Corte costituzionale, sentenza 2 luglio 2024 n. 117
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica negare, con la deliberazione del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10), l’autorizzazione, richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore all’epoca dei fatti, le comunicazioni captate nel giorno 15 maggio 2018 (prog. 2521 e 2523), nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R., nel quale il predetto parlamentare risulta imputato;
Va dichiarato che, nei sensi di cui in motivazione, non spettava al Senato della Repubblica negare, con la medesima deliberazione, l’autorizzazione, richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, a utilizzare nei confronti di Armando Siri le intercettazioni captate nei giorni 17 maggio 2018 (prog. 2618), 17 luglio 2018 (prog. 5760), 4 agosto 2018 (prog. 5997) e 6 agosto 2018 (prog. 6043, 6044 e 6090), nell’ambito del medesimo procedimento penale;
Va annullata, per l’effetto, la deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma promuove, con il ricorso indicato in epigrafe, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione del 9 marzo 2022, con cui il Senato della Repubblica ha negato l’autorizzazione a utilizzare, nei confronti del senatore Armando Siri, le comunicazioni telefoniche intercettate nell’ambito del procedimento penale n. 12460 del 2017 R.G.N.R. D.D.A. dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e confluite nel procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, adducendo «la incerta e implausibile configurazione del requisito della necessità relativamente alle intercettazioni del 15 maggio 2018, prog. 2521 e 2523», nonché la «mancanza del requisito della fortuità e occasionalità in relazione alle telefonate del 17 maggio 2018, prog. 2618, del 17 luglio 2018, prog. 5760, del 4 agosto 2018 prog. 5997 e del 6 agosto 2018, prog. 6043, 6044 e 6090».
1.1.– Il ricorrente, in particolare, lamenta la menomazione delle proprie attribuzioni, derivante dalla pretesa del Senato della Repubblica di estendere il vaglio cui esso è chiamato in sede di autorizzazione ex post all’utilizzo di intercettazioni riguardanti i membri del Parlamento, prevista e disciplinata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, al di là della verifica in ordine all’assenza di un intento persecutorio o strumentale da parte del Giudice richiedente, chiamato a motivare in termini non implausibili la necessità probatoria del materiale captativo di cui è richiesta l’utilizzazione.
2.– In via preliminare, deve essere confermata, ai sensi dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953, l’ammissibilità del conflitto, già dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, nell’ordinanza n. 191 del 2023, dopo aver accertato la sussistenza dei suoi requisiti soggettivi e oggettivi, «restando impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità».
Non può dubitarsi, innanzi tutto, della legittimazione del Senato della Repubblica a essere parte del conflitto di attribuzione, in quanto competente a dichiarare in via definitiva la volontà del potere che esso impersona, in relazione all’esercizio dei poteri a esso assegnati dall’art. 68 Cost.
Ma neanche può ritenersi dubbio che sussistano i presupposti oggettivi del conflitto, considerato che il Giudice ricorrente lamenta la menomazione delle proprie attribuzioni, derivante dal travalicamento dei poteri da parte del Senato della Repubblica, che avrebbe preteso, per un verso, di valutare autonomamente il requisito della necessità probatoria di cui all’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 (con riguardo alle intercettazioni del 15 maggio 2018) e, per altro verso, di qualificare come indirette le restanti intercettazioni di cui il ricorrente ha richiesto l’autorizzazione all’utilizzo nel giudizio pendente dinnanzi a esso, in quanto aventi natura fortuita o occasionale.
2.1.– La difesa del Senato eccepisce, invece, l’inammissibilità del ricorso per difetto del suo presupposto soggettivo, in quanto il giudice dell’udienza preliminare sarebbe privo della legittimazione attiva a ricorrere contro il diniego all’utilizzo delle intercettazioni riguardanti un parlamentare, posto che la relativa richiesta – e, correlativamente, l’impugnazione davanti a questa Corte del relativo diniego opposto dalla Camera di appartenenza del parlamentare – sarebbero di spettanza del solo giudice per le indagini preliminari.
In tal senso deporrebbe il chiaro tenore letterale dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, il quale, nell’attribuire – nei suoi diversi commi – una specifica competenza funzionale al giudice per le indagini preliminari in relazione a tutto quel che concerne l’esame a fini probatori delle intercettazioni in questione, precluderebbe l’intervento di giudici di fasi e gradi diversi come, nel caso di specie, il giudice dell’udienza preliminare, che, pertanto, non sarebbe titolare di alcuna attribuzione da presidiare mediante il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
2.2.– L’eccezione non è fondata.
L’individuazione, operata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, del giudice per le indagini preliminari come autorità deputata a richiedere l’autorizzazione ivi prevista non può, infatti, essere intesa come attributiva di una competenza inderogabile, come tale preclusiva della possibilità che quella medesima richiesta venga effettuata da altre autorità giurisdizionali comunque chiamate a utilizzare in giudizio le intercettazioni riguardanti un parlamentare.
È ben vero, infatti, che il GIP può avanzare tale richiesta quando, nel corso delle indagini preliminari, debba effettivamente utilizzare il materiale probatorio captato mediante intercettazioni di comunicazioni di un parlamentare in vista dell’adozione di un atto soggetto ad autorizzazione. Tuttavia, ciò non toglie che un simile intervento del GIP non si riscontra necessariamente e in ogni caso, sicché non può affatto escludersi che altri giudici, operanti in diverse fasi del giudizio, debbano utilizzare le intercettazioni riguardanti un parlamentare e si trovino pertanto nella necessità di chiedere l’autorizzazione.
Opinando nei termini della difesa del Senato della Repubblica, infatti, si dovrebbe immaginare che quella competenza funzionale inderogabile richieda, per essere effettivamente operante, un procedimento incidentale mediante il quale il pubblico ministero sia tenuto, anche solo in vista della richiesta di rinvio a giudizio, a ottenere dal GIP un provvedimento di convalida all’utilizzo delle predette intercettazioni, nell’ambito del quale valutare la sussistenza dei presupposti per richiedere l’autorizzazione successiva alla Camera di appartenenza del parlamentare.
Tuttavia, di tale, necessario, procedimento incidentale non solo non vi è traccia, ma la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ammesso che la cosiddetta udienza stralcio di cui all’art. 268, comma 6, del codice di procedura penale – nel corso della quale lo stesso art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 stabilisce che debba avvenire il confronto tra le parti in vista dell’utilizzazione delle intercettazioni che coinvolgano il parlamentare – ben possa essere celebrata di fronte al giudice dell’udienza preliminare (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 16 dicembre 2020-10 febbraio 2021, n. 5286).
A rilevare al fine dell’individuazione dell’autorità giurisdizionale tenuta a richiedere l’autorizzazione in parola, non è, quindi, l’astratta attribuzione di competenza al GIP, ma il concreto esercizio del potere di utilizzare il materiale probatorio costituito dalle intercettazioni, rispetto al quale il complesso degli adempimenti disciplinati dall’art. 6 della legge n. 140 del 2003 si pone a garanzia delle medesime prerogative del parlamentare intercettato, così da imporre una interpretazione non strettamente letterale del richiamato art. 6, comma 2.
Del resto, non è dubitabile che, nel caso di specie, al Giudice dell’udienza preliminare sia spettato di pronunciarsi sulla necessità di utilizzare le intercettazioni riguardanti il senatore Siri a seguito della richiesta espressamente avanzata in tal senso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma all’udienza preliminare del 14 aprile 2021.
Anche rispetto a tale profilo, pertanto, deve essere dichiarata l’ammissibilità del ricorso.
3.– Prospettando un’ulteriore eccezione di inammissibilità, la difesa del Senato della Repubblica ritiene che difetti anche il presupposto oggettivo del conflitto, perché la stessa possibilità di autorizzare ex post l’utilizzo delle intercettazioni captate fortuitamente si porrebbe fuori dall’alveo della garanzia contenuta nell’art. 68, terzo comma, Cost.
Ad avviso del resistente, infatti, la circostanza che l’art. 68, terzo comma, Cost. stabilisca unicamente un meccanismo di autorizzazione ad acta di tipo preventivo porterebbe a ritenere che il meccanismo di autorizzazione successiva all’utilizzo di intercettazioni che non siano state previamente autorizzate «aggir[erebbe] la volontà costituzionale», consentendo che il parlamentare «possa essere colto di “sorpresa” da circostanze meramente fortuite, là dove tale sorpresa è deliberatamente esclusa mediante la previsione costituzionale di autorizzazione ad acta».
Con tale eccezione di inammissibilità si prospetta, in sostanza, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, nella parte in cui consente l’utilizzabilità delle comunicazioni del parlamentare captate fortuitamente, perché esso contrasterebbe con «l’unica interpretazione costituzionalmente concepibile» dell’art. 68, terzo comma, Cost., secondo cui «le intercettazioni del parlamentare poss[o]no compiersi ed essere utilizzate laddove “preventivamente” autorizzate […] per evitare di turbare la funzionalità delle sue attività e conseguentemente quella dell’organo cui appartiene».
3.1.– Anche tale eccezione non è fondata, in ragione della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, che essa sottende.
L’assunto da cui muove il resistente è che l’art. 68, terzo comma, Cost. ammetterebbe, quale unica tipologia di intercettazioni potenzialmente utilizzabili in giudizio nei confronti dei membri del Parlamento, quelle oggetto di autorizzazione preventiva disciplinata dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003, con la conseguenza che le intercettazioni captate sulle utenze di soggetti non parlamentari cui abbiano preso parte membri del Parlamento dovrebbero ritenersi inutilizzabili in quanto, in radice, illegittimamente acquisite.
Tale assunto non può essere condiviso.
Nell’interpretazione e nell’applicazione delle previsioni mediante le quali è stata data attuazione all’art. 68, terzo comma, Cost., vale a dire, in primo luogo, gli artt. 4 (per le intercettazioni “dirette” e “indirette”) e 6 (per le intercettazioni “occasionali”) della legge n. 140 del 2003, questa Corte si è costantemente attenuta al principio per cui la garanzia costituzionale «non mira a tutelare un diritto individuale, ma a proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita, in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell’autonomia e dell’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti a favore delle persone investite della funzione (sentenza n. 9 del 1970)» […].
Con riguardo alle intercettazioni direttamente o indirettamente mirate all’ingresso delle autorità preposte alle indagini nella sfera comunicativa del parlamentare, l’autorizzazione preventiva è strumentale alla salvaguardia delle funzioni parlamentari, «volendosi impedire che l’ascolto di colloqui riservati da parte dell’autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività», senza che abbia rilievo la finalità di salvaguardia della riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale, posto che quest’ultimo diritto «trova riconoscimento e tutela, a livello costituzionale, nell’art. 15 Cost., secondo il quale la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge» […].
Per le intercettazioni che occasionalmente coinvolgano un parlamentare, perché effettuate sull’utenza di soggetti terzi, «l’eventualità che l’esecuzione dell’atto sia espressione di un atteggiamento persecutorio – o, comunque, di un uso distorto del potere giurisdizionale nei confronti del membro del Parlamento, volto ad interferire indebitamente sul libero esercizio delle sue funzioni – resta esclusa, di regola, proprio dalla accidentalità dell’ingresso del parlamentare nell’area di ascolto» […].
L’inciso «di regola», che secondo la difesa del Senato della Repubblica testimonierebbe l’intrinseca portata lesiva di questa tipologia di intercettazioni per la serenità dello svolgimento del mandato, va inteso unicamente nel senso che la valutazione operata dal giudice intorno alla casualità delle captazioni non è assoluta e insindacabile, ben potendo la Camera cui appartiene il parlamentare – come, del resto, avvenuto nel caso di specie e, di recente, nel conflitto deciso con la sentenza n. 157 del 2023 – contestarne l’erroneità, adducendo il carattere “mirato” delle stesse.
Ciò detto, questa Corte, nella richiamata sentenza n. 390 del 2007, a più riprese evocata dalla difesa del Senato della Repubblica a sostegno delle proprie tesi, ha ritenuto che un simile vaglio ad opera dell’assemblea parlamentare presenta, semmai, il rischio di spostare in sede parlamentare «un sindacato che trova la sua sede naturale nell’ambito dei rimedi interni al processo», con ciò evidentemente ritenendo che, in assenza della previsione legislativa che ha introdotto l’obbligo di autorizzazione successiva, per le intercettazioni captate fortuitamente dovesse valere il regime di utilizzabilità ordinariamente previsto per la generalità dei consociati.
Di conseguenza, non può in alcun modo ricavarsi dal precetto costituzionale di cui all’art. 68, terzo comma, Cost., la possibilità – e, tanto meno, la necessità – che le intercettazioni diverse da quelle sottoposte al regime di autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003, per il solo fatto di coinvolgere un parlamentare, siano da ritenersi illegittimamente acquisite.
4.– Prima di esaminare nel merito le ragioni poste a fondamento del ricorso, è necessario ripercorrere sinteticamente i fatti da cui trae origine il presente conflitto.
4.1.– Esso scaturisce da un’indagine avviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo (n. 12460 del 2017 R.G.N.R. D.D.A.) a seguito delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, relative alle attività imprenditoriali riconducibili a P.F. A., nelle quali sarebbero state convogliate risorse derivanti da attività illecite, di sospetta provenienza mafiosa.
Nell’ambito di questa attività d’indagine, a partire dal maggio 2018 sarebbero emersi contatti telefonici tra P.F. A. e il senatore Siri, il quale solo il 13 giugno 2018 aveva assunto le funzioni di Sottosegretario di Stato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
A seguito della captazione di una conversazione ambientale intercorsa il 10 settembre 2018 tra P.F. A., il figlio di quest’ultimo, F. A., e un altro coimputato, emergeva altresì l’intenzione di “ricompensare” con 30.000,00 euro l’attività asseritamente svolta dal senatore Siri in vista del sostegno a un emendamento legislativo volto a favorire gli interessi imprenditoriali degli imputati, attivi nel settore delle energie rinnovabili.
A seguito di tale captazione, il senatore Siri è stato iscritto nel registro degli indagati in data 25 settembre 2018 per il reato di corruzione, in concorso con P.F. A. Di conseguenza, la sua posizione – insieme a quella del coimputato – è stata stralciata e i relativi atti sono stati trasferiti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma (nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R.).
Successivamente, secondo quanto si ricava dalla documentazione prodotta in giudizio dal ricorrente e dalla difesa del Senato della Repubblica, in data 11 aprile 2019 è stata inviata al senatore Siri l’informazione di garanzia con la contestazione delle ipotesi accusatorie e, negli stessi giorni, sono stati inviati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma i brogliacci e le trascrizioni relative ad alcune intercettazioni di interesse investigativo, tra cui quelle captate il 10 settembre 2018.
A seguito della conclusione delle indagini preliminari in data 30 settembre 2020, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha provveduto a chiedere, con atto depositato il 23 dicembre 2020, il rinvio a giudizio nei confronti, tra gli altri, del senatore Siri, per le riferite ipotesi accusatorie, riportando tra le fonti di prova «intercettazioni telefoniche e ambientali».
All’udienza preliminare del 14 aprile 2021, il pubblico ministero ha chiesto di utilizzare in giudizio il complesso delle intercettazioni acquisite dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.
Con ordinanza del 23 giugno 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha tuttavia accolto la richiesta limitatamente alle captazioni effettuate in un momento antecedente all’iscrizione del senatore Siri nel registro degli indagati, «ritenendo che per quelle successive sarebbe stata necessaria l’autorizzazione preventiva», e ha provveduto, per l’effetto, a richiedere al Senato della Repubblica, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, l’autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni captate nel periodo intercorso tra il 15 maggio e il 6 agosto 2018, per un totale di otto captazioni.
4.2.– Il Senato della Repubblica, con deliberazione assunta in data 9 marzo 2022, ha negato l’autorizzazione, rilevando, in primo luogo, che in relazione alle intercettazioni captate il 15 maggio 2018 sussistesse «la incerta e implausibile configurazione del requisito della necessità», perché l’ipotesi di reato ascritta al senatore Siri non avrebbe tenuto conto del fatto che questi, all’epoca dei fatti e delle intercettazioni in questione, non aveva ancora assunto la carica di Sottosegretario di Stato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da ciò facendone discendere la contraddittorietà e lacunosità della motivazione a sostegno della richiesta di autorizzazione.
In secondo luogo, e in relazione alle restanti intercettazioni, la deliberazione del Senato della Repubblica ha rilevato il difetto del requisito della occasionalità, perché l’autorità procedente, dopo le due prime intercettazioni, avrebbe dovuto agevolmente rendersi conto, per il numero e la frequenza delle conversazioni, del possibile coinvolgimento di un parlamentare, con la conseguenza che avrebbe dovuto sospendere immediatamente l’effettuazione delle captazioni, in quanto afferenti ad un ambito rientrante nel novero delle attività di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003, sottoposte al regime dell’autorizzazione preventiva.
5.– Ciò premesso, il ricorrente ritiene, innanzi tutto, che il Senato della Repubblica abbia travalicato le proprie attribuzioni nel momento in cui ha ravvisato la non necessità probatoria delle due intercettazioni effettuate il 15 maggio 2018.
La contestazione del ricorrente è formulata con riguardo alla statuizione assunta dal Senato della Repubblica, che ha ritenuto di assumere la ricordata motivazione con riguardo alle due captazioni del 15 maggio 2018 e non anche a quella intervenuta il 17 maggio successivo.
La difesa del Senato, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, sembra attrarre nella valutazione di non rilevanza delle captazioni del 15 maggio anche quella del 17 maggio 2018. Tuttavia, all’evidenza, i limiti del conflitto proposto dall’autorità giudiziaria sono definiti dalla deliberazione dell’Assemblea parlamentare che ha negato l’autorizzazione ex art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, sicché esula da tale ambito la conversazione del 17 maggio, per la quale l’autorizzazione è stata negata sulla base del diverso presupposto della natura indiretta di quella captazione, così come delle altre cinque alle quali si riferiva la richiesta di autorizzazione.
6.– Il motivo di ricorso concernente questo primo capo della deliberazione di diniego dell’autorizzazione richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 6, comma 2, della citata legge è fondato.
6.1.– Secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, «[l]’art. 6 della legge n. 140 del 2003 non assegna al Parlamento un potere di riesame di dati processuali già valutati dall’autorità giudiziaria. Consente, tuttavia, alle Camere di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio e che non sia, dunque, pretestuosa. A tal fine, la Camera alla quale appartiene il parlamentare le cui conversazioni siano state captate deve accertare che il giudice abbia indicato gli elementi su cui la richiesta si fonda – ovvero, “da un lato, le specifiche emergenze probatorie fino a quel momento disponibili e, dall’altro, la loro attitudine a fare sorgere la ‘necessità’ di quanto si chiede di autorizzare” – e che la asserita necessità dell’atto sia “motivata in termini di non implausibilità” (sentenza n. 188 del 2010)» […].
6.2.– Nel caso di specie, la valutazione operata dal Giudice ricorrente, al momento di chiedere l’autorizzazione al Senato della Repubblica, intorno alla necessità probatoria delle intercettazioni in questione, deve ritenersi non implausibile, soprattutto in quanto il ricorrente ha evidenziato che tutte le intercettazioni sarebbero «astrattamente rappresentative del contesto spazio temporale in cui avrebbe operato il Senatore e il Sottosegretario Armando Siri a seguito della consegna o promessa di denaro nelle modalità e finalità illecite prospettate dalla pubblica accusa».
6.3.– Non può, d’altra parte, valere a smentire la non implausibilità della richiesta la circostanza che, al 15 maggio 2018, il senatore Siri non avesse ancora rivestito la carica di sottosegretario, non ricavandosi in alcun modo, dalle ipotesi accusatorie poste a fondamento della richiesta di autorizzazione, la rilevanza di tale elemento.
Nel momento in cui, pertanto, il Senato della Repubblica ha ritenuto di negare l’autorizzazione in parola ponendo a fondamento della sua deliberazione l’anteriorità delle conversazioni intercettate rispetto all’assunzione dell’incarico di sottosegretario, ha menomato le attribuzioni del Giudice ricorrente, in quanto ha preteso di valutare autonomamente le condotte ascritte al parlamentare, anziché operare un vaglio, nei termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, sulle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni.
6.4.– Né, da ultimo, ha fondamento la tesi sostenuta dalla difesa del Senato della Repubblica con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica del 21 maggio 2024, secondo cui l’attività svolta dal parlamentare Siri quando questi era “solamente” senatore, consistente nella presentazione e nel sostegno di emendamenti legislativi, non potrebbe costituire, a monte, «una condotta rilevante ai fini dell’utilizzazione delle intercettazioni, attesa la previsione costituzionale di cui al comma 1 dell’art. 68 Cost.».
In sostanza, secondo la difesa del Senato, l’attività materiale in relazione alla quale il senatore Siri è stato tratto a giudizio – e nella quale si sarebbe tradotto il presunto rapporto corruttivo tra lui e gli altri imputati – rientrerebbe sicuramente, per il periodo antecedente all’assunzione dell’incarico di sottosegretario, tra quelle tipiche della funzione del parlamentare, per le quali l’art. 68, primo comma, Cost., stabilirebbe una totale irresponsabilità, con la conseguenza che ciò renderebbe «ex se irrilevanti e inutilizzabili le intercettazioni che abbiano tale attività come oggetto, non potendosi da esse ricavare, nemmeno in ipotesi, alcuna responsabilità del parlamentare».
Sul punto, è sufficiente rilevare che, nella fattispecie in esame, lo svolgimento di atti tipici della funzione – come la presentazione e il sostegno di emendamenti legislativi – non ha rilievo di per sé come fatto direttamente generatore della responsabilità, ma quale presupposto di un fatto di reato non commesso nell’esercizio della funzione e, pertanto, estraneo al novero delle attività che rinvengono nel diritto parlamentare il loro unico regime qualificatorio, perché costituito dal preteso accordo corruttivo da cui deriverebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, l’asservimento del ruolo di pubblico ufficiale del senatore Siri a interessi privati.
Come chiarito da questa Corte, infatti, l’immunità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. per i voti dati opera unicamente in relazione a quei «comportamenti dei membri delle Camere» che trovano «nel diritto parlamentare la loro esaustiva qualificazione, nel senso che non esista alcun elemento del fatto che si sottragga alla capacità qualificatoria del regolamento», restando invece inoperante allorché vi sia un «elemento o frammento della concreta fattispecie che coinvolga beni o diritti che si sottraggano all’esaustiva capacità classificatoria del regolamento parlamentare», individuando quali esempi di tale evenienza quel che «accadrebbe, ad esempio, in presenza di episodi di lesioni, minacce, furti ai danni di parlamentari, corruzione, ecc.» (sentenza n. 379 del 1996).
Del resto, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che integra il reato di corruzione per l’esercizio della funzione, anche secondo la previgente formulazione dell’art. 318 cod. pen., la condotta del parlamentare che accetti la promessa o la dazione di utilità in relazione all’esercizio della sua funzione e, quindi, per il compimento di un atto del proprio ufficio (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenze 2 luglio-11 settembre 2018, n. 40347 e 6 giugno-24 luglio 2017, n. 36769).
6.5.– Deve, pertanto, dichiararsi che non spettava al Senato della Repubblica negare, con la deliberazione del 9 marzo 2022 […], l’autorizzazione, richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore all’epoca dei fatti, le comunicazioni captate nei giorni 15 maggio 2018 […], nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, nel quale il predetto parlamentare risulta imputato.
7.– In relazione alle restanti intercettazioni, il Senato della Repubblica fa valere che, dopo le prime captazioni effettuate nel maggio 2018, la Procura procedente avrebbe dovuto, alla stregua di criteri di plausibilità e ragionevolezza, rendersi conto del coinvolgimento di un parlamentare e conseguentemente avrebbe dovuto sospendere immediatamente le captazioni, considerato che la successione di conversazioni in un arco temporale ridotto «costituisce ragionevolmente un elemento sistematico rilevante circa l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare ed il terzo».
Il ricorrente contesta questo assunto, nel presupposto che le interlocuzioni captate dopo i primi contatti avvenuti il 15 maggio 2018 avrebbero avuto natura del tutto sporadica e «apparivano assolutamente neutre dal punto di vista penale, trattandosi di mere sollecitazioni di iniziative parlamentari», che avrebbero assunto una specifica rilevanza probatoria unicamente a seguito dell’intercettazione ritenuta indiziante, captata il 10 settembre 2018.
8.– Anche con riguardo a tale profilo, il ricorso è fondato.
8.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, al fine di sceverare le intercettazioni cosiddette “indirette”, sottoposte all’autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003, da quelle “occasionali”, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 6 della medesima legge, è necessario «tenere conto, sebbene in via solamente esemplificativa, “dei rapporti intercorrenti tra parlamentare e terzo sottoposto a intercettazione, avuto riguardo al tipo di attività criminosa oggetto di indagine; del numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare; dell’arco di tempo durante il quale tale attività di captazione è avvenuta, anche rispetto ad eventuali proroghe delle autorizzazioni e al momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare”» […]
In base all’orientamento approfondito nella giurisprudenza più recente, questi indici assumono, peraltro, una portata orientativa per valutare il mutamento della direzione dell’atto di indagine, «essendo a tal fine dirimente la circostanza che, a carico del parlamentare, emergano elementi idonei a dimostrare l’intenzione delle autorità procedenti di approfondire, tramite l’attività di intercettazione, la sua posizione in vista del possibile esercizio dell’azione penale» […]: e ciò tanto più tenuto conto che «l’emersione di indizi di reità a carico del parlamentare è un fattore che può concorrere a determinare, in seno all’autorità giudiziaria, un mutamento di obbiettivi, “nel senso che – in ragione anche dell’obbligo di perseguire gli autori dei reati – le ulteriori intercettazioni potrebbero risultare finalizzate, nelle strategie investigative dell’organo inquirente, a captare non più (soltanto) le comunicazioni del terzo titolare dell’utenza, ma (anche) quelle del suo interlocutore parlamentare, per accertarne le responsabilità penali” (sentenza n. 113 del 2010)» […].
8.2.– Alla luce di tali indicazioni, che questa Corte ribadisce, deve ritenersi che l’ingresso nell’area di ascolto del senatore Siri sia del tutto occasionale, perché non sussiste alcuno degli elementi sintomatici che inducono a ritenere che il reale obiettivo delle autorità preposte alle indagini fosse quello di accedere indirettamente alle comunicazioni che questi ha avuto, nel periodo in considerazione, con l’altro imputato P.F. A.
In primo luogo, occorre ricordare che l’ipotesi di reato per cui procedeva, in origine, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo aveva ad oggetto il supposto reimpiego di capitali di provenienza mafiosa in attività economiche nel settore delle energie rinnovabili e, in particolare, muoveva dall’ipotesi accusatoria per cui soggetti vicini ad ambienti della criminalità organizzata fossero soci occulti di P.F. A. nelle sue società: nulla, pertanto, che possa far intravedere un collegamento – attuale o anche solo potenziale – con la posizione del senatore Siri.
In secondo luogo, le conversazioni captate risultano contraddistinte, nella prospettiva della frequenza e dell’abitualità dei contatti, da una certa sporadicità, sia con riguardo al numero complessivo delle intercettazioni captate e di cui è richiesto l’utilizzo (sei), sia alla loro distribuzione temporale (una a maggio, una a luglio e quattro in agosto); sporadicità che, certamente, non viene meno anche ove si considerino le altre due captazioni avvenute il 15 maggio 2018, di cui si è già detto.
In terzo luogo, non erra il ricorrente nell’affermare che il contenuto delle conversazioni risulta, in sé e per sé considerato, del tutto neutro da un punto di vista penale, non potendosi ritenere precluso a un soggetto che riveste il mandato parlamentare ricevere indicazioni o comunque sollecitazioni in ordine al contenuto degli atti che contribuisce a formare, ivi compresi quelli di natura legislativa. Tanto più che, secondo quanto risulta dagli atti, P.F. A. agiva anche in qualità di rappresentante di un’associazione di categoria e, pertanto, ben poteva ritenersi portatore di interessi legittimamente veicolabili tramite le modalità seguite nel caso di specie.
In quarto e ultimo luogo, le intercettazioni in questione, fermo quanto affermato sinora, assumono un valore diverso solamente a partire dal momento in cui, per effetto della riferita intercettazione ambientale del 10 settembre 2018, emergono indizi secondo i quali quegli accordi – pur di per sé potenzialmente legittimi – diventano oggetto di un asserito patto corruttivo, ciò che determina, ma solo a partire da tale momento, un mutamento della direzione degli atti di indagine, tale da indurre il Giudice dell’udienza preliminare a negare correttamente la possibilità di utilizzare in giudizio le intercettazioni captate successivamente a tale data, perché ormai connotate dall’intenzione delle autorità preposte alle indagini di accedere alla sfera di comunicazione del senatore Siri in quanto soggetto attinto da indizi di reità.
8.3.– La fondatezza delle ragioni contenute nel ricorso non è scalfita dalla documentazione prodotta in giudizio dalla difesa del Senato della Repubblica, secondo la quale – stando a una relazione della Direzione investigativa antimafia di Trapani del 6 marzo 2018, depositata agli atti del procedimento allora incardinato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo – vi erano evidenze di contatti e di consuetudine di rapporti tra il senatore Siri e P.F. A. già in un momento antecedente alla prima intercettazione del 15 maggio 2018.
In particolare, nel corso di una conversazione captata tra P.F. A. e il figlio F. A. il 28 ottobre 2017, il primo riferiva al secondo di una imminente visita in Sicilia, per ragioni elettorali, di Siri e del segretario del suo partito, in occasione della quale si ripromettevano di incontrarsi per una cena.
Inoltre, sempre la difesa del Senato della Repubblica rappresenta che – secondo quanto emerge da una relazione della DIA di Trapani del 24 settembre 2018, che accede al provvedimento di stralcio della posizione processuale di Siri e di trasferimento delle indagini alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma – le autorità inquirenti venivano a sapere da conversazioni captate nei primi mesi del 2018 (cui partecipavano solamente gli originari indagati del procedimento principale) che P.F. A. «auspicava la formazione di una maggioranza di governo formata da esponenti della Lega, perché ciò gli avrebbe consentito di proporre alcuni interventi normativi per aumentare gli incentivi riconosciuti ai produttori di energia da fonte eolica».
Secondo la difesa del Senato, tali atti di indagine dimostrerebbero la consapevolezza delle autorità inquirenti che, nel disegno criminoso perseguito dagli allora imputati, sarebbe prevedibilmente potuto rientrare anche il coinvolgimento di un uomo politico quale il senatore Siri, del quale erano note all’autorità le posizioni di vicinanza con l’imprenditore P.F. A., al fine di ottenere provvedimenti favorevoli ai loro interessi economici.
8.3.1.– Questi elementi, tuttavia, non valgono a smentire quanto rilevato in precedenza, perché non appaiono tali da dimostrare l’insorgenza, in capo alle autorità inquirenti, di un mutamento di direzione dell’atto di indagine in una fase temporale antecedente alla intercettazione del 10 settembre 2018, alla quale risalgono quelle per le quali è stata chiesta l’autorizzazione alla utilizzazione nel giudizio da cui promana il presente conflitto.
La comparsa del nome del senatore Siri negli atti di indagine deve, infatti, ritenersi del tutto episodica e, soprattutto, materialmente e teleologicamente scollegata dall’ambito delle ipotesi accusatorie per le quali procedevano, in quella fase, le autorità inquirenti palermitane.
La circostanza che P.F. A. vantasse, nell’ottobre 2017, conoscenze con un esponente politico come Armando Siri e successivamente, nell’aprile 2018, mostrasse di auspicare la formazione di una maggioranza di governo della quale facesse parte anche il partito politico cui egli apparteneva, infatti, non può ritenersi sufficiente a dimostrare che, già in quel momento, le autorità inquirenti mirassero ad accedere alla sfera comunicativa del parlamentare, anche perché la semplice e occasionale esibizione di una conoscenza da parte di P.F. A. non vale a connotare, ove non accompagnata da ulteriori e più significativi elementi, la direzione seguita dalle indagini in quanto preordinata a captare le comunicazioni del parlamentare.
Tanto più che, come già rilevato, la condotta del senatore Siri è rimasta indenne dalla tipologia di accuse mossa allora agli imputati e non ha assunto alcuna rilevanza penale prima delle evidenze investigative emerse in occasione dell’intercettazione del 10 settembre 2018.
9.– Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi sussistente la menomazione delle proprie attribuzioni lamentata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, in relazione al non corretto esercizio, da parte del Senato della Repubblica, del potere a questi assegnato dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, in relazione alla qualificazione delle intercettazioni in esame come aventi natura indiretta.
Analogamente a quanto già affermato da questa Corte nella sentenza n. 157 del 2023, una volta escluso che le intercettazioni captate successivamente al 15 maggio 2018 per le quali è stata invocata l’autorizzazione ex post fossero inutilizzabili perché effettuate in violazione dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, la richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, odierno ricorrente, necessita di una nuova valutazione, da parte del Senato della Repubblica, in ordine alla «sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della medesima legge».
Occorre, peraltro, ribadire anche in questa occasione come l’ulteriore esercizio del potere di autorizzazione dovrà conformarsi al canone di leale collaborazione istituzionale, al quale i poteri in conflitto si sono d’altronde finora attenuti.
10.– In conclusione, deve dichiararsi che non spettava al Senato della Repubblica negare, con la medesima deliberazione del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10), l’autorizzazione, richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore della Repubblica all’epoca dei fatti, le intercettazioni captate nei giorni 17 maggio 2018 (prog. 2618), 17 luglio 2018 (prog. 5760), 4 agosto 2018 (prog. 5997) e 6 agosto 2018 (prog. 6043, 6044 e 6090), nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R., nel quale il predetto parlamentare risulta imputato.