Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza 29 dicembre 2021, n. 41895
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.1. Con il primo motivo il Comune ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, erronea e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata considerato che il giudicato di cui alla sentenza del medesimo ufficio n. 1316/2013 aveva già esaminato- e risolto in senso negativo- la questione dell’applicabilità del regime di cui all’art. 2112 c.c..
- Ha dedotto che i due giudizi tra le stesse parti fondavano sul medesimo presupposto, fattuale e normativo, dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c. sicché sul punto i fatti costitutivi delle rispettive domande erano identici; a nulla rilevava il fatto che nella causa definita dal giudicato gli stessi fossero invocati ai fini della riammissione in servizio e della solidarietà tra condebitori e nel giudizio in trattazione per la rivendicazione delle differenze retributive.
- Il motivo è fondato.
- In via preliminare giova distinguere il divieto di riproporre la stessa domanda già definita con pronuncia passata in giudicato – al quale si riferisce la regola secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile – dal principio secondo cui l’assetto del rapporto giuridico fissato dal giudicato ha efficacia oggettiva anche rispetto a domande nuove, nascenti dal medesimo rapporto.
- In relazione a detto rilievo oggettivo del giudicato, precisa la Corte, non vi è questione di identità o meno tra la domanda in decisione e quella definita dal giudicato ma, piuttosto, di identità del rapporto sostanziale cui le due domande, tra loro diverse, si riferiscono.
- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. sez. III 15 maggio 2018 n. 11754 e giurisprudenza ivi citata; Cass. sez. lav., 28 novembre 2017 n. 28415; 9 dicembre 2016 n. 25269; 16 dicembre 2015, n. 25304).
- La formazione di tale giudicato esterno sul “punto fondamentale comune ad entrambe le cause” prescinde dalla proposizione di una specifica domanda di parte.
- Alla base della giurisprudenza richiamata vi è la distinzione tra:
– pregiudizialità tecnica (o tecnico-giuridica o pregiudizialità in senso stretto), che si verifica qualora vengano in considerazione due o più rapporti giuridici, uno dei quali (quello pregiudiziale) appartiene alla fattispecie dell’altro, che dipende da esso (quello pregiudicato);
– pregiudizialità logica, che si verifica, invece, quando nell’ambito di un unico rapporto giuridico l’accertamento di un diritto richiede il previo accertamento di una situazione giuridica che è comune ad altri diritti nascenti dal medesimo rapporto.
- Nel primo caso, osserva la Corte, l’accertamento di un diritto presuppone l’accertamento di un altro “diritto”; ad esso si riferisce l’art. 34 c.p.c., secondo cui l’accertamento di una questione pregiudiziale non è idoneo a passare in giudicato, salvi i casi in cui una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti.
- Nel secondo caso, invece, vi è un “punto pregiudiziale” – ovvero un antecedente logico necessario – comune a due diverse domande relative ad uno stesso rapporto giuridico; la pronuncia resa al riguardo acquista l’efficacia del giudicato, indipendentemente da una domanda di parte. Si è detto al riguardo che il giudicato copre le questioni che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa, alle quali si riferisce la locuzione “pregiudiziale in senso logico”.
- Nella fattispecie di causa, precisa la Corte, ricorre questa seconda eventualità: viene in questione l’unico rapporto giuridico tra il Comune ed i lavoratori disciplinato prima dalla convenzione dell’anno 1996 e poi, scaduta la prima, dalla convenzione dell’anno 2007, applicabile in causa.
- Tale convenzione è stata oggetto del giudicato di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1316/2013, tra le stesse parti, che nell’esaminare la disposizione dell’art. 5 della convenzione del 2007, qui rilevante, ha affermato che il richiamo all’art. 2112 c.c. da parte della convenzione era effettuato in senso “atecnico”, a prescindere, cioè, da un effettivo ri-trasferimento al Comune dell’attività della formazione professionale ed era diretto a garantire i lavoratori dalla eventuale perdita del posto di lavoro ed ad assicurare loro, in ogni caso di cessazione degli effetti della convenzione, il riassorbimento alle dipendenze del COMUNE.
- Sulla base di questo accertamento, il giudicato ha respinto la domanda dei lavoratori diretta ad affermare la solidarietà del Comune per il pagamento delle retribuzioni maturate presso il CSEA, secondo il regime di cui all’art. 2112 c.c., comma 2.
- In sostanza, il giudicato ha accertato che il richiamo all’art. 2112 c.c., da parte della convenzione del 2007 era effettuato al solo fine di assicurare ai lavoratori il rientro alle dipendenze del Comune, non per estendere ad essi il regime previsto dalla norma codicistica.
- Trattandosi di un punto pregiudiziale comune ad entrambe le cause, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che esso non fosse coperto dal giudicato.
- Invero, una volta stabilito dal giudicato che il richiamo all’art. 2112 c.c., contenuto nella convenzione del 2007 si riferiva unicamente alla garanzia dei lavoratori ad essere riassunti dal Comune (anche in mancanza di riassorbimento dell’attività trasferita) il giudice del merito non avrebbe potuto procedere ad una nuova interpretazione della convenzione, preclusa dal giudicato.
- Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale, diretti a censurare la interpretazione dell’art. 14 della convenzione dell’anno 1996 e dell’art. 5 della convenzione dell’anno 2007 accolta nella sentenza impugnata:
– il secondo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c. nonché per violazione dell’art. 2112 c.c., commi 1 e 3;
– il terzo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della erronea e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c..
– il quarto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c., dei principi fondamentali di parità di trattamento (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45), selezione e progressione tramite concorso (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36), dei limiti di spesa pubblica (artt. 150 e segg. TU Enti Locali, D.Lgs. n. 118 del 2011, D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 3 e 40).
- La sentenza impugnata, conclude la Corte, deve essere pertanto cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito. Invero la domanda originaria era fondata esclusivamente sulla applicazione dell’art. 2112 c.c. in forza del richiamo a tale disposizione contenuto nella convenzione (è pacifica la inapplicabilità in via diretta alla fattispecie di causa della norma codicistica); dalla interpretazione della convenzione consacrata dal giudicato discende dunque il rigetto della domanda.
- Le spese dell’intero giudizio si compensano tra le parti per la complessità della questione trattata, quale risulta dal contrasto di giurisprudenza emerso in seno alla Corte d’Appello di Torino.