Corte Costituzionale, sentenza 04 aprile 2022 n. 87
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, nella parte in cui prevede che «È inefficace ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili sussistendo, all’evidenza, la loro rilevanza – essendo in discussione, nel giudizio principale, l’efficacia di un pignoramento notificato in data 4 novembre 2020, compresa nell’intervallo di tempo previsto dalla disposizione censurata – nonché la loro non manifesta infondatezza, sufficientemente argomentata dal giudice rimettente.
Del resto – non essendo il Presidente del Consiglio dei ministri intervenuto nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, né essendosi costituite le parti del giudizio principale – neppure risulta alcuna eccezione di inammissibilità.
3.– Giova premettere all’esame nel merito delle questioni una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento nel quale si colloca la disposizione censurata.
3.1.– Con il diffondersi dell’emergenza sanitaria da COVID-19, il Governo, com’è noto, ha varato una serie di misure volte a contenere la propagazione del virus, relative anche ai processi civili.
Questa disciplina speciale si è articolata, nel tempo, in diverse fasi: dalla sospensione radicale dei giudizi ritenuti non urgenti dal legislatore, nel periodo sino all’11 maggio 2020 (la cosiddetta “prima fase”), alla successiva attribuzione ai dirigenti degli uffici giudiziari del compito e della responsabilità di adottare le misure organizzative necessarie sulla scorta delle emergenze epidemiologiche certificate nel territorio di riferimento (la cosiddetta “seconda fase”), sino a un graduale ritorno alla normalità, pur temperato dalla possibilità di celebrare le udienze da remoto o mediante trattazione scritta.
Il legislatore dell’emergenza ha inoltre dettato alcune specifiche disposizioni per le procedure espropriative immobiliari e l’esecuzione per rilascio aventi il comune obiettivo di contenere i possibili rischi per la salute individuale e collettiva e di evitare, in particolare, la perdita dell’abitazione principale da parte del debitore esecutato e degli immobili condotti in locazione, anche in caso di morosità nel pagamento del canone.
Per quel che interessa maggiormente ai fini del presente giudizio, rileva l’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, che, sotto la rubrica «Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa», aveva stabilito che «[a]l fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore».
Tale disposizione, introdotta in sede di conversione del decreto-legge, è entrata in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della stessa legge in Gazzetta Ufficiale, ossia il 30 aprile 2020. La sua vigenza era inizialmente prevista per sei mesi, con scadenza, quindi, al 31 ottobre 2020.
Proprio la disposizione oggetto delle odierne questioni (art. 4 del d.l. n. 137 del 2020) – ma in questa parte non censurata dal giudice rimettente – ha previsto una prima proroga fino al 31 dicembre 2020.
Una successiva proroga è stata disposta dall’art. 13, comma 14, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, per il semestre successivo. Ma questa Corte, con la sentenza n. 128 del 2021, ha dichiarato costituzionalmente illegittima tale ulteriore proroga sicché il regime, speciale e temporaneo, della sospensione delle procedure esecutive, aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, è rimasto in vigore fino al 31 dicembre 2020.
3.2.– Parallelamente l’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, ha previsto la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, fino al 1° settembre 2020.
L’art. 17-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, ha poi prorogato la suddetta sospensione sino alla data del 31 dicembre 2020.
In seguito, l’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, ha ulteriormente prorogato tale sospensione sino alla data del 30 giugno 2021.
Infine l’art. 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, ha limitato l’ambito di applicabilità di tale sospensione graduandola, nel concorso di specifici presupposti, fino al 30 settembre 2021, per i provvedimenti di rilascio adottati dal 28 febbraio al 30 settembre 2020, e fino al 31 dicembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal l° ottobre 2020 al 30 giugno 2021.
Le questioni di legittimità costituzionale di tale ultima disciplina sono state dichiarate in parte inammissibili e in parte non fondate da questa Corte con sentenza n. 213 del 2021.
4.– In questo contesto normativo, che quindi già prevedeva due fattispecie parallele di sospensione, sia delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, sia degli ordini di rilascio degli immobili, si colloca la disposizione censurata nel presente giudizio – l’art. 4 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito – che esprime due distinte norme.
La prima (non censurata dal giudice rimettente) è volta – come si è già detto – a prorogare il termine finale della sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, prevista dal richiamato art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, sino alla data del 31 dicembre 2020.
La seconda – sulla quale si appuntano le questioni di legittimità costituzionale – sancisce, invece, l’inefficacia di «ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare» che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, se «effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», ossia fino al 25 dicembre 2020.
Questa disposizione, entrata in vigore il 29 ottobre 2020 (ossia il giorno successivo alla pubblicazione del decreto-legge sulla Gazzetta Ufficiale), opera peraltro retroattivamente per alcuni giorni, comportando la declaratoria di inefficacia anche delle procedure esecutive per i pignoramenti immobiliari effettuati dal 25 al 28 ottobre 2020.
Pertanto, per due distinti periodi di due mesi, peraltro sfalsati uno rispetto all’altro di alcuni giorni – il primo dal 25 ottobre al 25 dicembre 2020, il secondo dal 1° novembre al 31 dicembre 2020 – alla sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore si è affiancata l’inefficacia di ogni procedura esecutiva avente lo stesso oggetto.
5.– Va subito precisato che è senz’altro plausibile l’interpretazione della disposizione censurata, quale prospettata dal giudice rimettente, secondo cui è, innanzi tutto, lo stesso pignoramento, quando abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, ad essere colpito dall’inefficacia prevista dalla disposizione stessa. La procedura esecutiva inizia con il pignoramento (art. 491 del codice di procedura civile) e quindi la disposizione censurata, laddove prevede che «[è] inefficace ogni procedura esecutiva», non può che riferirsi innanzi tutto al pignoramento e anzi essa fa espressamente riferimento al pignoramento immobiliare, eseguito ai sensi dell’art. 555 cod. proc. civ.
La lettura riduttiva secondo cui l’inefficacia riguarderebbe solo gli atti successivi al pignoramento, che invece conserverebbe la sua efficacia, è stata giustamente esclusa dal giudice rimettente sia perché contraria alla lettera della disposizione, che – come appena rilevato – richiama il «pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile», sia perché incoerente sul piano sistematico. Stante la contestuale proroga del regime di sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, una siffatta interpretazione riduttiva della disposizione censurata renderebbe la stessa priva di ogni significato pratico, giacché sanzionerebbe, con l’inefficacia, gli atti della procedura esecutiva che in realtà non possono proprio essere posti in essere in ragione della sospensione ex lege della procedura stessa, secondo quanto previsto dall’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito.
Quindi non implausibilmente – anzi correttamente – il giudice rimettente ritiene che l’inefficacia prevista dalla disposizione censurata riguardi innanzi tutto il pignoramento e, pertanto, che non operi a garanzia del creditore procedente e di quelli intervenienti, l’effetto di non opponibilità a loro degli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutato (art. 2913 cod. civ.).
6.– Deve infatti considerarsi, più in generale, che il pignoramento – il quale consiste in un’ingiunzione notificata dal creditore al debitore (che ne deve necessariamente avere conoscenza: sentenza n. 68 del 1994) per il tramite dell’ufficiale giudiziario ad astenersi dal compiere atti di disposizione del bene – modifica la situazione di responsabilità patrimoniale del debitore in quanto l’assoggettabilità generica dei beni alla garanzia dei creditori, ai sensi dell’art. 2740 cod. civ., diventa assoggettamento specifico di un bene determinato, destinato ad essere oggetto dell’esecuzione forzata.
Particolarmente rilevanti sono – per l’esame delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente – gli effetti sostanziali del pignoramento previsti dall’art. 2913 cod. civ., che sanziona con l’inefficacia, ove avvenuti in pregiudizio del creditore pignorante e degli altri creditori eventualmente intervenuti, gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, pur se quest’ultimo non determina alcuna modificazione nella capacità d’agire o nel potere di disporre del debitore esecutato.
In ogni caso, il pignoramento, pur non incidendo sul diritto di proprietà del debitore sul bene pignorato, imprime al bene una destinazione che il debitore esecutato non può alterare o pregiudicare con una propria condotta, almeno rispetto ai creditori che partecipano alla procedura esecutiva.
La «inefficacia» del pignoramento, prevista dalla disposizione censurata, significa allora, nella sostanza, un eccezionale e temporaneo (per soli due mesi) regime di impignorabilità della casa di abitazione della quale il debitore sia proprietario (o abbia un diritto reale di godimento); regime che il legislatore non ha più confermato nel successivo periodo di proroga e che comunque è venuto meno a partire dal 26 dicembre 2020.
In definitiva, nell’arco temporale – che avrebbe dovuto essere di quattordici mesi (poi ridotti ad otto per effetto della sopra menzionata dichiarazione di illegittimità costituzionale) – di sospensione delle esecuzioni immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore esecutato, vi è la singolarità di un intervallo di due mesi in cui al regime della sospensione si aggiunge l’inefficacia degli atti della procedura la quale, in ragione di tale sovrapposizione, significa soprattutto inefficacia del pignoramento.
7.– Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale sono fondate in riferimento a entrambi i parametri evocati.
8.– Con riguardo alla denunciata violazione del diritto alla tutela giurisdizionale, occorre innanzi tutto ribadire che il diritto del creditore a soddisfarsi in sede esecutiva costituisce componente essenziale del diritto di accesso al giudice, sancito dall’art. 24 Cost. (ex multis, sentenza n. 225 del 2018). L’azione esecutiva è, invero, fattore complementare e necessario dell’effettività della tutela giurisdizionale perché consente al creditore di soddisfare la propria pretesa anche in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore (ex plurimis, sentenze n. 198 del 2010, n. 335 del 2004, n. 522 del 2002, n. 333 del 2001 e n. 321 del 1998).
In linea generale, quindi, la fase di esecuzione forzata delle decisioni giudiziarie, in quanto intrinseco ed essenziale connotato della funzione giurisdizionale, è costituzionalmente necessaria (sentenze n. 213 e n. 128 del 2021), mentre eccezionali sono le deroghe al principio, espresso dall’art. 2740 cod. civ., per cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (ex multis, sentenza n. 506 del 2002).
Come ribadito di recente da questa Corte in riferimento ad altre disposizioni dettate nel contesto della legislazione emergenziale da COVID-19, sono ammissibili limitazioni al diritto del creditore di agire in sede esecutiva solo se fondate su circostanze eccezionali e se circoscritte nel tempo (sentenze n. 236, n. 213 e n. 128 del 2021). Di contro, una previsione come quella censurata, sia pur limitatamente al breve periodo di due mesi, limita oltre modo il diritto del creditore finanche a cautelarsi con il pignoramento dell’immobile a fronte del rischio di possibili atti di disposizione da parte del debitore.
Inizialmente, il regime della sospensione dell’esecuzione, di cui all’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, comportava che comunque il pignoramento era possibile, ma l’esecuzione, appena iniziata con il pignoramento, era destinata ad essere subito sospesa. In tal modo il legislatore ha realizzato un bilanciamento, nella eccezionale situazione di emergenza sanitaria conseguente alla pandemia da COVID-19, tra l’interesse del debitore a veder temporaneamente arrestata l’esecuzione forzata dopo il pignoramento dell’immobile destinato a sua abitazione principale e quello del creditore procedente a conservare il regime di inopponibilità degli eventuali atti di disposizione dell’immobile già pignorato. Inoltre, contestualmente il debitore si giovava altresì – quanto alle procedure esecutive prossime a conclusione, nelle quali avrebbe potuto essere emesso dal giudice il decreto di trasferimento del bene espropriato e l’ingiunzione di rilasciare l’immobile (art. 586, comma secondo, cod. proc. civ.) – della generale sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili di cui all’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito.
In questo contesto di protezione già ampia del debitore, mirata ad evitare che egli potesse in alcun caso essere costretto a rilasciare l’immobile in cui aveva fissato la sua abitazione principale, l’ulteriore tutela della radicale inefficacia della procedura esecutiva, estesa quindi al pignoramento dell’immobile, ha fatto venir meno la possibilità per il creditore di iniziare l’esecuzione forzata, pur destinata ad essere sospesa ex lege, al fine di assicurare quanto meno l’inopponibilità degli eventuali atti di disposizione dell’immobile, oggetto dell’abitazione principale del debitore, e in ipotesi pregiudizievoli della garanzia patrimoniale del credito. Ciò ha compromesso la tutela giurisdizionale in executivis del creditore, con conseguente vulnus all’art. 24 Cost.
La disposizione censurata, contemplando la sanzione dell’inefficacia per i pignoramenti immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore se eseguiti nel periodo ricompreso tra il 25 ottobre e il 25 dicembre 2020, ha compromesso in via definitiva il diritto al soddisfacimento in sede esecutiva dei creditori chirografari, in quanto, a seguito della declaratoria di inefficacia, non si sono prodotti gli effetti di cui agli artt. 2913 e seguenti cod. civ., con conseguente opponibilità anche al creditore procedente (nonché ai creditori eventualmente intervenuti) degli atti di disposizione del bene posti in essere dal debitore dopo il pignoramento. Opponibilità non rimediabile altrimenti, perché la produzione degli effetti di cui all’art. 2913 cod. civ. è condizionata non solo al compimento del pignoramento, ma anche al suo permanere, sicché, se per qualunque ragione il pignoramento viene meno (ed è ciò che si verifica a causa della «inefficacia» sancita dalla disposizione censurata), cessa automaticamente ogni ostacolo all’opponibilità dell’atto di disposizione al creditore; né quest’ultimo potrebbe ricostituire la propria posizione con un nuovo pignoramento che sarebbe posteriore all’atto e troverebbe una situazione patrimoniale ormai definitivamente modificata.
9.– Del resto, questa Corte ha ravvisato la violazione del diritto alla tutela giurisdizionale in una fattispecie in cui la disposizione censurata prevedeva «la estinzione delle procedure esecutive iniziate e la contestuale cessazione del vincolo pignoratizio gravante sui beni bloccati ad istanza dei creditori delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni commissariate» (sentenza n. 186 del 2013).
Altresì è proprio tenendo conto di tale meccanismo, che questa Corte ha ritenuto espressiva di un adeguato bilanciamento tra i contrapposti diritti delle parti, nell’ambito dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, una disposizione come l’art. 649 cod. proc. civ., che consente al giudice solo di sospendere, in presenza di gravi motivi, l’esecuzione provvisoria del provvedimento monitorio, e non anche di revocare la stessa con efficacia retroattiva idonea a travolgere il pignoramento nelle more eventualmente eseguito (nonché l’ipoteca giudiziale iscritta), in quanto ciò rischierebbe di pregiudicare definitivamente il creditore prima della decisione con sentenza sulla sussistenza del diritto dello stesso all’esito del giudizio di opposizione (sentenza n. 200 del 1996; ordinanza n. 546 del 2000).
10.– La norma censurata viola, inoltre, l’art. 3 Cost., poiché, allo scopo di tutelare il diritto di abitazione del debitore esecutato, contempla una conseguenza eccessivamente pregiudizievole per il creditore, che non si pone in necessaria correlazione con siffatta finalità di tutela. Infatti il predetto diritto, certamente meritevole di speciale protezione, costituendo esso un «diritto sociale» incluso nel catalogo dei diritti inviolabili (sentenza n. 128 del 2021), per un verso non viene meno per effetto della sola apposizione del vincolo del pignoramento e, per l’altro, era già adeguatamente tutelato, nello stesso periodo, dalla proroga della sospensione delle relative procedure esecutive, prevista dall’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, oltre che dalla sospensione dell’esecuzione dell’ordine di rilascio dell’immobile, contemplata dall’art. 103, comma 6, dello stesso decreto-legge.
Il bilanciamento tra i diritti coinvolti è stato così operato dal legislatore, che pure gode in questa materia di ampia discrezionalità, in maniera manifestamente irragionevole, con la previsione, in danno del creditore, di una sanzione processuale (l’inefficacia di «ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare») che, rispetto alla finalità perseguita, comprime il diritto del creditore procedente in misura eccessiva (art. 3, primo comma, Cost.), oltre che – come si è già rilevato – incompatibile con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (ex multis, sentenze n. 253 del 2020, n. 71 del 2015, n. 17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010 e n. 221 del 2008; ordinanza n. 141 del 2011).
Il difetto di ragionevolezza della disposizione censurata è ancor più marcato se si considera la sua (pur limitata, quanto inspiegabile) portata retroattiva relativamente a pignoramenti, già efficaci secondo la disciplina previgente, divenuti inefficaci ex post per effetto della disposizione censurata (si tratta dei pignoramenti eseguiti tra il 25 e il 28 ottobre 2020, ossia prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 137 del 2020, come convertito).
11.– Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 137 del 2020, come convertito, nella parte in cui prevede che «È inefficace ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Rimane fermo, in questo stesso periodo, il regime di sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore di cui all’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito e successivamente prorogato nella sua vigenza.