Corte Costituzionale, sentenza 06 ottobre 2022 n. 207
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, dalla Corte d’assise di Bologna.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
3.– È opportuno, prima di affrontare nel merito le questioni, esaminare il contenuto della disposizione censurata e riassumere brevemente quanto affermato da questa Corte nelle occasioni in cui ne ha vagliato la legittimità costituzionale.
3.1.– L’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 33 del 2019, prevede che «[n]on è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo».
Tale disposizione è intervenuta a sancire una preclusione all’accesso al giudizio abbreviato per questa categoria di delitti, dopo che tale facoltà era stata implicitamente riconosciuta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), il cui art. 30 aveva inserito nell’art. 442 cod. proc. pen. un secondo periodo al comma 2, secondo il quale «[a]lla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta».
Di lì a poco, l’art. 7 del decreto-legge 23 novembre 2000, n. 341 (Interpretazione autentica dell’articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale e disposizioni in materia di giudizio abbreviato nei processi per reati puniti con l’ergastolo), convertito, con modificazioni, nella legge 10 gennaio 2001, n. 4, aveva inoltre stabilito che «[n]ell’articolo 442, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale, l’espressione “pena dell’ergastolo” deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno», e aveva conseguentemente aggiunto allo stesso art. 442, comma 2, cod. proc. pen. un terzo periodo, secondo il quale «[a]lla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo».
3.1.1.– La modifica introdotta dalla disposizione censurata nel presente giudizio si inserisce nell’ambito di una riforma dei presupposti di applicabilità del giudizio abbreviato, finalizzata a escludere la possibilità di farne richiesta per gli imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
Nel quadro di tale intervento assumono rilievo, ai fini dell’odierna decisione, ulteriori disposizioni contenute nella richiamata legge n. 33 del 2019.
Deve essere segnalato, tra gli altri, il nuovo comma 6-ter dell’art. 438 cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 33 del 2019, secondo cui «[q]ualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’articolo 442, comma 2». Specularmente, il nuovo comma 1-bis dell’art. 441-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2 della medesima legge n. 33 del 2019, stabilisce che «[s]e, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, il giudice revoca, anche d’ufficio, l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione».
L’art. 3 della legge n. 33 del 2019, infine, ha provveduto ad abrogare il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen.
3.2.– Questa Corte si è più volte pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., dichiarando sinora inammissibili o non fondate le questioni sollevate nei suoi confronti.
Nella sentenza n. 260 del 2020, è stato innanzi tutto affermato che la preclusione dell’accesso al giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, costituendo «null’altro che il riflesso processuale della previsione edittale della pena dell’ergastolo per quelle ipotesi criminose», avrebbe richiesto ai rimettenti, in quel giudizio, di rivolgere le loro censure nei confronti della previsione della pena detentiva perpetua nei procedimenti a quibus – tra i quali figurava, come nel caso oggi in esame, l’omicidio a danno dell’ascendente – «giacché è proprio da tale previsione che deriva l’asserita diseguaglianza di trattamento sanzionatorio rispetto a fatti che si assumono più gravi».
Il presupposto generale da cui muove il legislatore, si è affermato in quell’occasione, è che il giudizio abbreviato resti precluso quando l’imputato è chiamato a rispondere di una fattispecie di reato punita con la pena perpetua, perché ciò si traduce in un «giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato».
Questa Corte ha conseguentemente precisato, nella medesima sentenza n. 260 del 2020, che non può ritenersi in contrasto con il principio di parità di trattamento la circostanza per cui a beneficiare dello sconto di pena conseguente all’accesso al giudizio abbreviato sia l’imputato di omicidio nei cui confronti, in esito al giudizio ordinario, l’aggravante ostativa contestata venga esclusa – il novellato art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen. prevedendo, come visto, che la Corte di assise applichi la riduzione di pena conseguente al giudizio abbreviato, ingiustamente negato –, mentre allo stesso esito non può giungere l’imputato di omicidio nei cui confronti venga bensì riconosciuta la sussistenza in fatto della circostanza aggravante che determina l’astratta applicabilità dell’ergastolo, ma tale circostanza venga “elisa” ai fini sanzionatori da una o più circostanze attenuanti presenti nel caso di specie.
Ciò in quanto l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. mutua la «regola generale» di cui all’art. 4 cod. proc. pen., secondo cui, ai fini della determinazione della pena massima, si tiene conto delle sole circostanze aggravanti a effetto speciale, «ma non delle circostanze attenuanti che possano egualmente concorrere nel caso concreto». Regola, questa, che, secondo la dianzi citata sentenza n. 260 del 2020, è provvista di una «solida ragionevolezza», perché il legislatore fa dipendere la possibilità di ricorrere a un determinato istituto – nel caso di specie, il giudizio abbreviato – dalla contestazione di una circostanza aggravante che, comportando l’applicazione di una pena di specie diversa dalla reclusione come l’ergastolo, «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata»; e ciò, aggiunge la medesima sentenza, «indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna».
In applicazione di questo principio, nella successiva ordinanza n. 214 del 2021, è stato poi specificamente chiarito che la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della disposizione censurata non sussiste neanche nel caso in cui la circostanza aggravante ostativa al giudizio abbreviato sia ritenuta equivalente o soccombente, in esito al giudizio di bilanciamento, rispetto a una circostanza attenuante come il vizio parziale di mente.
4.– Alla luce di queste premesse, le questioni devono essere dichiarate non fondate.
4.1.– Occorre anzitutto rilevare che, a dispetto della pluralità dei parametri evocati, il rimettente incentra le sue censure essenzialmente sulla violazione dell’art. 3 Cost. e sulla disparità di trattamento che contrassegnerebbe la posizione del seminfermo di mente ai sensi dell’art. 89 cod. pen. (quale l’imputato nel giudizio a quo), rispetto all’imputato minorenne. Laddove, infatti, per entrambe queste categorie di imputati, gli artt. 89 e 98 cod. pen. stabiliscono un’analoga diminuzione di pena, da ricondursi – secondo l’ordinanza di rimessione – alla comune condizione di «ridotta rimproverabilità» derivante dal minor grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla minore capacità di controllo dei propri impulsi, diverse sarebbero le conseguenze dal punto di vista sanzionatorio.
Infatti, benché il rilievo del ridotto disvalore soggettivo possa condurre a escludere in entrambi i casi l’irrogazione della pena perpetua anche nell’ipotesi di omicidio aggravato (art. 577, terzo comma, cod. pen.), l’impossibilità di accedere al giudizio abbreviato opererebbe unicamente in danno dell’imputato seminfermo di mente, e non anche del minorenne imputabile, a carico del quale la pena perpetua non può più essere irrogata a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua, tra gli altri, degli artt. 17 e 22 cod. pen. contenuta nella sentenza n. 168 del 1994.
4.2.– La rilevata disparità di trattamento, tuttavia, non sussiste, perché l’elemento che vale ad impedire all’imputato seminfermo di mente di delitti puniti con la pena dell’ergastolo, e non anche all’imputato minorenne per gli stessi delitti, l’accesso al rito abbreviato non è da rinvenirsi nelle diverse conseguenze che discendono dalle rispettive attenuanti, quanto nella diversa regola di sistema – scaturente immediatamente dalla richiamata sentenza n. 168 del 1994 – che impedisce di infliggere la pena perpetua al solo imputato minorenne, alla luce della necessità, in quella sede chiaramente affermata, di una «incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del trattamento penalistico dei minorenni».
Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 cod. pen. «nella parte in cui non escludono l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile», contenuta nella sentenza da ultimo richiamata, si è, pertanto, venuta a determinare una sostituzione generalizzata della pena perpetua con quella temporanea per la sola categoria dei rei minorenni. E proprio il venir meno dell’astratta possibilità di applicare la pena dell’ergastolo agli imputati minorenni è l’elemento che consente a questi ultimi di accedere sempre al rito abbreviato, posto che, per essi, la preclusione stabilita dall’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. non può operare in ragione della generale impossibilità di configurare, a loro carico, «delitti puniti con la pena dell’ergastolo».
4.3.– Se un simile assunto del rimettente è quindi condivisibile, e merita di essere evidenziato alla luce delle incertezze applicative emerse a seguito della riforma del giudizio abbreviato intervenuta nel 2019, erroneo è invece il presupposto interpretativo da cui questi muove per ritenere che al medesimo esito si debba giungere anche per l’imputato seminfermo di mente.
Mentre, infatti, per l’imputato minorenne l’accesso incondizionato al giudizio abbreviato deriva pur sempre da una condizione riferita alla pena astrattamente comminata, che non può essere quella perpetua, lo stesso non è a dirsi per l’imputato seminfermo di mente, per il quale la condizione di «ridotta rimproverabilità» può incidere unicamente sul peso da ascrivere alla relativa attenuante nel giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen., così da eventualmente riverberarsi sulla pena da irrogare in concreto.
Il piano sul quale opera, nella ricostruzione dell’ordinanza di rimessione, la condizione che accomuna le attenuanti di cui agli artt. 89 e 98 cod. pen. non ha quindi rilievo nell’estendere le condizioni per accedere al giudizio abbreviato, perché – come affermato nella sentenza n. 260 del 2020 e ribadito nell’ordinanza n. 214 del 2021 – queste ultime non sono influenzate dalla circostanza che il giudice procedente ritenga concretamente inapplicabile la pena dell’ergastolo per effetto dell’elisione dell’aggravante contestata in seguito al giudizio di bilanciamento.
L’analogia di ratio tra le due condizioni soggettive previste dagli artt. 89 e 98 cod. pen., su cui il rimettente fonda le sue censure, si mostra quindi inidonea a giustificare l’intervento richiesto a questa Corte, perché la diversità di trattamento quanto all’accesso al rito abbreviato riposa su un presupposto diverso da quello che viene addotto a sostegno dell’illegittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. e che lo stesso rimettente non contesta, vale a dire la generalizzata impossibilità di applicare la pena dell’ergastolo al minore imputabile ma non al seminfermo di mente.
4.4.– Come anticipato, hanno valore puramente ancillare rispetto alla censura principale, e sono pertanto anch’esse da dichiararsi non fondate, le censure riguardanti la violazione degli artt. 27 e 32 Cost.
Ciò non impedisce, tuttavia, di rilevare che le finalità rieducative della pena da applicare all’imputato affetto da vizio parziale di mente e la funzionalizzazione di essa ai profili di cura e tutela della salute si apprezzano precipuamente non nell’ottica dell’accesso più o meno ampio di quest’ultimo al giudizio abbreviato, ma alla luce delle modalità di esecuzione della pena, posto che proprio l’applicazione di una misura di sicurezza, «non avendo alcun connotato “punitivo” […] dovrebbe auspicabilmente essere conformata in modo da assicurare, assieme, un efficace contenimento della pericolosità sociale del condannato e adeguati trattamenti delle patologie o disturbi di cui è affetto (secondo il medesimo principio espresso dalla sentenza n. 253 del 2003, in relazione al soggetto totalmente infermo di mente), nonché fattivo sostegno rispetto alla finalità del suo “riadattamento alla vita sociale”» (sentenza n. 73 del 2020).
5.– Le questioni sono pertanto non fondate.