Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 04 settembre 2024, n. 23712
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di giurisdizione, a seguito dell’abrogazione dell’art. 353 c.p.c., nel caso in cui sentenza del giudice amministrativo di appello che abbia ritenuto esistente la giurisdizione del giudice amministrativo sia cassata in ragione dell’accertata giurisdizione del giudice ordinario, il giudizio deve essere riassunto avanti al giudice ordinario di appello, e non avanti a quello di primo grado.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Il ricorso è fondato.
2.1. – Con ordinanza n. 18374 del 27 giugno 2023 queste Sezioni Unite si sono pronunciare sul regolamento di giurisdizione proposto dalla società Caronte nella controversia avente ad oggetto l’opposizione promossa dalla Regione Siciliana avverso un decreto ingiuntivo emesso per importi pretesi dalla società a titolo di revisione annuale del corrispettivo del servizio di collegamento di cui trattasi; in tale giudizio l’Amministrazione aveva svolto domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma ad essa spettante quale penale: l’importo preteso a tale riguardo era pari ad euro 6.592.280,12 e corrispondeva alla differenza tra la somma di euro 8.944.709,00 – la stessa di cui si dibatte in questa sede – e quella di euro 2.352.428,12, oggetto di ingiunzione (importo, quest’ultimo, che la Regione aveva chiesto compensarsi col proprio maggior credito).
Le Sezioni Unite, nella circostanza, hanno affermato che la giurisdizione sulla domanda riconvenzionale apparteneva al giudice ordinario enunciando il seguente principio di diritto: “E’ devoluta al giudice ordinario la controversia sull’applicazione di penale prevista per l’inadempimento del concessionario di pubblico servizio”.
2.2. – A norma dell’art. 59, comma 1, L. n. 69/1009, la pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo. La disposizione codifica un principio, quello della cosiddetta efficacia panprocessuale delle pronunce sulla giurisdizione, che è consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità.
In proposito, è affermato che le sentenze sulla giurisdizione rese in sede di regolamento o di ricorso ordinario dalla S.C. – cui, per la funzione istituzionale di organo regolatore della giurisdizione e della competenza, spetta il potere di adottare decisioni dotate di efficacia esterna (efficacia panprocessuale, appunto) – producono effetti nei successivi giudizi tra le stesse parti aventi ad oggetto la medesima domanda: ipotesi che ricorre anche quando, ferma l’identità di personae, causa petendi e petitum sostanziale, le domande si distinguano unicamente in ragione del petitum formale (Cass. Sez. U. 22 ottobre 2018, n. 26595; in senso conforme: Cass. 23 aprile 2019, n. 11161; Cass. 3 maggio 2022, n. 13991, non massimata in CED).
Quest’ultima precisazione può comprendersi agevolmente.
Poiché ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (Cass. Sez. U. 31 luglio 2018, n. 20350; cfr. pure, di recente, Cass. Sez. U. 24 gennaio 2024, n. 2368; ancora: Cass. Sez. U. 7 settembre 2018, n. 21928; Cass. Sez. U. 15 settembre 2017, n. 21522 ; Cass. Sez. U. 11 ottobre 2011, n. 20902), il giudicato sulla giurisdizione non può non spiegare effetto in tutte le cause tra le stesse parti in cui, indipendentemente dal petitum formale, si faccia valere la medesima posizione giuridica; come è stato precisato, “ciò che conta è la posizione soggettiva per la quale si invoca tutela” (Cass. Sez. U. 22 ottobre 2018, n. 26595 cit., in motivazione).
Sotto tale profilo l’identità della controversia che rileva, ai fini dell’efficacia panprocessuale del giudicato, non ha contorni diversi dall’identità da prendere inconsiderazione ai fini dell’individuazione del conflitto reale, positivo o negativo, di giurisdizione, a norma dell’art. 362 c.p.c.: conflitto che, come è stato precisato da queste Sezioni Unite, è ammissibile anche nel caso in cui fra i giudizi, svolti dinanzi a due diversi ordini giurisdizionali, vi sia una parziale diversità di petitum formale, allorché questa sia comunque posta in relazione alla medesima causa petendi (Cass. Sez. U. 6 aprile 2022, n. 11258; Cass. 19 Settembre 2024 pag. 3 Sez. U. 29 agosto 2008, n. 21928).
2.3. – Ciò posto, nei due giudizi che qui vengono in esame si è fatta questione della medesima situazione soggettiva, data dal diritto della Regione al conseguimento della penale convenuta per l’inadempimento, ancorché in un caso la pretesa abbia trovato espressione in una domanda giudiziale resistita da Caronte Spa e nell’altro in un provvedimento amministrativo oggetto di impugnativa da parte della medesima società.
E’ evidente, pertanto, come la decisione resa dalle Sezioni Unite nell’ordinanza n. 18374 del 2023 con riguardo al primo giudizio, vertente sulla domanda di cui si è detto, spieghi effetto nella presente sede.
- – La sentenza impugnata deve essere dunque cassata.
3.1. – Il giudice ordinario avanti al quale la causa deve essere riassunta va identificato nella corte di appello nel cui distretto si trova il giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, e ciò per le ragioni che seguono.
3.2. – Il ricorso per cassazione è stato notificato il 29 marzo 2023. L’art. 353 c.p.c. è stato abrogato per effetto dell’art. 3, comma 26, D.Lgs. n. 149/2022 e l’abrogazione spiega effetto sulle impugnazioni proposte a decorrere dal 28 febbraio 2023 (art. 35, commi 1 e 4, D.Lgs. cit., come sostituito dall’art. 1, comma 380, lett. a), L. n. 197 del 2022).
3.3. – Come è noto, l’abrogazione dell’art. 353 c.p.c. ha fatto venir meno una delle ipotesi di regressione del giudizio in primo grado: il giudice di appello, allorquando riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario è munito della giurisdizione che è stata negata dal primo giudice, non deve più rimettere le parti davanti a quest’ultimo, ma deve trattenerla presso di sé; e il novellato art. 354, comma 3, c.p.c. precisa, al riguardo, che in tale ipotesi, come in quella in cui dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, il giudice di appello “ammette le parti a compiere le attività che sarebbero precluse e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell’articolo 356”.
In tal modo la disciplina del processo civile che segue la declaratoria di giurisdizione del giudice ordinario si distacca da quella dettata per le ipotesi in cui il giudice di appello amministrativo e il giudice di appello tributario abbiano riconosciuto la giurisdizione (rispettivamente amministrativa e tributaria) che il giudice di primo grado abbia negato.
Infatti, l’art. 105, comma 1, c.p.a. e l’art. 59, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 546/1992 prevedono tuttora che in tali evenienze la causa sia rimessa la giudice di primo grado. L’abrogazione dell’art. 353, con la conseguente riformulazione del terzo comma dell’art. 354, è destinata a spiegare effetti anche con riguardo ai casi in cui sia la Corte di cassazione a riconoscere la giurisdizione ordinaria che nel precedente corso del giudizio sia stata negata, tanto dal giudice di primo grado che da quello di appello.
Con riguardo all’ipotesi in cui la giurisdizione sia stata impropriamente esclusa in sede civile è facile osservare che la causa andrà riassunta avanti al giudice di appello, non avendo evidentemente più senso la soluzione del rinvio al primo giudice, coerentemente seguita, prima della riforma, dalla giurisprudenza di questa Corte, e fondata sul disposto dell’art. 383, comma 3, c.p.c., che appunto disciplina la cassazione con rinvio al giudice di primo grado (Cass. Sez. U. 25 gennaio 1985, n. 353; Cass. Sez. U. 1 marzo 1979, n. 1316; Cass. 7 ottobre 2015, n. 20098).
Se il giudice di appello non può più rimettere la causa in primo grado per motivi di giurisdizione è giocoforza che tanto non possa fare nemmeno il giudice di legittimità: il presupposto della rimessione della causa al giudice di primo grado da parte della Corte di cassazione è infatti il ricorrere di una delle situazioni in forza delle quali il giudice del gravame avrebbe dovuto restituire le parti al giudice di prima istanza, giusta il cit. art. 383, comma 3, c.p.c.: e tra queste non è più ricompreso il positivo accertamento della giurisdizione del giudice ordinario, precedente negata.
3.4. – Una conclusione non dissimile si impone per il caso in cui la giurisdizione del giudice ordinario sia 19 Settembre 2024 pag. 4 stata a torto esclusa dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, o – è lo stesso – dal Consiglio di Stato, in sede di appello. L’abrogazione dell’art. 353 c.p.c. obbedisce al criterio di delega che ha inteso limitare le ipotesi di rimessione del giudizio al giudice di primo grado ai soli casi di violazione del contraddittorio (cfr. art. un., comma 8, lett. o), L. n. 206/2021).
La soluzione risponde all’esigenza di salvaguardare la ragionevole durata del processo, allineando la fattispecie della illegittima declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario alle altre ipotesi – escluse quelle di cui all’art. 354, comma 1, c.p.c. – in cui il giudizio di primo grado si chiuda con una sentenza in rito che dia rilievo all’esistenza di condizioni ostative alla decisione di merito che il giudice di appello reputi insussistenti (si pensi all’incompetenza, alle ragioni di improcedibilità, o ancora, a seguito della sostituzione del secondo comma dell’art. 354, all’estinzione del giudizio); nell’un caso come negli altri non vi è regressione del giudizio in primo grado.
Il risultato dell’intervento del legislatore delegato non risulta perfettamente allineato alle indicazioni della legge delega, dal momento che è stata esclusa la rimessione della causa al giudice di primo grado per i casi di erronea declinatoria di giurisdizione e di illegittima dichiarazione di estinzione del procedimento, non anche per la fattispecie dell’accertamento, da parte del giudice del gravame, della nullità della sentenza di primo grado a norma dell’art. 161, comma 2, c.p.c.
Tuttavia, nel complesso, l’assetto normativo risultante dall’abrogazione dell’art. 353 e dalla modifica dell’art. 354 c.p.c. appare segnato dalla volontà legislativa di escludere il rinvio del giudizio in primo grado salvo che in presenza delle anomalie processuali più gravi occorse in quello stadio del procedimento: la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, la mancata integrazione del contraddittorio, l’illegittima estromissione di una parte(fattispecie, queste che danno tutte vita, appunto, alla violazione del contraddittorio) e la mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice (che si traduce in una nullità assoluta e insanabile della pronuncia e del procedimento).
Ebbene, appare coerente con tale disegno del legislatore la soluzione per cui, anche in caso di mancata declinatoria di giurisdizione da parte del giudice amministrativo di appello, all’accertata giurisdizione del giudice ordinario da parte della Corte di cassazione debba seguire la riassunzione del giudizio avanti al giudice civile di secondo grado.
L’anomalia processuale data dalla mancata declinatoria della giurisdizione da parte del giudice amministrativo non è difatti equiparabile alle ipotesi di più grave difformità dal modello legale contemplate dall’art. 354 c.p.c.: essa può piuttosto affiancarsi al caso del giudice civile di appello che illegittimamente neghi di avere giurisdizione.
Deve evitarsi di creare una patente irragionevole disparità di trattamento tra l’ipotesi qui in esame e quella in cui la Corte regolatrice cassi la sentenza della corte di appello che abbia declinato la giurisdizione.
In entrambi i casi è evidentemente mancato un accertamento di merito da parte del giudice munito di giurisdizione, dal momento che la pronuncia della Corte di cassazione fa seguito a provvedimenti che hanno impropriamente escluso che tale giurisdizione competesse al giudice civile, che invece ne era munito: il giudice amministrativo di appello ha deciso la causa nonostante fosse carente di giurisdizione e quello ordinario di appello, che ne era munito, non l’ha decisa affatto, dando atto di esserne carente.
Poiché il procedimento deve essere trattato, istruito e deciso da un giudice civile che non si è ancora pronunciato nel merito, è sensato affermare che nelle due ipotesi l’ulteriore corso del detto procedimento debba seguire lo stesso binario, giustificandosi, per tale via, che l’avvio della nuova fase, conseguente alla cassazione con rinvio, abbia luogo avanti al giudice di secondo grado.
Ove così non fosse, alla stessa situazione, marcata dalla mancanza di una decisione di merito da parte del giudice civile dotato di giurisdizione, farebbero irragionevolmente seguito percorsi processuali differenziati (l’uno in unico grado, l’altro in doppio grado).
3.5.- Deve in conclusione enunciarsi il seguente principio di diritto: “In tema di giurisdizione, a seguito dell’abrogazione dell’art. 353 c.p.c., nel caso in cui sentenza del giudice amministrativo di appello che abbia ritenuto esistente la giurisdizione del giudice amministrativo sia cassata in ragione dell’accertata giurisdizione del giudice ordinario, il giudizio deve essere riassunto avanti al giudice ordinario di appello, e non avanti a quello di primo grado”.
3.6. – Il giudice del rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.