TAR Piemonte, Sezione II – sentenza 18 settembre 2024 n. 951
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il creditore ipotecario non è legittimato ad impugnare il provvedimento, emesso a seguito di abuso edilizio, per l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dell’immobile sul quale è iscritta l’ipoteca.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- A) Come da annuncio reso in udienza la controversia può essere definita con sentenza in forma semplificata, stante l’integrità del contraddittorio nonché la completezza della documentazione in atti e delle difese svolte dalle parti ed essendo decorsi venti giorni dalla notificazione dell’atto ex art. 43 cod. proc. amm., con cui la ricorrente ha riproposto istanza di misura cautelare.
- B) Occorre preliminarmente soffermarsi sull’eccezione d’improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio sollevata dall’amministrazione resistente.
Secondo quanto esposto in narrativa, all’esito dell’ordinanza cautelare n. -OMISSIS- del 24.11.2023, il Comune di -OMISSIS- con determinazione n. -OMISSIS- (doc. 23 di parte resistente) ha annullato ai sensi dell’art. 21 nonies Legge n. 241/1990 l’atto originariamente gravato e, con successiva ordinanza n. -OMISSIS- (doc. 24 di parte resistente), ha nuovamente disposto l’acquisizione gratuita del cespite al patrimonio comunale, circoscritta, però, alla sola area di sedime occupata dalle opere abusive (peraltro ricalcolata nella sua esatta estensione), confermando il provvedimento di sgombero e di liquidazione della sanzione pecuniaria nella misura massima edittale, la cui ratio è stata esplicata alla luce delle tesi ricorsuali.
Osserva il Collegio che tale provvedimento sopravvenuto, impugnato tramite ricorso per motivi aggiunti, ha comportato l’esaurimento dell’effetto lesivo sortito dal primo provvedimento, impugnato con il ricorso introduttivo. Le nuove determinazioni dell’amministrazione -nella misura in cui: conseguono a nuovo sopralluogo sul sito, hanno ridefinito la superficie acquisita e hanno arricchito di rinnovata motivazione anche le statuizioni confermate del primo provvedimento, confrontandosi con le tesi ricorsuali- hanno implicato, infatti, il definitivo superamento di quelle assunte nel provvedimento originario, facendo così venire meno l’interesse di parte ricorrente all’ulteriore coltivazione del ricorso introduttivo, rivolto avverso un atto interamente sostituito a seguito del riesame.
Il ricorso introduttivo va, quindi, dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse.
Passando al vaglio dei motivi aggiunti, questi non sono suscettibili di positivo apprezzamento per le considerazioni che seguono.
- C) Con la prima censura, l’esponente, nella premessa che l’immobile acquisito al patrimonio comunale è gravato d’ipoteca, richiama l’ordinanza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione n. 583 del 8.1.2024, con cui è stata posta questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, L. n. 47/1985 e dell’art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380/2001, con riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 117, comma 1, Cost. ed all’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 della CEDU, laddove non prevedono la sopravvivenza della garanzia ipotecaria a seguito dell’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo non demolito e dell’area di sedime al patrimonio del Comune.
In specie, riportandosi alle considerazioni della Suprema Corte di Cassazione, parte ricorrente lamenta il pregiudizio arrecato dall’atto impugnato al “diritto del credito ipotecario” e domanda la sospensione sia dell’ordinanza comunale n. -OMISSIS- sia del presente giudizio “in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalle Sezioni Unite” (pagg. 5 e 11 del ricorso per motivi aggiunti).
La deduzione, come eccepito dalla parte intimata (a pag. 9 e ss. della memoria del 21.6.2024), è inammissibile.
Necessaria condizione dell’azione è la titolarità in capo al ricorrente della legittimazione ad agire, la quale consiste nella corrispondenza tra il soggetto che propone la domanda e quello al quale la legge riconnette la posizione azionata in giudizio.
Pur mancando nel nostro ordinamento una definizione positiva del concetto di legittimazione attiva, si ritiene che esso abbia un fondamento costituzionale nell’articolo 24 della Costituzione, laddove è precisato che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei “propri” diritti e interessi legittimi, e vada letto in combinato con il divieto di sostituzione processuale posto dall’art. 81 cod. proc. civ., il quale prevede che, fuori dai casi previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV, 5.4.2024 n. 6602).
Segnatamente, per essere legittimati al ricorso, occorre la titolarità (che va affermata e dimostrata in giudizio) di una posizione giuridica soggettiva che sia differenziata da quella della generalità dei consociati e che sia attualmente e direttamente esposta ad un pregiudizio derivante dall’atto contestato. Ciò in quanto nel giudizio amministrativo, fatta eccezione per ipotesi specifiche in cui è ammessa l’azione popolare, non è consentito adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell’azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone, che dallo stesso deve essere dedotto ed argomentato altrimenti l’impugnativa verrebbe degradata al rango di azione popolare a tutela dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa (T.A.R. Roma n. 6602/2024 cit. che, sul punto, richiama T.A.R. Piemonte, sez. I, 24.11.2020, n. -OMISSIS-5).
Di contro, attraverso la censura in esame la ricorrente non aziona una situazione giuridica soggettiva riferibile al proprietario del cespite (e di cui ella è rappresentante), ma fa valere il “diritto del creditore al soddisfacimento in via esecutiva dei crediti giudizialmente riconosciuti” (pag. 11 cit.). Ne deriva una non consentita distonia tra soggetto ricorrente e soggetto titolare della situazione giuridica dedotta in giudizio, in violazione del citato art. 81 cod. proc. civ., applicabile anche al processo amministrativo in virtù della clausola di rinvio esterno enunciata dall’art. 39 cod. proc. amm..
- D) Con il secondo e il terzo mezzo dei motivi aggiunti, che, per stretta connessione logico-argomentativa, possono trattarsi congiuntamente, la ricorrente assume che l’abuso contestato dovrebbe ricondursi non già al campo applicativo dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, bensì entro quello del successivo art. 34, in quanto realizzato solo in parziale difformità rispetto al permesso di costruire n. -OMISSIS-, come sarebbe evincibile anche dall’ordinanza di demolizione n. -OMISSIS-. Se ne ricava l’illegittimità dell’operato del Comune per aver ingiunto la demolizione senza avere previamente verificato il difetto dei presupposti per la fiscalizzazione dell’abuso ai sensi del comma 2 del citato art. 34.
Anche tali doglianze sono inammissibili.
Giova premettere che, come puntualmente osservato dalla parte intimata (a pag. 15 e ss. della memoria del 21.6.2024), la parte esponente fa riferimento all’ordinanza di demolizione n. -OMISSIS- -da questa, d’altronde, mai impugnata- obliterando il dato che ad essa ne sono seguite altre due, disposte in esito a rinnovata attività istruttoria dell’amministrazione comunale e aventi perciò natura di atti di conferma in senso proprio.
L’ultimo provvedimento della sequenza (l’ordinanza di demolizione n. -OMISSIS-) è stato impugnato con ricorso RG -OMISSIS-/2021, che, come rilevato in narrativa, è stato respinto da questo Tribunale con sentenza n. -OMISSIS- del 20.1.2023 (doc. 17 di parte ricorrente). Peraltro, in quella sede il proprietario del fondo non ha posto il tema della natura, totale o parziale, della difformità delle opere dal titolo edilizio, focalizzando piuttosto le sue critiche sul vincolo boschivo gravante sull’area e sull’asserita inidoneità dei manufatti realizzati a determinare un apprezzabile incremento di superficie utile, ostativo al riconoscimento della compatibilità paesaggistica (cfr. doc. 17 cit.).
Merita precisare ancora che, come riconosciuto anche dal ricorrente (cfr. pag. 5 del ricorso introduttivo del giudizio), è proprio dall’inottemperanza a tale ultimo provvedimento demolitorio che è conseguita l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale.
Tenuto conto, pertanto, che l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, per la sua stretta consequenzialità rispetto a quest’ultima, non è suscettibile di autonoma impugnativa se non per vizi propri (cfr. Cons. Stato sez. VI, 22.11.2023, n. 10033) e che, per altro verso, la natura abusiva delle opere ha già costituito oggetto di sindacato di questo Tribunale, nei limiti del thema decidendum tracciato dallo stesso interessato, il tentativo di rimettere in discussione la questione nella presente sede s’imbatte, quanto ai profili rimasti inoppugnati, nel consolidamento dell’effetto spiegato dall’ordinanza di demolizione e, quanto a quelli delibati nella citata sentenza n. -OMISSIS-/2023, nel principio del ne bis in idem.
All’operatività dell’effetto preclusivo non osta, peraltro, la circostanza che detta pronuncia di primo grado non sia passata in giudicato (in quanto gravata con appello RG -OMISSIS-/2023) atteso che, in ossequio ad esigenze di certezza del diritto, “indipendentemente dalla formazione del giudicato formale, al giudice è inibito di pronunziarsi una seconda volta su questioni già definite con sentenza (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 28 febbraio 2018, n. 1257; Id., IV, 28 febbraio 2018, n. 12309)” (Cons. Stato, sez. V, 17.9.2018, n. 5422).
- E) Per le considerazioni che precedono dev’essere dichiarata inammissibile anche la quarta ragione di doglianza, a mezzo della quale l’esponente lamenta l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 31-bis, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001, siccome irrogabile solo in caso d’inottemperanza all’ordine di demolizione di opere totalmente abusive e non anche nella diversa ipotesi di cui all’art. 34 del Testo Unico dell’edilizia.
Poiché, infatti, anche tale censura investe profili di legittimità della presupposta ordinanza di demolizione, già soggetta al vaglio di legittimità di questo giudice amministrativo con la sentenza n. -OMISSIS-/2023, essa s’imbatte negli stessi rilievi spiegati al superiore paragrafo D), al quale si rinvia.
- F) Con la quinta censura, la ricorrente, nel dare atto che il provvedimento di riesame adottato all’esito dell’ordinanza cautelare ha limitato l’oggetto dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale alla sola area costruita abusivamente (ricalcolata in 108,52 mq), senza più disporre l’ablazione di superfici ulteriori, ravvisa nondimeno un vizio di difetto di motivazione nell’omessa indicazione delle opere analoghe a quelle abusive, astrattamente edificabili nell’area, nonché dei relativi criteri di commisurazione.
La doglianza è manifestamente infondata.
L’estensione dell’effetto acquisitivo all’area di sedime opera ex lege, per disposto dell’art. 31, comma 3 D.P.R. 380/2001, e, in ragione di tale automatismo, si rende superflua ogni motivazione sul punto (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 16.2.2023, n. 1643, e giurisprudenza ivi richiamata, nonché T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 2.3.2022 n. 1405).
Nella specie, la ratio di tale estensione automatica dell’oggetto dell’acquisizione gratuita risiede nella stretta connessione materiale e giuridica che esiste tra l’immobile e l’area sul quale questo insiste. L’acquisizione al Comune anche dell’area di sedime, da un lato, agevola la demolizione e il ripristino dello status quo ante dei luoghi e, dall’altro lato, impedisce l’operatività di alcuni istituti, quale l’accessione, che potrebbero dar vita a rivendicazioni dell’immobile abusivo o alla pretesa di pagamento del relativo valore. L’acquisizione del sedime non è, dunque, un evento giuridico autonomo, ma collegato all’acquisizione dell’immobile abusivo onde fornirgli l’occorrente base superficiaria.
L’onere di motivazione, integrato dal riferimento alle prescrizioni urbanistiche, è richiesto nel solo caso di ablazione estesa alle aree pertinenziali ulteriori rispetto al sedime occupato dall’immobile abusivo. Tuttavia è pacifico che, a differenza del provvedimento annullato in autotutela, l’ordinanza n. -OMISSIS-, impugnata con motivi aggiunti, non prevede più l’acquisizione di porzioni aggiuntive. Di conseguenza, nessuna motivazione specifica s’imponeva al riguardo all’amministrazione comunale.
- G) Del pari infondato è l’ultimo mezzo di gravame con il quale l’esponente lamenta la sproporzione della sanzione pecuniaria, irrogata nella misura massima di € 20.000 prevista dal comma 4 bis dell’art. 31 D.P.R. 380/2001.
Ai sensi della norma che precede, dalla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione consegue, oltre all’acquisizione delle opere e dell’area di sedime, l’applicazione della sanzione amministrativa e pecuniaria d’importo complessivo tra € 2.000 e € 20.000,00. In caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’art. 27 del T.U. dell’edilizia, e cioè quelli ricadenti in zona gravata da vincolo paesaggistico ex D.Lgs. n. 42/2004 o da vincolo idrogeologico elevato o molto elevato, la sanzione è sempre irrogata, sulla base della stessa disposizione di legge, nella misura massima di € 20.000 (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 3.4.2023, n. 2090).
Pertanto giacché, come accertato nella richiamata sentenza di questo Tribunale n. -OMISSIS-/2023, il fondo di proprietà del ricorrente è soggetto a vincolo paesaggistico (in quanto ricadente in area boschiva), l’applicazione della sanzione nella massima entità edittale si conforma all’espresso dettato normativo.
- H) In definitiva, per tutto quanto esposto, il ricorso introduttivo del giudizio dev’essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse, mentre il ricorso per motivi aggiunti dev’essere respinto, siccome infondato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo