Cassazione penale, Sez. II, ordinanza 4 febbraio 2022, n. 3947
QUESTIONE RIMESSA
Viene rimessa alle Sezioni unite della Cassazione la seguente questione: “se il giudice di appello, qualora dichiari il reato estinto per prescrizione, accertando che la stessa è maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado soltanto a seguito di una valutazione discrezionale difforme da quella di primo grado, possa decidere “ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., ovvero debba revocare le statuizioni civili del primo giudice”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I ricorsi devono essere rimessi alle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, in quanto quelli proposti dalle parti civili comportano l’esame e la risoluzione di una questione di particolare importanza che può dar luogo a un contrasto giurisprudenziale, laddove non si ritenga che un contrasto sia già ravvisabile, nei termini che verranno di seguito precisati.
- La difesa delle parti civili non contesta che, a seguito della decisione assunta dalla Corte di appello sul riconoscimento dell’attenuante della dissociazione attuosa e sul diverso giudizio di bilanciamento fra le circostanze generiche e l’aggravante, la prescrizione per il reato di estorsione ascritto all’imputato F. sia maturata ampiamente prima della pronuncia della sentenza del Tribunale.
Tuttavia, sostengono gli stessi ricorrenti che la Corte di appello avrebbe violato l’art. 578 del codice di rito, che così recita: “Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”: dal dato testuale risulta chiaro che il presupposto per l’applicazione della norma è costituito dalla pregressa pronuncia di una sentenza di condanna.
In forza della citata disposizione, dunque, possono essere tenute ferme le statuizioni civili “nei soli casi in cui, in primo grado (o in secondo grado se ci si riferisca al giudizio di legittimità), sia stata pronunciata sentenza di condanna: ciò che trova il suo fondamento nella considerazione che il legislatore abbia voluto far permanere la sentenza di condanna su restituzioni e risarcimento solo nel caso di un duplice controllo giurisdizionale positivo sulla responsabilità penale dell’imputato” (così Sez. 2, n. 24458 del 22/03/2018, Domenico, Rv. 273235; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 4, n. 33778 del 20/06/2017, Casilli, Rv. 270992; Sez. 4, n. 14014 del 04/03/2015, Bellucci, Rv. 263015; Sez. 5, n. 27652 del 17/06/2010, Giacchè, Rv. 248389).
Anche da ultimo questa Corte ha affermato che l’art. 578 c.p.p., è una norma “di stretta interpretazione, per la sua natura di eccezione alla regola generale già enunciata e ricavabile dagli artt. 538 e 533 c.p.p., stabilendosi, con essa, che, quando vi sia il proscioglimento dell’imputato per essere il reato a lui attribuito estinto per amnistia o prescrizione, il giudice dell’impugnazione deve, in presenza di una condanna nel grado precedente, decidere sulle statuizioni civili” (così Sez. 5, n. 5433 del 18/12/2020, dep. 2021, Criscuolo, Rv. 280409).
- Poiché nel caso in esame il giudice di appello ha accertato che il reato di estorsione era estinto per prescrizione già prima della pronuncia della sentenza di primo grado, risulta pertinente una risalente pronuncia con la quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che è illegittima la sentenza d’appello nella parte in cui, accertando che la prescrizione del reato è maturata prima della pronuncia di primo grado, conferma le statuizioni civili in questa contenute; in tale ipotesi, infatti, non sussistono i presupposti in presenza dei quali l’art. 578 c.p.p. consente al giudice dell’impugnazione di decidere sugli effetti civili anche nel caso in cui dichiari l’estinzione del reato (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211191).
Anche successivamente questa Corte ha ribadito che, quando il giudice di appello accerti che la prescrizione del reato è maturata prima della sentenza di primo grado, nel pronunciare la declaratoria di estinzione del reato, deve contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute. La decisione del giudice di secondo grado sugli effetti civili del reato estinto, invero, presuppone che la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza emessa dal giudice di primo grado che ha pronunciato sugli interessi civili, mentre, “qualora la causa di estinzione del reato preesista alla sentenza di primo grado ed il giudice erroneamente non l’abbia dichiarata, non sussistono i presupposti di operatività dell’art. 578 c.p.p., poiché tale decisione implica una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa e gli effetti della sentenza di secondo grado devono essere riportati al momento in cui è stata emessa quella di primo grado. In tal caso, infatti, la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, sarebbe illegittima, in assenza di una pronuncia penale di condanna” (così Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018, Fasolino, Rv. 273726; in senso conforme v., ad es., Sez. 5, n. 32636 del 16/04/2018, Suraci, Rv. 273502; Sez. 5, n. 15245 del 10/03/2015, C., Rv. 263018; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261815; Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013, Colucci, Rv. 255054; Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009, Somma, Rv. 243290; da ultimo, fra le tante, cfr. Sez. 3, n. 41583 del 10/09/2021, Rizzuto, non mass.).
Proprio in ragione del fatto che il giudice penale può decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno solo quando pronuncia sentenza di condanna, le Sezioni Unite hanno ritenuto che la parte civile sia legittimata e abbia interesse a impugnare la sentenza di estinzione del reato per prescrizione, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., ove si contesti la fondatezza di tale conclusione: “è in tal modo, infatti, che la stessa può invocare l’adozione di quell’accertamento di responsabilità, non rivestito delle forme della “condanna”, perché funzionale al solo accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento del danno, e la conseguente decisione sulla pretesa civilistica non pronunciate dal giudice per effetto della erronea ritenuta estinzione del reato” (così Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953, che ha quindi affermato il seguente principio di diritto: “Nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l’impugnazione della parte civile che lamenti l’erronea applicazione della prescrizione”).
- Il caso di cui ora si tratta, però, presenta una ulteriore particolarità, considerato che – come si è detto – la Corte territoriale ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di estorsione ascritto a F.M. solo in forza del riconoscimento dell’attenuante “privilegiata” della dissociazione attuosa, negata dal Tribunale, e del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante ex art. 628 c.p., comma 3, n. 3, rispetto a quello di equivalenza fra circostanze espresso dal primo giudice. Il Tribunale, dunque, in assenza del riconoscimento dell’attenuante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8, e ad esito del suddetto giudizio di comparazione, non aveva errato nell’escludere l’estinzione del reato e aveva, in tale situazione, correttamente emesso una pronuncia di condanna, una volta accertata la responsabilità dell’imputato per il delitto ascrittogli. La Corte territoriale, tuttavia, ha ritenuto di non condividere dette valutazioni sull’attenuante della dissociazione attuosa e sul giudizio di bilanciamento, rilevando che conseguentemente la prescrizione del reato era intervenuta in epoca anteriore alla sentenza di primo grado.
Una situazione analoga a quella in esame è stata affrontata specificamente in alcune risalenti pronunce di legittimità.
In un primo caso il giudice di appello aveva dichiarato il reato estinto per prescrizione previo riconoscimento delle attenuanti generiche, negate dal primo giudice, e quindi “nella sopravvenienza di una valutazione discrezionale del giudice di appello difforme da quella di primo grado” e non già “nella preesistenza della causa estintiva e nella sua mancata rilevazione per errore del giudice” (Sez. 1, n. 12315 del 18/01/2005, Sgarbi, Rv. 231430): si è dunque ritenuto applicabile il disposto dell’art. 578 del codice di rito.
Analogamente, evidenziata la valutazione di tipo discrezionale con la quale la Corte di appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto le circostanze attenuanti prevalenti sulle aggravanti, così da determinare la prescrizione del reato in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, si è deciso che “legittimamente la Corte territoriale (aveva) statuito anche in ordine agli interessi civili”, ai sensi dell’art. 578 c.p.p. (Sez. 4, n. 21569 del 16/01/2007, Centanini, Rv. 236717).
In conformità al suddetto principio, si è poi affermato che la declaratoria di estinzione del reato, pronunciata dal giudice di appello, a seguito di prescrizione, in virtù dell’applicazione delle attenuanti generiche o del giudizio di comparazione fra queste e le aggravanti, comporta l’applicazione dell’art. 578 del codice di rito (Sez. 5, n. 9092 del 19/11/2008, dep. 2009, Gallo, Rv. 243323).
Successivamente, sempre in un caso di applicazione del regime prescrizionale previgente alle modifiche introdotte con la L. n. 251 del 2005, questa Corte, richiamando le precedenti pronunce sopra indicate, ha ribadito che “la declaratoria di estinzione del reato, pronunciata dal giudice di appello, a seguito di prescrizione, in virtù dell’applicazione delle attenuanti generiche o del giudizio di comparazione fra queste e le aggravanti, comporta l’applicazione dell’art. 578 c.p.p., – che fa salve le statuizioni civili conseguenti alla condanna penale venuta meno – anche se, per effetto del nuovo computo, la scadenza del termine prescrizionale risulti anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado” (così Sez. 3, n. 10229 del 24/01/2013, G.E., non mass.).
Più di recente, invece, in una fattispecie per certi versi sovrapponibile a quella di cui si tratta, il medesimo principio è stato affermato in un caso in cui la prescrizione era stata dichiarata dal giudice di appello a seguito della esclusione della recidiva qualificata: solo “a fronte di diversa valutazione, discrezionale del giudice del gravame, il reato (era) risultato prescritto in epoca anteriore alla sentenza di primo grado”; conseguentemente, la Corte di legittimità, accogliendo il ricorso della parte civile, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla revoca delle statuizioni civili, che ha eliminato, con rinvio al giudice civile, competente in grado di appello, per le determinazioni sulla domanda civilistica proposta al giudice del gravame e da questo non delibata per la rilevata estinzione del reato per prescrizione (Sez. 5, n. 39446 del 08/05/2018, Cerone, non mass.).
Questo sarebbe l’esito del presente processo, quanto ai ricorsi delle parti civili, qualora venisse seguito questo principio.
- La correttezza del suddetto principio, tuttavia, affermato per la prima volta nella citata sentenza del 2005 e ribadito in poche successive pronunce di legittimità, in assenza di un approfondimento della questione, è tutt’altro che pacifica.
Va evidenziato, infatti, che le numerose sentenze delle Sezioni Unite e semplici in precedenza citate (sub 3.), secondo le quali non sussistono i presupposti di operatività dell’art. 578 c.p.p., se la causa di estinzione del reato preesista alla sentenza di primo grado ed il giudice erroneamente non l’abbia dichiarata, non operano alcuna distinzione fra i motivi di riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice di appello: un errore di calcolo del tempo necessario a prescrivere ovvero una diversa decisione circa il riconoscimento di una circostanza o la formulazione del giudizio di comparazione adottata ad esito di una valutazione discrezionale.
In questo senso, pur senza confrontarsi espressamente con il suddetto principio, la più recente fra le suddette pronunce (Sez. 4, n. 27393 del 2018, cit.) ha dichiarato inammissibili i ricorsi delle parti civili con le quali le stesse lamentavano il riconoscimento da parte della Corte territoriale di appello delle circostanze attenuanti, ritenute prevalenti sull’aggravante, a seguito del quale il reato di crollo colposo di un edificio era stato dichiarato estinto per prescrizione in appello, con la revoca delle statuizioni civili.
Ribadendo la inammissibilità di un appello proposto ex art. 576 c.p.p., riguardante la concessione di una circostanza attenuante (nello stesso senso, in precedenza v., ad es., Sez. 3, n. 5860 del 12/10/2011, dep. 2012, C., Rv. 252120), la pronuncia in esame ha escluso la possibilità per le parti civili di chiedere “la rivalutazione sulla sussistenza delle circostanze generiche, giudicate prevalenti sulla contestata aggravante, al fine, peraltro non reso esplicito, dell’annullamento della sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato prima della pronuncia della sentenza di primo grado” e ha conclusivamente affermato che “non è consentita alla parte civile l’impugnazione della sentenza di appello che dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione del reato, intervenuta prima della pronuncia di primo grado, revochi i relativi effetti civili della sentenza di condanna”. Ciò proprio in una ipotesi – come quella in esame – in cui erano state riconosciute attenuanti generiche e formulato un giudizio di prevalenza sull’aggravante.
Tuttavia, il principio enunciato nelle sentenze citate sub 3. pare ispirato anche a criteri di ragionevolezza e di tutela degli interessi della parte civile, la quale, diversamente, pur a fronte di un duplice accertamento di responsabilità, si vedrebbe costretta a promuovere un nuovo giudizio civile. In questo senso la citata sentenza delle Sezioni Unite (n. 28911 del 2019), nel ritenere ammissibile l’impugnazione della parte civile che lamenti l’erronea applicazione della prescrizione, ha contestato l’argomento secondo il quale mancherebbe un effetto pregiudizievole derivante dal giudicato di prescrizione in capo alla parte civile, libera di azionare la propria pretesa in un giudizio civile nel quale la sentenza di proscioglimento per prescrizione non avrebbe alcuna efficacia: “se lo stesso sistema ha riconosciuto al danneggiato la possibilità di azionare la propria pretesa di carattere civilistico percorrendo, oltre alla via del giudizio civile, anche quella del giudizio penale mediante la costituzione in esso di parte civile, una interpretazione che venisse a ritenere insussistente l’interesse alla impugnazione nel processo penale sol perchè sarebbe pur sempre possibile la residua azione civile si tradurrebbe nella sostanziale ripulsa dello stesso congegno normativo e nella indebita “amputazione” di una facoltà riconosciuta dallo stesso legislatore”.
Per contro, va ricordato che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228, in motivazione; Sez. 5, n. 5433 del 18/12/2020, dep. 2021, Criscuolo, Rv. 280409; Sez. 5, n. 6347 del 06/12/2016, dep. 2017, La Mastra, Rv. 269449), pur a fronte di un duplice accertamento circa la sussistenza del fatto-reato da parte dell’imputato assolto per particolare tenuità del fatto, il giudice di appello che, in riforma della sentenza di primo grado, applichi la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., non può decidere sulle statuizioni civili, in assenza di una pronuncia di condanna, gravando sulla parte civile l’onere di proporre azione in sede civile, pur potendosi giovare del giudicato derivante dalla sentenza di assoluzione, ai sensi dell’art. 651-bis del codice di rito.
Nella sentenza Cremonini, le Sezioni Unite hanno anche richiamato in senso adesivo la propria precedente pronuncia con la quale si è affermato che il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto, qualificato come illecito civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza concernenti gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire nella sede naturale per il risarcimento del danno e la eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, Rv. 267884).
- Nonostante per i reati commessi fra l’8 dicembre 2005 (giorno di entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, che ha modificato l’art. 157 c.p.) e il 31 dicembre 2019 (giorno fino al quale non rilevano le modifiche in tema di prescrizione e improcedibilità, apportate rispettivamente dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, e dalla L. 27 settembre 2021, n. 134), ai fini del calcolo del tempo necessario a prescrivere, siano ininfluenti il riconoscimento di circostanze attenuanti e il giudizio di comparazione, la più recente fra le pronunce richiamate sub 4., in tema di recidiva, rende evidente la rilevanza della questione di cui si tratta.
Infatti, secondo il diritto vivente, ai fini del riconoscimento della recidiva, occorre valutare se il nuovo delitto sia stato o meno espressione di “più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo”, in ragione di una serie di criteri specificamente indicati nella sentenza Calibè (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838), principio ribadito dalle stesse Sezioni Unite (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044), che hanno poi rimarcato il relativo onere motivazionale che grava sul giudice di merito (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251690; Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319, in motivazione).
Si tratta di una valutazione che comporta un motivato esercizio del potere discrezionale del giudice di merito, con una ricaduta estremamente significativa nei frequenti casi di recidiva qualificata (tutti, fatta eccezione per quello della recidiva semplice ex art. 99 c.p., comma 1), poiché, per determinare il tempo necessario a prescrivere, hanno rilievo le circostanze aggravanti ad effetto speciale (art. 157 c.p., comma 2) e, quanto al termine massimo, sono previsti termini maggiori rispetto a quelli ordinari (art. 161 c.p., comma 2). Va in proposito ricordato che, secondo un principio del tutto consolidato, la recidiva qualificata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, incide sia sul calcolo del tempo necessario a prescrivere ex art. 157 c.p., comma 2, sia sulla entità della proroga, in presenza di atti interruttivi (Sez. 2, n. 57755 del 12/10/2018, Saetta, Rv. 274721; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, Pireddu, Rv. 273490; Sez. 4, n. 6152 del 19/12/2017, dep. 2018, Freda, Rv. 272021; Sez. 2, n. 5985 del 10/11/2017, dep. 2018, Scaragli, Rv. 272015; Sez. 6, n. 50319 del 30/01/2017, Zandomeneghi, Rv. 271802).
Facendo un solo esempio, si consideri un caso di circonvenzione di persona incapace con la contestazione della recidiva reiterata aggravata (art. 99 c.p., comma 4, seconda parte), applicata la quale il tempo necessario a prescrivere va determinato in sedici anni e otto mesi, a fronte di soli sette anni e sei mesi se l’aggravante viene esclusa.
Nella prassi sono tutt’altro che rari i casi, quale quello sopra citato, in cui il giudice di appello, in accoglimento di un motivo di gravame, esclusa l’applicazione della recidiva, rilevi che il reato è estinto per prescrizione e che la causa di estinzione, in ragione di detta esclusione, era maturata anteriormente alla pronuncia di primo grado: in presenza della parte civile si pone la questione della revoca o meno delle statuizioni civili.
Peraltro, sui poteri di cognizione del giudice dell’impugnazione chiamato a decidere sull’azione civile, in presenza di estinzione del reato, è da ultimo intervenuta la Corte Costituzionale con una pronuncia di non fondatezza di questioni di legittimità costituzionale dell’art. 578 c.p.p. (sentenza 30 luglio 2021, n. 182), nella quale si è anche affermato che, ai fini della decisione sulla domanda risarcitoria ai sensi della suddetta norma del codice di rito, il giudice dell’impugnazione penale “non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 c.c.)”.
La decisione appare assai innovativa, considerata la giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, secondo la quale il potere di cognizione del giudice penale dell’impugnazione, chiamato a decidere sull’azione civile, riguarda sempre, in via diretta o incidentale, l’illecito penale dal quale deriva la responsabilità civile da danno; ciò comporterebbe anche notevoli ricadute sul piano probatorio, in quanto “l’accertamento in sede penale non soffre delle preclusioni e dei limiti previsti in sede civile in considerazione soprattutto del differente criterio di valutazione della prova, collegato a parametri predeterminati e fondato invece, nel processo penale, sul principio di atipicità” (così Sez. U, n. 28911 del 2019, cit.).
- Alle Sezioni unite, pertanto, viene rimessa la seguente questione: se il giudice di appello, qualora dichiari il reato estinto per prescrizione, accertando che la stessa è maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado soltanto a seguito di una valutazione discrezionale difforme da quella di primo grado (ad esempio, per la omessa applicazione della recidiva qualificata ovvero nel regime anteriore alla L. 5 dicembre 2005, n. 251 – per il riconoscimento di un’attenuante, la eliminazione di un’aggravante o la formulazione di un diverso giudizio di comparazione fra circostanze del reato), possa decidere “ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., ovvero debba revocare le statuizioni civili del primo giudice.