Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 06 luglio 2022, n. 25951
PRINCIPIO DI DIRITTO
Al processo di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen. – come risultante a seguito dell’intervento additivo di C. Cost. 14 luglio 2000, n. 293 – nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Le questioni di diritto in base alle quali il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite sono due, e precisamente: «se, e in quali limiti, la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice sia applicabile anche al procedimento di prevenzione» e «se al procedimento di prevenzione sia applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen. – come risultante a seguito dell’intervento additivo di Corte cost., 14 luglio 2000, n. 283 – nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale ».
- La Corte costituzionale (sent. n. 124 del 1992) ha rilevato come «i principi dellasoggezione del giudice soltanto alla legge(art. 101 Cost.) e della sua precostituzione rispetto all’oggetto del giudizio (art. 25 Cost.), garantendo l’indipendenza del giudice e la sua necessaria estraneità rispetto agli interessi ed ai soggetti coinvolti nel processo ed escludendo che la sua designazione e la determinazione delle sue competenze possano essere condizionate da fattori esterni, rappresentano i presidi fondamentali dell’imparzialità e ne definiscono il contenuto ineliminabile di connotato intrinseco dell’attività del giudice in quanto non finalizzata al perseguimento di alcun interesse precostituito».
La imparzialità è connessa, sotto il profilo oggettivo, all’indipendenza esterna e interna garantita al giudice e comporta, sotto il profilo soggettivo, assenza di condizionamenti e pregiudizi: essa implica, inoltre, la necessità che il giudice sia anche riconoscibile, e appaia dunque, come imparziale (cfr., tra le tante, Corte cost., sent. n. 131 del 2006), essendo tale obiettiva apparenza condizione di quella fiducia nella giustizia da cui dipende un ordinato vivere civile.
2.1. Ciò premesso, osserva la Corte, con riferimento al primo quesito posto, con il quale si chiede se la disciplina processuale delle cause di incompatibilità del giudice sia applicabile anche al procedimento di prevenzione ed eventualmente in che limiti, preme innanzitutto evidenziare che la ratio dell’istituto dell’incompatibilità è quella di preservare l’autonomia della funzione giudiziaria, onde garantirne l’imparzialità, rispetto ad attività compiute in fasi e gradi anteriori del medesimo processo. Al contrario, la causa giustificatrice dell’istituto della ricusazione (al pari dell’astensione), con la sola eccezione dell’ipotesi di cui all’art. 36, comma 1, lett. g, cod. proc. pen. – che richiama le situazioni di incompatibilità del giudice al fine di farne motivo di astensione e di ricusazione mediante il rinvio all’art. 37, comma 1, lett. a, cod. proc. pen. – è quella di garantire l’imparzialità del giudicante a prescindere da ogni riferimento alla struttura del processo e ai suoi diversi momenti di svolgimento.
L’istituto dell’incompatibilità opera, quindi, all’interno del medesimo procedimento in cui è esercitata la funzione pregiudicata e le situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità del giudice si riferiscono ad atti o funzioni che hanno «di per sé effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell’atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è esercitata» (Corte cost. n. 308 del 1997).
Le incompatibilità trovano, pertanto, la loro ragione giustificatrice nell’esigenza obiettiva, attinente alla stessa logica del processo, «di preservare l’autonomia e la distinzione della funzione giudicante, in evidente relazione all’esigenza di garanzia dell’imparzialità di quest’ultima, rispetto ad attività compiute in gradi e fasi anteriori del medesimo processo» (Corte cost. n. 306 del 1997). Ne consegue che, le cause che ne determinano il verificarsi, essendo astrattamente tipizzate dal legislatore, risultano prevedibili e prevenibili e, in quanto tali, postulano un onere di organizzare preventivamente la terzietà del giudice, che viene così a «manifestarsi, prima ancora che coree diritto delle parti ad un giudice terzo, come modo di essere della giurisdizione nella sua oggettività» (Corte cost. n. 307 del 1997). E, in relazione a tali situazioni processuali predeterminate, l’apprezzamento ben può essere di puro diritto.
Di contro, prosegue la Corte, gli istituti dell’astensione e della ricusazione si connotano per il riferimento a situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità della funzione giudicante che, ad eccezione di quelle aventi come presupposto casi d’incompatibilità, di regola, preesistono al procedimento (art. 36, comma 1, lett. a, b, d, e ed f, cod. proc. pen.) o, comunque, si collocano al di fuori di esso (artt. 36, comma 1, lett. c e 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.).
Pertanto, le incompatibilità sono tutte previste in modo da operare in astratto, e le cause che le determinano, generalmente, sono tali da poter essere evitate preventivamente attraverso idonei provvedimenti di organizzazione dello svolgimento del processo, trasformandosi in motivi di astensione o ricusazione (art. 36, comma 1, lett. g, cod. proc. pen.) solo quando essi non siano stati posti in essere ovvero non siano stati rispettati.
Le cause di astensione e di ricusazione strutturalmente nulla hanno a che vedere con l’articolazione del processo e sono previste in modo da operare in concreto: sarebbe infatti «impossibile pretendere dal legislatore uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo ad individuare a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo procedimento penale» (Corte cost. n. 308 del 1997), ed ove tale onere venisse imposto al legislatore, «l’intera materia delle incompatibilità, dispersa in una casistica senza fine, diverrebbe refrattaria a qualsiasi tentativo di amministrazione mediante atti di organizzazione preventiva» (Corte cost. n. 307 del 1997).
2.2. Fermo quanto precede, in merito all’interrogativo posto dall’ordinanza di rimessione in ordine all’integrale applicabilità nel processo di prevenzione delle cause di incompatibilità del codice di rito, ovvero all’inapplicabilità delle disposizioni dell’art. 34 cod. proc. pen. diverse dal comma 1, pure richiamate dall’art. 36, lett. g, il Collegio ritiene di non poter procedere all’esame della questione, in presenza di fattispecie non pertinente alla soluzione del quesito sottoposto alla sua cognizione e la cui risposta, in ogni caso, dovrebbe veicolare attraverso la proposizione di un incidente di costituzionalità, comunque inammissibile per irrilevanza.
Invero, l’art. 34 cod. proc. pen. presuppone l’esistenza di un solo ed unico procedimento, a differenza dell’art. 37 cod. proc. pen. che postula la ricorrenza di almeno due procedimenti.
Nella fattispecie, osserva la Corte, si è al di fuori dalla previsione dell’art. 34 cod. proc. pen., in quanto la situazione pregiudicante è maturata nel procedimento penale e quella pregiudicata o pregiudicabile è sorta nel distinto procedimento di prevenzione. La presente fattispecie può, pertanto, rilevare solo quale causa di ricusazione ex art. 37 cod. proc. pen.
- In relazione al secondo quesito, occorre ricordare che l’art. 37 cod. proc. pen. individuatre distinte ipotesi di ricusazione.
3.1. La prima si ha in tutti i casi previsti dall’art. 36, comma 1, lettere a, b, c, d, e, f e g cod. proc. pen., con ricusabilità del giudice nelle seguenti ipotesi:
– se ha interesse nel procedimento ovvero se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;
– se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una delle dette parti è prossimo congiunto;
– se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie;
-se ha, lui o un suo prossimo congiunto, inimicizia grave con una delle parti private;
– se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata;
– se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;
-se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli artt. 34 e 35 cod. proc. pen. e dalle leggi di ordinamento giudiziario.
3.2. La seconda ipotesi di ricusazione si verifica allorquando, nell’esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, il giudice abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione.
3.3. La terza ipotesi di ricusazione ricorre nell’ipotesi in cui il giudice, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.
Questa terza ipotesi – dedotta nella presente fattispecie – è stata introdotta dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 283 del 14 luglio 2000 che, nell’accertare la fondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta, in sede di accoglimento, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 37 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedeva l’ipotesi oggetto della propria pronuncia additiva.
Nella sola parte motivazionale, la pronuncia del giudice delle leggi ha chiarito che il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, sia allorquando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità di una misura cautelare, sia, per converso, nel caso in cui il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito, avendo il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del delitto di associazione di tipo mafioso, già espresso, in un procedimento di prevenzione, una valutazione sull’esistenza dell’associazione e sull’appartenenza alla stessa della persona imputata nel successivo processo penale.
Tuttavia, precisa la Corte, limitandosi ad una lettura strettamente formalistica di un dispositivo che, di per sé, peraltro, non sembra lasciare spazi a dubbi o a interpretazioni – lato sensu – estensive, in una prospettiva esclusivamente “unidirezionale” della pronuncia del giudice delle leggi, si è ritenuto, con un primo e più risalente indirizzo, che il processo di prevenzione possa solo svolgere una funzione pregiudicante sulla successiva decisione di merito, ma non essere, a propria volta, attività giurisdizionale pregiudicata dalla precedente pronuncia resa in sede di cognizione penale relativa allo stesso soggetto ed ai fini dell’applicazione dell’art. 37, comma 1, cod. proc. pen.
Sulla base di questo sostanziale “equivoco”, si sono sviluppati due orientamenti giurisprudenziali che sono alla base del presente conflitto.
- Con un primo orientamento, la giurisprudenza ha cercato di fissare il perimetro della pronuncia della Corte costituzionale e di individuarne gli effetti sul giudice della prevenzione chiamato a pronunciarsi dopo una decisione riguardante il merito dei medesimi fatti.
Ha, quindi, escluso l’effetto pregiudicante sulla prevenzione allorquando la decisione sia stata resa in una delle seguenti ipotesi:
– in un giudizio di merito;
– in sede cautelare da parte del giudice del riesame;
– in altro procedimento di prevenzione.
Nella prima ipotesi, si è affermato che, per far sì che si verifichi un pregiudizio per l’imparzialità, occorre che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla precedente decisione finale della causa; Sez. 5, n. 23629 del 19/02/2018, Torcasio, cit., nella quale la dichiarazione di ricusazione aveva riguardato un giudice che aveva fatto parte dei Collegio che aveva condannato il ricorrente per associazione mafiosa, evocandosi la pronuncia della Corte costituzionale n. 283 del 2000 secondo cui la funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale).
Nella seconda ipotesi, si è affermato che la tutela della apparenza di imparzialità, va garantita in tutte le ipotesi in c:ui la persona chiamata a giudicare si trovi in una delle condizioni di «appannamento» della suddetta condizione, di cui all’art. 36 lettere a, b, c, d, e ed f del codice di procedura penale, essendo in tali casi del tutto evidente che anche in sede di procedura di prevenzione non possono nutrirsi dubbi circa l’applicazione dell’istituto della ricusazione in ipotesi di mancato esercizio del dovere di astensione.
Tuttavia, soggiunge la Corte, a fronte di questa situazione, se ne pone altra che attiene al diverso tema del rapporto tra le valutazioni espresse dal giudice penale in una fase diversa del medesimo procedimento e la disciplina tipica del procedimento di prevenzione. In particolare, si è affermato (Sez. 2, n. 37060 del 11/01/2019, Paltrinieri, Rv. 277038-01, nella quale la dichiarazione di ricusazione aveva riguardato giudici già componenti del Collegio del Tribunale del riesame che aveva confermato una misura cautelare personale applicata al proposto con riferimento ai reati di usura e di estorsione), che, in una simile fattispecie, non vengono in rilievo condotte extragiudiziarie o l’esistenza di pregressi rapporti con i diversi attori del procedimento (profili, per così dire, personali dell’istituto dell’astensione, valevoli erga omnes), quanto aspetti di regolamentazione normativa dei modelli procedimentali, caratterizzati da profonde differenze correlate al diverso contenuto del giudizio.
In tal senso, si è evidenziata la particolare architettura del procedimento di prevenzione, il cui modello legale non conosce una separazione funzionale tra giudice della fase cautelare e giudice della decisione di primo grado, a differenza del giudizio penale che è connotato da una marcata differenziazione, derivante anche dal principio di separazione tra le fasi del procedimento: circostanza rivelatrice del fatto che il legislatore ha inteso accordare al contraddittorio e allo sviluppo successivo del procedimento di prevenzione, la capacità persuasiva idonea a smentire, potenzialmente, una prima valutazione operata dal collegio in sede cautelare.
Nella terza ipotesi, prosegue la Corte, nella quale l’inapplicabilità della causa di ricusazione prevista dall’art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. è stata ritenuta sia allorquando il giudice della prevenzione abbia in precedenza espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in un altro connesso procedimento di prevenzione (Sez. 6, n. 517’J3 del 13/09/2018, Moccia, Rv. 274576-01), sia allorquando tale pronuncia pregiudicante sia stata adottata da un componente del collegio investito dell’impugnazione di una misura di prevenzione (Sez. 1, n. 43081 del 27/05/2016, Arena, Rv 268665-01), sono state addotte varie argomentazioni di sostegno, avallate da principi costituzionali e da norme convenzionali.
In particolare, senza mettere in discussione l’applicazione nel procedimento di prevenzione delle norme a presidio dell’apparenza di imparzialità di cui all’art. 36 e l’analogia dei due giudizi (penale e di prevenzione), sono state ritenute determinanti le peculiarità del giudizio di prevenzione, modellato sul procedimento di esecuzione destinato all’applicazione delle misure di sicurezza. In questa prospettiva, non si è mancato di evidenziare il disposto dell’art. 7, comma 9, d.lgs. n. 159 del 2011, nel suo esplicito e non casuale rinvio all’art. 666 cod. proc. pen., che impone all’interprete di valutare una specifica opzione legislativa allorché si traspongono le norme del rito ordinario nel procedimento di prevenzione: “parallelismo” tra giudice dell’esecuzione e quello della prevenzione che consentirebbe di ritenere non ipotizzabile la ricusazione del secondo al pari della indiscussa non ricusabilità del primo (Sez. 5, n. 18522 del 07/03/2017, Palau Giovannetti, Rv. 269897-01, con cui è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 665 cod. proc. pen., per asserita violazione degli artt. 3, 10, 24, 25 e 104 della Costituzione, sotto il profilo della mancata previsione di una incompatibilità del giudice che ha pronunciato la sentenza divenuta esecutiva a fungere da giudice dell’esecuzione della medesima, anche quando nella fase esecutiva si debba procedere a riesaminare il merito dei fatti; ciò in quanto non è ipotizzabile la ricusazione del giudice dell’esecuzione, posto che la competenza di quest’ultimo deriva inderogabilmente dalla sua identificazione con il giudice della fase cognitiva e che, nell’ambito di detta competenza, non può configurarsi alcuna divaricazione fra l’intervenuto giudicato e l’oggetto della deliberazione da adottarsi “in executivis”, ‘v. anche Sez. 1, n. 32843 del 04/06/2014, Colafigli, Rv. 261194-01).
Da qui le perentorie conclusioni della sentenza “Moccia” secondo cui «se la stessa valutazione espressa nel medesimo procedimento non assume rilievo ai fini della possibilità di attivare una utile istanza di ricusazione ex art. 37 cod. proc. pen., a maggior ragione, per la distanza anche logica sussistente tra le decisioni, deve ritenersi esclusa qualsivoglia “contaminazione” del giudice che in altro procedimento di prevenzione ha partecipato al giudizio, deliberando o contribuendo a deliberare. Essa comunque non potrà mai in concreto riguardare lo stesso oggetto quanto alla sussistenza di un giudizio prognostico sulla pericolosità, quanto alla sproporzione patrimoniale fondata sulle specifiche allegazioni che le parti solo nel procedimento camerale avranno potuto produrre, nel contraddittorio che solo in quella sede avrà visto il proposto quale soggetto interessato alla procedura».
A questo medesimo orientamento si deve iscrivere anche altra pronuncia (Sez. 6, n. 22960 del 30/01/2008, Di Vincenzo, Rv. 240363-01), in cui è stata esclusa la sussistenza della situazione di incompatibilità ex art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., in relazione ad un’istanza di ricusazione proposta nei confronti dei componenti del collegio della sezione misure di prevenzione di un Tribunale, chiamati a decidere sulla misura patrimoniale della confisca, ancorché si fossero già pronunziati su quella personale e sulla richiesta di revoca del sequestro.
4.1. Tutte queste pronunce — che escludono l’effetto pregiudicante della prima decisione sulla seconda per inapplicabilità al procedimento di prevenzione della causa di ricusazione prevista dall’art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. nell’ipotesi introdotta dalla citata sentenza del giudice delle leggi n. 283 del 2000, nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in un altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale — sono accomunate da una medesima considerazione di fondo: il giudizio retrospettivo effettuato dal giudice della prevenzione non ricostruisce, in quanto tale, uno specifico fatto di reato, ma conosce le condotte della persona in funzione della formulazione, positiva o negativa, di una prognosi di pericolosità attuale e/o di illecita accumulazione patrimoniale.
La diversità di oggetto e di scopo dei due procedimenti tollera e giustifica, sul piano dei valori, scelte diversificate, con conseguente impossibilità di trasferire tutta la disciplina in punto di imparzialità del giudice penale in sede di prevenzione (cfr., Corte Cost. n. 106 del 15 aprile 2015).
4.2. Un ulteriore argomento che spesso affiora nelle sentenze di questo primo orientamento fa leva sulle peculiarità del rito della prevenzione.
Si sottolinea, in particolare, che, nel modello legale del procedimento di prevenzione, non vi è separazione funzionale tra giudice della fase cautelare (in caso di sequestro dei beni, di emissione provvisoria del provvedimento di ritiro del passaporto ai sensi dell’art. 9 o di anticipazione dei divieti di cui all’art. 67, comma› 3, d.lgs. n. 159 del 2011) e giudice della decisione di primo grado, a differenza di quanto si verifica nel giudizio penale, connotato da una marcata differenziazione derivante anche dal principio di separazione tra le fasi del procedimento. Tale differenza rivelerebbe “la misura di come il legislatore […] abbia diversamente apprezzato la necessità di tutela dell’apparenza di imparzialità” lasciando che, nel procedimento di prevenzione, il “contrasto della cd. ‘forza pregiudicante’ della prima valutazione” sia affidato “al contraddittorio (davanti al medesimo giudice) e alla progressione istruttoria” (Sez. 2, n. 37060 del 11/01/2015›, Paltrinieri, cit. ; nello stesso senso, Sez. 5, n. 23629 del 19/02/2018, Torcasio, cit.). E, alla luce di ciò, “non risulterebbe coerente […] un’attribuzione alla parte della (facoltà) di ricusare il giudice della prevenzione — che può legittimamente esercitare il potere cautelare e poi decidere nel merito — lì dove la forza del pregiudizio risulti indubbiamente meno intensa (per valutazioni emesse in diverso procedimento›” (Sez. 1, n. 43081 del 27/05/2016, Arena, cit.).
In particolare, precisa la Corte, sempre con riferimento› all’ipotesi in cui il giudice della prevenzione abbia partecipato ad altro pregresso procedimento di prevenzione nei confronti dello stesso soggetto, si è espressamente osservato che “l’inoltro di una nuova domanda da parte dell’organo titolare dell’azione non può che derivare (a pena di improcedibilità, data la forza preclusiva del bis in idem anche in tale settore) da un novum (intendendosi per tale anche un fatto emerso ma non delibato) e ciò confina la precedente valutazione […] nel contenitore dei meri antecedenti storici” (Sez. 1, n. 4308 del 27/05/2016, Areni, cit. ; nello stesso senso, Sez. 6, n. 51793 del 13/09/2018, Moccia, cit.).
4.3. Le riflessioni generali sottese all’orientamento restrittivo possono così sintetizzarsi:
– le disposizioni di cui agli artt. 34 e ss. cod. proc. pen. sono tassative ed eccezionali e, come tali, non sono suscettibili di interpretazione né estensiva, né analogica, richiedendo espressamente che l’attività pregiudicata refluisca su una decisione attinente alla responsabilità penale;
– l’inciso contenuto nella sentenza della Corte Cost. n. 106 del 2015, secondo cui la diversità dei procedimenti (penale e prevenzionale) «tollera scelte diversificate in punto di conformazione normativa del diritto di difesa del soggetto proposto per l’applicazione della misura di prevenzione», consente di selezionare le norme concernenti l’imparzialità del giudice applicabili al procedimento di prevenzione, nel cui novero non dovrebbero essere ricomprese quelle in tema di ricusazione, stante il generale rinvio all’art. 666 cod. proc. pen., che individua una forma procedurale che non solo non prevede la facoltà di ricusazione, ma addirittura valorizza il rapporto tra giudice della cognizione e giudice dell’esecuzione, operandone una sorta di “confusione”;
– l’esistenza di una sola causa di incompatibilità operante nel procedimento ex art. 666 cod. proc. pen., introdotta dalla sentenza della Corte Cost. n. 183 del 2013 (relativa all’incompatibilità in caso di annullamento con rinvio da parte della Cassazione della decisione in tema di riconoscimento della continuazione) impedisce di trasporre in sede di prevenzione l’intera disciplina posta a presidio dell’imparzialità del giudice penale;
– il procedimento di prevenzione, per sua natura, ha un contenuto prognostico del tutto scevro da contaminazioni nascenti da precedenti decisioni costituenti al più un “mero fatto” del tutto indipendente dalle ragioni che lo hanno determinato, con conseguente esclusione della trasposizione nel proprio ambito della più accentuata forma di tutela dell’imparzialità prevista nel giudizio penale: trattasi di un giudizio che guarda all’avvenire e non al passato e che si basa su fonti di conoscenza diverse e più ampie rispetto a quelle poste a presidio del giudizio di responsabilità penale, potendo inferire indizi di pericolosità sociale non solo dalle sentenze di condanna ma anche da pronunce assolutorie (cfr., Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Simply Soc. Coop, Rv. 277225-05), oltre che da procedimenti archiviati (cfr., Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2 )19, Diotallevi, Rv. 277438-02).
4.4. Secondo questo primo orientamento, pertanto, sono applicabili al procedimento di prevenzione le norme in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice dettate dagli artt. 34, comma 1, 35, 3f›, comma 1, lett. a, b, c, d, f, h e 37, comma 2, cod. proc. pen., ma non le disposizioni di cui all’art. 34, diverse dal comma 1, in ragione della tipologia e dell’oggetto del procedimento di prevenzione. Invero, in quest’ultimo caso, non viene “in gioco” una condizione di “appannamento” della situazione di imparzialità, bensì — come ritenuto dall’ordinanza di rimessione — il «diverso tema del rapporto tra le valutazioni espresse dal giudice penale in una fase diversa del medesimo procedimento […] e la disciplina del procedimento di prevenzione».
- A questo primo orientamento se ne affianca un secondo, in base al quale la causa di ricusazione introdotta dal giudice delle leggi con la sentenza n. 283 del 2000dovrebbe operare anche nel procedimento di prevenzione.
Nell’estendere al massimo grado al processo di prevenzione la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di rito, si evocano due capisaldi teorici: la natura giurisdizionale dello stesso e l’incidenza dell’istituto sul valore di rilievo costituzionale, quale l’imparzialità del giudice.
Come il primo, anche questo secondo filone giurisprudenziale è stato evocato in diverse situazioni fattuali, essendo stato ritenuto ricusabile il giudice della prevenzione che aveva precedentemente espresso valutazioni pregiudicanti:
– in un giudizio di merito;
– in sede cautelare quale giudice per le indagini preliminari;
– in sede cautelare quale giudice del riesame;,
– in altro procedimento di prevenzione.
5.1. Nella prima ipotesi descritta al paragrafo 5., si è riconosciuto come, nel corso degli anni, la giurisprudenza abbia ritenuto applicabili al procedimento di prevenzione, in ragione del suo carattere giurisdizionale, diversi istituti del processo ordinario: in primis, le garanzie previste per il giudizio di cognizione a tutela dei diritti della difesa, dell’assistenza e della rappresentanza dell’imputato (Sez. 1, n. 2276 del 01/06/1987, Fidanzati, Rv. 176557-01); quindi, le norme che garantiscono la partecipazione del proposto al procedimento (Sez. 1, n. 2531 del 16/04/1996, Biron, Rv. 204910-01), quelle sulla competenza territoriale e quelle in materia di impedimento a comparire del proposto e del suo difensore (Sez. 1, n. 19535 del 12/03/2003, Abitudine, Rv. 224778-01). Inoltre, si è riconosciuta l’applicabilità al procedimento di prevenzione non solo del principio di immutabilità del giudice ex art. 525, comma 2, cod. proc. pen., che implica che la decisione sia assunta dal medesimo giudice che ha provveduto alla trattazione della procedura (Sez. 1, n. 22729 del 08/05/2002, Rubini), ma anche le norme in materia di rimessione del processo (Sez. 1, n. 55 del 09/01/1998, Bardellino, Rv. 210233- 01). Nella medesima prospettiva si pone la pronuncia di Sez. 1, n. 15684 del 07/02/2002, Schiavone, Rv. 221844-01, che ha ritenuto che, in un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, non era ravvisi bile incompatibilità nei confronti un giudice che aveva adottato un provvedimento di sequestro provvisorio, trattandosi di provvedimento interinale assunto non sulla base di una valutazione di responsabilità dell’imputato ma in una fase anteriore al giudizio, si è così riconosciuta l’applicabilità degli istituti dell’astensione e della ricusazione ai procedimenti di prevenzione.
Su questi presupposti, è risultato quasi inevitabile affermare la piena applicabilità al giudizio di prevenzione dell’art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 3278 del 16/10/2008, dep. 2009, Nicitra, Rv. 242942-01, che ha ritenuto sussistente il motivo di ricusazione ex art. 37, comma 1, lett. b, nei confronti di un componente del collegio per l’applicazione delle misure di prevenzione che aveva anticipato il proprio giudizio quando, in qualità di giudice dello stesso tribunale, aveva condannato il medesimo imputato per il delitto che aveva poi costituito presupposto per la richiesta di aggravamento della misura di sorveglianza).
Si è così affermato che le norme che governano il giudizio di prevenzione mirano a garantire al giudicabile un giudice imparziale, fatto che costituisce il fondamento del giusto procedimento, principio ormai ineludibile alla luce della incontestabile natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione.
Conclusione — quest’ultima — che non può certo essere contrastata dal dato formale rappresentato dal fatto che nell’art. 37 cod. pen. si parla di “’sentenza”, mentre il procedimento di prevenzione si conclude con un “decreto”. A tale riguardo si è osservato (Sez. 6, n. 28837 del 26/06/2002, Paggiariri, Rv. 222755-01, confermativa di un risalente indirizzo fissato da Sez. 5, n. 3340 del 28/10/1971, dep. 1972, Necchi, Rv. 119813-01) che la decisione che dispone le misure di prevenzione assume natura sostanziale di sentenza, perché si tratta di decisione di merito che conclude una fase o un grado del procedimento, suscettibile di impugnazione ed idonea ad acquistare autorità di giudicato.
5.2. Nella seconda ipotesi descritta al paragrafo 5., non si è mancato di evidenziare che, pur non avendo natura penale, sequestro e confisca di prevenzione costituiscono misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. add. CEDU). Esse devono, pertanto, soggiacere alle garanzie cui la Costituzione e la stessa CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione, tra cui: a) la loro previsione attraverso una legge che possa consentire ai propri destinatari di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure; b) l’essere la restrizione “necessaria” rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti e proporzionata rispetto ad essi; c) l’adozione in esito ad un procedimento che deve rispettare i canoni generali di ogni “giusto” processo garantito dalla legge, assicurando la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta (cfr., Sez. 6, n. 41975 del 0:Z/04/2019, Inzitari, Rv. 277373-01, che ha ritenuto sussistente il motivo di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, lett. b, con riguardo al componente del collegio ‹chiamato a decidere dell’impugnazione avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione della confisca che, in precedenza, in qualità di giudice per le indagini preliminari, aveva applicato nei confronti del proposto la misura cautelare della custodia in carcere per i medesimi fatti posti a fondamento della misura di prevenzione).
5.3. Nella terza ipotesi indicata al precedente paragrafo 5., ad avviso della giurisprudenza è irrilevante sostenere che il procedimento di prevenzione si fonda anche su elementi diversi da quelli già espressamente valutati in precedente occasione dal giudice. Ciò che appare dirimente ai fini della sussistenza della causa di ricusazione e, quindi, della tutela del principio di imparzialità-neutralità del giudice, è che costui si sia già espresso nel merito su circostanze che concorrono a definire la regiudicanda nel procedimento che si assume pregiudicato. In tale prospettiva, è indubbio che le valutazioni compiute in sede di riesame sulla sussistenza di fatti penalmente rilevanti e i giudizi svolti in merito alla pericolosità del loro autore possono essere in astratto pregiudicanti qualora gli stessi fatti — non importa se congiuntamente ad altri — vengano posti a fondamento della richiesta di prevenzione.
Non rileva, pertanto, che il giudice possa assumere la sua decisione anche prescindendo dai fatti eventualmente pregiudicanti, in quanto viene in considerazione – esclusivamente – il pericolo che egli decida anche sulla base dei medesimi (cfr., Sez. 5, n. 32077 del 24/06/2014, Valente, Rv. 261643- 01, che ha ritenuto sussistente il motivo di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., con riguardo all’ipotesi in cui il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della misura di prevenzione della confisca abbia in precedenza rigettato la richiesta di riesame presentata dall’indagato ed accolto l’appello del pubblico ministero; nel medesimo senso, v. Sez. 6, n. 23605 del 24/06/2020, Richichi, non massimata).
Evocando, ancora una volta, sebbene con una prospettiva diversa, l’architettura del procedimento di prevenzione, e segnatamente la mancata previsione di una soluzione di continuità tra la fase cd. cautelare (in cui il tribunale provvede all’adozione del sequestro) e quella definitiva (nella quale il medesimo giudice decide sulla richiesta di confisca), si è sostenuto che l’appartenenza alla medesima fase del sequestro-misura di prevenzione e della confisca-misura di prevenzione comporta che, nel procedimento di prevenzione, deve necessariamente trovare applicazione la regola processuale di carattere generale secondo cui non v’è causa d’incompatibilità in relazione alle funzioni legittimamente esercitate dal giudice nella medesima fase del procedimento. Essa risponde all’esigenza di evitare la frammentazione dello stesso e di scongiurare il rischio che le parti possano determinare (nel processo ordinario come in quello di prevenzione) la rimozione del giudice già investito del processo mediante la sistematica reiterazione di istanze incidentali.
5.4. Nella quarta delle ipotesi descritte al paragrafo 5., si è evidenziato — in ossequio agli interventi e ai principi ripetutamente affermati in tema di giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, che esigono l’ampia applicazione a tale rito delle regole del giusto processo, tra cui l’incondizionata garanzia della posizione di terzietà del giudice — che il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudice può rilevare anche in rapporto alla decisione in sede di prevenzione preceduta da altra pronuncia assunta dallo stesso giudice nell’esercizio delle medesime funzioni (Sez. 1, n. 4330 del 10/12/2020, dep. 2021, Lampada, Rv. 280753-01, resa in una vicenda in cui la causa di ricusazione, invocata ai sensi dell’art. 37, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., nel corso di un procedimento di prevenzione, trovava origine nel fatto che il giudice destinatario della dichiarazione aveva partecipato al collegio giudicante nei procedimenti di prevenzione instaurati in precedenza a carico di persone individuate, in uno al proposto, quali esponenti di una cosca mafiosa).
Nella medesima prospettiva, chiosa ancora la Corte, si pone anche Sez. 1, n. 32492 del 10/07/2015, Lampada, Rv. 264621-01, che ha evocato, ai fini della giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, l’estensione allo stesso di alcuni istituti tipici del processo penale, quali l’obbligo di rimessione degli atti ad una sezione diversa da quella che ha emesso il decreto annullato ex art. 623, comma 1, lett. c, cod. proc. pen. (cfr. anche, Sez. 6, n. 11662 del 02/02/2006, Castelluccia, Rv. 233828-01), l’applicazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia prevista dall’art. 521 cod. proc. pen. (cfr., Sez. 1, n. 32032 del 10/0f›/2013, De Angelis, Rv. 256451-01) e l’obbligo di preventiva contestazione dell’addebito nell’avviso di convocazione (cfr., Sez. 1, n. 25701 del 28/06/2006, Arena, Rv. 234847-01; Sez. 1, n. 1722 del 14/04/1986, Maresca, Rv. 172684-01).
5.5. A sostegno di questo secondo orientamento sono state addotte plurime giustificazioni.
Si è affermato, innanzitutto, che la pretesa diversità di oggetto e di scopo che intercorre tra processo penale e processo di prevenzione e che potrebbe legittimare, sul piano dei valori, scelte diversificate in punto di conformazione normativa del diritto di difesa, non è di per sé in grado di giustificare una diversa declinazione del principio di imparzialità del giudice. Come è stato osservato in dottrina, viene in rilievo un pregiudizio ermeneutico, che, a lungo, ha ostacolato l’adeguamento del processo di prevenzione ai canoni dell’art. 111 Cost.
Parimenti, anche il richiamo che l’art. 7, comma 9, d.lgs. 1!59 del 2011 effettua alle disposizioni che disciplinano il processo di esecuzione, non può assumere natura dirimente. La non assimilabilità del procedimento di prevenzione a quello di esecuzione (e, al contrario, l’evidente avvicinamento del primo a quello di cognizione) si ricava dalla accresciuta normativizzazione di numerosi segmenti del procedimento di prevenzione e, soprattutto, dalla considerevole distanza ’sistematica’ tra le procedure di tipo esecutivo (governate, in via generale, dall’art. 666 cod. proc. pen.) e il «giudizio» di prevenzione, avente natura cognitiva (Sez. 1, n. 2154 del 19/12/2018, dep. 2019, Di Lorenzo, non massimata sul punto).
Del tutto formalistica, è, poi, ritenuta l’affermazione circa la natura eccezionale e tassativa dei motivi che possono giustificare la ricusazione del giudice. In quest’ottica, si è evidenziato che, se si volesse portare alle estreme conseguenze questa presa di posizione, si dovrebbe inevitabilmente giungere all’improbabile conclusione di non ritenere ricusabile neppure il giudice della prevenzione di secondo grado che si sia pronunciato nel precedente grado, dal momento che tutto l’art. 37 cod. proc. pen. è pur sempre riferito alla ricusazione del giudice del processo penale.
Altrettanto non risolutivo, nella prospettiva della giustificazione di una diversità di “regime”, è considerato il rilievo che vorrebbe il processo di prevenzione personale volto all’accertamento della pericolosità del proposto mediante l’utilizzo di parametri (quali la condotta, il terrore di vita, le frequentazioni e gli altri procedimenti penali o di polizia) estranei alla valutazione del giudice della cognizione. In realtà, tale osservazione — che comunque non risulta spendibile per il procedimento volto all’applicazione della confisca — non sembra tenere conto del fatto che, anche in sede penale, vengono talora espresse prognosi sulla pericolosità dell’imputato che potrebbero risultare pregiudicanti in sede preventiva.
Si consideri, infatti, il caso in cui venga applicata una misura cautelare personale per neutralizzare il pericolo che l’imputato commetta determinati delitti: qui, a ben vedere, il giudice penale effettua una prognosi sul futuro comportamento del soggetto non molto distante da quella demandata al giudice della prevenzione, tenendo in considerazione non solo le «specifiche modalità e circostanze del fatto», ma anche la sua personalità, «desunta da comportamenti o a atti concreti, o dai suoi precedenti penali» (art. 274, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.).
Si potrebbe, inoltre, osservare che, anche in sede di commisurazione della pena, il giudice penale spinge il suo sguardo ben oltre la condotta oggetto dell’imputazione. L’art. 133, comma 2, cod. pen. prevede, infatti, che la pena sia commisurata tenendo conto anche della «capacità a delinquere del colpevole», da desumersi in base a numerosi fattori, quali i motivi a delinquere, il carattere del reo, i suoi precedenti penali e giudiziari, la sua condotta antecedente e susseguente al reato, le sue condizioni di vita individuale, famigliare e sociale.
In termini del tutto speculari, soggiunge la Corte, non sembra neppure corretto escludere in radice che il giudice della prevenzione possa, in taluni casi, ai fini del proprio giudizio, limitarsi alla ricostruzione di un singolo, specifico fatto di reato, dal momento che sempre più spesso le fattispecie preventive non sono altro che l’«ombra» di altrettante fattispecie incriminatrici.
Peraltro, neppure il fatto che il giudice della prevenzione possa adottare taluni provvedimenti cautelari nel corso del procedimento sembra offrire elementi decisivi a sostegno della tesi contraria. Del resta, anche il giudice penale può applicare una misura cautelare nel corso del dibattimento senza che ciò lo renda incompatibile, in quanto, per dirlo con le parole della Corte costituzionale, un simile «provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già correttamente investito senza che ne possa essere spogliato» (Corte Cost., n. 177 del 27 maggio 199a›). Si può allora semplicemente ritenere, come peraltro è stato fatto de una parte della giurisprudenza, che la struttura del processo di prevenzione, non conoscendo una pluralità di fasi, demanda l’adozione dei provvedimenti cautelari «all’unico giudice funzionalmente designato per il grado» (Sez. 1, n. 4330 del 10/12/2020, dep. 2021, Lampada, cit. ).
Infine, contrastabile appare anche l’affermazione secondo cui, nei rapporti tra più procedimenti di prevenzione, non vi sarebbe mai spazio per l’esistenza di un pregiudizio rispetto alla res iudicanda. Questa riflessione riposa sull’assunto che la presentazione di una nuova proposta richiede sempre l’emersione di un novum (fattuale o probatorio) che varrebbe a confinare la prima valutazione «nel contenitore dei meri antecedenti storici» (Sez. 1, n. 43081 del 27/05/2016, Arena, cit. ). Tuttavia, non è sempre vero che l’emersione di nuovi elementi in grado di giustificare l’instaurazione di un secondo procedimento sia di per sé sufficiente a determinare un significativo mutamento dell’oggetto del decidere: emblematico appare lo scenario in cui, in un primo momento, venga applicata una misura di prevenzione personale e, successivamente, con una distinta proposta, si chieda al giudice di disporre la confisca di determinati beni (situazione che risulta possbile alla luce della previsione di cui all’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 159 del J!011). In tal caso, il novum che sorregge la seconda proposta potrebbe essere rappresentato semplicemente dalla sopravvenuta scoperta di beni di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta dal proposto; per il resto, invece, la riconducibilità di quest’ultimo a una delle fattispecie preventive di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011, potrebbe fondarsi sui medesimi elementi già valutati ai fini dell’applicazione della misura personale, con sostanziale coincidenza, nei due procedimenti, dell’accertamento di tipo “constatativo” con quello “retrospettivo”.
5.6. Tale indirizzo interpretativo opera una lettura della giurisprudenza costituzionale profondamente diversa rispetto a quella a cui giunge l’opposto indirizzo, riconoscendo l’insostenibilità della c.d. unidirezionalità attribuita alla pronuncia n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, che, al contrario, avrebbe espressamente riconosciuto come il procedimento di prevenzione possa essere non solo “pregiudicante”, ma anche attività “pregiudicata” da una pregressa cognitio. E, alla luce delle considerazioni esposte, riconosce c‹ame sia impossibile ed anche ingiustificato limitare il contenuto ‘espansivo’ promanante dalla suindicata dichiarazione di illegittimità (sent. n. 283 del 2000), al fine di sostenere una direttrice pregiudicante di tipo unidirezionale che lasci fuori dal presidio di tutela il procedimento giurisdizionalizzato di prevenzione.
Né questa conclusione può essere messa in dubbio dal fatto che il giudice della prevenzione non subisce condizionamenti pregiudicanti da propri precedenti provvedimenti assunti in vista del sequestro finalizzato alla confisca: invero, le condizioni di inscindibilità funzionale in cui si trova il giudice della prevenzione sono del tutto sovrapponibili a quelle in cui versa nel procedimento penale ordinario il giudice designato a trattare una certa fase — e non per questo divenuto incompatibile — allorquando venga incidentalmente chiamato a provvedere sulle misure cautelari, personali o reali.
5.7. Questo secondo orientamento ha posto in evidenza la costante estensione al giudizio di prevenzione di istituti di garanzia tipici del processo di cognizione (tra cui, l’obbligo di correlazione tra contestazione e pronuncia, quello di preventiva contestazione dell’addebito, quello della pubblicità dell’udienza), secondo uno statuto costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. add. CEDU) che considera il significativo grado di compromissione dei diritti di proprietà e di iniziativa economica e che non può conseguentemente abdicare ad un principio cardine di garanzia e di rilievo primario, come quello di imparzialità del giudice.
- I parametri costituzionali e convenzionali cui deve uniformarsi la disciplina del procedimento di prevenzione sono stati evidenziati dalla Corte costituzionale (sent. n. 24 del 27 febbraio 2019) che, ha esplicitamente affermato comele misure di prevenzione, che non hanno natura punitiva, «in tanto possono considerarsi legittime, in quanto rispettino i requisiti cui l’art. 13 Cost. subordina la liceità di ogni restrizione alla libertà personale. Tra questi vanno sottolineate la riserva assoluta di legge (rinforzata, stante l’esigenza di predeterminazione legale dei “casi e modi” della restrizione) e la riserva di giurisdizione».
Al riguardo, precisa la Corte, è stato richiamato il concetto di tassatività processuale, concernente il quomodo della prova, che, più in dettaglio «attiene alle modalità di accertamento probatorio in giudizio, ed è quindi riconducibile a differenti parametri costituzionali e convenzionali» definiti di «fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimità costituzionale del sistema delle misure di prevenzione».
In maniera convergente, la giurisprudenza di legittimità, senza negare la diversità di struttura e di finalità rispetto al processo penale, in relazione alla natura del processo di prevenzione, ha rilevato come non sia “discutibile che si tratti di procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali e qualificato come tale dall’intervento decisionale di autorità giudicante terza rispetto alle parti, dalla contestazione della forma specifica di pericolosità e dalla formulazione di precisa proposta nel rispetto dei principi di legalità e tassatività della stessa e delle misure da applicarsi, dal contraddittorio tutte le fasi procedimentali dall’inviolabilità del diritto di difesa› del doppio grado di giudizio di merito e dalla possibilità di esperire mezzi di impugnazione per ottenere la revisione della decisione denunciata come ingiusta o illegittima” (Sez. 1, n. 49180 del 06/07/2016, Barberio, Rv. 268652-01).
6.1. L’adeguamento del sistema della prevenzione ai principi costituzionali e convenzionali, inciso sia dalle novelle legislative che dalle pronunce giurisprudenziali, ha così ridefinito non solo il perimetro sostanziale della materia ma anche quello procedimentale, determinando la progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento, accompagnata da un graduale allineamento dapprima ai principi generali del giudizio ordinario (il primo tentativo di avvicinamento tra i due procedimenti è stato operato dal riconoscimento della non utilizzabilità delle intercettazioni dichiarate inutilizzabili nel procedimento ordinario: Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271-01; allo stesso, ha fatto séguito il giudizio di illegittimità del giudizio di pericolosità fondato su dichiarazioni accusatorie indirette, rese in violazione dell’art. 195, comma 7, cod. proc. pen. : Sez. 5, n. 3687 del 27/10/2010, dep. 2011, Cassano, Rv. 249691-01) e poi a quelli propri del giusto processo.
Lo sviluppo ha rappresentato un coerente riflesso dell’evoluzione della natura giuridica delle misure di prevenzione che, introdotte quali strumenti di polizia, hanno successivamente assunto lo statuto giuridico dei provvedimenti amministrativi, per divenire, infine, autentiche misure giurisdizionali, capaci di far superare il dubbio sulla compatibilità del sistema con i precetti ‹della Carta dei diritti fondamentali.
6.2. Tuttavia, osserva la Corte, pur a fronte di questo graduale adeguamento del sistema della prevenzione agli standard costituzionali e convenzionali anche in relazione al versante procedimentale, si sono mantenuti taluni elementi anacronistici, frutto della primigenia configurazione della materia ad opera della Iegge 1423 del 1956: si allude, in particolare alla sostanziale discrezionalità dell’azione di prevenzione, alla mancanza di termini di durata delle indagini, alla natura ordinatoria dei termini del giudizio, all’assenza del principio dell’immutabilità del giudice, alla disciplina della formazione della prova e all’intervento del proposto in udienza.
In tale percorso di adeguamento al modello processuale ‹ordinario, oscillante tra valori di garanzia dei diritti fondamentali ed esigenze di sicurezza, ha certamente svolto un ruolo ostativo il pregiudizio ermeneutico fondato sul rapporto di autonomia tra il procedimento di prevenzione e il processo ordinario. Tale erronea prospettiva è stata favorita anche dalla sovrapposizione tra il principio di legalità sostanziale e quello di legalità processuale, il primo – nelle parole della Corte costituzionale (sent. n. 24 del 2019, cit.) — inteso «quale garanzia di precisione, determinatezza e prevedibilità degli elementi costitutivi della fattispecie legale che costituisce oggetto di prova», a differenza del secondo che attiene alla «cosiddetta tassatività processuale, concernente il quomodo della prova» ed «è quindi riconducibile a differenti parametri costituzionali e convenzionali, tra cui, in particolare, il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e il diritto a un giusto processo, ai sensi, assieme, dell’art. 11Il Cost. e dall’art. 6 CEDU».
6.3. Secondo un diffuso orientamento, la differenza tra il procedimento di prevenzione e quello penale è generalmente giustificata con il fatto che il secondo, ricollegato a un fatto-reato e il primo, riferito a una valutazione di pericolosità, espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato (cfr., Sez. 5, n. 23041 del 28/03/2002, Ferrara, non massimata sul punto), escluderebbe la comunanza delle regole probatorie e di giudizio nelle due distinte discipline di accertamento del fatto-reato e della pericolosità del soggetto o della res.
Peraltro, se il differente oggetto dell’accertamento può in astratto giustificare l’autonomia dei procedimenti (come già riconosciuto da Corte cost. n. 275 del 1996), sul piano dell’attività di indagine e di raccolta del materiale investigativo, perde, invece, consistenza argomentativa rispetto alla tutela dei diritti fondamentali delle diverse situazioni soggettive. L’effetto espansivo sul piano sistematico del riconoscimento della giurisdizionalizzazione come fonte di tutela dell’imparzialità del giudice travalica i limiti angusti del tema dell’autonomia strutturale del procedimento di prevenzione e si riflette sul riconoscimento di uno “statuto di garanzia (costituzionale e convenzionale) delle misure di prevenzione, personali e patrimoniali” (Corte Cost. n. 24/2019, cir.) che, a sua volta, si riverbera sulla tutela dei diritti fondamentali del proposto.
- L’opzione ermeneutica che il Collegio ritiene di dover condividere è quella che riconosce l’applicabilità della sunnominata causa di ricusazione anche al rito della prevenzione.
Essa presuppone il riconoscimento della natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione e la riconosciuta incidenza sui diritti di rilievo costituzionale. L’osservanza delle regole del giusto processo attribuisce un ruolo ed una funzione primaria all’imparzialità del giudice, il cui difetto comporterebbe inevitabilmente lo svuotamento sostanziale del significato proprio di tutte le regole e le garanzie processuali, che si risolverebbero in un mero e facoltativo simulacro.
7.1. Invero, osserva la Corte, l’impronta garantista, che esprime l’implicita esigenza sistematica che il procedimento di prevenzione si conformi al modello del processo ordinario, acquista un particolare significato ermeneutico, in quanto l’imparzialità del giudice è tra i naturalia di qualsiasi forma di processo, come esplicitamente affermato dall’art. 111, comma 2, Cost., secondo cui «ogni processo si svolge … davanti a giudice terzo e imparziale». E l’incipit dell’art. 111, comma 1, Cost., secondo cui «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo», sta proprio ad indicare che l’esercizio di tale funzione non può essere disgiunta dal suo fine istituzionale, vale a dire la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi ritenuti meritevoli di protezione dal diritto sostanziale.
La natura del processo di prevenzione e la necessità dell’osservanza delle regole del giusto processo, ribaditi dalla Corte costituzionale (sent. n. 24/2019, cit.), costituiscono indubitabilmente l’approdo interpretativo di un percorso iniziato nel 1997, quando il giudice delle leggi (sent. n. 306 del 29 settembre 1997) riconobbe che le valutazioni espresse da un giudice penale nell’adozione di una misura cautelare personale fossero inevitabilmente “pregiudicanti” nell’ambito di un processo di prevenzione avente ad oggetto i medesimi fatti: ciononostante, la questione di legittimità costituzionale allora sollevata fu dichiarata inammissibile, in quanto il remittente aveva censurato l’art. 34 cod. proc. pen., che riguarda l’incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento, anziché le disposizioni che regolano l’astensione e la ricusazione (artt. 36 e 37 cod. proc. pen.).
In breve, la Corte costituzionale, in quella occasione, osservò che la fattispecie portata alla sua attenzione non fosse in linea con la fisionomia comune alle incompatibilità previste dall’art. 34 cod. proc. pen., tutte «interne all’articolazione del processo penale e […] tutte previste in modo da operare in astratto, non in concreto», cioè «tali da poter essere evitate preventivamente attraverso idonei atti di organizzazione dello svolgimento del processo». L’assenza di imparzialità legata a precedenti valutazioni espresse in altro procedimento si sarebbe dovuta censurare a norma degli artt. 36 e 37 cod. proc. pen. E, questa presa di posizione è stata successivamente riproposta proprio› nella sent. n. 283 del 2000 ove — come si è visto — si è affermato che «il pregiudizio per l’imparzialità- neutralità del giudicante può verificarsi […] nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione anche quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa […] in sede di accertamento dei gravi indizi di ‹colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari».
Tanto rilevato sul versante interno, prosegue la Corte, sul piano sovranazionale e, segnatamente, del diritto convenzionale, va evidenziato come l’art. 6, par. 1, CEDU, sancisce il diritto di ogni individuo ad essere giudicato “da parte di un tribunale indipendente ed imparziale”, essendosi precisato che l’imparzialità va apprezzata come assenza di pregiudizi o preconcetti, suscettibile di accertamento in diversi modi (cfr., Corte EDU Grande Camera, Micallef c. Malt:a, 15 ottobre 2009, n. 17056/06, par. 93; Corte EDU Grande Camera, Kyprianou c. Cipro, 15 dicembre 2005, n. 73797/01, par. 118).
7.2. Relativamente ai criteri di valutazione dell’imparzialità, la Corte EDU ha teorizzato la distinzione fra “approccio soggettivo” e “approccio oggettivo”: il primo, diretto ad accertare la manifestazione della personale convinzione del magistrato sul caso di cui trattasi, ovvero la sussistenza di un interesse del magistrato medesimo nel giudicare lo specifico caso; il secondo, volto, invece, a determinare se il giudice abbia offerto garanzie tali da dissipare ogni legittimo dubbio in ordine alla sua imparzialità (cfr., Corte EDU Grande Camera, Kyprianou c. Cipro, cit. ; Corte EDU Grande Camera, Grieves c. Regno Unito, 4 giugno 2002, n. 57067/00, par. 69; Corte EDU, 1 ottobre 1982, Piersack c. Belgio, n. 8692/79, par. 30).
La stessa Corte EDU ha rappresentato che le due nozioni non sono suscettibili di una netta separazione, atteso che la condotta tenuta da un magistrato potrebbe far sorgere dubbi sulla sua imparzialità dal punto di vista dell’osservatore esterno (approccio oggettivo), ma potrebbe anche essere spia sintomatica del personale convincimento di cui il suddetto è portatore (approccio soggettivo). In concreto, stante la riconosciuta difficoltà di dimostrare la violazione dell’art. 6 CEDU sotto il profilo dell’assenza d’imparzialità soggettiva – in considerazione, altresì, del fatto che la personale imparzialità del giudice va presunta fino a prova contraria — la Corte ha concentrato il proprio sindacato sull’esame obiettivo, a tale riguardo venendo in considerazione tipicamente l’accertamento di rapporti gerarchici o di diverso tipo fra il gin dice e le altre parti del procedimento, tali da giustificare obiettivamente dubbi sull’imparzialità del giudicante.
7.3. Tutto ciò considerato, il Collegio ritiene che l’opzione condivisa prenda le mosse dalla ritenuta giurisdizionalizzazione del procedimento› di prevenzione, a detto fine valorizzandosi l’attitudine della materia ad incidere su diritti fondamentali quali la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (art. 2 del Prot. n. 4 CEDU) e il diritto di proprietà e di iniziativa economica (artt. 41 e 42 Cost., art. 1 Prot. add. CEDU). Individuato il referente della giurisdizionalizzazione del procedimento applicativo delle misure di prevenzione e dell’estensione allo stesso dei principi del “giusto processo”, tra questi ultimi assume un valore assolutamente primario quello dell’imparzialità del giudice, il cui difetto comporterebbe lo svuotamento sostanziale del significato proprio di tutte le regole e le garanzie processuali, che si risolverebbero in un mero e formalistico simulacro, privo di alcuna reale incidenza sul corretto esercizio della funzione dello ius dicere.
Appare così evidente, precisa la Corte, come la disciplina informatrice della materia deve essere idonea ad evitare che il decidente possa essere, o anche solo apparire, condizionato da precedenti valutazioni espresse sulla medesima res iudicanda, tali da esporlo alla forza della prevenzione derivante dalle attività giudiziarie precedentemente esercitate: diversamente opinando, si finirebbe per relegare il procedimento di prevenzione in un ambito contraddistinto da minor tutela, a fronte di un sistema di garanzie che è naturalmente ed inscindibilmente connesso allo ius dicere in senso proprio che non conosce aggettivizzazioni ulteriori.
Si è visto come i sostenitori di questo orientamento, pur riconoscendo che spesso la proposta di applicazione di una misura di prevenzione verte anche su fatti diversi rispetto a quelli della valutazione pregiudicante, considerano questa circostanza come irrilevante, potendo l’imparzialità essere compromessa in ogni caso in cui il giudice si sia già espresso nel merito su circostanze che concorrono a definire la regiudicanda nel procedimento che si assume pregiudicato.
In questa condivisa valutazione, appare rilevante richiamare i principi enunciati dalla Corte costituzionale secondo cui, ai fini della ricorrenza dell’effetto pregiudicante, non è sufficiente che il giudice abbia in precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove o si sia espresso solo incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio (in questi termini, la costante giurisprudenza costituzionale in materia e, in particolare, le sentenze nn. 131 e 155 del 1996 e le decisioni in queste richiamate, nonché le ordinanze nn. 29, 135, 444, 152 e 153 ciel 1999; 203 e 206 del 1998 ed ancora le sentenze n. 346 del 1997 e 283 del 2000). La Corte costituzionale ha aggiunto che tale effetto non può essere limitato ai casi in cui la valutazione di merito sia contenuta in una sentenza, in quanto il giudice può anche esprimersi nella forma del decreto, come nell’ipotesi del procedimento di prevenzione, o in altre forme eventualmente previste dal diverso procedimento in cui sia intervenuta la valutazione pregiudicante.
- Il Collegio evidenzia come un significativo richiamo alla rilevanza dell’attributo della imparzialità del giudice viene offerto dall’art. 111, comma 2, della Costituzione («Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale») e trova ulteriore esplicito riconoscimento, come diritto dell’individuo, nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea («diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale») e nell’art. 14, par. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 («Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge»).
8.1. Va, tuttavia, evidenziato come la più recente giurisprudenza della Corte EDU (Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, par. 143), nel cui procedimento il ricorrente aveva allegato la violazione del proprio diritto ad un equo processo, evocando l’art. 6 CEDU nel suo volet pènal, ossia in relazione all’insieme delle garanzie specificamente previste per i giudizi in materia penale, e non solo a quelle genericamente previste dalla disposizione convenzionale ogniqualvolta si disputi di un “diritto” (il cd. volet civil del citato art. 6), ha riconosciuto che le misure di prevenzione (nella specie, la sorveglianza speciale) non hanno natura penale, e questo indipendentemente dalla qualificazione data alle stesse nel diritto interno (così come già riconosciuto nella sentenza “Guzzardi”).
Conseguentemente, ha ritenuto le stesse non equiparabili ad una sanzione penale, dal momento che il procedimento che conduce alla loro applicazione non comporta la valutazione di un’accusa penale.
Sebbene non risultino decisioni della Corte EDU attinenti al tema specifico dell’applicabilità al procedimento di prevenzione delle disposizioni procedimentali in tema di ricusazione, appare tuttavia innegabile che, su un piano generate, il diritto ad essere giudicati da un giudice imparziale trova un solido ancoraggio a livello sovranazionale, poiché compreso nel catalogo dei diritti del “procès Equitable”; in quanto tale, è destinato ad avere concreta applicazione nel procedimento di prevenzione (cfr., ex multis, sent. 28 ottobre 2004, Bocellari e Rizza c. Italia).
Invero, secondo la Corte europea, l’imparzialità indica l’assenza di pregiudizio in capo al giudice. Tuttavia, la dimostrazione del difetto di imparzialità del giudice, in prospettiva soggettiva, è spesso difficile se non impossibile, anche perché sulla parte grava l’onere di superare la presunzione di imparzialità. Per questa ragione la Corte EDU offre alla parte una strada alternativa: non è, infatti, necessario che essa provi che il giudice effettivamente coltivi un pregiudizio personale o un preconcetto nei confronti suoi o del suo difensore, è, invece, sufficiente che la parte alleghi che la condotta del giudice è idonea a ingenerare, per un osservatore esterno, dubbi obiettivamente giustificabili quanto alla sua imparzialità, come riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., Sez. 6, n. 51793 del 13/09/2018, Moccia, Rv. 274576-01, cit.) e, in termini sostanzialmente unanimi, dalla dottrina.
8.2. Fermo quanto precede, sulla base delle considerazioni che precedono, è opinione del Collegio che nessuno degli argomenti posti dai fautori della tesi restrittiva può assumere carattere dirimente ai fini della esclusione ovvero dell’irrilevanza della garanzia in questione.
8.2.1. Non si profila come decisivo l’argomento secondo il quale nella prevenzione non vi è alcuna differenziazione di fasi e vi è coincidenza tra il giudice della cautela e quello della decisione di primo grado, di talché, se si afferma che non è un pregiudizio cognitivo quello di aver emesso la misura cautelare, tantomeno può apprezzarsi il “pregiudizio” di chi ha valutato giudizialmente in precedenza uno dei reati su cui poi si fonda il giudizio di pericolosità sociale.
Occorre, infatti, considerare in primo luogo che le misure anticipatorie adottate in sede di prevenzione non attengono alla cautela personale, ma a quella patrimoniale. Inoltre, nel processo ordinario, il giudizio sulla cautela reale non è mai “pregiudicante”. Si richiama, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui:
- a) il giudice che, nel corso delle indagini preliminari, abbia emesso un’ordinanza applicativa di misura cautelare reale può ben partecipare al dibattimento poiché detta misura, al contrario delle misure cautelari personali, non presuppone una valutazione nel merito della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ma solo la verifica della astratta configurabilità ‹del reato (Sez. 2, n. 3539 del 16/01/2007, Zucchetto, Rv. 235628-01);
- b) il giudice che, nel corso delle indagini preliminari, abbia emesso la misura cautelare reale del sequestro preventivo, può partecipare all’udienza preliminare, poiché in tale provvedimento, fondato su un “summatim conoscere” e costituente atto dovuto in relazione alla situazione di fatto sottoposta al suo esame, non è profilabile né un pregiudizio rispetto ad ulteriori atti della fase, né una indebita manifestazione del convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione (Sez. 6, n. 6859 del 03/12/2007, dep. 2008, Puliga, Rv. 239418-01);
- c) non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che questi, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, in quanto tale decisione prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato, salva la verifica in concreto e caso per caso, da parte del giudice ‹della ricusazione, di eventuali profili rilevanti dedotti (Sez. 5, n. 15689 del 24/02/2020, Ferrante, Rv. 279164-01, in fattispecie in cui, il compendio probatorio, ‹costituito anche da intercettazioni telefoniche, era stato esaminato in sede di rie!›ame al solo fine di stabilire la riferibilità e disponibilità del bene in sequestro in c‹ipo al ricorrente).
Infine, l’identità (fisica) tra il giudice della cautela e quello della valutazione del merito, nell’ambito dell’unica funzione attribuita nel grado, non fa nascere alcuna situazione di incompatibilità riferita agli atti compiuti nel procedimento (v. Sez. 6, n. 49254 del 14/10/2016, Bianco, Rv. 268169-01., nella quale si è affermato, proprio con riferimento al procedimento di prevenzione, come non possa configurarsi alcuna incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen. a partecipare al giudizio per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti del giudice che abbia precedentemente adottato il provvedimento di sequestro ex art. 20 d.lgs. n. 159 del 2011, dal momento che tale provvedimento ha carattere interinale e provvisorio, o destinato ad essere sostituito da una pronuncia decisoria finale e non può dirsi riferibile ad una fase antecedente ed autonoma del procedimento).
Va, in proposito, ricordato che, per ben due volte, la Suprema Corte (Sez. 5, n. 38458 del 18/07/2012, Garruzzo, Rv. 253570-01; Se::. 1, n. 15684 del 07/02/2002, Schiavone, cit.) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen. sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede quale causa di incompatibilità a partecipare al giudizio di prevenzione patrimoniale la precedente adozione da parte del medesimo giudice del provvedimento di sequestro.
La situazione sopra descritta è analoga a quella in cui si trova il giudice di merito che, prima della definizione della fase di cognizione, sia stato incidentalmente chiamato a provvedere in tema di misure cautelari personali.
Invero, come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (cfr., sent. n. 51 del 1997), la misura coercitiva adottata nella stessa fase di giudizio non determina alcuna incompatibilità, radicandosi la competenza ad adottare misure cautelari o a provvedere su istanze di revoca e/o modifica in capo al giudice che procede (art. 279 cod. proc. pen.) e, quindi, anche al giudice del dibattimento quando sia investito del giudizio. Detta evenienza attribuisce al giudice una competenza accessoria, che si radica in capo allo stesso in ragione di quella principale, che gli è propria, di pronunciare sul merito. Immaginare che l’esercizio incidentale della competenza accessoria — sia in capo all’accusa nel chiedere l’applicazione della misura che in capo alla difesa nel chiederne la revoca o la sostituzione — faccia sostanzialmente venire meno la competenza principale del giudice a causa della presunta incompatibilità che si riconosce essersi determinata, finirebbe con l’attribuire alle parti la potestà di determinare, attraverso le proprie istanze, la sostanziale scelta del giudice attraverso la possibilità di una sua conseguente rimozione in forza dell’adozione del provvedimento (di accoglimento o di rigetto) richiesto. Questo esito non solo appare irragionevole, ma si pone anche in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dal quale l’imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto. E la pronuncia “pregiudicante” sulla cautela potrebbe ripetersi in termini indefiniti in conseguenza della semplice riproposizione di istanze, con la possibile verificazione di effetti strumentalmente paralizzanti o comunque dilatori del prc cesso (in sede di legittimità, cfr., ex multis, Sez. 2, n. 17401 del 24/03/2009, ltusso, Rv. 244345- 01).
In applicazione di tale principio, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto l’inammissibilità della ricusazione del giudice per l’udienza preliminare che abbia rigettato una precedente istanza di revoca di misura cautelare (Sez. 5, n. 3045 del 24/01/2019, dep. 2020, Stambè, Rv. 278658-02); e, parimenti, ha riconosciuto l’inammissibilità della ricusazione del giudice che, in fase di giudizio di appello, abbia concorso a pronunciare su un’istanza in materia di libertà (Sez. 6, n. 16453 del 10/02/2015, Celotto, Rv. 263576-01; nelle stesso sostanziale senso, cfr., Sez. 6, n. 42975 del 22/09/2003, Neziri, Rv. 227€›19-01).
8.2.2. Altrettanto non decisivo è l’argomento secondo il quale il rapporto pregiudicante/pregiudicabile sarebbe stato fissato dalla Corte cost. n. 283 del 2000 — in termini testuali ed inequivoci — come unidirezionale e non bidirezionale, nel senso che la decisione sulla prevenzione potrebbe pregiudicai e quella successiva di merito e non viceversa.
Al riguardo, occorre evidenziare che la Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto che: «il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari (sentenza n. 306 del 1997), sia quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito, per avere il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del delitto di associazione di stampo mafioso, già espresso nell’ambito del procedimento di prevenzione una valutazione sull’esistenza dell’associazione e sull’appartenenza ad essa della persona imputata nel successivo processo penale» : regola di giudizio che «non muta secondo il rapporto di successione temporale che in concreto può darsi tra l’uno e l’altro procedimento» (Corte cost. ordinanza n. 178 del 1999).
8.2.3. Parimenti, chiosa ancora la Corte, anche l’argomento in base al quale il procedimento di prevenzione non potrebbe ospitare l’innesto integrale di alcuni istituti della giurisdizione penale in ragione delle profonde differenze caratterizzanti le fattispecie appare superabile: in realtà, non si capiscono le ragioni per le quali la terzietà del giudice dovrebbe atteggiarsi differentemente nei due procedimenti, dal momento che il principio in parola non costituisce solo una “modulazione del diritto di difesa” ma, insieme all’imparzialità, costituisce un elemento base ineludibile del processo, indipendentemente dalle concrete garanzie difensive che il legislatore può attribuire nel singolo procedimento o nel singolo rito del procedimento.
8.2.4. Infine, del tutto fallace è la differenziazione tra i due procedimenti basata sulla ritenuta diversità di struttura della valutazione giudiziale, atteso che il giudizio di prevenzione esprimerebbe solo una valutazione di tipo prognostico, mentre il giudizio penale una valutazione di natura cognitiva. A tal fine, si afferma che il primo (giudizio prevenzionale), a differenza del secondo (giudizio penale), si “nutrirebbe” di elementi ulteriori rispetto a questo, non potendosi basare solo sulle cognizioni acquisite in quest’ultimo, a riprova di una pretesa “diversità” ontologica che, ancora una volta, giustificherebbe discipline e garanzie differenti.
8.3. Non v’è dubbio che le più evidenti differenze tra i due giudizi si appalesano principalmente sulla tematica della “prova”, terminologia che nel procedimento di prevenzione denota il riferimento ad una nozione più ampia rispetto alla valenza che la medesima assume rispetto al concetto di prova in senso stretto, come propriamente considerato nella teoria generale del processo, ricomprendendovi non solo ogni tipo di elemento utile ai fini della valutazione ma arrivando anche a derogare alle regole generali in relazione all’iniziativa, alla comunicazione e alle forme di acquisizione. Ed ulteriori significative differenze, con forti ricadute problematiche, si possono cogliere anche in relazione alla materia dell’invalidità degli atti (a volte destinata ad una lettura poco ‹agevole alla stregua degli abituali canoni di legalità processuale), a quella delle reciproche interferenze tra misure cautelari personali e prevenzione, così come tra cautele reali penali e misure ablative di prevenzione, foriere di assetti nuovi per il giudizio di pericolosità (tema che involge, più in generale, la più ampia tematica della cautela processuale penale) e, infine, all’eloquente “distanza” tra controlli ed impugnazioni, a seconda della diversa sfera procedimentale. A ben vedere, si tratta di sfere d’interferenza che fungono da altrettante cartine di tornasole sul modo di intendere, in concreto, la pur ipotizzata “sinergia” tra le due strutture procedimentali, idonee, al contrario, a metterne in discussione la valenza.
Orbene, pur dovendosi ammettere che i due processi sono oggettivamente e normativamente distinti, e pur essendo indiscutibile che il giudizio prognostico sulle condotte future del soggetto pericoloso è ben diverso dal giudizio di responsabilità, è indubbio che l’esigenza di terzietà del giudice deve presiedere a qualunque “procedimento” perché precondizione della giurisdizione. E la locuzione “giudizio” è di per sé tale da comprendere qualsiasi tipo di procedimento che — come quello di prevenzione, comprende una fase “constatativa” e una prognostica — in base all’esame del materiale ritualmente acquisito perviene ad una decisione di merito.
Così, osserva la Corte, se appare incontestabile che la misura di prevenzione ha un perimetro normalmente più esteso rispetto all’accertamento di responsabilità per un singolo reato, è certamente indubitabile che tale evenienza non si verifichi sempre, ben potendo l’affermazione di responsabilità per un singolo reato testimoniare in modo assai ampio (e, quindi, sufficiente di per sè) una pericolosità qualificata e costituire elemento portante e decisivo per la prognosi stessa.
- Rimane da chiarirese, per riconoscere l’applicabilità al giudice della prevenzione del motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, c‹omma 1, cod. proc. pen., giusta la previsione introdotta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 283 del 2000, sia possibile procedervi direttamente, interpretando il portato effetto della norma vigente, ovvero se detta operazione sia impedita, dovendo essere veicolata dalla preventiva proposizione di un’incidente di costituzionalità, necessario prodromo di una pronuncia manipolativa o additiva.
9.1. La questione è certamente assai delicata perché strettamente collegata ad un principio — apparentemente contrario — che la giurisprudenza ha più volte affermato, e cioè che le norme in tema di incompatibilità, astensione, ricusazione sono eccezionali e di stretta interpretazione.
In realtà, la Suprema Corte (Sez. U, n. 23122 del 27/01/2011, Tanzi, non massimata sul punto) ha ridimensionato questa affermazione, riconoscendo che è ragionevole ritenere che, anche a livello applicativo, debba considerarsi il valore costituzionale degli interessi in gioco e che nell’opera di interpretazione conforme vada verificata ogni possibilità di interpretazione anche estensiva se quella strettamente testuale risulta in contrasto con lo scopo di garanzia che il sistema dovrebbe assicurare.
Fermo quanto precede, il Collegio ritiene che, in linea con questo indirizzo interpretativo, si possa riconoscere la diretta applicabilità al giudice della prevenzione del motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., senza dover accedere al giudice delle leggi. Una conclusione del genere si fonda sull’inequivocità dei principi espressi dalla Corte costituzionale che, nella più volte citata sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale ha riconosciuto «[…] che il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari (sentenza n. 306 del 1997), sia quando il rapporto di successione temporale tra attività pregiudicante e funzione pregiudicata sia invertito, per avere il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato del delitto di associazione di stampo mafioso, già espresso nell’ambito del procedimento di prevenzione una valutazione sull’esistenza dell’associazione e sull’appartenenza ad essa della persona imputata nel successivo processo penale (ordinanza n. 178 del 1999)».
9.2. Invero, dalla lettura coordinata delle succitate pronunce della Corte costituzionale (ord. n. 178 del 1999; sentt. n. 283 del 2000; 306, 307 e 308 del 1997) è possibile ricavare una precisa trama di principi che rende pienamente definito il perimetro di estensione del dictum in questione e che, in adesione a quanto riconosciuto dalla sentenza “Valente” di questa Corte (Sez. 5, n. 32077 del 24/06/2014, cit.), permette di riconoscerne, sotto il profilo interpretativo, la «evidente attitudine espansiva, quantomeno idonea ad imporre — senza necessità di ricorrere ulteriormente al giudice delle leggi — … una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 37 cod. proc. pen. nel senso della ricusabilità anche del giudice chiamato ad assumere una decisione conclusiva nel procedimento di prevenzione il quale abbia già espresso in un procedimento penale una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto».
9.3. Questa operazione ermeneutica è stata già suggerita in altre occasioni e con riferimento a settori differenti dalla stessa Corte Costituzionale.
In tal senso, il Collegio ricorda come la Corte costituzionale abbia negato per lungo tempo che l’udienza preliminare potesse essere sede “pregiudicante” e/o “pregiudicabile”. Tuttavia, a seguito della legge n. 479 del 16 dicembre 1999, n. 479, è stato inevitabile riconoscere che l’udienza preliminare aveva subìto una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, sia, infine, per ciò che attiene alla più estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare. E così, con la sentenza n. 224 del 2001, il giudice delle leggi, preso atto che «l’alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell’udienza preliminare, riposa […] su una valutazione del merito della accusa ormai non più distinguibile — quanto ad intensità e completezza del panorama delibativo — da quella propria di altri momenti processuali, già ritenuti non solo “pregiudicanti”, ma anche “pregiudicabili”, ai fini della sussistenza della incompatibilità», ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudice dell’udienza preliminare del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confr‹3nti del medesimo imputato e per lo stesso fatto.
Con la successiva sentenza n. 335 del 2002, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. Proc. pen. sollevata in riferimento all’art. 111, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede, come caso di incompatibilità all’esercizio di funzioni giudiziarie, quello del magistrato che nell’udienza preliminare ha pronunciato il decreto che dispone il giudizio e che, a seguito di dichiarazione di nullità del decreto stesso a norma dell’art. 429, commi 2 e 1, lett. c, cod. proc. pen., si trova nuovamente a celebrare nello stesso procedimento l’udienza preliminare, con poteri di cognizione e decisione identici a quelli già esercitati nella precedente circostanza, dopo aver ribadito che le decisioni assunte nell’udienza preliminare devono essere annoverate tra quei “giudizi” idonei a pregiudicarne altri ulteriori e a essere a loro volta pregiudicati da altri anteriori, ha riconosciuto che «non è però necessario addivenire a una pronuncia di incostituzionalità dell’art. 34 c:od. proc. pen. […]: una pronuncia che aggiunga una nuova ipotesi, specifica o generale, di incompatibilità a quelle già previste. Basta assumere che l’udienza preliminare […] è (divenuta) anch’essa un momento di “giudizio” perché essa rientri pienamente nelle previsioni dell’art. 34 del codice che dispongono per l’appunto l’incompatibilità a giudicare del giudice che abbia già giudicato sulla medesima res iudicanda».
Ha, così, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dedotta, pur in presenza di una sostanziale adesione alle ragioni del remittente. La decisione, la cui portata estensiva appare evidente, è pienamente spiegabile, tenuto conto che la precedente sentenza n. 224 del 2001 aveva incluso nel genus delle sedi pregiudicanti e pregiudicabili anche l’udienza preliminare, con una precisa indicazione all’interprete: la possibilità di riconoscere l’estensione delle cause di incompatibilità, in presenza di identità di ratio, senza la necessità dell’intervento additivo del giudice delle leggi.
E così, osserva la Corte, per tornare alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, si può affermare che il ragionamento complessivo confermato nella sentenza n. 283 del 2000 e soprattutto il riferimento che la stessa compie alla sentenza n. 306 del 1997 legittima, senza forzature, il parallelismo interpretativo e l’operazione ermeneutica ad esso sottesa, che trova ulteriore fondamento nell’ordinanza n. 178 del 1999 nella quale ricorreva una situazione del tutto analoga a quella oggi dedotta (giudizio di prevenzione “pregiudicante”, giudizio penale “pregiudicato”) e diversa da quella esaminata dalla sentenza n. 306 del 19’J7 (giudizio penale “pregiudicante”, giudizio di prevenzione “pregiudicato”).
Il complesso di queste decisioni lascia trasparire un chiaro invito ad un’interpretazione che — come già chiarito nelle pronunce n. 224 del 2001 e n. 335 del 2002 — tenga conto della ricorrenza di un’identica finalità di “tutela” ampiamente esplicitata, rimanendo compito del giudice quello› di verificare, caso per caso, se le eventuali valutazioni di merito compiute sulla responsabilità penale siano o meno idonee a determinare un effetto pregiudicante nel diverso procedimento, finendo per incidere sulla imparzialità del giudizio.
- Sulla base di quanto sin qui esposto, è così possibile enunciare il seguente principio di diritto: «Al processo di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen. – come risultante a seguito dell’intervento additivo di C. Cost. 14 luglio 2000, n. 293 – nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale».
- Facendo applicazione del principio al caso in questione, si evidenzia come nella fattispecie, il Collegio della Corte di appello di Potenza, composto anche dal dott. Paternoster, che, con sentenza in data 6 novembre 202C›, ha confermato nei confronti di Rocco Lapelosa e della coimputata Rosy Abiusi la condanna, emessa all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza in data 19 ottobre 2016 per il reato di cui agli artt.. 81 cpv., 110 cod. pen., 12 quinquies d.lgs. n. 306 del 1992, abbia espresso, nel predetto giudizio di cognizione, valutazioni di merito sullo stesso fatto successivamente considerato nel giudizio di prevenzione nei confronti del sunnominato Rocco Lapelosa.
11.1. Invero, il giudizio di merito ha consentito di accertare come il Lapelosa, già imputato in altra sede di partecipazione all’associazione mafiosa diretta da Renato Martorano, in concorso con la Abiusi ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di eludere le disposizioni di legge i‹a materia di misure di prevenzione adottabili nei suoi confronti, effettuava una serie di atti negoziali e societari diretti ad occultare l’effettiva titolarità in capo al Lapelosa della società “Ecologica & Servizi s.r.l.” – di cui fino alla data del 20 giugno 2011 erano soci il predetto Lapelosa, la di lui moglie Rosy Abiusi e la sorella del primo, Stefania Lapelosa – della ditta individuale “La Sosta” di Nicusor Alin Almajeanu e della società “Lavori & Servizi s.r.l.”.
Ciò considerato, i giudici di merito hanno ritenuto comprovato il sofisticato meccanismo coinvolgente atti, persone e mezzi, predisposto dagli imputati, anche considerato il cospicuo lasso temporale delle condotte e la disvelata finalità delle azioni, ed hanno riconosciuto la ricorrenza dei presupposti del delitto di cui all’art. 12-quinquies d.lgs. n. 306 del 1992. Hanno, quindi, confutato “[…] l’assunto difensivo secondo cui la finalità degli imputati (sarebbe stata) limitata ad aggirare la disciplina amministrativa antimafia, destinata, al più, a turbare la regolare prosecuzione degli appalti pubblici affidati alla società “Ecologica & Servizi s.r.l.”, ma certamente non idonea a dar luogo, come invece sarebbe stato possibile mediante l’eventuale adozione di provvedimenti di sequestro e/o confisca patrimoniali, alla definitiva ablazione dei beni aziendali e di quelli personali del Lapelosa …”. Hanno, di conseguenza, ritenuto “che gli imputati avessero sovrapposto l’interesse ad eludere la normativa antimafia con lo scopo, ben più pregnante e/o, comunque, concorrente, di aggirare la disciplina in materia di misure di prevenzione, quale finalità da ritenersi esistente nelle loro intenzioni fin dall’inizio, cioè, dal momento in cui fu posta in essere la prima operazione economica di trasferimento delle quote sociali risalente al giugno 2011”.
Tali valutazioni rendono evidente il manifestato “pregiudizio” espresso in sede di cognizione, tale da riverberare i suoi effetti sul “successivo” diverso procedimento di prevenzione avente ad oggetto la medesima res iudicanda.
11.2. Dall’accertata tempestività dell’istanza per le ragioni già ritenute nell’ordinanza di rimessione e dalla sua rilevata fondatezza consegue l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio.
11.3. La forma del provvedimento adottato (ordinanza), conclude la Corte, non permette il rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Potenza, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.; di contro, la natura decisoria dell’atto impone che il Collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione (cfr., Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 42371 del 27/09/2004, Lamanna, Rv. 231015-01).