Corte di Cassazione, Sez. II Penale, sentenza 27 giugno 2024, n. 25432
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’estorsione può essere integrata se la promozione di azioni giudiziarie costituisce lo strumento utilizzato per costringere il convenuto ad accettare accordi “stragiudiziali” palesemente ingiusti, che non sarebbero mai stati considerati, se lo stesso non fosse stato costretto a resistere in più giudizi attivati in modo temerario. Si ritiene, cioè, che la promozione di azioni temerarie non configura “di per sé” un tentativo di estorsione.
L’estorsione, sia in forma tentata, che consumata, può ritenersi integrata solo qualora l’azione promossa costituisca il mezzo per ottenere un profitto ingiusto “fuori dal giudizio”, essendo funzionale a costringere il convenuto, fiaccandone le resistenze economiche e morali, a consegnare somme a titolo formalmente “transattivo”, ma invero, privo di qualunque giustificazione, e, dunque, ingiusto.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
1.1.Per valutare la fondatezza del ricorso occorre circoscrivere l’area di rilevanza penale delle condotte funzionali ad ottenere un profitto ingiusto agite attraverso la prospettazione – o la concreta promozione – di azioni giudiziarie. Sul tema il collegio riafferma, in primo luogo, che integra gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l’agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto prospettato nella pretestuosità della richiesta (Sez. 2, n. 19680 del 12/4/2022, Silvani, Rv. 283199 – 02; Sez. 6, n. 47895 del 19/6/2014, Vasta, Rv. 261217 – 01; Sez. 2, n. 48733 del 29/11/2012, Parvez, Rv. 253844 – 01).
La minaccia di adire le vie legali, pur avendo un’esteriore apparenza di legalità, può, infatti, integrare l’elemento costitutivo del delitto di cui all’art 629 cod. pen. quando sia formulata non con l’intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l’altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia (il principio è stato espresso in un caso in cui gli imputati avevano evocato vicende ” inconfessabili” che sarebbero emerse nel corso di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della mancata instaurazione di esso: Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256874 – 01).
In secondo luogo deve essere chiarito che, quando l’azione giudiziaria è concretamente promossa, il fatto che ci sia l’intervento del giudice, che è investito della cognizione della legittimità della pretesa, impedisce che si possa ipotizzare la sussistenza sia della costrizione illecita, che del profitto ingiusto dell’attore, il che osta alla possibilità di ritenere integrata l’estorsione (Sez. 2, n. 50652 del 10/11/2023, Manfredi, n.m.).
Esiste infatti un’ontologica incompatibilità tra la promozione di cause civili, che implica l’intervento della mediazione del giudice, cui è affidata la valutazione della legittimità della pretesa, e l’azione estorsiva.
1.2. Fatte queste premesse, il collegio ritiene che l’estorsione può essere integrata se la promozione di azioni giudiziarie costituisce lo strumento utilizzato per costringere il convenuto ad accettare accordi “stragiudiziali” palesemente ingiusti, che non sarebbero mai stati considerati, se lo stesso non fosse stato costretto a resistere in più giudizi attivati in modo temerario. Si ritiene cioè che la promozione di azioni temerarie non configura “di per sé” un tentativo di estorsione.
L’estorsione, sia in forma tentata, che consumata, può ritenersi integrata solo qualora l’azione promossa costituisca il mezzo per ottenere un profitto ingiusto “fuori dal giudizio”, essendo funzionale a costringere il convenuto, fiaccandone le resistenze economiche e morali, a consegnare somme a titolo formalmente “transattivo”, ma invero, privo di qualunque giustificazione, e, dunque, ingiusto.
1.3. Nel caso in esame il tribunale si è limitato ad effettuare una valutazione astratta della problematica giuridica, senza tenere conto della possibile pretestuosità delle richieste avanzate dall’indagato, della esosità degli importi richiesti, del numero e della serialità delle azioni giudiziarie intraprese nei confronti di soggetti diversi. Elementi che devono essere analiticamente analizzati anche al fine di una corretta valutazione del reale animus agendi dell’imputato.
Sul punto deve essere rimarcato quanto evidenziato dal ricorrente circa il fatto che la pretestuosità dei diritti azionati emerge dalla lettura di alcune delle sentenze del Tribunale di Vasto che nel definire numerosi altri giudizi intentati dagli indagati con condanna ex art. 96 cod. proc. civ. ha accertato l’esistenza di “rivendicazioni insussistenti” e “palesemente infondate”, parlando anche di “… coscienza dell’infondatezza della domanda”, il tutto unito al fatto che, come altresì evidenziato dall’odierno ricorrente, presso il Tribunale di Vasto risultano essere stati incardinati dalla coppia C.C. – D.D. ben 168 procedimenti (tra i quali ancora 92 pendenti).
1.4. In conclusione si ritiene che il Tribunale del riesame ha fatto malgoverno dei principi di diritto sopra enunciati, posto che ha ritenuto insussistente il tentativo di estorsione in ragione del concreto esperimento dell’azione giudiziaria, senza considerare le peculiarità del caso, ovvero il fatto che le plurime azioni intentate contro le medesime persone, connotate da serialità, sproporzionate nelle richieste di risarcimento, potevano essere strumentali ad ottenere – in via stragiudiziale – un profitto ingiusto.
L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio al tribunale di L’Aquila per nuovo giudizio.