Corte di Cassazione civile, sezione II, sentenza 9 luglio 2024, n. 18681
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, la sussistenza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui all’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensì una condizione dell’azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite. Ne consegue che la carenza del relativo documento è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, con l’ulteriore conseguenza che sia l’allegazione, che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purché prima della relativa decisione.
In caso di contratto preliminare di vendita immobiliare di cosa generica, l’oggetto dello stesso può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua stipulazione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo, e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art 2932 c.c., caso nel quale occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento.
In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ai sensi dell’art. 2932 c.c., la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001, n. 40 della Legge n. 47 del 1985, 29 della legge n. 52 del 1985, 2932 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto di non poter tener conto della dichiarazione sostitutiva di notorietà, prodotta in appello, contenente le dichiarazioni di conformità edilizia, urbanistica e catastale dell’immobile oggetto del contratto di compravendita di cui è causa.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha invece denunziato la violazione o falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1346 e 2932 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che il contratto preliminare di compravendita oggetto di causa non conteneva tutti gli elementi necessari per poter adottare sentenza costitutiva, tenente luogo del contratto definitivo non concluso, non essendo possibile ricavare gli elementi mancanti nella pattuizione da fonti diverse da quest’ultima.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate.
La Corte distrettuale ha affermato che “… ai fini dell’esecuzione in forma specifica ex art 2932 c.c. il preliminare deve contenere tutti gli elementi necessari per realizzare l’assetto di interessi che le parti intendevano realizzare con il contratto definitivo poi omesso” e che nel caso di specie, come già accertato dal Tribunale, “… non erano presenti: – la dichiarazione degli estremi del permesso di costruire o della concessione in sanatoria…; – la dichiarazione (per le unità immobiliari urbane) dei dati catastali, riferimento alle planimetrie depositate in catasto e dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie…”.
Ha poi ritenuto che la carenza di tali elementi impedisse l’emanazione di sentenza costitutiva e che le carenze del preliminare non potessero essere colmate con riferimento a documenti diversi dal contratto predetto (cfr. pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata).
In realtà, questa Corte ha affermato che “In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, la sussistenza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui all’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensì una condizione dell’azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite. Ne consegue che la carenza del relativo documento è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, con l’ulteriore conseguenza che sia l’allegazione, che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purché prima della relativa decisione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23825 del 11/11/2009, Rv. 609752; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17419 del 23/07/2010, Rv. 614722; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6684 del 07/03/2019, Rv. 652937; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16068 del 14/06/2019, Rv. 654230).
Il principio richiamato dalla Corte milanese, secondo cui al giudice di merito è preclusa la possibilità di integrare il contenuto del contratto preliminare ricorrendo a fonti esterne, è dunque relativo al caso in cui la pattuizione della quale una parte chieda l’esecuzione in forma specifica non consenta l’esatta individuazione del bene oggetto del progetto negoziale, ma non anche al caso in cui il cespite sia adeguatamente individuato nell’accordo, che tuttavia non contenga le dichiarazioni di regolarità urbanistica, edilizia e catastale previste dalla legge.
Sul punto, va infatti ribadito che “In caso di contratto preliminare di vendita immobiliare di cosa generica, l’oggetto dello stesso può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua stipulazione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo, e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art 2932 c.c., caso nel quale occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, risulti dal preliminare, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21449 del 15/09/2017, Rv. 645553; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11874 del 07/08/2002, Rv. 556763 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 952 del 16/01/2013, Rv. 624973).
Nel caso di specie, il contratto preliminare – come indicato dalla parte ricorrente, ai fini della specificità dei motivi, a pag. 12 del ricorso – descriveva l’immobile oggetto della programmata compravendita nei seguenti termini immobile sito in R (omissis) in via (Omissis) e più precisamente fabbricato d’abitazione composto da piano terra e primo piano, per complessivi cinque vani e servizi, con annesso rustico e terreno di pertinenza in proprietà esclusiva, il tutto censito al N.C. al foglio (Omissis) mapp. (Omissis) senza subalterno via (Omissis), p. t-1 categoria A3 classe 2 vani 9,5 rendita catastale Euro 376,07; foglio (Omissis) mappale (Omissis) di ha 00.11.28 deduz. A19, seminativo classe 1, RD Euro 13,98 (reddito dominicale rivalutato Euro 17,45 RA Euro 9,61)”.
I dati identificativi del bene compromesso in vendita, dunque, erano contenuti nel preliminare oggetto di causa, onde alcuna attività di integrazione doveva essere svolta dal giudice di merito, essendo stata chiaramente esplicata, nel predetto preliminare, la volontà negoziale delle parti.
Quel che mancava, dunque, erano le dichiarazioni di conformità urbanistica, edilizia e catastale, le quali – non costituendo la loro esistenza, come più volte affermato da questa Corte nei precedenti sopra richiamati, un presupposto della domanda, bensì una condizione dell’azione – ben potevano essere fornite da ciascuna delle parti, e dunque anche dalla parte promissaria acquirente, nel caso di inerzia della promittente venditrice, in ogni stato e grado del procedimento, purché prima dell’adozione della sentenza.
Poiché nel caso di specie il A.A. aveva prodotto, in appello, dichiarazione sostitutiva di notorietà contenente le dichiarazioni non presenti nel preliminare, la Corte lombarda ha errato nel ritenere non sussistenti i presupposti per emanare sentenza costitutiva tenente luogo del contratto definitivo non concluso, non esaminando in tal modo nel merito la domanda ex art. 2932 c.c. che il medesimo A.A. aveva ritualmente formulato.
Solo con la memoria depositata in prossimità dell’udienza la parte controricorrente, replicando alle conclusioni scritte del P.G., ha richiamato una recente pronuncia di questa Corte, che ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda ex art. 2932 c.c. in ragione della insufficiente indicazione nel contratto preliminare di compravendita sottoscritto dalle parti, degli estremi del contratto di mutuo -piano di ammortamento contenente i ratei con le relative scadenze e i pagamenti eseguiti – nel quale il promissario acquirente avrebbe dovuto subentrare (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5961 del 05/03/2024, Rv. 670383).
In realtà, con questa decisione la Corte ha riaffermato il consolidato principio secondo cui “In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ai sensi dell’art. 2932 c.c., la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche” (conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 937 del 20/01/2010, Rv. 611232; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2824 del 25/02/2003, Rv. 560698; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7749 del 02/08/1990, Rv. 468498).
L’operatività in concreto di detto principio, peraltro, è legata al contenuto del contratto preliminare di compravendita, poiché le parti sono libere di determinare le rispettive obbligazioni: nel caso di specie, la parte controricorrente aveva contestato la genericità della clausola, inserita nel preliminare di cui è causa, con la quale si era previsto che il mutuo insistente sul cespite da alienare sarebbe stato, alternativamente, estinto ovvero accollato dalla parte promissaria acquirente, fondando su tale presupposto la domanda spiegata nei confronti del mediatore D.D.
Ciò significa che nel progetto negoziale delle parti non era previsto soltanto l’accollo del mutuo gravante sull’immobile, ma anche la sua estinzione.
La mancata specificazione del relativo piano di ammortamento, contenente l’indicazione delle scadenze ancora dovute e dei pagamenti effettuati dalla parte cedente, non incide dunque necessariamente sulla determinazione, o determinabilità, del complessivo oggetto del contratto, poiché per estinguere anticipatamente un mutuo non occorre alcuna informazione in relazione al piano di ammortamento previsto tra la parte mutuante e la parte mutuataria, essendo sufficiente l’indicazione della somma capitale ancora dovuta, al momento dell’estinzione, con eventuale applicazione dei costi e delle penali, ove previsti contrattualmente, dovuti dal mutuatario per l’anticipata estinzione.
Peraltro, la sentenza impugnata affronta anche questo profilo, evidenziando che il A.A. si era fatto parte diligente, presso l’istituto di credito con il quale la B.B. aveva a suo tempo stipulato il mutuo gravante sull’immobile compromesso in vendita, ma si era visto rispondere che le informazioni relative alle modalità di accollo o di estinzione anticipata del finanziamento potevano essere rilasciate soltanto ai mutuatari o ai loro delegati (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata).
Nello stesso passaggio della motivazione, la Corte distrettuale ha anche affermato che il mancato perfezionamento dell’operazione di accollo del mutuo di cui si discute non era dipeso dall’indisponibilità del A.A., ma piuttosto dalle condizioni contrattuali a suo tempo convenute tra mutuante e mutuatario, ed in particolare dall’art. 8 delle stesse, che escludeva espressamente la possibilità di un accollo liberatorio (cfr. sempre pag. 12 della sentenza).
Né rileva, in relazione al complessivo assetto di interessi derivante dal preliminare di cui è causa, la diversa circostanza -evidenziata da parte controricorrente a pag. 25 del controricorso-secondo cui il A.A. avrebbe ceduto il comodato del cespite compromesso in vendita a terzi, trasferendosi altrove. Tale comportamento, infatti, non impedisce la possibilità di adottare una sentenza costitutiva, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2932 c.c.
Con il terzo ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe rigettato la domanda ex art. 2932 c.c. sulla base di motivazione apparente, costituita da “formulette estrapolate da sentenze della S.C., neppure pertinenti con il caso di specie, e senza rispondere a nessuna delle argomentazioni esposte dall’appellante con l’atto di impugnazione” (così, testualmente, a pag. 3 del ricorso).
La censura è assorbita dall’accoglimento delle prime due doglianze.
Il giudice del rinvio dovrà infatti procedere ad un nuovo esame della fattispecie, sul presupposto della sussistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione tesa all’emanazione della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., esaminando dunque, nel merito, la relativa domanda proposta dall’odierno ricorrente
In definitiva, vanno accolti i primi due motivi e dichiarato assorbito il terzo.
[…]