Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 16 aprile 2024, n. 15642
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ai fini dell’integrazione dell’ipotesi del rifiuto non è sufficiente che questo abbia per oggetto un qualsiasi atto d’ufficio, ma è necessario che ricorrano anche due imprescindibili condizioni: a) che l’atto sia da compiersi per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità; b) che l’atto debba essere compiuto senza ritardo, cioè che si tratti di atto “qualificato” e “indifferibile”.
Un profilo imprescindibile per la configurabilità del reato in esame è, pertanto, quello della indifferibilità dell’atto qualificato.
L’indifferibilità dell’atto da compiere va riferita non al generico dovere di diligenza del pubblico ufficiale, ma piuttosto alla connotazione oggettiva dell’atto medesimo in funzione dell’interesse perseguito dalla pubblica amministrazione, intesa in senso lato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.11 ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
- Il reato di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen. sanziona l’indebito rifiuto di atti qualificati e dà rilievo alla violazione degli obblighi di agire per la realizzazione dei compiti istituzionali della pubblica amministrazione e, nell’ambito di questi ultimi, attribuisce rilievo penale soltanto a determinate condotte.
Ai fini dell’integrazione dell’ipotesi del rifiuto non è sufficiente che questo abbia per oggetto un qualsiasi atto d’ufficio, ma è necessario che ricorrano anche due imprescindibili condizioni: a) che l’atto sia da compiersi per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità; b) che l’atto debba essere compiuto senza ritardo, cioè che si tratti di atto “qualificato” e “indifferibile”. Un profilo imprescindibile per la configurabilità del reato in esame è, pertanto, quello della indifferibilità dell’atto qualificato.
Questa Corte ha rilevato che l’indifferibilità dell’atto da compiere va riferita non al generico dovere di diligenza del pubblico ufficiale, ma piuttosto alla connotazione oggettiva dell’atto medesimo in funzione dell’interesse perseguito dalla pubblicaamministrazione, intesa in senso lato.
L’indifferibilità dell’atto va, dunque, accertata in base all’ordinamento (al cui interno sono individuabili – al di là di una eventuale previsione esplicita – le condizioni di non rinviabilità dell’atto stesso) con riferimento all’entità del danno che il ritardo potrebbe potenzialmente provocare: il che significa che l’atto deve essere compiuto senza ritardo quando, per espressa previsione ovvero per emergenze oggettive insite nella sua natura strutturale, non può essere differito, proprio per garantire il perseguimento dello scopo cui è preordinato e gli effetti ad esso concretamente ricollegabili (ex plurimis: Sez. 6, n. 47531 del 20/11/2012, Cambria, Rv. 254039-01).
Si è affermato, inoltre, che la stessa legge può prevedere una scadenza esplicita per l’adozione dell’atto, ma ciò non significa che il ritardo integri automaticamente il reato, ove la mancata osservanza del termine, anche perentorio, fissato magari per ragioni estranee alla sostanza degli effetti che con fatto s’intendono raggiungere, non abbia determinato, in concreto, la compromissione del bene protetto; all’opposto, l’assenza di un termine esplicito o la previsione di un termine meramente ordinatorio non esclude che l’atto debba comunque essere compiuto in un ristretto margine temporale, delimitato dal sostanziale aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice (cfr. 47351 cit.).
3.La Corte di appello ha dato atto che l’imputato, architetto iscritto all’Albo e nominato consulente tecnico di ufficio in procedimento civile, aveva ricevuto l’incarico e prestato il giuramento […] per il deposito di perizia che non era stata depositata, senza neppure chiedere proroga, nonostante il rinvio dell’udienza di volta in volta fissato […] fino a quando era rimasto vano anche l’ultimo termine perentorio […].
- Rileva il Collegio che […] certamente la consulenza tecnica non è stata depositata nel termine (ordinatorio) fissato dal giudice e che solo a distanza di anni è intervenuta la revoca della nomina del consulente.
Cionondimeno, il mancato deposito della consulenza tecnica di ufficio nel termine fissato dal giudice o prorogato, in una fattispecie in cui, in ragione della tipologia dell’accertamento delegato, non sia di per sé ravvisabile l’urgenza non può integrare un indebito rifiuto che sarebbe così qualificato solo in conseguenza del mero ritardo, quand’anche prolungato, dell’atto, tenuto conto che il termine di deposito della perizia è un termine ordinatorio e che è lo stesso ordinamento (art. 195 cod. proc. civ.) a regolare l’ipotesi del ritardo prevedendo, in presenza di grave ritardo non giustificato, la revoca dell’incarico.
La Corte di appello, solo in ragione della generica tipologia di atto delegato e della sua inerenza al processo civile, ha ritenuto che l’atto, certamente riconducibile alla categoria degli atti di giustizia, fosse, per ciò, solo urgente e indifferibile, ma non ha fatto corretta applicazione dei descritti principi che richiedono di accertare, ai fini della configurabilità del rifiuto, la indifferibilità dell’atto cioè le condizioni di non rinviabilità dell’atto stesso con riferimento all’entità del danno che il ritardo potrebbe potenzialmente provocare, indifferibilità e urgenza che non possono essere individuate nel mero rallentamento dell’iter processuale, aspetto, questo, sul quale le parti e il giudice possono intervenire attraverso la revoca dell’incarico.
Si è, del resto, affermato, con riferimento al mancato deposito nei termini delle sentenze (Sez. 6, n. 8870 del 15/12/2021, dep. 2022, Mineo, Rv. 283378), che il ritardo, anche prolungato, non integra, di per sé solo, il reato di rifiuto di atti d’ufficio per ragioni di giustizia ex art. 328, comma primo, cod. pen., se non sussista una indifferibilità dell’atto omesso, la quale non può essere desunta dall’esigenza di regolare andamento dell’attività giudiziaria, ma presuppone che il ritardo determini un pericolo concreto di pregiudizio per le parti interessate, derivante dalla mancata definizione dell’assetto regolativo degli interessi coinvolti nel procedimento.
Nel caso in esame […] non sono state individuate nella sentenza impugnata, rispetto all’atto omesso, cause che possano avere influito sull’attuazione del diritto oggettivo nel caso concreto affinché il ritardo assuma il significato di rifiuto di un atto divenuto indifferibile. Né è dato comprendere la concreta dinamica dei fatti […].
5.Va, tuttavia, verificato, in relazione alla ricostruzione dei fatti contenuti in sentenza, […]se nei fatti possa ravvisarsi l’ipotesi di cui all’art. 328, comma secondo, cod. pen., configurabile in presenza di una diffida ad adempiere quando questa sia rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono e, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l’atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato.