<p class="western" align="justify"></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><b>Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso nell’ambito dell’attività edilizia, ma con riferimento al solo caso in cui il provvedimento non sia noto al controinteressato è ravvisato: nell’inizio dei lavori, laddove si contesti l’</b></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i><b>an</b></i></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><b> dell’edificazione; ovvero, laddove si contesti il </b></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i><b>quomodo</b></i></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><b> (distanze, consistenza ecc.), nel loro completamento o grado di sviluppo tale da renderne palese la dimensione, consistenza e finalità</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><b>Laddove, invece, l’atto in sé sia noto, ciò non può che ritenersi bastevole ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, stante che la piena conoscenza del provvedimento «</b></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i><b>non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità</b></i></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><b>». </b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><b>Consiglio di Stato, sez. II – sentenza del 09 aprile 2020 n. 2328</b></span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">6. Come primo motivo di doglianza, gli appellanti contestano l’avvenuta declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività. Il giudice di prime cure avrebbe cioè errato nell’individuare il dies a quo ai fini del computo del relativo termine, non tenendo conto del fatto che la “piena conoscenza” del titolo edilizio sarebbe avvenuta solo con l’accesso agli elaborati progettuali, ovvero a seguito dell’apposita istanza avanzata in data 9 novembre 2010. I provvedimenti ex se, infatti, benché noti, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione procedente, non avrebbero dato contezza della lesività dell’intervento, in quanto riferiti genericamente ad una “semplice” opera di «ristrutturazione edilizia, frazionamento di fabbricato e realizzazione di boxes», laddove il complesso realizzato, distinto in tre corpi di fabbrica ospitanti sette appartamenti, avrebbe dovuto essere più correttamente qualificato come nuova costruzione, non assentibile in quella zona. Con riferimento alla signora Giovanna Cerruti, peraltro, il T.A.R. avrebbe contraddittoriamente ritenuto inopponibili i documenti versati in atti dal difensore in altro giudizio, salvo poi ravvisarne la presunzione di conoscenza nell’avvenuto conferimento del mandato alla lite.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">7. Il Collegio ritiene di non condividere ridetta prospettazione e di confermare la statuizione di irricevibilità dell’azione di annullamento del permesso di costruire n. 38157 del 23 febbraio 2007 e delle successive varianti allo stesso.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">8. Torna all’esame della Sezione la questione della decorrenza del termine per l’impugnativa dei titoli edilizi da parte dei controinteressati.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Trattasi di tematica variamente affrontata da questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze non è ragione di decampare.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">8.1. Preliminarmente, occorre ricordare come la “piena conoscenza” del provvedimento come momento dal quale fare decorrere il termine di cui all’art. 41, comma 2, c.p.a., non deve essere intesa quale sua “conoscenza piena ed integrale”; è infatti sufficiente allo scopo la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere riconoscibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">La norma intende per “piena conoscenza”, quindi, la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività. Tale consapevolezza determina la sussistenza di una condizione dell’azione, l’interesse al ricorso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">9. Con specifico riferimento all’impugnazione dei titoli edilizi, va innanzitutto rilevato che la vicinitas, come nella fattispecie in esame, di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">A tale riguardo, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte di terzi, l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero che si contesti il contenuto specifico del permesso (ad esempio, per eccesso di volumetria o per violazione delle distanze minime tra fabbricati).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">La previsione dell’istituto dei motivi aggiunti cc.dd. propri - per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento dell’introduzione del giudizio, ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta - comprova la fondatezza dell’interpretazione resa in ordine al significato della “piena conoscenza” (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Infatti, se quest’ultima dovesse essere intesa come “conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe una pratica ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">10. La giurisprudenza si è dunque preoccupata di individuare il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso nell’ambito dell’attività edilizia, ma con riferimento al solo caso in cui il provvedimento non sia noto al controinteressato. Esso è stato quindi ravvisato: nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), nel loro completamento o grado di sviluppo tale da renderne palese la dimensione, consistenza e finalità (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075; id., 7 dicembre 2017, n. 5754; Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830; id., 18 aprile 2012, n. 2209; Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">A ciò deve aggiungersi che resta comunque ferma la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (ad esempio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 6, e 27, comma 4, t.u. edilizia, avuto riguardo alla presenza in loco del cartello dei lavori, specie se munito di rendering e indicazione puntuale del titolo edilizio, ovvero alla effettiva comunicazione all’albo pretorio del comune del rilascio del titolo edilizio; alla consistenza del tempo trascorso fra l’inizio dei lavori e la proposizione del ricorso; alla effettiva residenza del ricorrente in zona confinante con il lotto su cui sono in corso i lavori; ecc. ). Per contro, chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio è tenuto ad esercitare sollecitamente l’accesso documentale, ove ne abbia necessità per comprenderne appieno la portata.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">11. In altri termini, al fine di valutare il rispetto del termine decadenziale per proporre l’azione di annullamento valgono i seguenti principi sulla verifica della piena conoscenza dei titoli edilizi:</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">- laddove si contesti il quomodo dell’edificazione, occorre di regola la piena conoscenza del provvedimento, che s'intende comunque avvenuta al completamento dei lavori, a meno che sia data prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso anche a mezzo di presunzioni semplici;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">- laddove si contesti l’an dell’edificazione, è l’inizio dei lavori a segnare il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">- perfino la constatazione della presenza dello scavo (preso atto della necessaria presenza ope legis del cartello dei lavori e della preventiva pubblicizzazione del titolo sull’albo pretorio dell’Ente procedente) può consentire la presentazione del ricorso, senza differirne la proposizione all'avvenuto positivo disbrigo della pratica di accesso agli atti avviata né, a monte, al differimento di quest’ultima ex se;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">- la richiesta di accesso, infatti, non è idonea a procrastinare i termini di proposizione del ricorso, perché se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall'altro, deve parimenti essere salvaguardato anche l'interesse del titolare del permesso di costruire a che l'esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colpevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali (cfr. ancora Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5675 del 2017; id. 15 novembre 2016, n. 4701).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">12. Occorre ora adattare il paradigma di cui sopra alla concreta fattispecie all’esame della Sezione.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Gli appellanti insistono nel disgiungere il momento della conoscenza del titolo edilizio da quello della acquisita consapevolezza della sua lesività, posticipato alla data di visualizzazione degli elaborati progettuali a corredo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">L’assunto non può essere condiviso.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Le precisazioni giurisprudenziali sinteticamente richiamate hanno riguardo o alla conoscenza del titolo formalmente inteso, ovvero alla percezione dell’entità dell’abuso. L’ipotizzata astrazione dall’uno e dall’altra, come pretenderebbe di fare la parte appellante, finirebbe per procrastinare ad libitum il termine di impugnazione del titolo edilizio, sulla base di una strumentale separazione tra conoscenza “formale” dello stesso e “consapevolezza” dei relativi contenuti che non trova riscontro di diritto positivo. Con essa, cioè, si finirebbe per rimettere all’arbitrio delle parti il perfezionamento di ridetta “consapevolezza” mediante la semplice, seppur immotivata, dilazione del completamento dell’istanza di accesso, pur in precedenza esercitata.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Al contrario, la giurisprudenza sopra citata è intervenuta ad integrare le ipotesi di mancata conoscenza del titolo, individuando singoli fattori empirici idonei a palesarne comunque la portata contenutistica. Laddove, invece, l’atto in sé sia noto, ciò non può che ritenersi bastevole, stante che la piena conoscenza del provvedimento «non postula necessariamente la conoscenza di tutti i suoi elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento e degli atti presupposti emergano ulteriori profili di illegittimità». La ragione sottesa a questo orientamento è quella, già richiamata, di assicurare «il principio della certezza delle situazioni giuridiche» che impone che l’interessato «non si possa lasciare nella perpetua incertezza sulla sorte del proprio titolo edilizio» (Cons. Stato, sez. IV, 13 giugno 2011, n. 3583).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">In secondo luogo e quale alternativa, può venire in rilievo la conoscenza della realtà materiale. Infatti, «la prova della piena ed effettiva conoscenza della concessione edilizia può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l’intervenuta ultimazione dei lavori o almeno quando questi siano giunti ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e reale portata dell’intervento edilizio assentito» (Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 2010, n. 4482).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Di certo non si richiede l’acquisizione progettuale, per giunta differita per scelta ad un momento successivo a quello della visualizzazione dei titoli edilizi, pur dopo averne stigmatizzato il contenuto in quanto incompleto e non satisfattivo dei necessari elementi di conoscenza.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">13. Rispetto alla rilevata tardività del ricorso, dunque, il Collegio ritiene di dover verificare, sulla base della documentazione fornita dal Comune di Varazze e dalla società controinteressata nel corso del giudizio di primo grado e non avversata dagli appellanti, se vi fossero -in linea con la giurisprudenza sopra richiamata - gli elementi di fatto posti a sostegno della decisione del giudice di prime cure, dal momento che l’eccezione di tardività deve essere provata dalla parte che la formula.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Ad avviso della Sezione risultano dunque accertate come elementi di fatto decisivi le seguenti circostanze:</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">- con ricorso ex art. 669 bis del 17 dicembre 2009 gli odierni appellanti adivano il Tribunale di Savona rappresentando l’inizio di «lavori per la costruzione sul confine […]di un muro di cemento armato al fine di realizzare un importante complesso immobiliare di grandi dimensioni e costituito da ben 7 appartamenti […] in luogo di un piccolissimo rudere preesistente»;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">- oltre a palesare dubbi di liceità urbanistica dell’intervento, «che costituisce un vero e proprio scempio ambientale», si lamentava l’utilizzo di una strada carraia di loro proprietà, insistente sul mappale 790;</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">-l’edificio in corso di realizzazione, del quale viene fornita anche rappresentazione grafica raffigurante gli stati sovrapposti (preesistente e futuro) viene palesemente definito “condominio”, dotato di locali di autorimessa il cui accesso sarebbe dovuto avvenire necessariamente per il tramite di ridetto mappale 790.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Non è chi non veda come la paventata turbativa del possesso riconducibile alla gestione del cantiere ben individua consistenza e finalità dello stesso, incluso il numero degli appartamenti da realizzare, effettivamente mancante nella parte narrativa del permesso del 23 febbraio 2007, nonché la descrizione dello stato dei luoghi preesistente (“piccolissimo rudere”): la acquisita contezza del travisamento di tale stato di fatto primigenio, dunque, poco aggiunge alla già percepita lesività, anche in ragione dei dubbi da subito esternati circa la liceità dell’intervento.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Quand’anche ciò non fosse di per sé sufficiente, nel corso del giudizio risultano versati in atti tutti i titoli edilizi in contestazione, da ultimo perfino da parte del sostituto dell’avvocato Disma Cerruti (variante del 4 dicembre 2008, prodotta all’udienza del 12 febbraio 2010). Ed è in tale data che il giudice di prime cure individua il termine ultimo cui far retroagire la conoscenza dei provvedimenti de quibus, essendo incontestato che tale atto, a differenza dei precedenti, faccia riferimento già nell’oggetto «alla realizzazione di sette unità abitative e di una autorimessa interrata».</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Ammesso e non concesso, tuttavia, che tale mancata esplicitazione descrittiva non renda egualmente chiaro il contenuto degli altri titoli edilizi, a partire da quello originario del 23 febbraio 2007, che tale fosse la tipologia dell’intervento era già perfettamente noto agli appellanti, giusta la altrettanto precisa descrizione contenuta nel ricorso.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Ridetto permesso del 2007, infatti, non solo indica al plurale gli alloggi da realizzare, ma richiama anche l’atto notarile di asservimento a ciascuno dei garage (atto pubblico del 27 maggio 2006 a rogito notaio Domenico Manuti), con ciò rendendo palese la problematica degli standard di parcheggio ovvero dell’accessibilità agli stessi, pure sollevata dalle parti nel giudizio di primo grado. A ciò deve aggiungersi che una lettura non superficiale delle copiose modalità esecutive con riferimento a muri di sostegno e/o di contenimento, facciate, serramenti, gronda del tetto e impiantistica, rende di immediata intellegibilità la consistenza non banale dell’intervento.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">14. Afferma infine il T.A.R. per la Liguria che a tali -già inequivoche- circostanze si aggiunge il fatto che «ancora in data 28.9.2010 l’arch. Zanardini, consulente tecnico di parte degli odierni ricorrenti nel giudizio possessorio, prendeva visione della pratica edilizia contenente, tra l’altro, il permesso di costruire con gli annessi elaborati progettuali».</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">L’episodio, incontestato dagli appellanti nella sua veridicità storica, è semplicemente dequotato, al pari degli altri, a mera visione dei titoli, senza elaborati planimetrici, e dunque ancora una volta tale da rendere l’accesso inidoneo a garantire la conoscenza effettiva del provvedimento. Se così fosse, rileva la Sezione, poco si spiega l’avvenuto differimento di tale indispensabile richiesta di accesso integrativa di quasi due mesi ulteriori.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">15. A ben guardare dunque nel caso di specie la percepibilità della lesività dell’intervento avrebbe potuto collocarsi ancor prima della avvenuta conoscenza dei provvedimenti. Le parti, infatti, ne lamentano la qualificazione giuridica come ristrutturazione, anziché nuova costruzione, avuto riguardo al suo incidere sul rudere di un caseggiato agricolo: in tal modo, in realtà, essi ne contestano anche l’an e non soltanto il quomodo, con ciò rendendo applicabile quale termine per l’impugnativa l’inizio dei lavori o la raggiunta consistenza degli stessi tale da palesare lo “sconfinamento” da una tipologia nell’altra. Ciò di cui si dolgono non è un aumento di volumetria o il mancato rispetto della sagoma o dell’area di sedime o delle distanze; bensì è l’essenza stessa dell’intervento, non riconducibile a ristrutturazione non da un certo momento in poi, ma nella sua ontologica configurazione originaria.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">16. Ciò che il Collegio intende affermare è che l’applicazione degli enunciati principi alla fattispecie in esame porta a ritenere che gli originari ricorrenti, proprietari di un terreno a confine con quello oggetto del contestato titolo edilizio, hanno necessariamente potuto visualizzare lo sviluppo dell’attività edilizia percepibile all’esterno fin da subito.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Peraltro tra le prescrizioni esplicitate nel permesso di costruire del 23 febbraio 2007 -rafforzativa, peraltro, di obbligo di legge- figura anche l’affissione di «tabella decorosa e chiaramente leggibile» recante, tra l’altro, gli estremi del titolo edilizio. L’apposizione del prescritto cartello di cantiere, la cui mancanza non è in alcun modo contestata dalle parti, ha proprio la funzione di esporre al pubblico i titoli edilizi rilasciati e i nominativi dei responsabili dall’attività edilizia in corso, onde consentire a eventuali controinteressati di far valere in sede amministrativa e/o giurisdizionale le proprie posizioni giuridiche soggettive eventualmente lese dall’attività edilizia (e rendere agevolmente individuabili i soggetti responsabili qualora durante lo svolgimento delle attività di cantiere derivino danni nel confronti di terzi). La sua ostensione, cioè, è comunemente ritenuta indicativa dell’insorgere dell’onere di attivarsi immediatamente e senza indugio presso i competenti uffici comunali per prendere visione del progetto, dal quale risultava in modo chiaro e univoco il complesso immobiliare che sarebbe stato realizzato (v. in tale senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3191).</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">17. Resta infine da dire della presunta contraddittorietà dell’affermazione del giudice di prime cure che con riferimento alla posizione della appellante Giovanna Cerruti, dopo aver escluso in linea di principio l’operatività di qualsivoglia presunzione di conoscenza di un atto depositato in giudizio dal difensore, ne ha poi affermato la conoscenza da parte della stessa avuto riguardo alla specificità del mandato conferito. Senza entrare nel merito della opponibilità o meno alla parte dei documenti contenuti nel fascicolo del proprio difensore, e non in quello di parte avversa, il Collegio ritiene di condividere l’affermazione del Tribunale amministrativo per la Liguria.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">La tipologia dell’azione intrapresa, ovvero un ricorso cautelare che presuppone la necessità di prevenire un danno grave e immediato alla proprietà o possesso di un bene, individua proprio nella viabilità a servizio del cantiere tale fattore di rischio. Essa, cioè, ha quale presupposto la conoscenza dell’intervento edilizio sul fondo non solo confinante, ma addirittura intercluso, nonché la dichiarata finalità di scongiurarne la stabilizzazione degli effetti, quale ineludibile conseguenza della realizzazione del progetto della società costruttrice. Pur riservandosi, infatti, azioni ulteriori e specifiche in diverse sedi giudiziarie, i signori Cerruti contestano che «i manufatti realizzati e realizzandi dalla società Varazze 2006 s.r.l., in prossimità del confine risultano eseguiti in totale difformità dello stato preesistente»: che è né più, né meno che l’oggetto dell’odierna controversia. Non a caso, dunque, agendo in rappresentanza di entrambi e ai fini del richiamato procedimento cautelare civile, il consulente tecnico ha effettuato uno specifico accesso agli atti in data 28 settembre 2010, salvo poi, per quanto riferito dagli appellanti, “accontentarsi” di visualizzare i provvedimenti senza allegati planimetrici.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">18. In sintesi, nel caso di specie è ampiamente provata la conoscenza dei titoli edilizi impugnati, il cui contenuto di dettaglio, ben oltre la formulazione letterale degli stessi, gli appellanti dimostrano di conoscere sin dalla proposizione del ricorso al Tribunale civile di Savona in data 17 dicembre 2009. Ciò appare ulteriormente confermato dalle produzioni documentali effettuate nel corso di tale giudizio, con particolare riguardo a quella del sostituto dell’avvocato Cerruti del 12 febbraio 2010, nonché dall’ accesso agli atti esperito dal consulente tecnico in data 28 settembre 2010. Quanto detto, peraltro, a prescindere dalla pregressa percezione dell’entità dei lavori stante il lamentato stato di avanzamento descritto nel medesimo ricorso cautelare e le indicazioni della cartellonistica di cantiere, che ben avrebbero potuto -rectius, dovuto- stimolare tempestive richieste integrative a fini di tutela delle proprie ragioni.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">19. In definitiva, per tutto quanto sopra esposto l’appello va respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la statuizione di irricevibilità con riferimento all’azione di annullamento del permesso di costruire n. 38157del 23 febbraio 2007 e delle successive varianti allo stesso.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.</span></p> <p class="western" align="justify"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>Michela Gaeta</i></span></p>