<strong>Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza 24 maggio 2021, n. 20416</strong> <strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong> <ol> <li><em> K.N. , a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 10/12/2020 dal Tribunale di Milano che, a seguito di giudizio definito con il rito del patteggiamento, ha applicato al ricorrente la pena concordata per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1.</em></li> </ol> <em>Nel ricorso si deduce erronea qualificazione giuridica del fatto, che avrebbe dovuto essere sussunto sotto la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.</em> <ol start="2"> <li><em> Il ricorso è inammissibile.</em></li> </ol> <em>Occorre rilevare come, ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, come introdotto dalla L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento risulta proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.</em> <em>Il motivo di ricorso riguarda <strong>solo in apparenza</strong> il profilo della <strong>qualificazione giuridica del fatto</strong>.</em> <em>La prospettazione difensiva, chiarisce la Corte, è palesemente contraddetta dalla parte descrittiva del capo d’imputazione (è contestato al ricorrente di avere illecitamente detenuto grammi 6.600 di hashish e grammi 21,00 di cocaina) e dal contenuto della pronuncia, in cui, l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica dei fatti, è accompagnata da precisi riferimenti alle risultanze investigative che rendono conto dell’adeguatezza della valutazione espressa dal Tribunale. Non deve trascurarsi di considerare, in relazione a tale profilo, come la giurisprudenza di legittimità abbia da tempo affermato che la qualificazione giuridica ritenuta nella sentenza di patteggiamento, corrispondente a quella oggetto del libero accordo tra le parti, può essere messa in discussione, con il ricorso per cassazione <strong>solo quando risulti, con immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione</strong> (così, ex multis, Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 02/04/2013, Rv. 254865 - 01).</em> <em>Tale interpretazione deve ritenersi tuttora valida: si è invero ribadito, anche a Seguito della introduzione della L. n. 103 del 2017, che: "In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di <strong>errore manifesto</strong>, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato" (così Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018 Rv. 272619 - 01).</em> <ol start="3"> <li><em> La decisione in ordine alla inammissibilità del ricorso deve essere adottata "de plano", poiché l’art. 610 c.p.p., comma 5-bis, prevede espressamente, quale unico modello procedimentale per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di applicazione della pena, la dichiarazione senza formalità.</em></li> </ol> <em>Alla inammissibilità del ricorso, conclude la Corte, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso, nella misura di Euro quattromila.</em>