuanti nell’ipotesi in cui chi ha determinato altri a commettere il reato, o si è avvalso di altri nella commissione del delitto, ne è il genitore esercente la responsabilità genitoriale ovvero il fratello o la sorella e che le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.</p> <p style="text-align: justify;">Il contesto normativo vigente prevede plurime ipotesi di divieto di bilanciamento tra circostanze aggravanti “privilegiate” e circostanze attenuanti, ed in esso si inserisce la disposizione censurata che contempla analogo divieto con riferimento alle circostanze aggravanti di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, sia dell’art. 589-bis (omicidio stradale), sia dell’art. 590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) cod. pen.; tale divieto segna un marcato irrigidimento della disciplina di contrasto di tali condotte lesive del bene della vita e dell’integrità fisica delle persone. Per lungo tempo l’omicidio stradale e le lesioni personali stradali gravi o gravissime hanno costituito solo ipotesi circostanziate dei corrispondenti reati comuni; già l’art. 1 della legge 11 maggio 1966, n. 296, recante «Modifiche degli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) del codice penale», nel riformulare l’art. 589 cod. pen. (omicidio colposo), prevedeva il fatto commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, limitandosi ad aumentare il minimo della pena dell’omicidio colposo (da sei mesi di reclusione ad un anno); e parimenti il successivo art. 2 prevedeva distintamente la condotta di lesioni personali colpose gravi e gravissime con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Solo nel 2006 (legge 21 febbraio 2006, n. 102, recante «Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali») c’è stato un primo deciso inasprimento delle pene con la riformulazione del secondo comma dell’art. 589 cod. pen. e del terzo comma dell’art. 590 cod. pen.: in particolare, la pena per l’omicidio colposo per violazione delle norme sulla circolazione stradale è stata elevata nel minimo (da uno a due anni di reclusione) con il limite massimo di cinque anni di reclusione. È seguito nel 2008 (decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125) un ulteriore inasprimento delle pene e, soprattutto, è stato introdotto per la prima volta – nell’art. 590-bis cod. pen. – il divieto di bilanciamento delle circostanze aggravanti “privilegiate” con le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen.: in particolare, vengono contemplate nuove aggravanti a effetto speciale; nel novellato art. 589 cod. pen. si prevede, nel comma 3, che si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, o da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope; analoga aggravante viene introdotta nell’art. 590, comma 3, cod. pen. nel caso di lesioni personali gravi o gravissime. Ma ciò che maggiormente rileva al fine del presente giudizio di legittimità costituzionale è l’art. 590-bis cod. pen. sul computo delle circostanze dei due reati; disposizione questa che, anticipando negli stessi termini quella attualmente censurata, già prevedeva: «Quando ricorre la circostanza di cui all’articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all’articolo 590, terzo comma, ultimo periodo, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti». In seguito, l’allarme sociale suscitato dal ricorrente fenomeno delle “vittime della strada” – alcune migliaia di morti sull’asfalto ogni anno e ancor di più feriti in modo grave o gravissimo – ha indotto il legislatore, con la legge n. 41 del 2016, a fare un salto di livello nell’azione di contrasto di condotte gravemente colpevoli nella guida di veicoli a motore: si abbandona la fattispecie del mero reato circostanziato e si introducono due nuovi reati speciali – omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime – accompagnati, in parallelismo, da plurime aggravanti “privilegiate” in quanto presidiate dalla clausola di esclusione della comparazione con le attenuanti (art. 590-quater cod. pen.), che ripete, con un ambito più ampio, l’analoga regola posta in precedenza dall’art. 590-bis cod. pen.; al legislatore però non è sfuggito che possono esserci condotte che, seppur legate con nesso di causalità all’evento dannoso (sia morte, sia lesioni gravi o gravissime), possono in concreto avere un’efficienza causale non esclusiva; per moderare il notevole maggior rigore della risposta sanzionatoria il legislatore ha introdotto – nel settimo comma sia dell’art. 589-bis che dell’art. 590-bis cod. pen. – un’inedita attenuante ad effetto speciale del tutto particolare perché attiene all’efficienza causale e che vale – in via eccezionale – a derogare al principio dell’equivalenza delle concause (art. 41 cod. pen.); si tratta di un’attenuante tutt’affatto speciale nel panorama delle circostanze del reato proprio perché afferisce al rapporto causale retto dal generale principio dell’equivalenza delle cause (art. 41 cod. pen.), che vuole che il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento; e ciò è vero anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui; nei reati puniti a titolo di colpa l’eventuale concorso della colpa della parte offesa non solo non esclude né interrompe il rapporto di causalità, ma neppure vale come circostanza attenuante, bensì può essere tenuta in conto dal giudice, sotto il profilo della modalità della condotta del colpevole, nella graduazione della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. Costituisce, invece, circostanza attenuante comune solo l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa (art. 62, primo comma, numero 5, cod. pen.); ciò che è ben diverso dal concorso del fatto colposo della parte offesa che invece – sia detto incidentalmente – rileva sul piano civilistico del risarcimento del danno (artt. 2056 e 1227 del codice civile). Solo in caso di cooperazione colposa (art. 113 cod. pen.) può venire in rilievo la «minima importanza» dell’apporto del concorrente come circostanza attenuante (ex art. 114 cod. pen.), la quale – in caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali – è espressamente sottratta al divieto di bilanciamento previsto dall’art. 590-quater cod. pen. Il legislatore del 2016, nel creare due reati colposi di nuovo conio (artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.), che in precedenza per lungo tempo avevano costituito invece reati comuni aggravati dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, li ha accompagnati con la contestuale introduzione di questa attenuante che non solo è a effetto speciale, ma ha anche un contenuto marcatamente diverso da quello delle circostanze attenuanti comuni, il relativo presupposto essendo dato dal carattere non esclusivo dell’efficienza causale della condotta dell’imputato; circostanza che ricade nel divieto di bilanciamento posto dalla disposizione censurata diversamente dalla circostanza attenuante dell’apporto di «minima importanza» del concorrente nella cooperazione colposa.</p> <p style="text-align: justify;">Quanto all’ambito e alla portata del divieto di bilanciamento delle circostanze del reato, previsto dalla disposizione oggi oggetto di scrutinio, è preliminare all’esame del merito delle censure prospettate dai giudici rimettenti l’esatta delimitazione – nel contesto del quadro normativo di riferimento come sopra sommariamente descritto – del perimetro delle questioni di costituzionalità. Pur censurando entrambi i rimettenti la speciale preclusione del bilanciamento delle circostanze privilegiate sia nell’omicidio stradale che nelle lesioni personali stradali gravi o gravissime, recata dalla disposizione oggetto di scrutinio, essi non pongono in dubbio la legittimità della scelta del legislatore del 2016 di assegnare alle circostanze aggravanti a effetto speciale, sia dell’art. 589-bis sia dell’art. 590-bis cod. pen., il particolare regime, certamente di rigore, previsto dall’art. 590-quater cod. pen. che replica la stessa disciplina derogatoria dell’ordinario bilanciamento delle circostanze, anche a effetto speciale, ai sensi dell’art. 69 cod. pen., già prevista dal previgente art. 590-bis.; nessuna questione di costituzionalità è attualmente posta con tale ampiezza con riferimento all’art. 590-quater cod. pen., così come in passato nessuna questione è stata sollevata con riferimento al simmetrico art. 590-bis cod. pen. nel testo precedente la legge n. 41 del 2016. Entrambi i giudici rimettenti sollevano invece una questione di costituzionalità più specifica che può porsi solo con riferimento al riformulato quadro normativo a seguito della riforma del 2016 perché il divieto di bilanciamento è censurato unicamente in riferimento all’attenuante a effetto speciale del settimo comma dell’art. 589-bis e del simmetrico (e di identico contenuto) settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen.: la circostanza – ignota al richiamato quadro normativo prima della riforma del 2016 – che ha come presupposto essere la condotta dell’imputato la causa non esclusiva dell’evento. Il divieto di bilanciamento è poi censurato, rispettivamente, a due aggravanti specifiche: per l’omicidio stradale, l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen. (guida in stato di ebbrezza alcoolica); per le lesioni personali stradali, l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen. (attraversamento di un’intersezione stradale quando il semaforo proietta luce rossa per i veicoli). Questa limitazione delle questioni di costituzionalità è peraltro pienamente aderente all’oggetto dei giudizi a quibus perché – come si è già posto in rilievo – entrambi i giudici rimettenti si confrontano con due reati colposi in cui, ricorrendo il concorso di colpa della parte offesa, la condotta dell’imputato appare essere causa non esclusiva dell’evento; nella fattispecie delle lesioni personali stradali, aggravate dall’inosservanza dell’indicazione semaforica, il Tribunale ordinario di Torino riferisce che il pedone investito aveva attraversato la strada nonostante il semaforo proiettasse luce rossa per i pedoni; nella fattispecie dell’omicidio stradale, aggravato dalla guida in stato di ebbrezza alcolica, il GUP del Tribunale ordinario di Roma riferisce che la parte offesa non indossava la cintura di sicurezza ed aggiunge poi, in termini assolutamente generici, che l’illuminazione pubblica non era funzionante e che il guidatore del veicolo tamponato era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti; peraltro, ed in vero, il GUP, in via meramente argomentativa, rileva che l’efficienza causale non esclusiva della condotta dell’imputato potrebbe essere anche di «minima importanza» perché ipotizza che «si accerti un grado di colpa pari all’1% in capo all’imputato (poiché per il restante 99% la colpa è dell’altro conducente rimasto ucciso nel sinistro)»; ma lo stesso GUP ritiene che non sia questo il caso di specie perché neppure ipotizza che la condotta colposa dell’imputato (essersi posto alla guida in stato di ebbrezza alcoolica) abbia avuto – o possa aver avuto – una così ridotta efficienza causale; né tampoco fa alcuna comparazione con il trattamento del concorrente nella cooperazione colposa (art. 113 cod. pen.) il cui apporto, in termini di efficienza causale, sia stato di «minima importanza» (art. 114 cod. pen.); fattispecie questa che, rilevando come circostanza attenuante, è espressamente esclusa dal divieto di bilanciamento previsto dalla disposizione censurata. Sicché, l’ipotesi estrema della condotta del colpevole che risulti essere di «minima importanza» rispetto al concorso di colpa della parte offesa e all’eventuale concorso di altre cause dell’evento, non appartiene in realtà alle sollevate questioni di costituzionalità; né potrebbe esserlo per difetto di rilevanza. Pertanto, le due fattispecie all’esame dei giudici rimettenti sono sovrapponibili in quanto accomunate dal fatto che in entrambe ricorre la circostanza attenuante dell’efficacia (meramente) non esclusiva della condotta dell’imputato perché a determinare l’evento ha concorso anche il comportamento colposo della parte offesa (settimo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.); circostanza che, in applicazione della disposizione censurata, non può essere bilanciata rispettivamente con l’aggravante della guida in stato di ebbrezza (secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.) e con l’aggravante dell’attraversamento di un’intersezione con il semaforo rosso (quinto comma, numero 2, dell’art. 590-bis cod. pen.). Solo con riferimento a tale speciale circostanza attenuante – nella misura in cui questa sussiste in ragione di un generico concorso di colpa della parte offesa (o anche di altre concause), che rende “non esclusivo” l’apporto causale della condotta dell’imputato – sono poste le questioni di legittimità costituzionale.</p> <p style="text-align: justify;">Non vi è dubbio che la legge n. 41 del 2016, al culmine del (sopra descritto) progressivo sviluppo normativo lungo la direttrice costante del sempre più incisivo contrasto delle condotte gravemente colpose nella conduzione di veicoli a motore, che maggiormente pongono a rischio la vita e l’integrità fisica delle persone, ha inasprito la risposta sanzionatoria in termini di pene irrogabili, soprattutto nel minimo. Quanto all’omicidio stradale, oggetto del giudizio a quo innanzi al GUP del Tribunale ordinario di Roma, per l’aggravante a effetto speciale in questione, contestata all’imputato per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica (secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.), è prevista una pena della reclusione da 8 a 12 anni; l’aggravamento sanzionatorio rispetto al regime previgente – quello introdotto dal decreto-legge n. 92 del 2008, come convertito, in vigore fino alla legge n. 41 del 2016 – è marcato perché la pena prima prevista per la medesima condotta era quella della reclusione da 3 a 10 anni; tuttavia nel regime vigente – e non anche in quello precedente – il carattere non esclusivo dell’efficienza causale della condotta dell’imputato comporta (ex art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.) una diminuzione di pena fino alla metà e quindi il minimo della pena può ridursi fino a 4 anni; la stessa condotta – omicidio stradale con guida in stato di ebbrezza alcolica – che prima era sanzionata con una pena minima di 3 anni di reclusione, dopo la legge n. 41 del 2016 lo è con una pena minima di 4 anni di reclusione ove ricorra, in ipotesi, il concorso di colpa della parte offesa e, quindi, l’efficienza causale della condotta dell’imputato non abbia carattere esclusivo; infatti, ove ricorra l’attenuante in esame, la diminuzione fino alla metà può essere operata, per effetto della preclusione di cui all’art. 590-quater cod. pen., solo sulla pena prevista per la fattispecie aggravata. Quanto alle lesioni stradali gravi – oggetto del giudizio a quo innanzi al Tribunale ordinario di Torino – è ora prevista la pena della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 3 anni, ove ricorra l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen., stante l’attraversamento di un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso per i veicoli; ricorrendo l’attenuante del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen. la pena, per effetto della preclusione censurata, è diminuita fino a 9 mesi di reclusione. Si tratta di sanzioni indubbiamente severe perché nelle ipotesi attenuate all’esame dei giudici rimettenti la pena minima per l’omicidio è di 4 anni di reclusione e quella minima per le lesioni gravi è di 9 mesi di reclusione; esse rientrano, però, nell’ambito dell’esercizio non irragionevole della discrezionalità del legislatore che ha ritenuto, secondo una non sindacabile opzione politica in materia penale, di contrastare in modo più energico condotte gravemente lesive dell’incolumità delle persone, che negli ultimi anni hanno creato diffuso allarme sociale. Ha affermato la Corte (sentenza n. 179 del 2017) che dal principio di legalità sancito all’art. 25 Cost. discende che «le scelte sulla misura della pena sono affidate alla discrezionalità politica del legislatore» sempre che il trattamento sanzionatorio sia proporzionato alla violazione commessa e non comprometta la finalità di rieducazione del condannato; con riferimento ad altra disposizione incriminatrice, pure «caratterizzata da un consistente inasprimento del trattamento sanzionatorio», la Corte ha ritenuto che a essa non appartengono «valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria penale, di esclusiva pertinenza del legislatore» e che nella fattispecie non erano stati superati «i limiti costituzionali alla previsione di risposte punitive rigide», tenuto anche conto della graduabilità della pena tra il minimo e il massimo che offre al giudice la possibilità di renderla maggiormente proporzionata alla gravità della condotta contestata (sentenza n. 233 del 2018). Secondo la costante giurisprudenza della Corte, le valutazioni sulla dosimetria della pena appartengono alla «rappresentanza politica, […] attraverso la riserva di legge sancita nell’art. 25 Cost.» (sentenza n. 236 del 2016), e sono assoggettate al giudizio di legittimità costituzionale solo a fronte di scelte palesemente arbitrarie del legislatore che, per la loro manifesta irragionevolezza, evidenzino un uso distorto della discrezionalità a esso spettante (ex multis, sentenze n. 142 del 2017, n. 148 e n. 23 del 2016, n. 81 del 2014, n. 394 del 2006; ordinanze n. 249 e n. 71 del 2007, n. 169 e n. 45 del 2006). Da ultimo la Corte (sentenza n. 40 del 2019) ha precisato che « fermo restando che non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena (sentenza n. 148 del 2016), l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che riguardano l’entità della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all’interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore (sentenza n. 233 del 2018)».</p> <p style="text-align: justify;">Solo in caso di trattamenti sanzionatori manifestamente sproporzionati e di sperequazioni punitive di particolare gravità, la Corte è intervenuta a riequilibrare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento; ma ciò è avvenuto considerando la coerenza interna del regime sanzionatorio e l’offensività della condotta. Proprio in tema di bilanciamento di circostanze la Corte è intervenuta più volte a riequilibrare situazioni sperequate che vedevano condotte ritenute dal legislatore di minore offensività, le quali in ragione del divieto di prevalenza di specifiche circostanze attenuanti finivano per essere sanzionate in modo sproporzionato; in passato – come già ricordato – è stata ritenuta la legittimità, in generale, della tecnica legislativa del divieto di prevalenza o equivalenza delle circostanze attenuanti su specifiche circostanze aggravanti in ragione di speciali esigenze di contrasto di condotte particolarmente lesive dell’integrità delle persone (sentenze n. 194 e n. 38 del 1985); è vero che il giudizio di bilanciamento delle circostanze consente al giudice di apprezzare meglio lo specifico disvalore della condotta penalmente sanzionata, ma quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all’integrità fisica, ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento di pena di particolari di dette circostanze; come già evidenziato (sentenza n. 251 del 2012), «[d]eroghe al bilanciamento […] sono possibili e rientrano nell’ambito delle scelte del legislatore» e sono sindacabili dalla Corte «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012), questa «anomalia sanzionatoria» (sentenza n. 179 del 2017) essendosi verificata in ipotesi di particolari attenuanti cui il legislatore stesso ha assegnato un essenziale ruolo di riequilibrio della fattispecie penale; talvolta, quando il reato base, in ragione della relativa formulazione, ha una portata ampia, il legislatore ritaglia ipotesi di minore gravità: è ciò che si è verificato per i fatti di “spaccio” di sostanze stupefacenti “di lieve entità”, circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), prima della relativa trasformazione in reato autonomo; la stessa tecnica legislativa ricorre per i fatti di ricettazione «di particolare tenuità» (attenuante prevista dall’art. 648, secondo comma, cod. pen.); per i fatti di minore gravità di abusi sessuali riconducibili alla nozione di violenza sessuale (art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.); per i fatti di bancarotta fraudolenta, bancarotta semplice e ricorso abusivo al credito quando hanno cagionato un «danno patrimoniale di speciale tenuità» (art. 219, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa»); con riferimento a queste particolari circostanze attenuanti la Corte ha ritenuto che il divieto, applicato a esse, della prevalenza di tutte le circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., divieto introdotto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen., conducesse a sanzionare condotte di minore offensività con pene non proporzionate ed ha quindi dichiarato, di volta in volta, l’illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di ciascuna di tali specifiche attenuanti in comparazione con l’aggravante privilegiata della recidiva reiterata (sentenze n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014, e n. 205 del 2017); il legislatore può schermare l’ordinario bilanciamento di circostanze del reato, secondo i criteri dell’art. 69 cod. pen., ma non fino al punto di sanzionare condotte di minore gravità con pene eccessive perché sproporzionate rispetto al canone della necessaria offensività. Ma nella fattispecie in esame, l’attenuante ad effetto speciale che viene in gioco non attiene all’offensività: sia l’omicidio stradale che le lesioni personali stradali, ove ricorra l’attenuante di cui al settimo comma degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., offendono comunque, anche nell’ipotesi così attenuata, il bene della vita e quello dell’integrità personale; l’attenuante speciale non identifica una fattispecie di minore offensività, ma si colloca sul piano del tutto distinto dell’efficienza causale dove opera il principio non già di proporzionalità, bensì quello di equivalenza delle concause dell’evento; maggiore, pertanto, è la discrezionalità del legislatore nel dimensionare l’incidenza di tale, eccezionale e del tutto particolare, attenuante nel calcolo della pena; è vero che il minimo della pena per il reato base (2 anni di reclusione per l’omicidio stradale comune) è raddoppiato (4 anni di reclusione) ove ricorrano a un tempo la suddetta circostanza aggravante (guida in stato di ebbrezza alcolica di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.) e l’attenuante dell’efficacia causale non esclusiva dell’azione o dell’omissione del colpevole di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. (in ragione del concorso della colpa della parte offesa o di altre concause), ma tale differenziale sanzionatorio può dirsi rientrare nella discrezionalità del legislatore, esercitata nel limite della non irragionevolezza, il maggior rigore conseguente al divieto di bilanciamento di tale circostanza attenuante a effetto speciale trovando ragione nel più incisivo contrasto di condotte altamente pericolose e che da tempo - come già rilevato - creano diffuso allarme sociale per il grave pregiudizio che arrecano alla sicurezza stradale, quale appunto la guida di veicoli a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope; altresì, per il reato di lesioni personali stradali vi è analogo – in vero anche più accentuato – differenziale sanzionatorio, ma anche in tal caso la condotta di chi, alla guida di un veicolo a motore, attraversa un’intersezione con il semaforo disposto al rosso, così commettendo il reato di lesioni personali stradali gravi, aggravate da tale circostanza cosiddetta privilegiata (come nel giudizio pendente innanzi al Tribunale ordinario di Torino), pone gravemente in pericolo l’incolumità altrui e parimenti può dirsi non irragionevole l’esercizio della discrezionalità del legislatore nell’escludere che l’attenuante in esame (quella del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen.) possa essere valutata dal giudice come equivalente o prevalente rispetto a tale aggravante. Nè giova la comparazione che fa il GUP del Tribunale ordinario di Roma con altre ipotesi di omicidio colposo: il legislatore del 2016 – innovando rispetto ai precedenti (sopra richiamati) interventi normativi (del 1966, del 2006 e del 2008), che si erano mossi nel solco del reato comune di omicidio colposo introducendo solo specifiche circostanze aggravanti – ha reso autonoma la fattispecie penale dell’omicidio stradale; ciò costituisce tipico esercizio di discrezionalità legislativa, espressione di una scelta politica in materia penale, in ragione di una diversa valutazione del rischio al quale sono esposti i beni della vita e dell’incolumità personale a causa di condotte giudicate particolarmente pericolose e quindi da contrastare con più severe sanzioni; la diversità di fattispecie tra omicidio (colposo) stradale e omicidio colposo comune costituisce ragione sufficiente del trattamento sanzionatorio differenziato; naturalmente trovano applicazione ogni possibile ulteriore circostanza attenuante nonché eventuali diminuenti per la scelta del rito, che valgono a ridurre ulteriormente il rigore sanzionatorio insito nel divieto di bilanciamento delle circostanze aggravanti, quale previsto dalla disposizione censurata.</p> <p style="text-align: justify;">Avendo il legislatore introdotto un’attenuante a effetto speciale legata all’apporto causale del colpevole, non è irragionevole che, quando la valutazione sia limitata all’alternativa dell’efficacia “esclusiva”, o non esclusiva, della condotta del colpevole, l’attenuante non possa essere bilanciata con le aggravanti “privilegiate” e segnatamente, quanto al reato di omicidio stradale (nel giudizio a quo innanzi al GUP del Tribunale ordinario di Roma), con l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen. per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica oltre la soglia di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, e, quanto al reato di lesioni personali stradali gravi (nel giudizio a quo innanzi al Tribunale ordinario di Torino), con l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen. per aver attraversato un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso; rientra infatti nella discrezionalità del legislatore, esercitata non irragionevolmente, graduare l’effetto diminuente della pena di questa attenuante a effetto speciale in riferimento alle menzionate aggravanti “privilegiate” allorché ricorra un generico concorso della colpa della parte offesa o di altre concause che rendono non esclusivo l’apporto causale dell’azione o dell’omissione del colpevole.</p> <p style="text-align: justify;">Inizialmente il comma 2 dell’art. 222 cod. strada, quale introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali), prevedeva solo la sospensione della patente di guida, peraltro secondo una ben chiara progressione sanzionatoria: quando dal fatto derivava una lesione personale colposa la sospensione della patente era da 15 giorni a 3 mesi; se invece derivava una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione della patente era fino a 2 anni; nel caso di omicidio colposo la sospensione era fino a 4 anni; solo successivamente la revoca della patente, come sanzione amministrativa accessoria alla condanna penale per il reato di omicidio (comune) colposo aggravato, è stata introdotta dal decreto-legge n. 92 del 2008 che ha modificato il comma 2 dell’art. 222 cod. strada, aggiungendo un quarto periodo così formulato: «Se il fatto di cui al terzo periodo è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente»; il richiamo del fatto di cui al precedente terzo periodo comportava che tale sanzione amministrativa conseguiva solo alla condanna per omicidio colposo; la possibilità di revoca della patente è poi stata estesa al reato di lesioni colpose (comuni) gravi e gravissime dalla legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), che ha aggiunto il richiamo anche del secondo periodo del medesimo comma 2, sempre e solo in caso di guida in stato di ebbrezza alcoolica (con tasso alcolemico superiore a quello previsto dall’art. 186, comma 2, lettera c, cod. strada) o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti; da ultimo, con la legge n. 41 del 2016 il legislatore non solo ha introdotto due nuovi reati (omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime), elevando le pene con la previsione di plurime circostanze aggravanti “privilegiate” e aggravando il regime sanzionatorio con il già esaminato divieto di bilanciamento con le circostanze attenuanti, ma ha modificato anche il regime delle sanzioni amministrative accessorie, dettando una disciplina più rigorosa quanto alla revoca della patente di guida: la quale, peraltro, fuori dalle ipotesi in cui ricorra uno dei due reati suddetti, è anche contemplata, a determinate condizioni, dagli artt. 186, 186-bis e 187 cod. strada in caso di guida sotto l’influenza dell’alcool ovvero in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. Attualmente, la disposizione di cui all’art. 222 cod. strada, recante le sanzioni amministrative accessorie all’accertamento di reati, prevede, al comma 1, la regola di carattere generale per cui, se da una violazione delle norme del codice della strada derivano danni alle persone, il giudice applica con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente; ciò che però rileva maggiormente è il comma 2, rimasto immutato nei primi tre periodi, che stabilisce che quando dal fatto derivi una lesione personale colposa la sospensione della patente è da 15 giorni a 3 mesi, mentre se la lesione personale colposa è grave o gravissima la sospensione della patente è fino a 2 anni; nel caso poi di omicidio colposo la sospensione è fino a 4 anni; il quarto periodo – come appena ricordato – è stato invece riformulato dalla legge n. 41 del 2016, che ha previsto che in caso di condanna o di patteggiamento della pena per i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime consegue sempre la revoca della patente di guida, anche ove sia stata concessa la sospensione condizionale della pena. Ne è risultato, nel complesso, un marcato inasprimento delle sanzioni accessorie atteso che la revoca della patente è prevista indistintamente per tutte le ipotesi di reati cosiddetti stradali, sia nel caso in cui ricorrono le fattispecie cosiddette semplici, sia nel caso in cui sussistono le fattispecie aggravate, mentre la disciplina previgente delle sanzioni amministrative accessorie era maggiormente graduata.</p> <p style="text-align: justify;">La questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, cod. strada è fondata nei termini che seguono; tale norma prevede la sanzione amministrativa della revoca della patente, estesa indistintamente a tutte le ipotesi – sia aggravate dalle circostanze “privilegiate”, sia non aggravate – di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime. E’ noto lo sviluppo normativo che ha condotto da ultimo alla configurazione di due nuove fattispecie di reato colposo (art. 589-bis e art. 590-bis cod. pen.), connotate dalla previsione di plurime circostanze aggravanti “privilegiate” con un differenziato trattamento sanzionatorio di maggior rigore, nonché dal divieto di bilanciamento tra circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., e quelle aggravanti a effetto speciale così introdotte. L’aggravamento della risposta sanzionatoria, voluto dal legislatore del 2016, è quindi risultato articolato in più livelli; in perfetta simmetria le due citate disposizioni prevedono – per l’omicidio stradale e per le lesioni personali stradali – l’ipotesi base del reato colposo (al primo comma); l’ipotesi maggiormente aggravata della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti (ai commi secondo e terzo); nonché un’ipotesi intermedia perché aggravata in misura minore (ai commi quarto, quinto e sesto), ma comunque con una pena aumentata rispetto all’ipotesi base. Il disvalore della condotta in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è quindi articolato secondo una precisa graduazione: il divario è di tutta evidenza se si pongono in comparazione le ipotesi base del primo comma dell’art. 589-bis e dell’art. 590-bis cod. pen. con le condotte, sanzionate con la pena più elevata, rientranti nel secondo e nel terzo comma di entrambe le disposizioni; la pena prevista ove ricorrano tali aggravanti privilegiate è marcatamente più elevata della pena base, come risulta in particolare dal fatto che i minimi di pena delle fattispecie circostanziate sono sensibilmente incrementati. Invece, per la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida vi è un indifferenziato automatismo sanzionatorio, che costituisce possibile indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca. In generale, la Corte (sentenza n. 50 del 1980) ha affermato che «[i]n linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono […] in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato»; più recentemente, tali principi sono stati ribaditi dalla Corte (sentenza n. 222 del 2018) che, con riferimento ai reati fallimentari, ha evidenziato che la gravità dei fatti concreti, riconducibili alle fattispecie penali, può essere marcatamente differente, censurando proprio la «rigidità applicativa» di una sanzione accessoria fissa; in particolare, un profilo di irragionevolezza è già stato rilevato dalla Corte in un’ipotesi di automatismo della “revoca” amministrativa della patente di guida, prevista dall’art. 120, comma 2, cod. strada (sentenza n. 22 del 2018). Orbene, nell’art. 222 cod. strada l’automatismo della risposta sanzionatoria, non graduabile in ragione delle peculiarità del caso, può giustificarsi solo per le più gravi violazioni contemplate dalle due citate disposizioni, quali previste, come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen. Porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre la soglia di tasso alcolemico prevista dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.) o sotto l’effetto di stupefacenti costituisce un comportamento altamente pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone, posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali; e, pertanto, si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime; al di sotto di questo livello vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in misura inferiore sicché non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità la previsione della medesima sanzione amministrativa; in tal caso, l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice. Oltre all’irragionevolezza intrinseca di una sanzione amministrativa fissa per tali ultimi comportamenti, c’è anche che nell’art. 222 cod. strada rimane vigente la prescrizione del secondo e del terzo periodo del comma 2, i quali prevedono rispettivamente che, quando dal fatto commesso con violazione del codice della strada derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, la sospensione della patente è fino a 2 anni, mentre nel caso di omicidio colposo la sospensione è fino a 4 anni: coesistono quindi nella stessa norma (comma 2 dell’art. 222 cod. strada) prescrizioni che si sovrappongono senza una chiara delimitazione di applicabilità. Nel caso di condanna per il reato di omicidio stradale ex art. 589-bis cod. pen. è prevista, dal quarto periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, la sanzione amministrativa della revoca della patente; invece, il precedente terzo periodo prevede, in caso di omicidio colposo con violazione delle norme del codice della strada, la sospensione della patente fino a 4 anni; analogamente, nel caso di condanna per il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime ex art. 590-bis cod. pen. è prevista, sempre dal quarto periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, la sanzione amministrativa della revoca della patente; invece il precedente secondo periodo prevede, in caso di lesioni colpose con violazione delle norme del codice della strada, la sospensione della patente fino a 2 anni; vi è, quindi, anche una poco coerente sovrapposizione di fattispecie sanzionate, o no, con la revoca della patente, che si aggiunge all’irragionevolezza intrinseca della sanzione indifferenziata per ipotesi marcatamente diverse in termini di gravità della condotta.</p> <p style="text-align: justify;">La revoca della patente di guida non può essere “automatica” indistintamente in ognuna delle plurime ipotesi previste sia dall’art. 589-bis (omicidio stradale) sia dall’art. 590-bis cod. pen. (lesioni personali stradali), ma si giustifica solo nelle ben circoscritte ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come fattispecie aggravate dal secondo e dal terzo comma di entrambe tali disposizioni (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti); negli altri casi, che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità, sia nelle ipotesi non aggravate del primo comma delle due disposizioni suddette, sia in quelle aggravate dei commi quarto, quinto e sesto, il giudice deve poter valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa come previsto – e nei limiti fissati – dal secondo e dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada; pertanto, tale comma è costituzionalmente illegittimo, nel suo quarto periodo, nella parte in cui non prevede, ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di cui al secondo e al terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen., la possibilità per il giudice di applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, quella della sospensione della patente, secondo il disposto del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada: in questi casi il giudice, secondo la gravità della condotta del condannato, tenendo conto degli artt. 218 e 219 cod. strada, potrà sia disporre la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, sia quella, meno afflittiva, della sospensione della stessa per la durata massima prevista dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 222 cod. strada.</p> <p style="text-align: justify;">Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli artt. 589-bis (Omicidio stradale) e 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) del codice penale, il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.; va invece dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, sollevata dal Tribunale ordinario di Torino, in riferimento all’art. 3 della Costituzione; vanno infine dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-quater cod. pen., inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27 Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma e dal Tribunale ordinario di Torino. E’ dunque costituzionalmente legittimo e non è irragionevole che l’attenuante speciale della responsabilità non esclusiva del colpevole nella causazione dell’evento non possa essere bilanciata, quanto al reato di omicidio stradale, con l’aggravante per aver guidato in stato di ebbrezza e, quanto al reato di lesioni personali stradali gravi, con l’aggravante per aver attraversato un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso.</p>