Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza 07 aprile 2022 n. 2323
Va sottoposto all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il seguente quesito:
come vada (s)computato, dal termine lungo di impugnazione che si calcola a mesi, il periodo feriale dal 1° al 31 agosto che cada nel mezzo del termine lungo, ossia dopo che quest’ultimo è iniziato a decorrere, e in particolare se sia corretto continuare a seguire il criterio, elaborato dalla Corte di cassazione quando il periodo feriale durava 46 giorni, secondo cui il termine lungo va calcolato includendo fittiziamente e provvisoriamente il periodo feriale, e poi sommando al termine così calcolato ulteriori 31 giorni (criterio che somma il termine a mesi computato “ex nominatione dierum” e il periodo feriale computato “ex numeratione dierum”), o se debba seguirsi il diverso criterio, adottato dalla Corte di cassazione e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, per il computo del termine lungo di impugnazione che inizia a decorrere durante il periodo feriale, che consiste nel “saltare” il periodo feriale, sicché il termine lungo viene calcolato applicando solo il criterio “ex nominatione dierum” senza commistione con il criterio “ex numeratione dierum”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il Collegio ritiene che la causa ponga una questione di massima di particolare importanza, che si presenta con una certa frequenza, e che merita l’affermazione di un principio di diritto univoco da parte dell’Adunanza Plenaria, a cui viene sottoposto il seguente quesito di diritto:
“come vada (s)computato, dal termine lungo di impugnazione che si calcola a mesi, il periodo feriale dal 1° al 31 agosto che cada nel mezzo del termine lungo, ossia dopo che quest’ultimo è iniziato a decorrere, e in particolare se sia corretto continuare a seguire il criterio, elaborato dalla Corte di cassazione quando il periodo feriale durava 46 giorni, secondo cui il termine lungo va calcolato includendo fittiziamente e provvisoriamente il periodo feriale, e poi sommando al termine così calcolato ulteriori 31 giorni (criterio che somma il termine a mesi computato “ex nominatione dierum” e il periodo feriale computato “ex numeratione dierum”), o se debba seguirsi il diverso criterio, adottato dalla Corte di cassazione e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, per il computo del termine lungo di impugnazione che inizia a decorrere durante il periodo feriale, che consiste nel “saltare” il periodo feriale, sicché il termine lungo viene calcolato applicando solo il criterio “ex nominatione dierum” senza commistione con il criterio “ex numeratione dierum”.
Il Collegio rileva che la giurisprudenza segue due criteri diversi per il computo del termine lungo, a seconda che inizi a decorrere prima dell’inizio del periodo feriale o durante quest’ultimo.
Come si espliciterà a breve, i due criteri sopra esposti portano a risultati differenti.
La Sezione rimettente propende per il secondo criterio (che già viene utilizzato se il termine inizia a decorrere durante il periodo feriale), perché è quello che evita vistose incongruenze e disparità di trattamento, indotte invece dal primo criterio (seguito dall’appellante), e perché, sul piano logico, più coerente con il criterio del computo “a mesi”, laddove il primo criterio crea una indebita commistione tra computo a mesi e computo a giorni.
- Infatto, si premette che è appellata la sentenza del Tar Sicilia – Catania, 30 luglio 2021 n. 2573. L’appello risulta notificato in data 2.3.2022.
Tale data, seguendo il secondo criterio di computo sopra illustrato, è successiva al termine lungo semestrale con lo scomputo del periodo feriale.
- Le regole processuali rilevanti sono le seguenti:
– il termine lungo per appellare è di sei mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza (art. 92, c. 3 c.p.a.);
– per il computo dei termini a mesi, si osserva il calendario comune (art. 155 c. 2 c.p.a.);
– la scadenza del termine che si computa a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale; se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l’ultimo giorno dello stesso mese (art. 2963, c. 4 e c. 5 c.c.);
– i termini processuali sono sospesi dal primo agosto al 31 agosto di ciascun anno (art. 54, c. 2, c.p.a.).
- Dato che il dies a quo è nella specie costituito dal 30.7.2021, e dovendosi interamente scomputare il mese di agosto 2021, i sei mesi vengono a scadere il 28 febbraio 2021 (giorno non festivo), in ossequio alle regole sopra citate, recate dall’art. 2963 c. 4 e c. 5 c.c., ossia che la scadenza si verifica nel mese di scadenza nel giorno corrispondente al dies a quo nel mese iniziale, e se nel mese finale manca tale giorno, la scadenza si compie con l’ultimo giorno del mese.
- Parte appellante ha invece calcolato il termine computando prima i sei mesi senza scomputare il periodo dal 1° al 31 agosto 2021, arrivando così al 30 gennaio 2022, e poi sommando i 31 giorni del periodo feriale; in tal modo, avendo il mese di febbraio 2022 28 giorni, il termine ultimo diventerebbe il 2.3.2022.
Tale criterio di calcolo non sembra trovare fondamento nelle regole sulla “sospensione dei termini” nel periodo feriale, periodo che va scomputato dal termine complessivo, e non sommato alla fine ad esso.
Il Collegio non ignora che tale criterio di calcolo si basa su risalenti decisioni della Corte di cassazione, ribadite tralaticiamente anche di recente, secondo cui nel calcolo del termine lungo a mesi o anni, il termine lungo si calcola “ex nominatione dierum” ma a tale termine va sommato il periodo feriale calcolato “ex numeratione dierum” (v. funditus Cass. civ., I, 7.7.2000 n. 9068, in termini Id., I, 15.5.1997 n. 4249; Id., I, 24.3.1998 n. 3112; Id., I, 3.6.2003 n. 8850; Id., V, 14.2.2007 n. 3223; Id., 1.2.2021 n. 2186; Id., 16.11.2021 n. 34659).
Tali decisioni non sembrano condivisibili perché creano una commistione tra criterio di calcolo a mesi e criterio di calcolo a giorni. Le stesse potevano avere una loro ragione pratica all’epoca in cui il periodo feriale durava 46 giorni, dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno: diventa effettivamente complicato calcolare un termine a mesi interi o anni interi, se bisogna poi scomputare un termine che per legge si basa sui giorni. Ma tale ragione pratica, non ha più ragione di esistere da quando il periodo feriale è stato ridotto al solo mese di agosto, sicché per calcolare un termine a mesi o anni al netto del periodo feriale, non si rende più necessario dal punto di vista pratico, creare una commistione tra termine a mesi o anni e termine a giorni.
Continuare a seguire siffatto criterio, porta a incongruenze logiche e soprattutto irragionevoli disparità di trattamento: in base a tale sistema, un termine che inizia a decorrere il 30 luglio 2021 scadrebbe il 21 marzo mentre un termine che inizia a decorrere dopo, e segnatamente tra il 1 e il 31 agosto, scade il 28 febbraio 2022.
Che un termine che inizia a decorrere tra il 1 e il 31 agosto scada il 28 febbraio dell’anno successivo, deriva dall’applicazione della giurisprudenza della stessa Corte di cassazione a Sez. un., seguita anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: Cass. sez. un., n. 3688/1995 “La funzione del principio “dies a quo non computatur in termini”, attiene all’esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni), a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonché l’effetto giuridico di quell’atto. Sarebbe, pertanto, contrario alla ratio dell’art. 155 c.p.c. lasciare fuori dal computo un giorno intero (il 16 settembre) in cui l’atto di riferimento (deposito della sentenza (…)) non si è verificato, giorno che si aggiungerebbe illogicamente a quelli interi del termine, allungandolo senza alcuna logica giustificazione. Inoltre, il giorno che non viene computato nel termine, secondo il principio dell’art. 155 c.p.c., è il giorno (con riferimento specifico alle impugnazioni) in cui si è verificato un atto avente un determinato effetto giuridico. Nel caso in cui quell’atto si realizzi nel periodo feriale, esso rimane pienamente valido ed efficace nella sua interezza, volta che il differimento coinvolge soltanto il decorso del termine che in quell’atto abbia il punto temporale di riferimento. Non vi è preclusione, in definitiva, a che il dies a quo, da non computare nel termine, sia individuabile nello stesso giorno in cui l’atto abbia manifestato i suoi effetti, e rimanga detta individuazione ancorché l’atto stesso sia caduto in periodo feriale”; cui adde Cass civ., III, 6.4.2006 n. 8102; Id., II, 12.1.2011 n. 631; Cons. St., ad. plen., 27.7.2016 n. 18: “In base al differimento del decorso del termine processuale a giorni che abbia inizio durante il periodo di sospensione feriale, previsto dall’art. 1, comma 1, secondo periodo, della legge n. 742 del 1969, il primo giorno successivo alla scadenza del periodo feriale va computato nel termine in questione”.
Appare dunque evidente che per calcolare un termine a mesi che inizia a decorrere nel periodo feriale, si utilizza, correttamente, solo il criterio della “nominatione dierum” senza commistione con quello della “numeratione dierum”.
E tuttavia, per ragioni di parità di trattamento i termini per identici atti (qui l’appello) e calcolati con il medesimo criterio (a mesi) devono seguire identici criteri di calcolo ed essere di identica durata, e un termine che inizia a decorrere prima, non può che scadere prima di un termine che inizia a decorrere dopo, e non viceversa.
Pertanto, l’applicazione del criterio di computo proposto dall’appellante, ancorché sulla scia della Corte di cassazione, porta ad una incongruenza logica e a una disparità di trattamento. I due orientamenti della Cassazione sopra esposti, l’uno relativo al criterio di calcolo di un termine che inizi a decorrere prima del periodo feriale, e l’altro relativo al criterio di calcolo di un termine che inizi a decorrere durante il periodo feriale, sembrano in contrasto tra loro e portano all’incongruo risultato che un termine che inizia a decorrere prima (a luglio) scada dopo di un termine che inizia a decorrere dopo (ad agosto). Nel caso di specie l’incongruenza è particolarmente evidente: in caso di dies a quo coincidente con il 30 luglio, la parte avrebbe ben quattro giorni in più per appellare che in caso di dies a quo che cada tra il 1° e il 31 agosto, considerati i giorni 30 e 31 luglio e 1 e 2 marzo.
Piuttosto, andrebbe valorizzato quanto le stesse Sez. unite della Cassazione hanno affermato e cioè che “la finalità della l. n.742 del 1969 consiste nell’assicurare ai professionisti un congruo periodo di riposo annuale, svincolando l’attività professionale dalla scadenza di termini durante il periodo riservato a detto riposo. Su tale base non potrebbe trovare adeguata spiegazione il diverso trattamento dei termini il cui decorso abbia inizio prima del 1 agosto, rispetto a quelli il cui inizio si veri fichi nel periodo feriale” (Cass. civ., sez. un., n. 3668/1995).
In tale prospettiva, è possibile eliminare la incongruenza logica e fattuale sopra evidenziata ribadendo che se la legge prevede il calcolo di un termine a mesi, non sono ammesse commistioni con l’aggiunta di un calcolo a giorni. E che se tale commistione, per ragioni pratiche, poteva ammettersi quando il periodo feriale si calcolava in giorni (46 giorni dal 1° agosto al 15 settembre), non è più ammissibile dopo che il periodo feriale è stato ridotto al mese di agosto, ed è dunque calcolabile “a mesi”.
In conclusione, dato che il termine lungo di impugnazione, nel processo amministrativo, si calcola “a mesi”, non è possibile inserire effettuare il calcolo sommando ai “mesi” del termine lungo i “giorni” del periodo feriale.
Più semplicemente il periodo feriale dal 1 al 31 agosto, che cade nel mezzo di un termine da calcolarsi a mesi, va “saltato”, sicché nel conteggio dei sei mesi si passa direttamente dal 30 luglio al 30 settembre, ignorando il periodo feriale.
Se si volesse mantenere il criterio di calcolo seguito dalla Cassazione e in questa causa da parte appellante, per le illustrate ragioni di parità di trattamento, andrebbe coerentemente modificato l’orientamento sul calcolo del termine lungo che inizi a decorrere durante il periodo feriale, e ribadito dalla citata Plenaria n. 18/2016. Anche in tal caso, infatti, anziché “saltare”, come si fa, il periodo feriale, e far decorrere il termine dal 1° settembre, bisognerebbe far decorrere il termine dal giorno proprio e sommare alla fine il residuo periodo feriale. Solo in tal modo si arriverebbe ad un risultato coerente, perché, ad esempio, se un termine che inizia a decorrere il 16 agosto, venisse fatto partire dal 16 agosto, anziché dal 1° settembre, sommando alla fine i residui 15 giorni del periodo feriale, il termine non scadrebbe il 28 febbraio, ma il 3 marzo, così eliminandosi l’attuale incoerenza di far scadere il 28 febbraio un termine che inizia a decorrere ad agosto, laddove un termine che inizia a decorrere il 30 luglio lo si fa scadere il 2 marzo.
Ovviamente, tale ragionamento non trova applicazione nel caso di computo dei termini “a giorni”, nel qual caso è sul piano pratico indifferente l’utilizzo dell’uno o dell’altro criterio di calcolo.
Esemplificando, se, in ipotesi, il termine di impugnazione di una sentenza fosse quello breve decorrente dalla sua notificazione, quindi sessanta giorni, e iniziasse a decorrere il 30 luglio 2021, sarebbe indifferente “saltare” i 31 giorni del periodo feriale, o sommarli alla fine del calcolo dei sessanta giorni:
– primo criterio: 1 giorno di luglio; si saltano i 31 giorni di agosto, si aggiungono 59 giorni computati dal 1° settembre, arrivando così al 30 ottobre, quale dies ad quem;
– secondo criterio: si calcolano sessanta giorni decorrenti dal 30 luglio e si arriva così al 29 settembre, si aggiungono 31 giorni e si arriva parimenti al 30 ottobre, quale dies ad quem.
- Si chiede pertanto all’Adunanza Plenaria di esaminare la questione di diritto suddetta.
- Valuterà la Plenaria, ove ritenga di aderire alla tesi della irricevibilità, se ricorrono i presupposti per l’applicazione del principio del prospective overruling trattandosi di introdurre un nuovo orientamento che ribalta un orientamento consolidato in materia processuale, e comunque per la concessione dell’errore scusabile, e, ove decida vuoi per la ricevibilità in diritto del ricorso, vuoi per la concessione dell’errore scusabile in caso di ritenuta irricevibilità, se decidere l’appello nel merito o restituirlo alla Sezione rimettente per l’ulteriore corso.
Al fine della valutazione sulla concessione dell’errore scusabile dovrebbe tenersi conto:
– dell’orientamento espresso dalla Corte di cassazione e sopra citato;
– della circostanza che il criterio di calcolo seguito da parte ricorrente è utilizzato anche dal software Andreani di uso corrente ad opera di avvocati e ausiliari del giudice; sebbene si tratti di software privato che in alcun modo vincola il giudice nella applicazione delle regole processuali, la circostanza che lo stesso sia basato su un orientamento espresso dalla Corte di cassazione, e che sia di uso diffuso, potrebbe costituire elemento fattuale che eccezionalmente giustifica l’errore della parte e lo rende scusabile.