Corte di Cassazione, V Sezione Penale, ordinanza 28 ottobre 2021, n. 38902
PRICIPIO DI DIRITTO
La Corte rimette il ricorso, ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p., alle Sezioni Unite sulle seguenti questioni:
“Se la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di procedura penale è interamente applicabile, in quanto compatibile, anche al procedimento di prevenzione, attesa la natura giurisdizionale dello stesso, ovvero se, in ragione della tipologia e dell’oggetto del procedimento di prevenzione, non possono ritenersi applicabili le disposizioni dell’art. 34 c.p.p. diverse dal comma 1, pur richiamate dall’art. 36 c.p.p., alla lett. g)”;
“Se al procedimento di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37 c.p.p., comma 1, nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Lo scrutinio del primo motivo di ricorso richiede una preliminare verifica della fondatezza delle questioni sollevate con le restanti doglianze, dal momento che l’inammissibilità della richiesta di ricusazione per tardività, ai sensi dell’art. 38 c.p.p., comma 2, o per mancata indicazione dei motivi, ai sensi dell’art. 38 c.p.p., comma 3, precluderebbe ogni esame del fondamento della stessa.
- Ora, sotto il primo profilo – oggetto del secondo motivo di ricorso – si osserva che la soluzione della tardività accolta dalla Corte territoriale appare erronea in punto di diritto, dal momento che la denunciata insorgenza della causa di ricusazione non discende dal fatto che il medesimo giudice, chiamato a comporre – già all’udienza camerale del 08/10/2020 – il collegio investito dell’impugnazione sulla disposta misura di prevenzione, facesse anche parte del collegio della Corte investito dell’impugnazione sull’affermazione di responsabilità, ma è derivata – in ipotesi di fondatezza della causa di ricusazione addotta – dall’avere il magistrato partecipato alla decisione su quest’ultima impugnazione: ciò che si è verificato solo in data 06/11/2020.
Peraltro, proprio il fatto che la decisione in tema di prevenzione fosse stata rinviata per l’espressa esigenza di “acquisire la decisione nel merito della Corte d’appello”, non rendeva affatto scontata la presenza del Dott. P. alla successiva udienza camerale del 11/02/2021, quando l’esistenza del pregiudizio è divenuta attuale, a seguito del mancato accoglimento dell’invito rivolto al giudice ad astenersi.
- Del pari insussistente appare la ritenuta non rispondenza della richiesta di ricusazione al requisito formal-contenutistico di cui all’art. 38 c.p.p., comma 3, – censurata con il terzo motivo del ricorso – dal momento che, secondo quando emerge proprio dall’ordinanza impugnata, la richiesta era fondata sull’avere il Dott. P. “espresso una valutazione di merito nel proc. 218/17 R.G. App. avente ad oggetto gli stessi fatti al vaglio della Corte d’appello nel giudizio di prevenzione”.
Tale indicazione rende del tutto evidenti le ragioni poste a base dell’iniziativa assunta.
- Ciò posto, l’esame del terzo motivo di ricorso impone l’esame di questioni che la giurisprudenza di questa Corte ha affrontato offrendo soluzioni contrastanti.
In particolare, precisa la Corte, si tratta di decidere se sia o non applicabile al procedimento di prevenzione la disciplina in materia di ricusazione e, in particolare, il motivo previsto dall’art. 37 c.p.p., comma 1, nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale. Viene dunque in considerazione l’art. 37, nella portata normativa risultante dalla sentenza n. 283 del 14/07/2000 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della menzionata previsione codicistica “nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto”.
Al riguardo, si osserva che, in motivazione, Corte Cost. 283 del 2000, ribadita, alla luce della propria giurisprudenza, la distinzione tra le sfere di applicazione degli istituti della incompatibilità e della astensione-ricusazione e la funzione da questi svolta per assicurare una esaustiva tutela del principio del giusto processo, di cui la garanzia dell’imparzialità e della neutralità del giudice costituisce uno dei più rilevanti aspetti, ha rilevato che il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari (sentenza n. 306 del 01/10/1997), sia quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito, per avere il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del delitto di associazione di stampo mafioso, già espresso nell’ambito del procedimento di prevenzione una valutazione sull’esistenza dell’associazione e sull’appartenenza ad essa della persona imputata nel successivo processo penale (ordinanza n. 178 del 18/05/1999).
- L’ordinanza impugnata, osserva la Corte, si è allineata all’orientamento accolto anche in anni relativamente recenti dalle seguenti decisioni: Sez. 2, n. 37060 del 11/01/2019, Paltrinieri, Rv. 277038, in cui la dichiarazione di ricusazione aveva riguardato due giudici già componenti del collegio del tribunale del riesame che aveva confermato una misura cautelare personale applicata al proposto con riferimento ai reati di usura ed estorsione; Sez. 5, n. 23629 del 25/05/2018, Torcasio, Rv. 273281, che si è occupata di un caso nel quale la dichiarazione di ricusazione era stata proposta in un procedimento di prevenzione nei confronti di giudici che avevano fatto parte del collegio che aveva condannato il ricorrente per il delitto di associazione mafiosa; Sez. 6, n. 51793 del 13/09/2018, Moccia, Rv. 274576, con riguardo ad una dichiarazione di ricusazione di un componente dell’ufficio per l’applicazione delle misure di prevenzione che aveva già giudicato la posizione degli istanti in altro procedimento di prevenzione connesso; Sez. 1, n. 43081 del 27/05/2016, Arena, Rv. 268665 in cui la richiesta di ricusazione riguardava il componente del collegio incaricato dell’impugnazione di una misura di prevenzione che aveva già espresso considerazioni sulla posizione del proposto, in ordine al medesimo fatto, in altro precedente procedimento di prevenzione; Sez. 1, n. 15834 del 19/03/2009, Sanna, Rv. 243747, che si esprime in termini perentori sull’inapplicabilità delle cause di ricusazione, stante il carattere eccezionale e tassativo delle relative disposizioni, al procedimento in materia di applicazione di misure di prevenzione; Sez. 6, n. 22960 del 30/01/2008, Di Vincenzo, Rv. 240363, con la quale è stata esclusa la situazione di incompatibilità di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione ad una istanza di ricusazione proposta nei confronti dei componenti il collegio della sezione misure di prevenzione di un Tribunale, chiamati a decidere sulla misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni, nonostante si fossero già pronunziati su quella personale e sulla richiesta di revoca del sequestro.
Siffatto orientamento (v., ad es., le puntualizzazioni di Sez. 1 n. 43081 del 2016 cit.) muove dalla premessa per la quale, nonostante l’avviato percorso di giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, quest’ultimo non è stato storicamente modellato sull’archetipo del procedimento penale, con la conseguenza che tra i due modelli permane una sensibile “diversità di oggetto e di scopo” che legittima, “sul piano dei valori, scelte diversificate in punto di conformazione normativa del diritto di difesa del soggetto proposto per l’applicazione della misura di prevenzione”.
La premessa dalla quale è partita la Corte è costituita da due punti fermi: la natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione e la connotazione sui generis dello stesso, costruito e modellato sulla base del giudizio esecutivo, con particolare riguardo a quello funzionale all’applicazione delle misure di sicurezza, stante il rinvio operato dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 7, comma 9 all’art. 666 c.p.p..
La sentenza ha ricordato come la decisione della Corte costituzionale 09/06/2015 n. 106 abbia ribadito che la diversità dei procedimenti penale e prevenzionale “tollera scelte diversificate in punto di conformazione normativa del diritto di difesa del soggetto proposto per l’applicazione della misura di prevenzione” e che, conseguentemente, non è possibile trasferire tutta la disciplina in punto di imparzialità del giudice penale in sede di prevenzione.
Occorre, pertanto, selezionare le norme applicabili al procedimento di prevenzione in punto di imparzialità del giudice ed escludere, in primo luogo, l’applicabilità dell’istituto della ricusazione tenuto conto del rinvio generale operato all’art. 666 c.p.p. che individua una forma procedurale che “non solo non prevede la facoltà di ricusazione, ma addirittura valorizza il rapporto tra giudice della cognizione e giudice dell’esecuzione”.
In questa prospettiva, soggiunge la Corte, si è ritenuto di valorizzare il fatto che nel procedimento di esecuzione la sola causa di incompatibilità è costituita da quella introdotta per effetto della sentenza della Corte costituzionale 09/07/2013 n. 183 e riferita all’incompatibilità nel caso di annullamento con rinvio della Corte di cassazione in tema di riconoscimento della continuazione.
Secondo questa lettura, non sarebbe possibile una trasposizione dell’intera disciplina posta a presidio dell’imparzialità del giudice penale in sede di prevenzione, dovendosi semmai “riflettere – in termini generali – sulla possibile identificazione di talune regole normative la cui portata generalizzante ne consente l’applicazione nei due procedimenti (penale e di prevenzione) e successivamente sottoporre a verifica i(caso (…) in trattazione allo scopo di verificare se rientri o meno tra queste”.
La conclusione, osserva la Corte, è che sarebbero applicabili al procedimento di prevenzione le norme in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice dettate dall’art. 34 c.p.p., comma 1, art. 35 c.p.p., art. 36 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c), d), f), h), e art. 37 c.p.p., comma 2, e non le disposizioni dell’art. 34 diverse dal comma 1, pure richiamate dall’art. 36, alla lett. g), in ragione della tipologia e dell’oggetto del procedimento di prevenzione.
La distinzione, secondo tale impostazione, riposa nel fatto che la tutela dell’apparenza di imparzialità va garantita in tutte le ipotesi in cui la persona chiamata a giudicare si trovi in una delle condizioni di “appannamento” della suddetta condizione, di cui all’art. 36, lett. a), b), c), d), e), f), codice di rito, laddove una conclusione diversa s’impone in relazione al diverso tema del rapporto tra le valutazioni espresse dal giudice penale in una fase diversa del medesimo procedimento, secondo quanto previsto dall’art. 34 c.p.p. in tema di incompatibilità, richiamato, come visto, dai successivi art. 36, lett. g) e art. 37, e la disciplina del procedimento di prevenzione.
In quest’ultimo caso – rileva Sez. 1 n. 43081 del 2016 – vengono in rilievo aspetti di regolamentazione normativa dei modelli procedimentali, caratterizzati (tra procedimento penale e di prevenzione) da profonde differenze, correlate al diverso contenuto del giudizio, a tal fine valorizzandosi la circostanza che “il procedimento penale è luogo di più elevato tasso di garanzia in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche (ricostruzione compiuta del fatto dedotto nella imputazione) e finalistiche (l’eventuale inflizione di una pena)”, di contro al procedimento di prevenzione, strutturato secondo un modello contraddistinto “da una maggiore elasticità di forme” e finalizzato non alla ricostruzione di uno specifico fatto, bensì alla formulazione, attraverso la cognizione delle condotte del proposto, di una prognosi, positiva o negativa, di pericolosità attuale e/o di illecita accumulazione patrimoniale.
- A conclusioni diverse è giunto altro orientamento di questa Corte.
Sez. 1, n. 4330 del 10/12/2020 – dep. 03/02/2021, Lampada, Rv. 280753 (resa in una vicenda nella quale la causa di ricusazione invocata, ai sensi dell’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b, nel corso di un procedimento di prevenzione, traeva alimento dal fatto che il destinatario della dichiarazione aveva partecipato al collegio giudicante che aveva emesso le decisioni nei procedimenti di prevenzione precedentemente instaurati a carico di persone individuate, unitamente al proposto, quali esponenti di una cosca mafiosa) ha, infatti, ritenuto che la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di procedura penale è applicabile anche al procedimento di prevenzione, attesa la natura giurisdizionale dello stesso e l’incidenza su diritti di rilievo costituzionale, che impone l’osservanza delle garanzie del giusto processo, tra le quali rilievo primario va riconosciuto all’imparzialità del giudice (la sentenza, peraltro, risolte positivamente entrambe le questioni sopra ricordate, ha aggiunto che, in considerazione delle particolari connotazioni delle verifiche di prevenzione, deve a maggior ragione tenersi conto delle precisazioni di Corte Cost. n. 283 del 2000, secondo le quali, ai fini della individuazione dell’attività “pregiudicante”, non è sufficiente che il giudice abbia in precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio).
Nella stessa linea di pensiero di Sez. 1 n. 4330 del 2021, si sono collocate: a) Sez. 6 n. 41975 del 02/04/2019, Inzitari, Rv. 277373, che ha ritenuto sussistente il motivo di ricusazione, previsto dall’art. 37, comma 1, lett. b), al componente del collegio chiamato a decidere dell’impugnazione avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione patrimoniale della confisca che, in precedenza, quale giudice per le indagini preliminari, aveva applicato nei confronti del proposto la misura cautelare della custodia cautelare in carcere per i medesimi fatti posti a fondamento della misura di prevenzione; b) Sez. 6, n. 15979 del 08/03/2016, Lampada, Rv. 266533; c) Sez. 1, n. 32492 del 10/07/2015, Lampada, Rv. 264621, per un’ipotesi nella quale il giudice di prevenzione in altro procedimento dello stesso tipo aveva espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto; d) Sez. 5, n. 32077 del 21/07/2014, Valente, Rv. 261643, in un’ipotesi in cui il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della misura di prevenzione della confisca aveva in sede penale rigettato la richiesta di riesame presentata dall’indagato ed accolto l’appello del pubblico ministero; e) viene talora menzionata come conforme all’orientamento in esame Sez. 5, n. 16311 del 23/01/2014, Di Vincenzo, Rv. 259873 (la decisione, tuttavia, sul presupposto dell’intervenuto accoglimento della dichiarazione di astensione, si occupa piuttosto dell’ambito di operatività dell’art. 42 c.p.p., comma 2); f) Sez. 5, n. 3278 del 16/10/2008 – dep. 23/01/2009, Nicitra, Rv. 242942, in un caso di dichiarazione di ricusazione nei confronti di un giudice componente della sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione, perché lo stesso aveva anticipato il suo giudizio quando, come giudice dello stesso Tribunale, lo aveva condannato per il delitto che aveva costituito il presupposto per la richiesta di aggravamento della misura di sorveglianza.
Nel quadro di questo secondo orientamento, chiosa ancora la Corte, si sono valorizzate le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale quali sopra ricordate (Corte Cost. n. 306 del 1997, n. 178 del 1999 e n. 283 del 2000) e si è sottolineato che la progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione trae conferma (v., ad es., le puntualizzazioni di Sez. 6 n. 41975 del 2019 cit.) dall’estensione ad esso di istituti tipici del processo penale, quali: a) l’obbligo di rimessione degli atti a sezione della stessa Corte diversa da quella che ha emesso il decreto annullato ai sensi dall’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c), (Sez. 6, n. 40999 del 01/10/2015, Viviani, Rv. 264742); b) l’applicazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia previsto dall’art. 521 c.p.p. (Sez. 1, n. 32032 del 10/06/2013, De Angelis, Rv. 256451); c) l’obbligo di preventiva contestazione dell’addebito nell’avviso di convocazione (Sez. 1, n. 1722 del 14/04/1986, Maresca, Rv. 172684 e n. 25701 del 28/06/2006, Arena, Rv. 234847); d) la pubblicità dell’udienza ove la parte ne abbia fatto richiesta, ancorché limitatamente alla fase di merito (Corte Cost., 12/03/2010, n. 93 e Sez. 6, n. 37659 del 18/06/2014, Cappello, Rv. 260342, nonché, a contrario, con riferimento alla fase di legittimità, Sez. 6, n. 50437 del 28/09/2017, Vissicchio, Rv. 271500).
Si tratta di soluzioni che, secondo l’orientamento indicato, riposano sull’esigenza, costituzionale e convenzionale (a proposito del quale sono illuminanti le considerazioni svolte da Corte Cost. 27/02/2019, n. 24), di assicurare che le limitazioni che le misure di prevenzione comportano, sia sul versante delle libertà personali sia su quello del diritto di proprietà e sulla libertà di iniziativa economica, siano disposte solo all’esito di un procedimento che, ancorché non contrassegnato dallo statuto garantistico previsto per le sanzioni che seguano all’attribuzione di un illecito sostanzialmente penale (quali non sono le misure di prevenzione, siano esse personali – Corte Europea dei diritti dell’uomo, 23/02/2017, De Tommaso c. Italia – o reali – per le quali il riferimento è piuttosto all’art. 1, Prot. addiz. CEDU, in ragione della sua incidenza limitatrice rispetto al diritto di proprietà: v., ad es., Corte Europea dei diritti dell’uomo, 05/01/2010, Bongiorno e altri contro Italia), sia comunque caratterizzato dall’applicazione dei principi del “giusto processo”.
E fra tali regole fondanti vi è appunto quella della imparzialità del giudice quale presidiata dagli istituti dell’astensione e della ricusazione.
- A fronte delle superiori indicazioni, conclude la Corte, emerge un contrasto sufficientemente consolidato, con conseguente superamento della soglia rappresentata dall’ordinario svolgimento di una riflessione giurisprudenziale in progressivo affinamento per essere sedimentate posizioni delle quali non è prevedibile l’ulteriore evoluzione (Sez. 4, n. 39766 del 23/05/2019, Cappadona, Rv. 277559).
- Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rimesso, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, alle Sezioni Unite sulle seguenti questioni:
“Se la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di procedura penale è interamente applicabile, in quanto compatibile, anche al procedimento di prevenzione, attesa la natura giurisdizionale dello stesso, ovvero se, in ragione della tipologia e dell’oggetto del procedimento di prevenzione, non possono ritenersi applicabili le disposizioni dell’art. 34 c.p.p. diverse dal comma 1, pur richiamate dall’art. 36 c.p.p., alla lett. g)”; “Se al procedimento di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37 c.p.p., comma 1, nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale”.