Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 28 novembre 2024 n. 30605
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va esercitato il potere discrezionale da parte della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 363, comma 3 c.p.c., nei giudizi che pongano questioni di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice ammnistrativo o contabile, solo limitatamente alla giurisdizione medesima ed a condizione che la questione posta dal ricorso inammissibile rivesta quella «particolare importanza», che giustifica l’intervento a prescindere dallo ius litigatoris.
PARTE RILEVANTE DELLA DECISIONE
[…] 6. Il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni.
In premessa occorre rammentare che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti può essere proposto soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 Cost., comma 8, art. 362 cod. proc. civ. e art. 110 cod. proc. amm.).
Questo, giacché l’assetto pluralistico delle giurisdizioni, scelto dal Costituente e reso evidente dalla diversa formulazione del settimo e dell’ottavo comma dell’art. 111 Cost., assegna alla Corte di Cassazione il ruolo di organo regolatore della giurisdizione, non quello di garante ultimo della nomofilachia, ovvero della legittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale delle norme, di rito e di merito, applicate dal giudice amministrativo o contabile.
Hanno chiarito queste Sezioni Unite che la categoria, di fonte giurisprudenziale, dell’eccesso di potere giurisdizionale si colloca sul crinale fra il settimo e l’ottavo comma del citato art. 111 Cost. (cfr. Cass. S.U. 9 luglio 2024 n. 18722) ed è ravvisabile nelle sole ipotesi di difetto assoluto o relativo di giurisdizione.
Il primo si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento).
Il secondo è riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.
Rientrano, pertanto, nell’ambito dei motivi inerenti alla giurisdizione:
- a) l’invasione della sfera riservata ad altri poteri (esecutivo e legislativo);
- b) l’invasione della sfera altrui di giurisdizione;
- c) l’esplicazione da parte del giudice amministrativo di un sindacato di merito, allorquando la potestas iudicandi comprenda il solo sindacato di legittimità;
- d) il mancato esercizio da parte del giudice amministrativo o contabile della sua giurisdizione, quando derivante dall’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto di funzione giurisdizionale.
Esula, invece, dall’ambito dell’eccesso di potere, così delineato, l’errata interpretazione delle norme sostanziali e processuali, perché il vizio non è configurabile in relazione ad errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr. fra le tante Cass. S.U. 22 settembre 2023 n. 27160; Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18539; Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. 4284).
6.1. L’arretramento della giurisdizione, che in questa sede i ricorrenti denunciano lamentando un «diniego di giustizia», è ravvisabile solo in presenza di un rifiuto a pronunciare sulla domanda, inclusa invece nella giurisdizione del giudice amministrativo, determinato dall’affermata estraneità della domanda stessa alle attribuzioni giurisdizionali di quel giudice (Cass. 20 giugno 2024 n. 17048; Cass. S.U. 15 aprile 2020 n. 7839 ed ivi ulteriori precedenti).
Il rifiuto che rileva è, dunque, quello “astratto”, che deriva dall’affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in contrasto con la regula iuris che invece gli attribuisce il potere di ius dícere sulla domanda.
Non rileva quello “in concreto”, che si ha quando la negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza dell’ipotizzata inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto (Cass. S.U. 10 febbraio 2023 n. 4284; Cass. S.U. 28 maggio 2020 n. 10087; Cass. S.U. 26 marzo 2021 n. 8572; Cass. 23 settembre 2022 n. 27904).
In altri termini «la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma 8, Cost..
Quanto scritto, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione» (Cass. S.U. 26 settembre 2022 n. 28021).
6.2. Si tratta di un orientamento risalente nel tempo e definitivamente affermatosi nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite a seguito della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale.
Detta sentenza, in esplicito dissenso con la concezione cosiddetta dinamica o evolutiva della giurisdizione, che si andava affermando e che riecheggia negli scritti difensivi dei ricorrenti, ha evidenziato che la tesi secondo cui:
«il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall’ottavo comma dell’art. 111 Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando … non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale» (§11).
Ha aggiunto che «l’intervento delle sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU» giacché anche in tal caso si ricondurrebbe «al controllo di giurisdizione un motivo di illegittimità (sia pure particolarmente qualificata), motivo sulla cui estraneità all’istituto in esame non è il caso di tornare» (§14.1).
6.3. L’insindacabilità da parte della Corte di Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, con riguardo alle eventuali violazioni del diritto dell’Unione europea o di quello convenzionale, come al mancato rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE ad opera di tali organi giurisdizionali, è stata affermata da queste Sezioni Unite anche quale conseguenza delle precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione) del 21 dicembre 2021, Randstad Italia SpA contro Umana SpA e altri, (C-497/20).
La sentenza di cui sopra è intervenuta a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 19598 del 2020 richiamata dai ricorrenti.
E’ stato, in particolare, evidenziato che l’orientamento che sottrae al sindacato della Corte di Cassazione la violazione del diritto dell’Unione commessa dal giudice speciale « non si pone in contrasto con gli artt. 52, par. 1 e 47, della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto l’ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l’accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all’esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione.
Costituisce, quindi, ipotesi estranea al perimetro del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione la denuncia di un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dallo stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della CGUE, risultando coerente con il diritto dell’Unione la riferita interpretazione in senso riduttivo degli art. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1, e 362, comma 1, c.p.c.» ( Cass. S.U. 4 ottobre 2022 n. 28803 ed i precedenti ivi citati in motivazione).
- Dai richiamati principi, che vanno qui ribaditi, discende l’inammissibilità dei motivi che, nella sostanza, addebitano al Consiglio di Stato di avere erroneamente ritenuto: che si fosse formato giudicato esterno sull’insussistenza del diritto alla retrocessione dei beni espropriati; che la domanda risarcitoria fosse prescritta; che fosse manifestamente infondata, oltre che irrilevante, la questione di legittimità costituzionale della normativa statale e provinciale dettata in tema di retrocessione, ritenuta non in contrasto con le disposizioni della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo invocate nel quinto mezzo.
Si tratta all’evidenza di censure che attengono ai limiti interni, non esterni, della giurisdizione e che si risolvono nella denuncia di errores in iudicando nei quali il giudice amministrativo sarebbe incorso.
7.1. Quanto al rilievo del giudicato, queste Sezioni Unite hanno già affermato, ed al principio va qui data continuità, che il giudice, ordinario o speciale, chiamato a pronunciare su domanda rientrante nella propria competenza giurisdizionale, è necessariamente munito del potere-dovere di affrontare in via incidentale i problemi pregiudiziali o preliminari la cui definizione sia indispensabile per la decisione.
Quindi, in presenza della deduzione di uno dei contendenti, secondo cui la decisione stessa sarebbe in tutto od in parte vincolata da un precedente giudicato sostanziale (c.d. giudicato esterno), ha il compito d’indagare sull’esistenza del giudicato medesimo e sul suo contenuto precettivo ( Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18602).
Se ne è tratta la conseguenza che «la censura che, deducendo il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, attenga, invece, all’interpretazione del giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i possibili profili – dalla sua omessa interpretazione, alla valutazione del suo contenuto, nonché dei suoi presupposti, ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti – riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, prospettandosi, sostanzialmente, una violazione di legge commessa da quest’ultimo.
Sicché resta estranea al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi» (Cass. S.U. 19 luglio 2023 n. 21362; negli stessi termini Cass. S.U. 30 giugno 2023 n. 18602; Cass. S.U. 6 dicembre 2021 n. 38599 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).
Il principio enunciato si armonizza con quello, più generale, affermato a partire da Cass. S.U. 25 maggio 2001 n. 226 e ribadito da Cass. S.U. 21 febbraio 2022 n. 5633, secondo cui il giudicato, per la sua natura di comando giuridico e per l’effetto che produce di dare certezza e stabilità alla res controversa, è assimilabile agli elementi normativi sicché l’interpretazione del giudicato medesimo operata dal giudice del merito non costituisce un apprezzamento di fatto bensì una quaestio iuris.
L’errore interpretativo nel quale eventualmente sia incorso il giudice speciale è, dunque, un error in iudicando interno alla giurisdizione che, in quanto tale, non può essere ricondotto all’eccesso di potere, inteso nei termini sopra specificati.
7.2. Analogamente è stato escluso che possa integrare eccesso di potere giurisdizionale l’applicazione, asseritamente errata, della disciplina della prescrizione del diritto o dell’azione. È stato evidenziato, infatti, che nell’individuare il dies a quo nonché il termine applicabile il giudice speciale esercita i poteri/doveri che gli competono quanto all’interpretazione delle norme ed alla valutazione degli atti.
L’errore commesso nell’attività interpretativa ed in quella di applicazione della norma al caso concreto non dà luogo ad una invasione della sfera legislativa, configurabile solo allorquando il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.
Detta evenienza non ricorre qualora il giudice speciale individui, in tema di prescrizione, una regula juris facendo uso dei suoi poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione del quadro delle norme, che costituisce il proprium della funzione giurisdizionale (in tal senso fra le tante Cass. S.U. 23 febbraio 2022 n. 5952, Cass. S.U. 24 giugno 2022 n. 20459, Cass. S.U. 12 febbraio 2024 n. 3763).
Né costituisce arretramento della giurisdizione la pronuncia che accerti l’avvenuta maturazione del termine prescrizionale e per questo neghi alla parte la tutela domandata, perché in tal caso non si è in presenza di un rifiuto a pronunciare sulla domanda determinato da ragioni di giurisdizione bensì di un rigetto della domanda medesima, che potrà essere, eventualmente, conseguenza di un error in iudicando non già di un eccesso di potere giurisdizionale.
7.3. Parimenti non è sindacabile dalla Corte di cassazione ex artt. 111 Cost. e 362, comma 1, cod. proc. civ. la ritenuta manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della normativa statale e provinciale dettata in tema di retrocessione degli immobili espropriati, giacché la valutazione che ciascuna autorità giurisdizionale è chiamata a fare, su eccezione di una delle parti o di ufficio, in ordine alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale rimane confinata entro i limiti interni della rispettiva giurisdizione.
Si tratta, infatti, di un giudizio espresso in applicazione di disposizioni processuali – gli artt. 23 e 24 della legge n. 87/1953 – che stabiliscono le condizioni per l’accesso al giudizio incidentale di costituzionalità, e, pertanto, l’errore, anche abnorme, eventualmente commesso dal giudice amministrativo o contabile a quo, rientra nei limiti interni della giurisdizione del medesimo giudice ( si rimanda a Cass. S.U. 3 giugno 2024 n. 15409 ed ai precedenti ivi citati).
- Inammissibile, infine, è anche il terzo motivo con il quale si sostiene che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto sollevare il conflitto negativo di giurisdizione ex art. 362 cod. proc. civ.
La disposizione invocata non è applicabile alla fattispecie, perché il conflitto al quale la stessa fa riferimento è quello che si verifica allorquando dapprima il giudice amministrativo e poi il giudice ordinario abbiano entrambi affermato o negato la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare essi stessi d’ufficio il conflitto.
A fronte della pronuncia del giudice ordinario declinatoria della giurisdizione il giudice amministrativo, nei casi in cui la causa venga tempestivamente riassunta, può ricorrere allo strumento processuale previsto dall’art. 11, comma 3, c.p.a. e può sollevare conflitto “alla prima udienza”.
E’, quindi, necessario che si sia in presenza di una stessa domanda, riproposta dinanzi al giudice ad quem, che si configuri una prosecuzione del processo nel quale la prima pronuncia sulla giurisdizione è stata resa, che il conflitto venga tempestivamente sollevato, sicché, in difetto di dette condizioni, il giudice amministrativo deve limitarsi a statuire sulla giurisdizione ex art. 9 c.p.a., non ostandovi la precedente statuizione di declinatoria della giurisdizione (Cass. S.U. 23 luglio 2019 n. 19893; Cass. S.U. 28 ottobre 2015 n. 21951; Cass. S.U. 18 dicembre 2014 n. 26655).
Quest’ultima disposizione prevede che il difetto di giurisdizione può essere rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado mentre «nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.»
Nel dettare la disciplina del processo amministrativo, dunque, il legislatore ha nella sostanza recepito l’orientamento, ormai consolidato, espresso dalle Sezioni Unite a partire da Cass. S.U. 9 ottobre 2008 n. 24883, secondo cui il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione solo fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato, esplicito o implicito.
Quest’ultimo si forma in caso di decisione nel merito, con esclusione delle sole pronunce che non contengano statuizioni implicanti l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda.
Oppure stesso dicasi quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito ( cfr. fra le tante più recenti Cass. S.U. 22 settembre 2023 n. 27160; Cass. S.U. 27 giugno 2023 n.18389 ed i richiami ivi contenuti).
8.1. Sulla base dei richiamati principi il motivo proposto deve essere dichiarato inammissibile e ciò anche a voler prescindere dalla contraddittorietà fra il terzo ed il quarto motivo.
Il giudizio inizialmente promosso dinanzi al giudice ordinario, che aveva declinato la giurisdizione con sentenza del Tribunale di Bolzano n. 588/2015, confermata dalla Corte d’appello di Trento, è stato riassunto in sede amministrativa ed il T.R.G.A. non si è avvalso dello strumento processuale disciplinato dall’art. 11 c.p.a. ed ha deciso nel merito il ricorso, rigettandolo.
I motivi di impugnazione proposti dagli attuali ricorrenti, riassunti alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata in questa sede, non hanno posto in discussione la giurisdizione del giudice amministrativo, sicché la relativa questione è da ritenere ormai preclusa dalla formazione del giudicato, con conseguente inammissibilità delle censure che sulla stessa vertono.
Né si attaglia alla fattispecie l’ordinanza n. 23712/2024, che i ricorrenti richiamano nella seconda memoria illustrativa, perché in quel caso la questione di giurisdizione era stata espressamente riproposta al giudice d’appello che, erroneamente, aveva rigettato l’eccezione.
- I ricorrenti invocano anche, per l’ipotesi di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge sia sulla giurisdizione che sul titolo che, a loro dire, legittimerebbe l’azione risarcitoria.
La richiesta non può avere seguito.
L’eccezionale potere conferito alla Corte di Cassazione dall’art. 363, comma 3, cod. proc. civ., di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, senza che lo stesso abbia incidenza sul giudizio nel quale la pronuncia interviene, in quanto definito dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, si giustifica in ragione della funzione nomofilattica che il giudice di legittimità esercita e ne incontra i medesimi limiti.
Sicché quel potere non può essere esercitato con riferimento alla interpretazione delle norme che il giudice speciale è tenuto ad applicare ai fini della risoluzione della controversia ad esso rimessa e rispetto alla quale è munito di giurisdizione.
L’intervento sollecitato, infatti, finirebbe per assegnare alla Corte di Cassazione, rispetto alle giurisdizioni speciali, un ruolo diverso da quello disegnato dalla Carta Costituzionale, ossia quello, non consentito, di garante della legittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale delle pronunce rese dal giudice amministrativo o contabile (in tal senso Cass. S.U. 17 novembre 2022 n. 33988 e Cass. S.U. 22 novembre 2022 n. 34387 che richiamano entrambe Cass. S.U. 17 settembre 2010 n. 19700).
9.1. Dalle considerazioni sopra esposte discende che nei giudizi che pongano questioni di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice ammnistrativo o contabile il potere discrezionale conferito alla Corte di Cassazione dal citato art. 363, comma 3, cod. proc. civ. può essere esercitato solo limitatamente alla giurisdizione medesima ed a condizione che la questione posta dal ricorso inammissibile rivesta quella «particolare importanza», che giustifica l’intervento a prescindere dallo ius litigatoris.
Il potere, come si è detto eccezionale, non trova giustificazione nei casi in cui sulla questione di giurisdizione la Corte regolatrice abbia già pronunciato.
Quest’ultima evenienza ricorre nella fattispecie con riferimento all’interpretazione dell’art. 133 lett. g) c.p.a. ( secondo cui sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo «le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa» ).
Infatti, queste Sezioni Unite hanno affermato che la giurisdizione del giudice amministrativo riguarda le domande di accertamento dell’illegittimità della procedura ablativa, di risarcimento del danno e di rilascio del fondo, mentre spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla sola domanda di indennizzo per il periodo di occupazione legittima.
E’ stato precisato, in particolare, che «Vanno parimenti portate avanti al giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto la mancata retrocessione di un bene, acquisito mediante decreto di esproprio.
Ciò nonostante la sopravvenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che tale domanda è ricollegabile, in parte, direttamente ad un provvedimento amministrativo, venendo in rilievo il concreto esercizio di un potere ablatorio culminato nel decreto di espropriazione, e, per il resto, ad un comportamento della P.A. ad esso collegato, consistito nell’omessa retrocessione del bene malgrado il verificarsi della suddetta decadenza (Cass. Sez. U. 18 gennaio 2017, n. 1092; in tema pure Cass. Sez. U. 19 novembre 2021, n. 32688)» ( Cass. S.U. 1° marzo 2023 n. 6099).
- E’ priva di rilevanza nel presente giudizio, perché non incide in alcun modo sul riparto di giurisdizione fra giudice amministrativo ed ordinario, la questione di legittimità costituzionale, ritenuta non fondata dal Consiglio di Stato e riproposta dai ricorrenti, della normativa statale e provinciale concernente l’espropriazione, per asserita violazione del protocollo 1, articolo 1, allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Parimenti, l’avvenuta formazione di giudicato interno sulla questione di giurisdizione, la conseguente inammissibilità del terzo motivo nonché la ritenuta insussistenza delle condizioni richieste dall’art. 363, comma 3, cod. proc. civ., rendono priva della rilevanza richiesta dagli artt. 23 e 24 della legge 11 marzo 1953 n. 87 la diversa eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 7 e 133 d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, sollevata nella seconda memoria difensiva con riferimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di procedure ablatorie.
- In via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.