Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 2 settembre 2024, n. 23453
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il procedimento negoziale volto alla stipula di contratto di diritto comune (anche di locazione) non implica alcun esercizio di potere autoritativo da parte della pubblica amministrazione, ma pone quest’ultima su di un piano di posizione paritaria rispetto all’altro contraente, pur se l’individuazione di quest’ultimo, o meglio del bene di interesse, avvenga con modalità di selezione allargata e segua criteri di trasparenza e pubblicità. Invero, anche in tale ipotesi l’Amministrazione agisce sempre iure privatorum allorquando procede alla stipula del contratto con la necessaria conseguenza che nella vicenda giuridica vengono in gioco diritti soggettivi, con pertinente giurisdizione da incardinarsi nei confronti del giudice ordinario.
La partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società in house la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Motivi della decisione
1) – È preliminare valutare l’eccezione di inammissibilità del ricorso, teste riassunta.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “Nel caso in cui il giudice inizialmente adito abbia declinato la propria giurisdizione in favore di altro giudice, la riassunzione della causa dinanzi a quest’ultimo, equivalendo a legale conoscenza della sentenza, fa decorrere il termine per l’impugnazione della stessa, ai sensi dell’art. 326 c.p.c. nei confronti della parte destinataria dell’atto di riassunzione, purché quest’ultimo, per il suo contenuto, possa dirsi equivalente alla notifica della sentenza da impugnare” (Cass. S.U. n. 25476/2021).
2) – Il principio evidenzia la equivalenza tra notificazione e conoscenza legale della sentenza attraverso l’atto di riassunzione del giudizio conseguente alla pronuncia in punto di giurisdizione. Tale equivalenza è peraltro condizionata al contenuto dell’atto di riassunzione che deve essere tale da realizzare le medesime finalità conoscitive garantite dalla notifica della sentenza.
Solo in tal caso potrà farsi luogo alla decorrenza del termine breve d’impugnazione, di cui, per quanto qui interessa, all’art. 325, secondo comma, c.p.c., presupponendo, infatti, il termine breve d’impugnazione, la necessità che il provvedimento da impugnare sia tutto, e nella sua interezza, nella disponibilità del soccombente per le valutazioni inerenti alla possibilità di efficacemente impugnarlo (più di recente, Cass. n. 23642/2019, seguita da Cass. n. 25476/2021).
3) – Nel caso di specie detta equipollenza va in concreto esclusa. Nella allegata documentazione (doc. H) di parte controricorrente è stato riprodotto il ricorso in riassunzione del giudizio dinanzi al TAR del Lazio, che non riporta, neppure nei suoi passaggi essenziali, il contenuto della pronuncia resa tra le parti dal Consiglio di Stato, della quale sono indicati unicamente gli estremi, con riferimento al dispositivo che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo e rimesso gli atti al giudice di primo grado per la decisione di merito.
4) – Ne consegue che la notifica del ricorso in riassunzione non ha posto la destinataria in grado di acquisire la conoscenza legale del contenuto della sentenza resa dal Consiglio di Stato così consentendole di trovarsi nella condizione di poterla impugnare con ricorso per cassazione entro il termine breve di cui all’art. 325, secondo comma, c.p.c.
5) – Alle medesime conclusioni deve giungersi con riferimento all’istanza di revoca del decreto di sospensione degli atti impugnati da parte di RSM, notificata il 27.7.2023 ed anche con riguardo all’esposto-segnalazione, inviato a mezzo PEC il 25.7.2023, con cui la società Fin.Ge. aveva intimato a RSM di adempiere all’ordine cautelare del TAR Lazio con allegazione del testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato.
- a) – Quanto alla prima non è riportato nel corpo dell’istanza il contenuto della sentenza del Consiglio di Stato, ma soltanto il suo richiamo, non sufficiente, come detto, a realizzare la conoscenza dell’atto (Cass. SU n. 25476/2021).
- b) – Per l’esposto-segnalazione deve invece osservarsi che, sebbene sia inserita in calce al medesimo la annotazione dell’allegazione della copia della sentenza del Consiglio di Stato, non è rinvenibile, tra gli atti depositati, il documento in questione, in tal modo non consentendo a queste Sezioni Unite di poter valutare l’effettività della completezza della notificazione e della concreta conoscenza dell’atto in discussione.
Queste ragioni determinano il giudizio di infondatezza della eccezione preliminare.
6) – Con l’unico motivo Roma Servizi per la Mobilità lamenta l’erronea attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo per violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 co. 8, 113 cost; artt. 7, 110, 133 co. 1 lett. e) cod. proc. amm.; art. 362 cod. proc civ. art. 3 co. 2 RD n. 2440/2023; art. 17 D.Lgs. 50/2016; art. 10 Direttiva 24/2014/UE (art. 360 co. 1. n. 1 c.p.c.).
Il motivo contesta, sotto vari profili, la decisione del Consiglio di Stato sulla riconduzione dei contratti di locazione passiva stipulati da pubbliche amministrazioni (nel caso in esame da società in house) alla giurisdizione amministrativa perché rientranti nel novero generale dei contratti pubblici di appalto.
- a) – La sentenza impugnata parte dal presupposto che l’orientamento tralatizio delle Sezioni Unite, da tempo fermo nel ritenere la giurisdizione ordinaria per tali contratti, in ragione di una sistematica distinzione tra contratti di fornitura servizi o beni (rientranti nella giurisdizione amministrativa) e contratti di locazione in cui il bene resti nella proprietà del soggetto locatore, sia da superare, perché devono ritenersi trascurati, in siffatte pronunce consolidate, imprescindibili dati di ordine positivo che dovrebbero indurre ad una differente soluzione.
In particolare la sentenza richiama l’art. 17 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 50/2016 (applicabile ratione temporis), dispositivo della esclusione della applicazione delle norme in materia di appalti pubblici ai contratti di locazione, per affermare che, pur prevedendo la suddetta esclusione, comunque la norma considera anche tale tipologia di contratti come afferenti al più ampio genus degli appalti e, dunque valutandoli, in quanto tali, non “estranei” all’ambito di applicazione del codice, ma solo “esclusi e comunque tenuti ad essere improntati ai principi di imparzialità, trasparenza etc… vigenti in tutte le azioni della amministrazione pubblica e peraltro in concreto inverati nelle procedure comunque utilizzate per individuare il soggetto ed il bene da locare. Da tali argomenti la sentenza fa derivare la ingiustificata assegnazione delle controversie in materia al giudice ordinario e l’affermazione che invece rientrino nella sfera esclusiva della giurisdizione amministrativa.
7) – Occorre preliminarmente chiarire che, diversamente da quanto prospettato dalla società Fin.Ge. in sede di controricorso, deve confermarsi che quello in discussione è un contratto di locazione di immobile e che i servizi considerati nella pattuizione stipulata non alterano la natura del contratto stesso, ma solo costituiscono elementi aggiuntivi rispetto alla causa del contratto. Si tratta, infatti, di servizi accessori alla locazione, quali, ad esempio, i lavori di adeguamento dell’immobile rispetto alle esigenze del conduttore, l’eventuale arredo dello stesso, la pulizia dell’immobile, l’ordinaria manutenzione. Peraltro, anche lo stesso contratto, come riportato nel controricorso (pg. 27), definisce talune delle prestazioni in questione quali “oneri accessori”, in tal modo esplicitando la natura ausiliaria delle stesse rispetto alla locazione, quale obbligazione essenziale, causa dell’accordo tra le parti.
8) – Sul tema della natura dei rapporti contrattuali tenuti dalle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le locazioni, l’orientamento consolidato da queste Sezioni Unite (SU n. 5051/2022; SU n. 14185/2015; SU n. 124/2001) da cui prende le mosse, per dissentirne, la sentenza in esame, trova il suo fondamento nella primaria considerazione che il procedimento negoziale volto alla stipula di contratto di diritto comune (anche di locazione) non implica alcun esercizio di potere autoritativo da parte della pubblica amministrazione, ma pone quest’ultima su di un piano di posizione paritaria rispetto all’altro contraente, pur se l’individuazione di quest’ultimo, o meglio del bene di interesse, avvenga con modalità di selezione allargata e segua criteri di trasparenza e pubblicità (come avvenuto nel caso in esame).
Invero, anche in tale ipotesi l’Amministrazione agisce sempre iure privatorum allorquando procede alla stipula del contratto con la necessaria conseguenza che nella vicenda giuridica vengono in gioco diritti soggettivi.
- a) – Vale la pena anche rammentare che , quanto alle società in house, quale quella in interesse, queste Sezioni Unite hanno evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (fra le più recenti Cass. SU. n. 24591/2016, confermativa di pronunce precedenti, e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017).
- b) – Confermata la natura privatistica delle società in house, per sottolinearne comunque la finalità pubblica perseguita, il legislatore è più volte intervenuto per improntarne l’attività a principi tipici dell’assetto pubblicistico di buona amministrazione.
Devono richiamarsi a riguardo il D.L. n. 112/2008 e successivamente il D.Lgs. n. 175/2016 che, in materia di reclutamento del personale delle aziende ed istituzioni pubbliche, comprensive delle società a totale partecipazione pubblica, hanno disposto l’adozione di modalità di selezione ispirate a criteri di trasparenza, pubblicità ed imparzialità (sul punto Cass. SU. n. 18749/2023: in tema di società cd. “in house providing”, le procedure seguite per l’assunzione del personale dipendente sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, e non del giudice amministrativo, in quanto alla scelta del modello privatistico per il perseguimento delle finalità di tali società consegue l’esclusione dell’obbligo di adottare il regime del pubblico concorso per il reclutamento dei dipendenti, trovando, invece, applicazione le regole di cui all’art. 18 del D.L. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla L. n. 133 del 2008). È chiara la scelta legislativa di assoggettare le società in questione a sistemi selettivi predeterminati, a garanzia di trasparenza dell’azione amministrativa, pur in contesti che lascino inalterata la natura privatistica dei rapporti e la presenza di diritti soggettivi.
9) – Non può dunque risultare eccentrica la decisione di utilizzare procedure caratterizzate da trasparenza e pubblicità anche per selezionare l’immobile da locare da parte di una società in house che contestualmente operi in un ambito di rapporti privatistici assoggettati alla giurisdizione ordinaria. Adeguare in tali contesti l’operato della amministrazione pubblica, anche se svolta attraverso soggetti giuridici solo partecipati o sottoposti a pubblico controllo, ai criteri di cui all’art. 97 Cost., risulta essere il corretto effetto di una lettura sistematica dell’ordinamento multilivello, molto poco “concettuale” (come indicato dalla sentenza in esame), ma, viceversa, coerente con l’evoluzione degli interessi pubblicistici, anche perseguiti da società di natura privatistica, con l’espansione in esse di principi e modalità che assicurino il buon andamento amministrativo.
10) – Nessun argomento in contrasto può trarsi dal disposto dell’art. 17 co. 1 lett. a) del D.Lgs. n. 50/2016 poiché la norma esclude espressamente dalla disciplina in tema di appalti quelli che abbiano ad oggetto… l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni.
Il sottile distinguo tra estraneità ed esclusione utilizzato dalla decisione in esame per giungere a sostenere che sebbene esclusi dalla disciplina degli appalti, i contratti di locazione non siano estranei e facciano comunque parte del genus appalti e, dunque, poiché inclusi in tale generale contesto, siano assoggettati alla giurisdizione amministrativa, non sembra sostenuto da alcuna positiva determinazione legislativa e neppure da una lettura di sistema che, come sopra evidenziato, determina conseguenze opposte a quelle propugnate dal giudice amministrativo.
11) – Anche l’oggetto del contratto milita per la conferma dell’orientamento sin qui adottato da queste Sezioni Unite se si osserva che il contratto stipulato dalla P.A. per il reperimento di immobili da adibire alla propria attività istituzionale rientra nella fattispecie tipica della locazione e non è riconducibile ai “contratti di fornitura” di cose delle P.A., poiché la “res” locata rimane nel patrimonio del proprietario locatore e la causa del contratto, rappresentata dal godimento della cosa per un tempo determinato dietro il pagamento di un canone, non è riconducibile alla fornitura di servizi attesa l’assenza di una prestazione di attività del proprietario in favore del destinatario (SU n. 5051/2022). A tale assetto contrattuale consegue che ogni controversia attinente a tale contratto, anche nella fase precontrattuale, poiché concerne diritti soggettivi, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.
12) – Alla conclusione così raggiunta non costituisce ostacolo neppure il richiamato art. 3 del RD n. 2440/1923, impositivo di gara per ogni contratto che importi una spesa della Pubblica amministrazione.
Intanto si tratta di disposizione che, per l’origine temporale, certamente non poteva considerare il fenomeno delle società in house e, dunque, non è alle stesse automaticamente esportabile (in tal senso anche TAR Lazio n. 8946/2017; Cons. Stato n. 1299/2015); peraltro, la presenza di procedure comunque adottate in ragione dei principi di trasparenza e buona amministrazione anche presso le società in house, rende comunque soddisfatto il “vincolo” in questione.
13) – Nessun rilievo può infine attribuirsi all’ulteriore annotazione contenuta nella sentenza in esame circa la migliore tutela riconoscibile in sede di giudizio amministrativo in quanto, comunque indimostrato, l’assunto non può certamente costituire criterio determinativo per l’individuazione del giudice munito della giurisdizione.
In conclusione, deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario, in continuità con i principi già in precedenza espressi da queste Sezioni Unite.
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