Corte di Cassazione, Sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 09 maggio 2022 n. 14534
QUESTIONI RIMESSE
Vanno rimesse alle SSUU della Cassazione le seguenti questioni:
-Se l’adozione del processo telematico, che prevede la creazione di un unico fascicolo e non contempla l’ipotesi del ritiro dei documenti in esso contenuti, comporti l’abbandono della distinzione tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte di cui agli artt. 168, 169 c.p.c., 72, 73, 74, 75, 76 e 77 disp. att. c.p.c.;
-Se ciò determini il superamento della posizione interpretativa, fatta propria da questa Corte con le pronunzie delle sezioni unite n. 28498/2005 e n. 3033/2013, secondo cui l’appellante “subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice d’appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare”; –
– Se tale superamento valga solo per le cause ove i documenti sono contenuti nel c.d. fascicolo informatico ovvero se – al fine di evitare irragionevoli differenze di trattamento – valga anche per cause ove i documenti siano ancora presenti in formato cartaceo nel fascicolo di parte.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso principale è basato su un motivo che denuncia “violazione degli artt. 342 c.p.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c.”: la Corte d’appello ha affermato che, non essendo stati prodotti in secondo grado i documenti in base ai quali era stata accolta la domanda in primo grado, non avrebbe avuto gli strumenti per valutare la fondatezza della domanda degli attori, in particolare circa la natura della strada in questione; in tal modo, la Corte non ha considerato la natura di revisio prioris instantiae dell’appello, in cui la parte appellante assume sempre la veste di attore, con l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione assunta nel giudizio di primo grado, così carne affermato nelle due pronunzie delle sezioni unite della Suprema Corte n. 28498/2005 e n. 3033/2013.
- Il motivo pone la questione delle conseguenze della mancanza nel giudizio d’appello dei documenti posti dal giudice di primo grado alla base della sua decisione, mancanza determinata dall’omesso deposito in appello del fascicolo di primo grado della parte appellata. La questione si pone unicamente per le prove precostituite e depositate in primo grado e non per quelle che si formano nel processo. Ai sensi dell’art. 168, comma 2 c.p.c., il cancelliere inserisce nel fascicolo d’ufficio “gli atti di istruzione”. I documenti di causa, invece, sono appunto inseriti – lo prescrive l’art. 74 delle disposizioni di attuazione del codice di rito – in una sezione separata del fascicolo di parte (v. Cass. 19775/2016), fascicolo di parte del quale è previsto da un lato il ritiro (secondo le modalità fissate dagli art. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c.) e dall’altro lato la possibilità, per la controparte, non solo di esaminare gli atti e documenti in esso inseriti, ma anche di farsene “rilasciare copia dal cancelliere, osservate le leggi sul bollo” (art. 76 disp. att. c.p.c.).
- Sulla questione – come sottolineano i ricorrenti – si sono pronunciate due volte le sezioni unite di questa Corte (e le pronunzie non sono state invero considerate dal giudice d’appello). Le sezioni unite hanno affermato che “è onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perché questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello, per cui egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte (sia questa costituita o sia invece rimasta contumace) quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare” (così Cass. n. 28498/2005 e negli stessi termini Cass. n. 3033/2013). Questi sono gli argomenti alla base delle due pronunzie: -alla luce dell’evoluzione normativa che ha riguardato l’istituto, l’appello non rappresenta più – pur permanendo la sua funzione sostituiva quanto alle statuizioni decisorie su diritti impugnati e pur non essendo “impugnazione rescindente come il ricorso per cassazione (l’avvicinamento alla struttura del quale è solo parziale)” – “il mezzo per passare da uno all’altro esame della causa”, c.d. novum iudicium, ma va qualificato quale revisio prioris instantiae; -tale linea di tendenza è stata completata dall’intervento legislativo di cui al d.l. n. 83/2012, che ha ulteriormente disciplinato e tecnicizzato l’onere di specificità ex art. 342 c.p.c., ha eliminato il potere discrezionale del giudice di appello di ammettere documenti nuovi e ha introdotto il c.d. filtro di ammissibilità con i nuovi artt. 348-bis e 348- ter c.p.c.; -“in questo contesto sistematico vengono meno i presupposti per ritenere che l’onere probatorio dell’appellante debba essere individuato con esclusivo e retrospettivo riferimento alla posizione da lui assunta nel giudizio di primo grado”; -“deve al contrario affermarsi che, essendo l’appellante tenuto a fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata (..), l’appello da lui proposto in mancanza di tale dimostrazione deve essere, in base ai principi, respinto, con conseguente conferma sostitutiva dei capi di sentenza appellati, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale; -costituendo l’appello una seconda e solo eventuale fase (peraltro priva di copertura costituzionale) del giudizio di merito, l’appellante deve essere inteso quale parte processualmente attrice nell’ambito del giudizio revisionale di secondo grado, finalizzato alla riforma di una decisione “che nel sistema vigente è da tempo assistita da una vera e propria presunzione di legittimità”; -i criteri di riparto probatorio di cui all’art. 2697 c.c. vanno sì applicati, ma non nella tradizionale ottica sostanziale, bensì sotto il profilo processuale, in virtù del quale è l’appellante, in quanto attore dell’invocata revisio, a dovere dimostrare il fondamento della propria domanda, onde superare la presunzione di legittimità che assiste la decisione assunta dal primo giudice.
- Le due pronunzie sono state oggetto – lo ricorda la controricorrente Immobiliare Bellavista – di critiche accese da parte della maggioritaria dottrina, che possono così essere riassunte: -seguendo le sezioni unite, la sentenza di primo grado determinerebbe una presunzione legale relativa circa l’esistenza del fatto accertato, presunzione che potrebbe essere superata solo attraverso la prova contraria della parte appellante, indipendentemente dai criteri di riparto dell’onere della prova in primo grado, dando una valenza processuale al principio di cui all’art. 2697 c.c., invece tradizionalmente volto a disciplinare l’onere sostanziale della prova; -l’appello (specie quello per motivi di merito), nonostante le evoluzioni subite, continua ad essere espressione dello schema teorico del gravame, non degli atti di impugnazione, come d’altro canto riconoscono le stesse sezioni unite (v. Cass. n. 28498/2005, punto 8); -oggetto del giudizio è quindi il rapporto sostanziale controverso, devoluto al giudice superiore attraverso i motivi specifici di impugnazione, che non costituiscono l’oggetto del giudizio di appello, ma sono il mezzo tramite il quale si individua la parte del rapporto sostanziale devoluta al giudice superiore, nonché le questioni di fatto e di diritto tramite il cui riesame il giudice d’appello conoscerà il rapporto sostanziale; -le sezioni unite scambiano la distinzione tra appello come novum iudicium e appello come revisio prioris instantiae con la distinzione tra appello come gravame avente pur sempre ad oggetto il rapporto sostanziale controverso e appello come impugnazione avente ad oggetto i motivi specifici di impugnazione; -problemi suscitati superati ove legislatore disponesse che i documenti prodotti dalle parti debbano essere inseriti nel fascicolo d’ufficio e non nel fascicolo di parte.
- Quanto alla giurisprudenza di legittimità, se vi sono state alcune pronunzie discordi rispetto alla sentenza n. 28498/2005 (v. in particolare Cass. 8528/2006 e Cass. 78/2007, secondo cui “la parte vittoriosa in primo grado che scelga di rimanere contumace in appello e non ridepositi quindi i documenti in precedenza prodotti, va incontro alla declaratoria di soccombenza per non avere fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non ridepositati siano a lei favorevoli”), la giurisprudenza successiva al secondo intervento delle sezioni unite si è ad esso uniformata (v., ad esempio, Cass. 22839/2015, Cass. 11797/2016, Cass. 16810/2016 e Cass. 5622/2017). Va ricordata Cass. 1462/2013, che, pure affermando che l’appellante subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha, quindi, avuto la possibilità di esaminare, precisa che ciò non implica però “una sorta di inversione dell’onere della prova nel giudizio di appello né una sorta di presunzione legale relativa circa l’esistenza dei fatti accertati in prime cure”; l’appellante poi – continua la pronuncia – “ha anche la possibilità di chiedere ex art. 210 c.p.c. che il giudice ordini all’appellato l’esibizione dei documenti già contenuti nella produzione ritirata”, trattandosi non di prove nuove, “bensì di prove già acquisite agli atti di causa e ad essa immanenti, rispetto alle quali l’iniziativa dell’appellante è meramente recuperatoria”. Va poi segnalata la pronuncia n. 16506/2019, che, in un’ottica di superamento della distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d’ufficio, ha sostenuto che “i fascicoli di parte che sono presenti in quello di ufficio costituiscono parte integrante di esso, ai sensi dell’art. 72, secondo comma, disp. att. c.p.c., fintanto che rimangono ivi depositati, perché non ritirati, ai sensi dell’art. 77 disp. att. c.p.c.”, con la conseguenza “che, qualora venga richiesta la trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 126 disp. att. c.p.c., la trasmissione dovrà riguardare il fascicolo d’ufficio, unitamente a quelli di parte ove non ritirati”.
- Rispetto alle pronunzie delle sezioni unite, la questione in esame registra negli ultimi anni delle novità, grazie all’introduzione del c.d. processo civile telematico. Nel processo telematico vi dovrebbe essere, per ciascun procedimento, soltanto un fascicolo digitale, una cartella all’interno di un archivio informatico nella quale confluiscono sia gli atti inviati telematicamente dagli avvocati dal proprio studio, sia tutti gli atti che si formano nel processo ad opera del giudice, dell’ausiliario e del cancelliere, mentre le comunicazioni e le notificazioni da e per l’ufficio nonché tra le parti del processo avvengono in via telematica. Secondo l’art. 11 del testo delle specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia n. 44/201, infatti, “il fascicolo informatico raccoglie i documenti (atti, allegati, ricevute di posta elettronica certificata) da chiunque formati, nonché le copie informatiche dei documenti; raccoglie altresì le copie informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo”. Con la formazione di un unico fascicolo, che raccoglie tutti i documenti, si dovrebbe avere l’accantonamento della distinzione tra il fascicolo d’ufficio e il fascicolo di parte presente nelle sopra citate norme del codice di rito e delle sue disposizioni di attuazione, con risoluzione della questione in esame: non essendo contemplata la possibilità di ritiro dei documenti informatici, questi vengono telematicamente appresi – con piena attuazione del principio di immanenza delle prove – dal giudice di secondo grado con l’acquisizione dell’unico fascicolo e indipendentemente dal comportamento dell’appellato (il che comporterebbe pure l’abbandono dell’orientamento che, facendo perno sulla distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d’ufficio, afferma che il giudice di appello non può tenere conto dei documenti del fascicolo della parte, ancorché sia stato trasmesso dal cancelliere del giudice di primo grado con il fascicolo di ufficio, ove detta parte, già presente nel giudizio di primo grado, non si sia costituita in quello di appello, cfr. Cass. 78/2007; v. al riguardo, per quanto concerne il processo tributario Cass. 26115/2020, secondo cui “i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza, ex art. 25 del d.lgs. n. 546 del 1992, e non possono essere ritirati dalle parti, che possono solo acquisire copia autentica dei documenti e degli atti ivi contenuti).
- Il superamento del sistema cartaceo è però ben lungi dall’essere completato. Se per quanto concerne il giudice di pace il processo telematico è ancora in fase sperimentale (il d.l. 80/2021 ha infatti prorogato al 31 ottobre 2025 l’applicazione del processo telematico ai procedimenti davanti al medesimo), anche nei tribunali si ha una situazione “mista”, di deposito telematico e cartaceo degli atti e documenti. Con l’art. 16-bis del d.l. 179/2012 e con il d.l. 90/2014 si è infatti introdotto nei tribunali, a decorrere dal 30 giugno 2014, l’obbligo del deposito telematico degli atti delle parti, ma soltanto ove queste siano già costituite, così che, per quanto concerne le prove documentali, l’obbligo del deposito telematico non vale per quelle depositate all’atto della costituzione in giudizio. L’art. 221 del d.l. n. 34/2020, che ha dettato le misure urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha sì previsto al comma 3 che gli atti e i documenti sono depositati esclusivamente con le modalità telematiche, ma questo ovviamente “negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico” e con previsione appunto limitata al periodo emergenziale (va al riguardo osservato che il testo della legge delega per l’efficienza del processo civile, approvato definitivamente il 26 novembre 2021, dispone che, “nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d’appello e alla Corte di cassazione, il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche”).
- Per quanto concerne i giudizi di primo grado, pertanto, può accadere che le prove precostituite siano state depositate in modo telematico ovvero in modo misto, alcune telematicamente e alcune in formato cartaceo, ovvero ancora – come nel caso in esame – tutte in formato cartaceo. Queste differenze inducono a riflettere sull’opportunità di rivedere l’orientamento espresso nel 2005 e nel 2013 dalle sezioni unite anche in relazione alle situazioni in cui i documenti che hanno portato all’accoglimento della domanda di primo grado non sono disponibili in appello perché, depositati in formato cartaceo in primo grado, non sono stati ridepositati in appello. Tale rivisitazione non deve necessariamente comportare l’abbandono della impostazione teorica proposta dalle sezioni unite, che vuole l’appellante tenuto a fornire “la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata”. Potrebbe infatti, più semplicemente, essere valorizzato quanto affermato dalla pronuncia n. 28498/2005 (in qualche modo pretermesso nella pronuncia n. 3033/2013) circa la necessità, a tutela dell’interesse al corretto esercizio dell’attività giurisdizionale e del principio di acquisizione delle prove, di subordinare il ritiro del fascicolo di parte al deposito dei documenti probatori in esso inseriti, ricavando la prescrizione dalla necessità che il ritiro sia autorizzato dal giudice (art. 77 disp. att. c.p.c.), ovvero ancora potrebbe essere considerato quanto sostenuto da alcune pronunzie circa la possibilità per il giudice d’appello di ordinare alla parte il deposito dei documenti che ritenga necessari al fine della decisione (cfr., in particolare, Cass. 1462/2013), potere che è d’altro canto riconosciuto al giudice d’appello dall’art. 123- bis disp. att. c.p.c., sia pure in relazione all’impugnazione della sentenza non definitiva.
- Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio – consapevole che, come sottolineato dalle sezioni unite con la pronuncia n. 3033/2013, ragioni di continuità dell’applicazione giurisprudenziale e di affidabilità della funzione nomofilattica inducono a privilegiare l’interpretazione consolidatasi nel tempo, tranne che vi sia appunto stato un mutamento del contesto, in questo caso normativo e procedimentale – ritiene opportuno rimettere all’attenzione delle sezioni unite i seguenti profili: -se l’adozione del processo telematico, che prevede la creazione di un unico fascicolo e non contempla l’ipotesi del ritiro dei documenti in esso contenuti, comporti l’abbandono della distinzione tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte di cui agli artt. 168, 169 c.p.c., 72, 73, 74, 75, 76 e 77 disp. att. c.p.c.; -se ciò determini il superamento della posizione interpretativa, fatta propria da questa Corte con le pronunzie delle sezioni unite n. 28498/2005 e n. 3033/2013, secondo cui l’appellante “subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice d’appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare”; -se tale superamento valga solo per le cause ove i documenti sono contenuti nel c.d. fascicolo informatico ovvero se – al fine di evitare irragionevoli differenze di trattamento – valga anche per cause ove i documenti siano ancora presenti in formato cartaceo nel fascicolo di parte. Trattandosi di “questione di massima di particolare importanza” ai sensi del secondo comma dell’art. 374 c.p.c., sussistono pertanto, ad avviso del Collegio, le condizioni per la rimessione degli atti al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle sezioni unite.