Corte Costituzionale, sentenza 15 luglio 2022, n. 178
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera p), dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevate dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, della Costituzione, dal momento che le censure prospettate, in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati, muovono da un presupposto interpretativo erroneo e cioè che la norma in esame ricomprenderebbe nel suo ambito applicativo anche i comportamenti meramente materiali posti in essere dalla pubblica amministrazione.
Più nel dettaglio, a proposito dell’ambito della giurisdizione amministrativa nelle controversie di cui all’art. 133 citato, è decisivo che si tratti di comportamenti costituenti, comunque, espressione anche in via mediata di un potere amministrativo, e non anche di quelli meramente materiali posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di una attività autoritativa, i quali, pertanto, restando necessariamente fuori dall’ambito di applicazione della disposizione contestata, rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.– Il Tribunale ordinario di Reggio Calabria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera p), dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, della Costituzione.
La citata disposizione prevede che «[s]ono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: […] le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati».
Le questioni di legittimità costituzionale, precisa la Corte, sono sorte nel corso di un giudizio promosso da G. M. nei confronti del Comune di Reggio Calabria e della Regione Calabria per ottenere il risarcimento del danno subito in occasione del suo intervento, in qualità di vigile del fuoco, nello spegnimento di un incendio di rifiuti posti sulla pubblica via. In tale occasione, un getto di olio bollente fuoriuscito da un barile di latta abbandonato tra i rifiuti lo aveva colpito alle gambe, causandogli un danno alla salute. A fondamento della sua domanda G. M. ha fatto valere la responsabilità da cosa in custodia, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., degli enti pubblici convenuti, in quanto «soggetti che avrebbero dovuto fronteggiare l’emergenza rifiuti nel periodo in cui si era verificato l’evento dannoso».
Nel processo principale, la Regione Calabria ha eccepito in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, affermando che la controversia rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di «gestione del ciclo dei rifiuti», ai sensi del citato art. 133, comma 1, lettera p).
1.1.– La disposizione oggetto del presente giudizio è censurata «nella parte in cui, per come univocamente interpretat[a] dalla giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione, divenuta vero e proprio “diritto vivente”, devolve alla cognizione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie risarcitorie, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati, promosse ai sensi degli articoli 2043 e 2051 del codice civile, nei confronti della pubblica amministrazione custode dei rifiuti, per i danni conseguenti a comportamenti meramente omissivi della stessa pubblica amministrazione, posti in essere in via di mero fatto, nelle quali la stessa non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere».
Così interpretata, la disposizione si porrebbe in contrasto con i principi enunciati da questa Corte nelle sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, sicché sussisterebbe la violazione degli indicati parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost.).
1.1.1.– Secondo il rimettente, si sarebbe formato un orientamento del giudice di legittimità in contrasto con le pronunce di questa Corte che – in linea con le citate sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 – hanno delimitato l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia della «gestione dei rifiuti» alle ipotesi in cui «l’amministrazione agisca […] come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia infine mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario» (sentenza n. 35 del 2010, relativa al previgente art. 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, recante «Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile», convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2008, n. 123, il cui contenuto è stato sostanzialmente riprodotto nell’art. 133, comma 1, lettera p, cod. proc. amm.; in termini, sentenza n. 179 del 2016 nonché, sempre sulla disposizione previgente, ordinanze n. 54 e n. 167 del 2011, n. 371 del 2010).
Per contro, la Corte di cassazione – con un orientamento che il rimettente riconduce a tre decisioni (sezioni unite civili, sentenza 28 giugno 2013, n. 16304; terza sezione civile, sentenza 19 dicembre 2014, n. 26913; sesta sezione civile, ordinanza 21 settembre 2017, n. 22009) – affermerebbe la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in controversie relative al risarcimento dei danni causati a privati cittadini dall’omesso prelievo, trasporto e smaltimento dei rifiuti da parte delle amministrazioni comunali. Secondo questo orientamento, che il rimettente definisce «granitico» e tale da costituire ormai diritto vivente, l’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. dovrebbe dunque essere interpretato nel senso che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende alle controversie risarcitorie per danni conseguenti a meri comportamenti omissivi tenuti dalla pubblica amministrazione nella raccolta dei rifiuti, ancorché avulsi dall’esercizio di un pubblico potere.
L’affermarsi di un siffatto diritto vivente, in contrasto con la citata giurisprudenza costituzionale, richiederebbe un nuovo vaglio delle medesime questioni ad opera di questa Corte, chiamata dunque a scrutinare l’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. nell’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione.
2.– Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, dall’interveniente Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– Le questioni sarebbero innanzitutto inammissibili per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il rimettente si sarebbe limitato a lamentare genericamente l’illegittimità costituzionale della norma contestata, nell’interpretazione attribuitale dalla Corte di cassazione, perché non in linea con i principi affermati nelle sentenze di questa Corte n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, senza esporre le ragioni di contrasto con ciascuno dei parametri invocati.
L’eccezione non è fondata.
Le norme costituzionali invocate a parametro, osserva la Corte, coincidono con quelle alla cui stregua questa Corte ha esaminato la disciplina sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle pronunce citate, sicché l’ordinanza di rimessione, riproducendone per sintesi il contenuto, dimostra di aderirvi.
Si deve inoltre escludere che si sia in presenza di mera motivazione per relationem, avendo ottemperato il rimettente all’obbligo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2018, n. 10 del 2015, n. 7 del 2014, n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010; ordinanze n. 175 del 2013, n. 239 e n. 65 del 2012).
2.2.– Ancora, le questioni sarebbero inammissibili perché il rimettente non avrebbe tentato di interpretare la norma censurata in senso costituzionalmente orientato, adeguandosi a quanto già statuito da questa Corte nell’ordinanza n. 167 del 2011, sulla spettanza al giudice ordinario della giurisdizione nelle controversie riguardanti i comportamenti di mero fatto della pubblica amministrazione, senza l’esercizio di poteri autoritativi, in materia di gestione dei rifiuti.
Nemmeno questa eccezione è fondata.
La tesi del giudice a quo, secondo cui l’interpretazione contestata dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. sarebbe talmente consolidata da costituire diritto vivente, è idonea a legittimare di per sé – e salva la verifica della sua correttezza (su cui infra ai punti 3.1. e 3.2.) – la proposizione di una questione di legittimità costituzionale. In base al costante orientamento di questa Corte, infatti, «in presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, “il giudice a quo, se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di ‘diritto vivente’ e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2018, n. 259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n. 201 del 2015)”» (sentenza n. 95 del 2020; nello stesso senso, da ultimo, sentenze n. 180 e n. 33 del 2021).
Di conseguenza, «una volta che il giudice abbia consapevolmente scelto in modo non implausibile una determinata interpretazione della norma, che ritiene non superabile, “la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità” (sentenza n. 221 del 2015)» (sentenza n. 240 del 2016).
Nel caso in esame, il rimettente offre una lettura non implausibile dell’interpretazione data dalla Corte di cassazione alla norma censurata e ne assume la non superabilità, sicché la valutazione della correttezza di tale lettura, e in ultima analisi dell’interpretazione prescelta e della sua portata, deve essere riservata al merito.
3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
Come visto, le censure del rimettente muovono dalla prospettazione di una consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm., che comporterebbe la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti posta in essere anche tramite comportamenti di mero fatto della pubblica amministrazione non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un potere pubblico.
3.1.– Un esame attento della giurisprudenza di legittimità in materia – e, in particolare, di quella stessa evocata dal rimettente – porta ad escludere, tuttavia, che un’interpretazione in questi termini della norma censurata esista e sia consolidata al punto da costituire diritto vivente.
L’orientamento giurisprudenziale richiamato nell’ordinanza di rimessione, nel precisare che appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo ogni controversia attinente all’«organizzazione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani […] e [al]l’esercizio del correlativo potere dell’Amministrazione comunale» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 16304 del 2013; terza sezione civile, sentenza n. 26913 del 2014), sottolinea invero la necessità che alla definizione della fattispecie che radica la giurisdizione amministrativa concorra l’esercizio di un potere, giacché «presupposto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è l’esercizio, ancorché illegittimo o mancato, del potere che la legge attribuisce alla Pubblica Amministrazione per la gestione del servizio pubblico di raccolta [dei] rifiuti urbani nel pubblico interesse; mentre la stessa lettera della norma esige trattarsi, quando l’azione non abbia ad oggetto in via diretta atti e provvedimenti amministrativi, di comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere» (Cass., ordinanza n. 22009 del 2017).
Di conseguenza, osserva la Corte, le stesse controversie in materia di gestione dei rifiuti da parte della pubblica amministrazione, anche se incidenti su diritti soggettivi e sulle connesse fattispecie risarcitorie, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo «allorché la lesione d[ei] diritti sia dedotta come effetto di un comportamento illegittimo perché omissivo di adozione di provvedimenti da emettere per prevenire, impedire, rimuovere l’abbandono dei rifiuti sulle strade» (Corte cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 16304 del 2013).
Quanto affermato dunque in termini generali dalla Corte di cassazione a proposito dell’ambito della giurisdizione amministrativa nelle controversie di cui all’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. è in linea con il richiamato orientamento di questa Corte secondo cui, affinché sia rispettato il limite costituzionale desumibile dall’art. 103 Cost., è decisivo che si tratti di comportamenti costituenti, comunque, «espressione di un potere amministrativo e non anche [di] quelli meramente materiali posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di una attività autoritativa» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2010).
3.2.– L’esame in concreto delle controversie che le medesime citate pronunce della Suprema Corte hanno ritenuto devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo conferma del resto tale conclusione.
Così è innanzitutto, chiarisce la Corte, per il caso oggetto dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 22009 del 2017, che il giudice a quo valorizza per l’asserita identità con quella sottoposta alla sua cognizione, essendosi trattato della responsabilità di un comune da cosa in custodia, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., per danni causati dall’incendio di alcuni cassonetti siti nei pressi dell’abitazione di un privato. Nell’ipotesi di specie, tuttavia, la causa petendi è identificata dalla Corte di cassazione, ai fini del riparto della giurisdizione, «nella congiunta circostanza della pericolosità della collocazione dei cassonetti a ridosso della casa di abitazione e nell’inerzia della P.A. a dispetto delle segnalazioni in merito inviate», cosicché la domanda aveva «coinvolto il corretto esercizio d[el] potere di sorveglianza, anche solo sotto il profilo della custodia», dei «manufatti deputati» alla raccolta dei rifiuti. Ne risulta «preponderante» la considerazione dei cassonetti «quali oggetto dei poteri di organizzazione e di gestione» del servizio di raccolta dei rifiuti anziché «quali oggetto di custodia».
Questa è la ragione per cui, essendo coinvolto l’esercizio di un potere, anche una fattispecie dannosa ai sensi del citato art. 2051 cod. civ. rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Secondo la Corte di cassazione, infatti, nel caso concreto «anche la pretermissione delle segnalazioni di pericolosità delle scelte […] operate ha implicato, se non altro in tesi, l’esercizio del potere della pubblica amministrazione di scelta della collocazione sul territorio e delle modalità di custodia dei manufatti da cui si e` originato il danno». L’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo si collega, dunque, a un comportamento materiale della pubblica amministrazione riconducibile all’omessa adozione dei provvedimenti organizzativi del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti idonei a prevenire il pericolo segnalato.
La giurisprudenza di legittimità successiva alle richiamate pronunce ha confermato tali conclusioni, precisandone ulteriormente i termini. Così in particolare, nel dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario in una fattispecie risarcitoria per danni causati dalla collocazione di un punto di raccolta dei rifiuti nelle immediate vicinanze di un’abitazione privata, la stessa Corte di cassazione, a sezioni unite, ha negato l’esistenza di un «reale contrasto» con le sue precedenti sentenze n. 16304 del 2013 e n. 26913 del 2014, «stante la non sovrapponibilità delle vicende portate al vaglio del giudice», in quanto «nei casi da ultimo evocati si trattava di domande con le quali il privato contestava la complessiva gestione comunale del ciclo dei rifiuti, alla quale si addebitava di avere leso, in definitiva, la salubrità del territorio comunale» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 21 luglio 2021, n. 20824).
Alla luce di quanto esposto, osserva la Corte, si deve escludere che l’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. “viva” nell’ordinamento nei termini ipotizzati dal rimettente sulla base di una non corretta interpretazione di alcuni precedenti di legittimità. Lungi dall’affermare che spetti al giudice amministrativo la giurisdizione su tutte le controversie meramente risarcitorie per danni causati dai rifiuti in custodia della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., il richiamato orientamento giurisprudenziale si pone, infatti, nell’alveo delle indicazioni di questa Corte sui limiti della giurisdizione esclusiva di quel giudice, che può conoscere solo comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell’esercizio, anche in via mediata, di poteri pubblici.
Restano quindi necessariamente fuori dall’ambito di applicazione della disposizione contestata le controversie risarcitorie per danni cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a detti poteri, che rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario. E ciò – è appena il caso di sottolineare – a prescindere da ogni considerazione circa la dimensione dei danni stessi, essendo a questi fini del tutto irrilevante, a differenza di quanto sembra supporre il rimettente, l’eventuale carattere bagatellare delle pretese risarcitorie, che non può ovviamente comportare alcun effetto sulla determinazione della giurisdizione.
3.3.– In assenza dell’ipotizzato diritto vivente, conclude la Corte, non vi è dunque alcun contrasto tra la norma censurata, correttamente interpretata, e i parametri costituzionali invocati, con la conseguenza che il rimettente, nel provvedere sull’eccezione di difetto di giurisdizione, ben potrà adottare l’interpretazione dell’art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. da esso stesso condivisa, senza con ciò allontanarsi dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione.
Nella controversia al suo esame – stando alla descrizione che ne offre l’ordinanza di rimessione – viene infatti in rilievo una domanda di risarcimento del danno conseguente a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, non ricompresi nell’ambito di applicazione della norma censurata, in quanto l’attore nel processo principale si limita a prospettare, secondo lo schema della responsabilità civile ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., la relazione causale tra le cose in custodia della pubblica amministrazione e l’evento lesivo, da cui sarebbe derivato il danno ingiusto, senza che in alcun modo venga dato conto di azioni od omissioni della pubblica amministrazione, in relazione alle quali detto comportamento possa essere ricondotto, ancorché in via mediata, al novero dei poteri della stessa amministrazione.
In conclusione, richiamando le considerazioni svolte da questa Corte nella citata ordinanza n. 167 del 2011 (riguardanti, come detto, analoghe questioni di legittimità costituzionale del previgente art. 4 del d.l. n. 90 del 2008, come convertito), «le censure prospettate, in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati, muovono, per le ragioni esposte, da un presupposto interpretativo erroneo e cioè che la norma in esame ricomprenderebbe nel suo ambito applicativo anche i comportamenti meramente materiali posti in essere dalla pubblica amministrazione».