Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza 16 febbraio 2023, n. 1630
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Con un unico articolato motivo, l’appellante censura la sentenza di primo grado nel capo relativo alla domanda di condanna di ENEL SOLE s.p.a. alla restituzione delle somme corrisposte per le prestazioni effettuate nel periodo 1994-2001, enucleando plurime censure.
L’Ente ricorrente deduce l’erroneità della decisione, avendo il Tribunale adito operato una valutazione ‘oggettiva’ dei presupposti applicativi dell’art. 2041 c.c. Secondo l’appellante, la decisione gravata avrebbe ritenuto ‘consapevole’ l’arricchimento della prestazione in favore del Comune, atteso che quest’ultimo, come da documentazione versata in atti, avrebbe in più occasioni formulato istanze ad ENEL SOLE s.r.l. per sollecitare gli interventi manutentivi. Secondo l’esponente, dette richieste di manutenzione si riferirebbero al periodo 2001/2006, dunque ad un periodo successivo a quello per il quale si sarebbe richiesta la restituzione delle somme erogate. In tal senso, proprio la volontà dell’Ente di non avvalersi più del servizio manutentivo, avrebbe dovuto comportare l’impossibilità di inferire l’utilitas delle prestazioni erogate al Comune nel periodo 1994/2001, in termini di locupletazione.
Il Comune appellante, precisa la Corte, si duole anche del fatto che le affermazioni contenute nell’istanza di prelievo del 16.10.2015, finalizzata a conseguire una celere fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso, reca delle dichiarazioni che sarebbero state erroneamente interpretate dal giudice di prime cure, il quale ha tratto da tali affermazioni il convincimento circa la consapevolezza dell’Amministrazione in ordine all’utilitas delle prestazioni manutentive prestate da ENEL SOLE, ritenendo che tale consapevolezza riguardasse non solo le prestazioni asseritamente espletate nell’arco temporale 2001/2006, ma anche quelle rese nel periodo interessato dalla richiesta restitutoria del Comune, ossia l’arco temporale 1994/2001, per affermare che, anche per effetto di quanto dichiarato nella suddetta istanza di prelievo del 16.10.2015, non potesse ritenersi che il Comune di Tuglie fosse inconsapevole dei vantaggi procuratigli dalle prestazioni rese nel periodo 1994/2001.
Secondo l’appellante, inoltre, la sentenza sarebbe errata perché viziata da vizio di ultrapetizione, laddove, pronunziandosi sull’istanza di ripetizione delle somme corrisposte dal Comune di Tuglie nel periodo 1994/2001, l’ha denegata sull’asserito presupposto – comunque erroneo ed infondato – che il Comune medesimo si fosse comunque giovato delle prestazioni rese nello stesso periodo da parte di ENEL SOLE. Ciò perché ENEL SOLE, nell’ambito delle difese esplicate in primo grado, non avrebbe dedotto alcunchè per dimostrare l’arricchimento derivato al Comune dalle prestazioni rese nel periodo 1994/2001, limitandosi ad affermare che le stesse sono state espletate e ricevute, ma senza allegare alcun elemento idoneo a suffragare tale affermazione con specifico riferimento a quel periodo temporale.
Secondo l’esponente, la nullità dei rinnovi taciti della convenzione del 1974, a far data dell’entrata in vigore della normativa che l’ha prevista, avrebbe imposto al giudice di prima istanza di accogliere anche la domanda di restituzione delle somme pagate dall’Amministrazione comunale di Tuglie, in ragione della sopravvenuta nullità del rapporto.
- Le censure vanno trattate congiuntamente in quanto attinenti a profili connessi.
Ciò premesso, il Collegio rileva che, con riferimento all’eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva proposta da ENEL SOLE s.r.l., è possibile soprassedere dal relativo scrutinio, stante l’infondatezza nel merito delle suindicate censure.
10.1. Il Comune di Tuglie, con il ricorso originario, ha eccepito la violazione dell’art. 6 della l. 537 del 1993, come modificata dall’art. 44 della l. 724 del 1994, assumendo il divieto del rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni aventi ad oggetto la fornitura di beni e servizi, da cui consegue la nullità delle predette statuizioni. Nel caso di specie, il Comune ha asserito di avere chiaramente manifestato la volontà di non rinnovare il contratto e di avere, espressamente, dichiarato di non ritenersi più obbligato, chiedendo, conseguentemente la restituzione di tutte le somme versate a titolo di canone successivamente al 5 settembre 1994.
Il Tribunale di prima istanza ha ritenuto che i rinnovi della convenzione del 1994, tacitamente intervenuti successivamente all’entrata in vigore dell’art. 6 della l. 537 del 1993, come modificata dall’art. 44 della l. 724 del 1994, sono affetti da nullità insanabile.
Questa statuizione non è stata oggetto di censura da parte dell’Ente appellante, il quale ha concentrato le sue critiche sul rigetto della domanda di condanna di ENEL SOLE al pagamento delle somme riscosse per la manutenzione dei rispettivi impianti, nel periodo dal 5.9.1994 al 31.8.2001, articolando le censure sopra illustrate.
10.2. Le doglianze non possono trovare accoglimento.
Il Collegio ritiene che alla soluzione della controversia debba pervenirsi muovendo dai principi giurisprudenziali da ultimo riaffermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di arricchimento senza causa, dai quali non c’è ragione di discostarsi, secondo cui “il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento in quanto il depauperato ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico posso opporre il mancato riconoscimento dello stesso. Tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del c.d. ‘arricchimento imposto’, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell’eventum utilitatis” (Cass. n. 16793 del 2018).
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della p.a., sicchè, ove il depauperato provi l’oggettivo arricchimento dell’ente pubblico, questo non può opporre semplicemente di non averlo riconosciuto, ma deve provare di non averlo voluto o di non esserne stato consapevole (Cass. S.U. n. 10798 del 2015; Cass. n. 22902 del 2022).
Nella specie, il giudice di prima istanza ha correttamente respinto la domanda del Comune di Tuglie, atteso che dagli atti di causa è emerso il fatto materiale dell’esecuzione della prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ed anche il c.d. riconoscimento, espresso o tacito, che l’Amministrazione interessata abbia compiuto una cosciente e consapevole valutazione dell’utilità dell’opera, del servizio o della prestazione.
Invero, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, sono stati depositate in atti le richieste di manutenzione comunicate dal Comune di Tuglie ad ENEL SOLE, relative agli anni 1999, 2000 e 2001 (all. da 6 a 12 della produzione documentale di primo grado). Ne consegue che l’Amministrazione, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 6, comma 2 della l. n. 537 del 24.12.1993, nel testo novellato dall’art. 44 della l. n. 724 del 23.12.1994, ha non solo avuto consapevolezza dell’effettuazione delle prestazioni eseguite da ENEL SOLE, ma anche dell’utilità delle stesse, essendo state espressamente richieste.
Né può predicarsi, osserva la Corte, che tale ‘arricchimento sia stato imposto’, non apparendo persuasive le deduzioni difensive del Comune appellante, il quale ha riferito di avere almeno in due occasioni (con nota prot. n. 11462 del 2001, e n. 12265 del 2001) chiaramente evidenziato la nullità dei rinnovi tacitamente intervenuti della convenzione originaria del 1974, diffidando espressamente ENEL SOLE dal fornire il servizio in ragione della sopravvenuta nullità del rapporto. Ciò in quanto, tale comportamento assume connotazioni chiaramente contraddittorie con le richieste di intervento formulate alla società, e, soprattutto, con il contenuto della dichiarazione resa nell’istanza di prelievo depositata in data 16.10.2015. Il chiaro tenore del documento, con il quale il Comune di Tuglie lamenta che lo stato di incertezza giuridica che ha fatto seguito all’instaurazione del contenzioso, ha determinato ‘la sospensione degli interventi manutentivi sugli impianti di proprietà della ENEL SOLE; con conseguente nocumento per l’efficienza del servizio di illuminazione relativamente a talune parti dell’abitato del Comune ricorrente’, induce a sostenere che la prestazione (o arricchimento) era voluta e consapevole, e certamente ‘non imposta’, pur essendo nota la nullità del rinnovo tacito della convenzione del 1974.
Va, altresì, respinta, la censura relativa all’assunto vizio di ultrapetizione, dovendosi rammentare che: “(…)sussiste il vizio di ultrapetizione, quando l’accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum e una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all’esame del giudice, con conseguente attribuzione di un bene o di un’utilità non richiesta dalla parte ricorrente (o comunque attribuita per ragioni dalla stessa non esternate), e pregiudizio del diritto di difesa della parte soccombente; ciò si verifica, quindi, nelle ipotesi in cui vi sia stata pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni formulate o su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, se il giudice ha esaminato e accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti (Consiglio di Stato sez. II, 21 ottobre 2021, n. 7078) circostanza che, nel caso qui all’esame, non si ravvisa. E’ difatti pacifico che non è ipotizzabile l’ultrapetizione quando il giudice accoglie una domanda la quale può ritenersi anche virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio, e cioè quando, con particolare riguardo al petitum e alla causa petendi, la domanda accolta si trovi in rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della pretesa che l’attore ha voluto tutelare.” (Consiglio di Stato, sez. V, 12 ottobre 2022, n. 8728).
Da siffatti rilievi, consegue che non vi è stata alcuna pronuncia oltre il limite delle pretese formulate.
- In definitiva, conclude la Corte, l’appello va respinto, e la sentenza impugnata va confermata.
- Le spese di lite del grado seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.