Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 15 ottobre 2024, n. 26727
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione da parte dell’opposto nella comparsa di risposta, ed entro il termine previsto per il suo deposito, di domande alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto all’ingiunzione.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Occorre, in primis, identificare precisamente il contenuto delle questioni sottoposte nell’ordinanza interlocutoria.
4.1 Il collegio rimettente osserva anzitutto che, “nell’escludere l’ammissibilità delle domande di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale e d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, la sentenza impugnata richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per l’effetto di una domanda riconvenzionale formulata dall’opponente, si venga a trovare a sua volta nella posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis” – in effetti, la sentenza impugnata si rapporta solo implicitamente alla giurisprudenza di legittimità laddove qualifica inammissibili le domande dell’appellante di cui agli articoli 1337 e 2041 c.c. in quanto “non … conseguenti ad una domanda riconvenzionale proposta dalle parti convenute sostanziali” -.
L’ordinanza interlocutoria prosegue indicando recente giurisprudenza in tal senso (Cass. sez. 3, ord. 10 marzo 2021 n. 6579, Cass. sez. 2, 25 febbraio 2019 n. 5415 e Cass. sez. 1, 22 giugno 2018 n. 16564) e deducendone che, “in virtù di tale diversità, si riteneva …, in linea generale, che nel giudizio ordinario di cognizione instaurato mediante la proposizione della domanda di adempimento contrattuale quella d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento rivestisse carattere di novità, e se ne escludeva pertanto la proponibilità, a fronte di una condotta difensiva del convenuto articolatasi nella mera proposizione di eccezioni” (si invocano ancora alcuni arresti massimati delle sezioni semplici, dei quali il più pertinente è Cass. sez.1, 2 agosto 2007 n. 17007: “La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di adempimento contrattuale non sono interscambiabili, non costituendo articolazioni di un’unica matrice, ma riguardano diritti per l’individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, i quali divergono tra loro, identificando due diverse entità: nel primo caso, infatti, l’attore non solo chiede un bene giuridico diverso, e cioè un indennizzo in luogo del corrispettivo pattuito, ma introduce nel giudizio gli elementi costitutivi di una diversa situazione giuridica, consistenti nel proprio depauperamento con altrui arricchimento e nel riconoscimento dell’utilità della prestazione, che sono privi di rilievo nel rapporto contrattuale.
La sostituzione, nel corso del giudizio di primo grado, della domanda di adempimento contrattuale originariamente formulata con quella di indennizzo arricchimento senza causa integra pertanto la proposizione di una domanda nuova, come tale inammissibile a norma dell’art. 184 c.p.c., qualora, nel regime vigente anteriormente all’entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353, la controparte non abbia rinunciato a eccepirne la novità, accettando, anche implicitamente, il contraddittorio”).
4.2 E’ su tale indirizzo, “costantemente ribadito fino ad epoca piuttosto recente”, che l’ordinanza interlocutoria segnala una intervenuta “rimeditazione” nell’ultima giurisprudenza di legittimità come frutto dell’impulso proveniente da S.U. 15 giugno 2015 n. 12310, con la quale, “a modifica di un orientamento anche esso consolidato”, si è riconosciuta la possibilità di modificare, nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., la domanda ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’intervenuto effetto traslativo, dichiarando che “la modificazione della domanda consentita dall’art. 183 … può riguardare uno solo o anche entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), purché la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determini una compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali”; e dall’ampia linea giurisprudenziale suscitata dal noto intervento nomofilattico del 2015 emergono in particolare Cass. sez. 3, 14 febbraio 2019 n. 4322 e Cass. sez. 6-1, 25 maggio 2018 n. 13091.
Evidenzia il collegio rimettente che la “rimeditazione” si è innestata su “una pluralità di ragioni”, identificate come segue: a) l’articolo 183 c.p.c. non prevede, per l’udienza che disciplina, “un esplicito divieto di domande nuove” comparabile a quello di cui all’articolo 345 c.p.c.; b) il tenore letterale dell’articolo 189 c.p.c., quando la causa viene rimessa al collegio, impone al giudice istruttore di invitare le parti a precisare le conclusioni “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’articolo 183 c.p.c.” – ciò si rinviene nel primo comma dell’articolo nel testo vigente fino al 28 febbraio 2023 -; c) l’”essenza delle modificazioni consentite dall’art. 183″ c.p.c., ravvisabile non nella loro impossibilità di incidere sugli elementi identificativi della originaria domanda, bensì nella sostituzione di questa da parte delle domande modificate, che ne costituiscono alternativa; d) la “conseguente, implicita rinuncia alla domanda originaria”.
4.3 Tutto questo – si rimarca ancora nell’ordinanza interlocutoria – è stato esteso pure alla domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento “proposta a modifica di un’originaria domanda di adempimento contrattuale”, in quanto “le due domande si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale, attengono al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale, e sono legate da un rapporto di connessione per incompatibilità non solo logica, ma … normativamente prevista”, considerata la natura sussidiaria dell’azione di cui all’articolo 2041 c.c. (si richiamano in tema S.U. 13 settembre 2018 n. 22404 – “Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta” – e la conforme Cass. sez. 3, 3 dicembre 2020 n. 27620).
4.4 Aggiunge il collegio rimettente che il principio per cui la modificazione consentita dall’articolo 183 c.p.c. può investire entrambi gli elementi identificativi della domanda “è stato ritenuto infine applicabile anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo” da Cass. sez. 1, 24 marzo 2022 n. 9633 – massimata nel senso che “il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dall’art. 183 c.p.c.” – e che, in quest’ottica e in virtù del rapporto di connessione per incompatibilità tra la domanda ex articolo 2041 c.c. proposta in subordine e la domanda principale di adempimento contrattuale, Cass. sez. 3, 9 febbraio 2021 n. 3127 ha ritenuto ammissibile la modificazione della domanda pure nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, “pervenendo sostanzialmente alla conclusione che in tale giudizio, al pari di quanto accade in quello ordinario, il convenuto, in qualità di attore in senso sostanziale, può modificare la domanda avanzata nella fase monitoria, introducendo una domanda d’indennizzo per ingiustificato arricchimento, e ciò indipendentemente dall’atteggiamento difensivo assunto dal convenuto [qui da intendersi convenuto in senso sostanziale: n.d.r.], il quale si sia limitato a resistere mediante eccezioni, astenendosi dal proporre domande riconvenzionali”.
4.4 Il collegio rimettente ha concluso, dunque, affermando che “la dissonanza di tale principio da quello costantemente ribadito nelle precedenti decisioni e l’insussistenza di analoghe pronunce in materia di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale” inducono ad applicare l’articolo 374 c.p.c. in ordine ai due seguenti quesiti: “a) in via generale, se nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto; b) in particolare, se ed entro quali limiti possa considerarsi ammissibile la modificazione della domanda di adempimento contrattuale avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo attraverso la proposizione di una domanda d’indennizzo per ingiustificato arricchimento o di una domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale”. 5. L’ordinanza interlocutoria pone, con evidenza, quale base dei quesiti gli effetti del revirement sulla formazione del thema decidendum.
Da ciò occorre pertanto avviare la riflessione, perché sono proprio tali effetti che il collegio rimettente auspica – o quantomeno prospetta – siano integralmente estesi al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
5.1 Il Codice di procedura civile di cui al r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443, entrato in vigore il 21 aprile 1942, è ben noto che, dopo un primo intervento del d.lgs. 9 aprile 1948 n. 438, è stato investito dalla rilevante riforma nel 1950: la l. 14 luglio 1950 n. 581 – peraltro di conversione del d.l. 5 maggio 1948 n. 483 – e il correlato d.p.r. 17 ottobre 1950 n. 857 hanno dato luogo nel rito ordinario a quel che non è qui la sede di un reale approfondimento, ma che comunque, quanto alla identificazione del thema decidendum, è stato inteso nel diritto vivente per decenni come privo di rigore in termini decadenziali, ravvisando un intenso potere dispositivo delle parti con corrispondente, forte attenuazione dell’impronta pubblicistica nel sistema. Di qui, la nota regola pretoria per cui in qualunque momento del giudizio fino alle precisazione delle conclusioni inclusa poteva essere introdotta – tra l’altro – pure una nuova domanda, che rimaneva nel thema decidendum se controparte taceva, valendo il suo silenzio come un’accettazione implicita, e quindi deprivando altresì il giudice istruttore, in ultima analisi, della effettiva direzione del giudizio in termine di contenuti dinanzi a un’attuabile loro evoluzione rimessa alle parti. La lentezza del processo che (anche) a ciò era stata attribuita ha condotto, con la l. 26 novembre 1990 n. 353 – non a caso entrata in vigore più di due anni dopo, il 1 gennaio 1993 – a un vero cambio di rotta quanto alla costruzione della regiudicanda, che ha valorizzato l’identificazione della differenza tra mutatio libelli ed emendatio libelli. In questo campo, nel 2015 e dunque dopo quasi un quarto di secolo, è intervenuta una pronuncia importante quanto chiarificatrice, che ha avuto effetti non troppo “lontani” rispetto a quelli di una riforma (e si vedrà ora se le pur relative “mani libere” cui ha dato la stura potranno o no essere compatibili, a livello ancora interpretativo, con la c.d. riforma Cartabia).
5.2.1 L’intervento nomofilattico del 2015 ha preso atto che nella giurisprudenza dell’epoca viveva il tradizionale principio per cui doveva reputarsi ammissibile solo la emendatio libelli della domanda introduttiva, incorrendo altrimenti nella inammissibilità per ingresso nella mutatio libelli. Nettamente Cass. 12310/2015 si è distaccata da questa linea: dopo aver affermato che il suddetto principio viene rispettato solo in apparenza, circolando “una logica del caso per caso”, attinge l’uscita dalla regola appena indicata da una nuova visione degli articoli 183 e 189 c.p.c.: nell’articolo 183 c.p.c. non si riscontra un esplicito divieto di domande nuove nell’udienza, e nell’articolo 189 c.p.c. il giudice invita le parti a precisare le conclusioni “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183”, così confermando che nel paradigma dell’articolo 183 è inclusa la modifica delle domande e delle conclusioni dell’atto introduttivo in misura sensibilmente apprezzabile, e non come mere correzioni/precisazioni.
5.2.2 La Cassazione estrae allora dal sistema tre tipologie di domande: le domande nuove – evidenziando che le domande nuove attoree sono ammissibili solo se costituiscono una reazione specifica alle difese del convenuto -, le domande precisate – cioè quelle che anteriormente già si ritenevano ammissibili, essendo appunto mere precisazioni – e le domande modificate – la cui ammissibilità diventa l’apporto della pronuncia del 2015 -. Ben consapevoli della necessità di una distinzione tra domande nuove – non tutte ammissibili, dunque – e domande modificate – quelle cui la loro sentenza apre le porte -, le Sezioni Unite sottolineano che “la vera differenza tra le domande <> implicitamente vietate e le domande <> espressamente ammesse non sta … nel fatto che in queste ultime le <> non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate <> nel senso di <> o <>, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività”. E invero, “con la modificazione della domanda iniziale l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio”.
In tal modo, la pronuncia dapprima sembra smentire il revirement definendo non aperta la strada alle domande modificate come nuove nel senso di ulteriori, ma poi prosegue riconoscendo che il novum scende in campo, al prezzo dell’“abbandono” di quel che vi era prima (la regiudicanda viene infatti percepita non come ampliata per un’aggiunta, bensì sostituita per modifica). Prezzo, peraltro, che si traduce in una rinuncia effettiva solo qualora la conformazione dei petita non sia graduata – come invece usualmente accade -, ben potendo l’attore conservare nelle sue mani la domanda originaria eppur introdurre in subordine la domanda che, più che come modificata in termini oggettivi, si misura ora come orientante e adeguante la domanda originaria agli interessi di chi la propone.
5.2.3 Significativo è l’argomento che la pronuncia dedica proprio alla “riconosciuta possibilità di modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate”: “i risultati ermeneutici in tal modo raggiunti risultano in completa consonanza sia con l’esigenza … di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale … sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come via via enucleati nel corso degli ultimi anni” dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità, soprattutto a sezioni unite.
E infatti “l’interpretazione adottata in questa sede risulta … maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, posto che … non solo non incide negativamente sulla durata del processo … ma determina anzi una indubbia incidenza positiva più in generale sui tempi della giustizia, in quanto è idonea a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto invece di determinare la potenziale proliferazione dei processi, essendo appena il caso di aggiungere che sulla irragionevole durata di un processo non incide (sol)tanto ciò che rileva all’interno di quel processo quanto il numero complessivo dei processi contemporaneamente pendenti che ne condiziona la gestione. La concentrazione favorita da tale interpretazione risulta inoltre maggiormente rispettosa della stabilità delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti, nonché della effettività della tutela assicurata, sempre messa in pericolo da pronunce meramente formalistiche”.
5.2.4 Seguendo una siffatta ratio, che “sposta” dal perimetro formale all’area dell’interesse tutelabile, è allora agevole comprendere che la domanda modificata potrà investire tutti gli elementi identificativi oggettivi della domanda originaria, trovando l’unico limite nella stessa vicenda sostanziale prospettata con l’atto introduttivo o comunque nel collegamento a questa: impostazione che – rimarcherà poi il sintonico intervento del 2018 – risulta “ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo e in particolare al rapporto di connessione per <> o <>”. Il che costituisce una interpretazione più adeguata ai principi di economia processuale e ragionevole durata del processo per la sua idoneità “a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale”, limitando il “rischio di giudicati contrastanti” e garantendo l’effettività della tutela rispetto al formalismo; né controparte si trova ad essere vittima di alcuna “sorpresa”, né le viene diminuita la potenzialità difensiva, proprio per il riferimento o la connessione con la medesima vicenda sostanziale per cui è stata chiamata in giudizio, godendo di un congruo termine per controdedurre. Così risulta ridimensionato l’elemento oggettivo costituito da petitum e causa petendi, i quali hanno dismesso la funzione assoluta di identificazione della domanda ammissibile: l’identificazione va ora raggiunta alla luce dell’interesse di chi agisce, e quindi è attingibile dalla vicenda sostanziale che, unitamente all’effettivo esercizio del diritto di difesa di controparte, diviene il perimetro dell’ammissibilità.
5.2.5 Rilegittimando, dunque, in corretta e attenta misura l’introduzione di quel novum che nel processo anteriore alla riforma del 1990 era eccessivamente confidato al potere dispositivo delle parti, S.U. 12310/2015 ha generato un “liberale” principio di diritto: “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”.
- A questo inquadramento sistemico/funzionale – che attribuisce una nettamente superiore valenza al diritto sostanziale per evitare che quello processuale arrechi un intollerabile e illogico formalismo -, ha aderito, appunto, e senza introdurre dubbi, S.U. 13 settembre 2018 n. 22404, congiungendosi alla solida ampiezza dell’immediata applicazione da parte delle sezioni semplici (che si vedrà infra): e ciò ha condotto a farne diritto vivente, quantomeno nel sistema, qui in esame, anteriore alla riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022.
6.1 S.U. 22404/2018 dichiara, infatti, che “va data continuità” all’insegnamento del 2015 per la sua “valenza sistematica, in tema di esercizio dello ius variandi nel corso del processo”, spostando “l’attenzione dell’interprete dall’ambito circoscritto di una valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda modificata rispetto a quella iniziale, in una prospettiva di più ampio respiro, volta alla verifica che entrambe tali domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale … rispetto alla quale la domanda modificata sia più confacente all’interesse della parte”; e ciò deriva pure dal rilievo che tale interpretazione “risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, in quanto non solo incide sulla durata del processo in cui la modificazione interviene ma influisce positivamente anche sui tempi della giustizia generale, in quanto favorisce la soluzione della complessiva vicenda sostanziale … evitando la proliferazione dei processi”.
È sulla base di questa sorta di “riforma giurisprudenziale” del 2015 che la pronuncia del 2018 – si nota fin d’ora – adegua espressamente la lettura “sostanzialista” del rito per l’introduzione della domanda ex articolo 2041 c.c.
6.2 L’intervento nomofilattico del 2018 offre un attento e puntuale riassunto di tale “rivisitazione” positiva dello jus variandi, e lo fa per superare, anzi smentire, la divergenza apparente tra S.U. 27 dicembre 2010 n. 26128 (che pure aveva trattato la fattispecie dell’articolo 2041 c.c. sotto il profilo processuale, come si vedrà infra) e S.U. 15 giugno 2015 n. 12310.
Osserva infatti che, “pur se l’applicazione dell’uno o dell’altro dei principi affermati con le decisioni di queste Sezioni Unite … è, in tesi, foriera di soluzioni contrastanti con riferimento al caso concreto, … non sussiste un reale contrasto tra dette due sentenze”: la sentenza del 2015 “persegue l’obiettivo di adeguare alla mutata realtà normativa l’intera disciplina processuale in tema di nova e di ridefinire la fase della trattazione”, per cui ha “una portata ben più ampia” di quella del 2010, “la quale, oltre a riferirsi ad un ambito ben specifico e, per così dire, settoriale, si fonde sul criterio della diversità di petitum e causa petendi fra le due domande in quel giudizio proposte, criterio che, invece, la più recente delle sentenze … dichiara espressamente di voler superare e disattendere”. Applicando allora il paradigma di tutela sostanziale enucleato dall’arresto del 2015, il quesito rivolto al giudice nomofilattico del 2018 – ovvero se la domanda di arricchimento senza causa, proposta nella memoria ex articolo 183, sesto comma, c.p.c., fosse “riconducibile alla nozione di <> ritenuta ammissibile con la sentenza n. 12310 del 2015” – viene risolto mediante la correlazione/connessione, pur nella specie di alternatività o incompatibilità, di “entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di indebito arricchimento) … alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale”; di qui l’ottenimento anche dalla domanda ex articolo 2041 c.c. dell’ammissibilità tramite il seguente principio di diritto: “È ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata”.
L’intervento del 2018, dunque, ut supra si anticipava, ha del tutto confermato e pure rinsaldato quello del 2015.
- Se così è, prevalendo sulla struttura formale processuale il suo contenuto fattuale/sostanziale – la “medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto”, come ben si esprime S.U. 22404/2018 -, deve ritenersi che la questione vertente la domanda in sé di arricchimento senza causa presentata in questa sede sia stata già oggetto di inequivoca risposta resa nella pronuncia del 2018, e che l’ulteriore profilo della questione, cioè quello attinente alla domanda in sé di risarcimento per responsabilità precontrattuale, confluisca a sua volta (come già poteva, in effetti, la domanda ex articolo 2041 c.c.) nella impostazione globalmente risolutiva del 2015. Tuttavia, ora va considerata pure la specificità dello strumento processuale qui utilizzato – opposizione a decreto ingiuntivo -, il che esige un’ulteriore chiarificazione.
Non a caso, pur avendo talora fatto richiamo pure alla fattispecie dell’introduzione della causa per via monitoria generante opposizione – tipica fattispecie a formazione progressiva -, sia l’arresto del 2015 sia l’arresto del 2018 hanno trattato questioni nell’ambito di cause instaurate con l’ordinario atto introduttivo.
In entrambe le pronunce, poi, i casi consistevano nella introduzione di una domanda alternativa rispetto a quella originaria avvenuta non nel contraddittorio orale dell’udienza ex articolo 183 c.p.c., bensì nella prima memoria dell’articolo 183, sesto comma, c.c. quale protrazione scritta di tale udienza.
- Invero, la giurisprudenza nomofilattica appena richiamata ha generato una folta sua applicazione da parte delle sezioni semplici (per quel che qui interessa, sulla scia dapprima di S.U. 12310/2015 e poi di S.U. 22404/2018, hanno riconosciuto ammissibile la modificazione della domanda nella prima memoria ex articolo 183, sesto comma, c.p.c., tra gli arresti massimati, Cass. sez. 6-1, ord. 25 maggio 2018 n. 13091, Cass. sez. 3, ord. 25 settembre 2018 n. 22540, Cass. sez. 3, ord. 14 febbraio 2019 n. 4322, Cass. sez. 3, 13 settembre 2019 n. 22865, Cass. sez. 3, 28 novembre 2019 n. 31078, Cass. sez. 6-1, ord. 7, Cass. sez. 6-2, ord. 30 settembre 2020 n. 20898, Cass. sez. 6-3, ord. 3 dicembre 2020 n. 27620, Cass. sez. 3, ord. 9 febbraio 2021 n. 3127, Cass. sez. 3, ord. 16 febbraio 2021 n. 4031, Cass. sez. 1, 24 febbraio 2022 n. 6279, Cass. sez. 2, ord. 10 agosto 2023 n. 24458, Cass. sez. 3, 2 novembre 2023 n. 30455); tuttavia non ha solitamente considerato, quanto allo jus variandi, le domande “ristrutturate” nell’ambito del giudizio dell’opposizione a decreto ingiuntivo. S.U. 12310/2015 ha trovato origine in una fattispecie ai sensi dell’articolo 2932 c.c., S.U. 22404/2018 in una fattispecie di cui all’articolo 2041 c.c., e in entrambi i casi non si era anteposta una fase monitoria.
- Nel giudizio di cognizione piena, comunque, è oramai indubbio, allo stato dell’arte, che una elasticità superiore rispetto al dettato formale può sussistere senza deteriorare il trattamento dei litigatores, la cui posizione rimane comunque conformata in modalità paritaria. Modalità che non viene meno, ovviamente, neppure per gli effetti delle eventuali iniziative incidentali che possono intraprendere le parti, a livello di cognizione sommaria favorevole – come l’ottenimento di provvedimenti cautelari in corso di causa e anche di provvedimenti anticipatori, come gli articoli 186 bis e 186 ter c.p.c.
La ricaduta di S.U. 12310/2015 nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, invece, ha ancora trovato freni nella successiva “esplorazione” giurisprudenziale delle sezioni semplici, freni che l’ordinanza interlocutoria – come sopra già si accennava – intende, implicitamente, superare parificando in modo completo il giudizio frutto di opposizione a decreto ingiuntivo a quello che non ha quale premessa una vicenda monitoria: vale a dire, parificando allo strumento ordinario lo strumento maggiormente efficace – e dunque di più frequente utilizzo – per il recupero dei (pretesi) crediti.
10.1 Il decreto ingiuntivo, infatti, è uno strumento acceleratorio, proveniente da una potenziata valenza giuridica degli elementi probatori allegati al ricorso, i quali, se non costituenti prova legale, le sono assai prossimi, proprio per la natura di diretta/automatica semplificazione propria dell’istituto. Frutto di un’epoca antecedente alla Costituzione – a prescindere dall’esperienza del diritto comune, essendo stata infatti inserita, dopo gli esperimenti del r.d. 24 18 luglio 1922 n. 1036 e del r.d. 7 agosto 1936 n. 1531, nel Codice di procedura civile di cui al r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443 -, la via monitoria ha comunque una potenzialità piena, essendo il decreto ingiuntivo abilitato a generare un “ordinario” (così lo qualifica l’articolo 645 c.p.c.) giudizio di cognizione con il giudizio di opposizione: e ciò nonostante che la parte opponente possa eventualmente già trovarsi di fronte ad un titolo esecutivo, senza che l’opposizione, ovvero il contraddittorio che dovrebbe essere il nerbo del processo, su ciò automaticamente incida, occorrendo un intervento positivo ex articolo 649 c.p.c. Il decreto “rimane in piedi” fino alla sentenza (con le eventuali conseguenze dell’articolo 653 c.p.c.) o anche sopravvive all’intervenuta estinzione (v. ancora l’articolo 653 c.p.c., che prevale pure sull’articolo 393 c.p.c. nei limiti indicati da S.U. 22 febbraio 2010 n. 4071).
10.2 Il centro dell’interesse interpretativo risiede qui proprio nell’articolo 645 c.p.c., che fa da ponte tra un istituto inaudita altera parte e il contraddittorio, cioè il vero processo. Il testo originale dell’articolo 645, “Opposizione”, ha subito alcune modifiche nella evoluzione normativa (d.p.r. 17 ottobre 1950 n. 857, l. 29 dicembre 2011 n. 218, d.l. 21 giugno 2013 n. 69 convertito con modificazioni in l. 9 agosto 2013 n. 98; è significativo, peraltro, che la riforma degli anni ‘90 del secolo scorso non l’abbia investito), ma è rimasto intatto, cambiando solo (già con il d.p.r. 17 ottobre 1950 n. 857) da terzo a secondo il comma in cui qualifica “procedimento ordinario” il giudizio di opposizione – “In seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito” -. La peculiarità della fase monitoria ha, tuttavia, inciso nelle interpretazioni, soprattutto dottrinali, generandone pure alcune letture che svincolano l’opposizione dal genus del giudizio ordinario per sussumerla nella forma impugnatoria. Non seguite dalla prevalente giurisprudenza ma neppure inesistenti nelle pronunce, queste “deviazioni” dal paradigma sono state da ultimo disattese da S.U. 13 gennaio 2022 n. 927, che merita un’attenta sintesi.
10.3 L’esame ex articolo 374 c.p.c. era stato suscitato nell’ambito di una controversia locatizia da Cass. sez. 3, ord. int. 18 maggio 2021 n. 13556, e, per la sussistenza appunto di alcuni precedenti non omogenei, risultava diretto a determinare la “natura di impugnazione o di ordinario giudizio di cognizione del procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo, questione incidente anche sulla operatività del mutamento di rito ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011” – così riporta S.U. 927/2022 -. Tale ordinanza aveva osservato – riassume ancora S.U. 927/2022 – “come le sentenze di queste Sezioni Unite 8 ottobre 1992, n. 10984 e 10985, e 18 luglio 2001, n. 9769, sia pure in tema di competenza …, abbiano sostenuto l’assimibilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione”, richiamando pure S.U. 8 marzo 1996, n. 1835, “sempre in tema di competenza dell’ufficio giudiziario, al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, ove si affermava che tale <>”. Così l’ordinanza interlocutoria aveva evidenziato “la questione, controversa anche in dottrina, inerente alla qualificazione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo quale giudizio o grado autonomo, o quale semplice fase (eventuale) del giudizio ordinario già pendente, da rimeditare altresì alla luce del principio del giusto processo”. L’arresto del 2022 ha risposto osservando che le Sezioni Unite hanno, “in pronunce anche più recenti di quelle menzionate nell’ordinanza interlocutoria, … avuto occasione di soffermarsi sulla natura del giudizio di opposizione al decreto di ingiunzione, costantemente negando che esso dia vita ad un procedimento di impugnazione”. Vengono pertanto richiamate S.U. 30 luglio 2008 n. 20604, – per cui “il procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo deve <>” -, S.U. 9 settembre 2010 n. 19246 – la quale “ha affermato che il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo <>” -, S.U. 10 luglio 2015 n. 14475 – secondo la quale “la (eventuale) fase di opposizione a decreto ingiuntivo <>, trattandosi di <>, sicché <> e che <<< o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore – anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.
10.4 Dunque, si è dinanzi a un giudizio ordinario, ma con una precisazione. Venendo generato da un’altra fattispecie processuale, quella monitoria, che può rimanere perfettamente autonoma non dando luogo ad esso, la stessa pronuncia del 2022 gli riconosce, implicitamente, la natura di species, poiché valorizza un legame di “prosecuzione” con il procedimento monitorio: ovvero, da un lato afferma che si tratta di “un ordinario giudizio sulla domanda del creditore”, ma dall’altro subito lo specifica in quanto dotato di un quid pluris rispetto proprio a “un ordinario giudizio sulla domanda del creditore”. E tale quid pluris si può ripartire, a ben guardare, in tre componenti: il giudizio “si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio”; detta “prosecuzione” non costituisce un post hoc, bensì un propter hoc perché avviene “non quale giudizio autonomo”; infine, questo difetto di autonomia lo rende qualificabile “fase ulteriore – anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”. Il decreto ingiuntivo, pertanto, deve ritenersi radicalmente innestato in una fattispecie che è unica se si sviluppa, e se si sviluppa ritrova la tutela paritaria: il che è logico, in quanto nella “fase ulteriore” compare la sostanza di ogni processo costituzionalmente accettabile, cioè il contraddittorio. Questa lettura di un istituto inserito nel sistema in fase precostituzionale depura, invero, l’articolo 645 c.p.c. da un tenore strettamente letterale, “sbrigativo” nel farlo rientrare in toto nel giudizio ordinario, pur essendo sorto in un’epoca di ben diversa sensibilità valoriale rispetto a quella odierna: è quindi una lettura che percepisce la specialità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, riprendendo e confermando una pronuncia nomofilattica coeva alla forte riforma del 1990, cioè S.U. 7 luglio 1993 n. 7448, ut supra visto.
È proprio questa l’ottica con cui va affrontata la tematica indicata dall’ordinanza interlocutoria, vale a dire la misura di compatibilità, nel giudizio dotato di fase anteriore monitoria, della linea aperta da S.U.12310/2015.
11.1 Il soggetto che si è avvalso dello strumento monitorio, ottenendolo, nel giudizio ordinario di cognizione riveste poi processualmente il ruolo di convenuto, ma, sostanzialmente, il ruolo di attore, osserva l’impostazione tradizionale. Peraltro, qualche inclinazione ermeneutica, soprattutto dottrinale (antitetica all’altro “estremismo” interpretativo della natura impugnatoria, di cui si è appena detto), aspirerebbe ora a superare l’inversione mettendo in coincidenza ruolo processuale e ruolo sostanziale, nel giudizio d’opposizione conducendo chi è già stato attore in sede monitoria a divenire un convenuto in toto – ovvero sia in veste processuale, sia in veste sostanziale -, come se la sua anteriore attività processuale in sede monitoria inaudita altera parte non abbia incidenza alcuna nel susseguente giudizio “ordinario” nonostante questo insorga proprio come opposizione a quella che così, anziché acquisire la stabilità di un giudicato, ne è diventata una fase sommaria, rectius provvisoria.
Difetto di incidenza che ben può ritenersi escluso, come appena rilevato, alla luce della giurisprudenza – anche più prossima – di queste sezioni unite.
11.2 Specificamente e naturalmente, sulla tematica del decreto ingiuntivo e della sua opposizione la dottrina si era sviluppata già in epoca anteriore alla basilare innovazione arrecata al diritto vivente da S.U. 12310/2015.
A fronte di chi ha riconosciuto l’inversione processuale rispetto alla inscalfita posizione sostanziale (visione che, prima dell’intervento del 2015, non poteva che circoscrivere alla reconventio reconventionis l’apporto nel giudizio ordinario dell’opposto/ricorrente monitorio) si era aperta anche una lettura, per così dire, meno rigida e quindi meno automatica, imperniata su una interpretazione radicalmente generica, secondo la quale l’articolo 2697 c.c. non dovrebbe intendersi come norma che attribuisce all’attore l’onere probatorio (dimenticando, non si può non rilevare, la chiave interpretativa dell’interesse in un sistema in cui agire/chiedere non è sufficiente per avere).
Altri autori hanno poi integrato sul piano funzionale questa dilatazione ermeneutica, censurando come inammissibile la limitazione della facoltà dell’opposto a presentare domande riconvenzionali nella comparsa di costituzione e risposta, avvalendosi dell’articolo 645 c.p.c. – come puro testo letterale, senza agganci sistemici – per dedurne l’applicazione dell’integrale disciplina del giudizio ordinario. In tale lettura la domanda riconvenzionale, tuttavia, non sarebbe più soltanto la specifica reazione alla difesa di controparte: potrebbe invece fuoriuscire dal paradigma della reconventio reconventionis, poiché la parte opposta, oltre ad essere convenuta formale, avrebbe acquisito pure la tutela propria di una convenuta sostanziale, il che – coerentemente – la condurrebbe a questa forma dell’esercizio di difesa (in effetti, parte dell’attuale tematica) non nella prima risposta all’opponente, bensì fino al limite in cui potrebbe presentare domande riconvenzionali un convenuto “integralmente” tale, ovvero fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 183, sesto comma, n.1 c.p.c. nel testo ratione temporis qui applicabile (si osserva, per completezza, che nel testo introdotto dal d.lgs. 149/2022, l’articolo 183 c.p.c. non conserva la funzione di plasmare il thema decidendum all’udienza ivi prevista ed entro il termine della prima memoria, tale funzione essendo stata trasferita, mutatis mutandis, all’articolo 171 ter, n.1, c.p.c., con una evidente ratio di immediata determinazione della regiudicanda che disegna un cerchio di ritorno al sistema anteriore al 2015).
12.1 Si giunge, in questo modo, al nucleo della richiesta di chiarimento dell’ordinanza interlocutoria, cioè se, svincolato nelle sue potenzialità difensive da una pura reazione riconvenzionale, l’opposto possa “fare di più”, cioè proporre una domanda “modificata” nell’ampio senso indicato dalla sentenza del 2015: senza, quindi, che il contenuto della domanda monitoriamente introdotta restringa e incida, e senza altresì che la presenza di una domanda o di una eccezione riconvenzionale né debba definire il perimetro.
In realtà, implicitamente, l’ordinanza interlocutoria si riferisce alle domande definite da certa dottrina “complanari”, le quali altro non sono – rilevandone non la posizione in sé nell’ambito del thema decidendum, bensì lo scopo, così da ritornare al montante dello jus variandi, l’interesse di chi le propone – che le domande alternative, frequentemente collocate in seconda linea. È ora quindi di ricostruire lo status giurisprudenziale sull’introduzione nel giudizio, da parte dell’opposto, di domande “diverse” nel senso appena detto – e perciò, anche eventualmente per la gradazione, alternative – rispetto a quella che ha aperto il processo per via monitoria.
12.2 Riguardo proprio alla introduzione da parte dell’opposto di domanda per ingiustificato arricchimento, S.U. 27 dicembre 2010 n. 26128 – richiamata, come si è visto, da S.U. 22404/2018, ma non per seguirla – se ne è occupata in un caso in cui valeva come domanda riconvenzionale in relazione alla qualità sostanziale di attore dell’opposto stesso, venendo poi massimata come segue: “Le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonché, ove l’arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al petitum (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo).
Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645, secondo comma, e, dunque, anche l’art. 183, quinto comma, cod. proc. civ. -, è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa.
In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice”. Questa pronuncia, relativa a una causa avviata prima dell’entrata in vigore della l. 26 novembre 1990 n. 353 e comunque superata espressamente dall’arresto nomofilattico del 2018, vale per lo più come specimen dell’anteriore percezione del sistema (e dunque ora suscita una valenza, potrebbe dirsi, controfattuale), in quanto attiene solo alla fattispecie della domanda riconvenzionale.
Tuttavia, non si può non tenere in conto che S.U. 26128/2010 ha riconosciuto, nell’ottica “equiparatrice” dell’articolo 645 c.p.c., (solo) la inversione delle posizioni delle parti, e ha attribuito all’opposto “veste di attore sostanziale nel giudizio fondato sull’ingiunzione opposta a tutela di una situazione soggettiva nascente da titolo contrattuale”. Ciò, peraltro, aggiungendo che il “suo primo atto difensivo” è la comparsa di risposta, e così eludendo la giurisprudenza, sempre delle Sezioni Unite, sorta già da tempo e condivisibilmente richiamata da S.U. 927/2022, che – come sopra si è osservato – ha, in sostanza, riconosciuto l’unitarietà del processo a partire dal ricorso monitorio.
12.3 La “stretta” sull’attività processuale dell’opposto effettivamente rinvenibile nella giurisprudenza anteriore al 2015, tendente (come pare tenda il d.lgs. 149/2022) a cristallizzare subito la regiudicanda salva la ricorrenza di legittime pretese riconvenzionali, non si può negare sia ormai superabile nel sistema ratione temporis in esame quanto alla comparsa di costituzione e risposta. Invero, lo spazio di ampliamento difensivo del thema decidendum originario che le Sezioni Unite, prima nel 2015 e poi ancora nel 2018, hanno riconosciuto in generale alle parti – così da ricondurre, dopo anni di rigore decadenziale, proprio nell’esercizio del diritto di difesa anche la facoltà di ampliare la materia del contendere con l’unico limite del medesimo interesse sul piano sostanziale – non può certo essere integralmente espunto dal fatto che il ricorso alla tutela giurisdizionale ha preso le mosse inaudita altera parte, con il contraddittorio che in fase monitoria è soltanto futuro e ipotetico.
12.4 Una certa linea giurisprudenziale in tal senso, però, è realmente rimasta anche dopo gli interventi nomofilattici del 2015 e del 2018. Così, tra gli arresti massimati, Cass. sez. 2, 25 febbraio 2019 n. 5415 – ribadendo Cass. sez.1, ord. 22 giugno 2018 n. 16564, anteriore al secondo intervento nomofilattico del 2018 – ancora afferma: “Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dal opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una <> che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale”; del tutto conforme è pure Cass. sez. 3, ord. 10 marzo 2021 n. 6579. 12.5
In direzione contraria, e quindi coerente con il nuovo percorso ermeneutico, si è posta invece Cass. sez. 1, 24 marzo 2022 n. 9633 (invocata infatti nella presente ordinanza interlocutoria), che – senza alcuna oscillazione – ha riconosciuto all’opposto la facoltà di integrare il thema decidendum nella comparsa di costituzione e risposta, sciogliendo così il pieno novum dai limiti della reconventio reconventionis. Limpida è la massima: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dell’art. 183 c.p.c.”. Pronuncia, questa, seguita, in piena conformità, da Cass. sez. 3, ord. 22 settembre 2023 n. 27183 e Cass. sez. 3, ord. 27 novembre 2023 n. 32933. 12.6 Quanto emerge da quest’ultima linea ermeneutica condivisibilmente adegua il ruolo attoreo alla species in esame in cui viene esercitato: è davvero attore sostanziale il soggetto che, astenutosi dallo svolgere la funzione di attore processuale secondo il canone ordinario, si è avvalso della via monitoria, allorquando la pretesa da lui esternata in tale modalità speciale si evolve – per la reazione oppositiva dell’ingiunto che ha assunto (in sua vece nel dispiegamento del contraddittorio) la funzione di attore processuale – recuperando il paradigma del giudizio ordinario, ovvero il contraddittorio, ai sensi dell’articolo 645 c.p.c., correttamente e quindi costituzionalmente interpretato.
13.1 È il caso altresì di rilevare che ambedue le parti, in questa “fase di recupero” mediante il contraddittorio, possono fruire – e ciò per l’opposto costituisce un ulteriore e sicuro sostegno del suo ruolo pieno ormai raggiunto –, in forza ancora dell’articolo 645 c.p.c. (che infatti regola il ruolo di entrambe), della facoltà di incrementare la regiudicanda evincibile dell’articolo 104 c.p.c., Pluralità di domande contro la stessa parte, che, al primo comma, prevede infatti: “Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell’articolo 10, secondo comma”. Dall’avvio monitorio del contenzioso non deriva quindi alcuna cristallizzazione delle facoltà difensive in termini di formazione del thema decidendum, come se l’opposto le avesse esaurite nella fase monitoria.
13.2 Proprio questa, invece, è stata originariamente, anche per la complessiva interpretazione restrittiva anteriore a S.U. 12310/2015, la lettura del ruolo di opposto, legittimato soltanto a proporre domanda riconvenzionale: interpretazione restrittiva che non è più sostenibile, in quanto nella comparsa di costituzione l’opposto è legittimato a proporre non solo domande “reattive” stricto sensu – cioè riconvenzionali -, ma altresì domande che, sempre come qualificate dall’arresto del 2015 e confermate da quello susseguente del 2018, rientrano nell’area sostanziale sottesa alla domanda originaria, ovvero sono domande aggiuntive/alternative, sovente collocate in posizione di subordine, ammissibili perché rapportate al medesimo interesse.
Pertanto, anche nel caso in cui la controparte sia “ferma” sulla costruzione del thema decidendum perché non ha attivato il work in progress riconvenzionale, nella propria comparsa di risposta il soggetto che aveva chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo può aggiungere pretese non correlate a quella originaria se non mediante lo strumento teleologico dell’interesse.
13.3 Ne deriva che la proposizione nella comparsa di risposta nella causa in esame, da parte dell’opposto, di domande come quelle, qui prospettate, ex articolo 2041 c.c. ed ex articolo 1337 c.c. è ammissibile, ben potendo a livello generale/astratto riconoscersi anche a loro fondamento l’interesse – dell’originario ricorrente – in relazione alla vicenda, originariamente tradotto in azione d’adempimento contrattuale: invero, il petitum di tali domande alternative risulta almeno in parte corrispondente alla prima pretesa avanzata in via monitoria.
L’interesse, infatti, come è stato chiarito dall’arresto del 2015, è il presupposto legittimante l’introduzione di una domanda alternativa, introduzione che non può essere inibita – come lo era, secondo l’ottica ermeneutica anteriore a tale revirement – dalla diversità/novità in sé di causa petendi e petitum rispetto alla prospettazione originaria.
Tutto questo si pone dunque in sintonia proprio con la capostipite interpretazione di S.U. 12310/2015, per cui deve pure rilevarsi, in relazione alla memoria presentata dall’Asl Viterbo asserente che dal nuovo inquadramento del thema decidendum le insorgerebbe difficoltà difensiva, che – in realtà – non è in alcun modo leso mediante un novum il diritto di difesa da essa esercitabile.
13.4 Pervenendo allora al conseguente principio di diritto, deve affermarsi che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione da parte dell’opposto nella comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto all’ingiunzione.
14.1 Occorre un’ultima precisazione in ordine alla sussistenza della facoltà dell’opposto di inserire, esercitando jus variandi, domande difensive/alternative non nella comparsa di risposta, bensì nello sviluppo ulteriore del processo anche nel caso in cui non abbia l’opponente contribuito con alcunché in questo “slittamento in avanti”: e dunque nella prima udienza e nella memoria ex articolo 183, sesto comma, n.1 c.p.c. qui ratione temporis applicabile.
Tra gli arresti massimati è favorevole a questa lettura la recentissima Cass. sez.3, ord. 21 marzo 2024 n. 7592. Invero esiste, negli interpreti, anche un’ulteriore apertura diversa da quella sin qui esaminata (e specificamente relativa alla causa, come emerge dal quarto motivo del ricorso), apertura che conduce a riflettere sulla specificità ineludibile del ruolo assunto dall’opposto: id est a ritornare alla questione della parità delle parti come da intendere e “tradurre” in un giudizio di origine speciale, cioè non a contraddittorio concretamente assente per scelta di parte – la contumacia -, ma con ontologica mancanza nel paradigma monitorio della parte “avversa”, in quanto il soggetto nei cui confronti si chiede venga pronunciato il decreto riveste esclusivamente il ruolo di avversario sostanziale di chi si rivolge al giudice, non avendo invece alcuno spazio di difesa, e neppure di mera presenza, nel procedimento diretto all’ingiunzione.
14.2 Una cosa è l’identificazione di quel che una parte è legittimata a inserire nel thema decidendum di un procedimento, un’altra è la determinazione di quando è abilitata a farlo, cioè quando e fino a quando il novum può introdursi nella regiudicanda. Nella linea avviata da S.U. 12310/2015 e consolidata da S.U. 22404/2018 quest’ultimo profilo è stato “assorbito” dalla natura radicalmente ordinaria dei giudizi ivi esaminati: la parità dei litigatores vi si era conformata ab initio, e il testo ratione temporis dell’articolo 183 c.p.c. in tal caso non può non disciplinare egualmente le facoltà di tali parti anche in riferimento al n.1 del sesto comma.
Tuttavia, questo non combacia con la struttura del giudizio monitoriamente instaurato, in cui la parte che, nella fase a contraddittorio, figura opposta, cioè convenuta processuale, ha già goduto di uno stadio procedurale “esclusivo” per avanzare una propria pretesa, pur nei limiti probatoriamente perimetrati.
Dunque, se nella fase contenziosa le viene concesso tutto quel che viene concesso “in via riparativa” alla sua controparte, rimarrebbe proprio un livello di disparità non assorbito con l’avvio del contraddittorio.
14.3 L’uguaglianza difensiva è la sostanza del contraddittorio, che ne è la dinamica rappresentazione. Ogni favor verso un soggetto processuale trova limite proprio nella forma/strumento di eguaglianza che è il contraddittorio stesso: il che significa paritario trattamento ai soggetti uguali, e non ai soggetti diseguali, questi ultimi potendosi rinvenire quando si esce, pur legittimamente ma provvisoriamente, dal tipico paradigma egualitario.
L’effetto del favor, allora, non può essere assoluto (ovvero radicale e globale) ma solo perimetrato e relativizzato al dinamico contesto in cui viene inserito, in quanto il canone dell’uguaglianza arreca (e deve arrecare, alla luce delle norme superiori), nell’ipotesi della sua fruizione posticipata, uno strumento di recupero/riequilibrio – anche se solo potenziale come è nell’istituto monitorio per la possibile scelta dell’interessato di non avvalersene, portando alla stabilità del giudicato -, come accade nella fase oppositiva/impugnatoria al decreto ingiuntivo.
Perciò quando si rientra nel genus dell’eguaglianza difensiva, la species della via monitoria non può sprigionare ancora consistenti effetti di favor, bensì può generare soltanto quelli già inscindibilmente derivanti dalla propria originaria peculiarità (come l’articolo 648, che si affianca, pur non identico, all’articolo 642 c.p.c.), la quale è comunque in sufficiente misura ormai “riparabile” (cfr. articolo 649 in relazione all’articolo 642 c.p.c.) a contraddittorio non più futuro/potenziale, bensì aperto e dunque concreto.
14.4 Non può invece, a questo punto, incidere il favor su quello che deve risiedere ontologicamente nel genus, cioè sul contraddittorio nelle sue basilari modalità di equiparazione (litigatores è una qualifica positiva in senso proprio, pur rivestendo chi è in contrasto): il contraddittorio, in questo procedimento in formazione progressiva, vale – come già si accennava – come strumento di uguaglianza non rispetto alla ingiunzione in sé, ma rispetto al thema decidendum che, proprio a mezzo del contraddittorio, rientra nella via maestra del giudizio ordinario.
La condizione paritaria deve quindi realmente recuperarsi in toto, l’unica differenza scaturita dalla species permanendo nella sua origine dal decreto ingiuntivo. Il valore della opposizione, riequilibrante le potenzialità dei litigatores, deve risultare “completo” per le modalità conseguenti dal contraddittorio, che lo rende paritario, e quindi ordinario.
È infatti nella forma funzionale di questo che si rientra, recuperando anche la parità concreta per l’esercizio del diritto di difesa. Il che, d’altronde, non toglie certo allo jus variandi dell’opposto gli spazi garantiti dalla piena tutela di tutte le parti in via ermeneutica rinvenuta da S.U.12310/ 2015 e ribadita da S.U. 22404/2018, essendo pertanto ammissibile, qualora la condotta difensiva dell’opponente si avvalga dello jus variandi posteriormente all’atto di citazione in opposizione, che l’opposto secondo i generali principi difensivi possa esercitarlo a sua volta, e quindi anche nell’ultimo stadio della memoria ex articolo 183, sesto comma, c.p.c.
- Può dunque concludersi rammentando che ogni domanda è atto difensivo; pertanto, in un’ottica di parità e in correlato riferimento al canone della correttezza processuale di cui all’articolo 88, primo comma, c.p.c. – includente anche, per logica, semplificazione – chi ha avviato il giudizio per via monitoria ha facoltà di introdurre nella comparsa di risposta le domande alternative che eventualmente intenda presentare, non potendo invece riservarle fino all’“ultimo giro” offerto dall’articolo 183, sesto comma, c.p.c.
Fino a quest’ultimo, comunque, a seconda dell’evoluzione difensiva dell’opponente posteriore alla comparsa di risposta, gli sarà consentito proporre domande come manifestazioni di difesa, anche se non stricto sensu riconvenzionali.
Fenomeno evolutivo del thema decidendum, questo, che d’altronde non deve “appesantire” di per sé la causa tramite inserimenti di quel che palesemente è estraneo/irrilevante: lo attesta, in ultima analisi, proprio la scelta ultima del legislatore, che ha rigorosamente bloccato alla fase pre-udienza “lo spazio di espansione” del thema decidendum.
E alla scelta normativa posteriore – in stile “corsi e ricorsi” – non può certo non attribuirsi una qualche incidenza ermeneutica attuale. Si configura pertanto una linea di corretta tempestività ai fini della introduzione, da parte dell’attore sostanziale che ha fruito del favor monitorio, di domande ulteriori/alternative: riversarle nella comparsa di risposta, e non attendere, qualora non vengano a rapportarsi a successive difese dell’opponente, di introdurle in sede posteriore.
- In conclusione, il quarto motivo del ricorso (cfr. paragrafo n.2.2 supra) deve essere accolto con l’enunciazione del principio di diritto di cui al punto 13.4. L’esame degli ulteriori motivi va rimessa alla Sezione semplice ai sensi dell’articolo 142 disp. att. c.p.c.