Corte di Cassazione, Sez. II penale, ud. dep. 27 febbraio 2025, n. 8022
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) costituisce deficienza psichica la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensità tale da agevolare la suggestionabilità della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie
Inoltre, il risultato dell’approfittamento dello stato di infermità o di deficienza psichica della vittima rilevante a norma dell’art. 643 c.p. può consistere anche nella stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, sempre che tra queste sia rinvenibile uno squilibrio economico a danno dell’incapace.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Quanto al primo motivo di ricorso, […] la motivazione della Corte di appello, che ha ricostruito in modo analitico e logico gli accertamenti espletati, la portata degli stessi, i criteri seguiti nel valutare le condizioni del ricorrente sulla base degli elementi acquisiti agli atti a fronte di una serie di elementi estremamente significativi, che, letti in chiaro combinato disposto tra loro, in modo logico e persuasivo e in assenza di contraddizioni, hanno portato a ricostruire in modo inequivoco:
– lo stato di circonvenibilità già al momento del primo incontro presso lo studio del difensore[…];
– la piena conoscenza delle condizioni della persona offesa tenuto conto delle complessive circostanze del sinistro che lo aveva coinvolto e della gravità delle lesioni riportate, già oggettivamente emergenti e chiaramente comprensibili sulla base della mera lettura dalla cartella clinica, a prescindere da qualsiasi ulteriore e sopravvenuto accertamento peritale;
– la progressiva e consapevole intensificazione delle condotte di pressione e approfittamento da parte del ricorrente, tanto da indurlo a sottoscrivere una procura speciale, piuttosto che ad aprire un conto corrente, come sarebbe stato normale prassi, al fine di far confluire l’indennizzo conseguente al grave infortunio stradale nella immediata disponibilità del cliente piuttosto che del legale o di soggetto del tutto estraneo come l’accompagnatore C. (si afferma in giurisprudenza che, in tema di circonvenzione di persone incapaci, il rilascio di una procura generale alla gestione del patrimonio, atto di per sé “neutro”, integra l’elemento materiale del reato laddove, all’esito di una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso concreto, si accerti che l’imputato ha indotto la persona offesa a conferirgliela attraverso la manipolazione della sua volontà vulnerabile, onde compiere successivamente atti di disposizione patrimoniali contrari all’interesse del delegante: Sez. 2, n. 26727 del 10/05/2023, G., Rv. 284767-02);
– la chiara inconsapevolezza da parte della persona offesa in ordine al contenuto dell’accordo sul corrispettivo, attesa la sua portata economica, la sua evidente illegittimità in quanto patto di quota lite, tenuto conto della specifica considerazione dei parametri tariffari di riferimento[…]
– la natura evidentemente non lecita della quota così stabilita […]
1.1. Né ricorre l’asserita erronea considerazione dei presupposti per giungere ad applicare la disciplina di cui all’art. 643 cod. pen., aggravata dalla qualifica professionale svolta dal ricorrente.
1.2. Al riguardo, è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, agli effetti dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen., la relazione di prestazione d’opera corrisponde ad un concetto più ampio di quello di locazione d’opera a norma della legge civile e comprende ogni specie di attività, materiale ed intellettuale, che abbia dato luogo a quell’affidamento nel corso del quale si è verificata la condotta criminosa (Sez. 2, n. 5257 del 13/12/2005, dep. 2006, Rotolo, n.m.).
1.3. Sotto altro profilo, è stata evidenziata la necessità di accertare, per la sussistenza dell’aggravante, che la relazione tra le parti sia connotata da un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza (Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, Chatbi, Rv. 255792-01).
- Anche il secondo motivo di ricorso – relativo al travisamento della prova dichiarativa quanto alla sussistenza della condotta induttiva ed ingiustizia del profitto, con conseguente violazione di legge e vizio della motivazione proposto genericamente in tutte e tre le sue forme – si presenta all’evidenza, ancora una volta, come una generica richiesta di rilettura del merito non consentita in questa sede. […]
2.1. Invero, come correttamente evidenziato dal giudice di appello, il ricorrente era pienamente a conoscenza dello stato di indebolimento e degrado cognitivo della persona offesa, della sua fragilità emotiva evidentemente valorizzata in considerazione dell’essere lo stesso – come si è detto – costantemente accompagnato agli incontri presso lo studio legale con persona estranea, che si intrometteva nella gestione dei suoi interessi patrimoniali, del suo bisogno di sentirsi assistito proprio a causa delle sue condizioni, riponendo incondizionata fiducia nel C. e nel difensore dallo stesso indicato. […]
2.2. La Corte di appello ha, quindi, ritenuto, con motivazione del tutto priva di illogicità manifeste che non si presta a censure in questa sede, la vulnerabilità della persona offesa, oggettivamente riscontrata sulla base della documentazione nella disponibilità del ricorrente proprio in considerazione dell’incarico dallo stesso ricevuto e immediatamente percepibile proprio tenuto conto di una serie di condotte, conseguenza della pressione esercitata dal ricorrente sul V., che portavano alla possibilità di ottenere nell’espletamento dell’incarico difensivo somme del tutto sproporzionate e non correlate ad alcun reale rapporto di dare e avere tra le parti, anche dal punto di vista professionale, richiamando in modo specifico la illiceità del patto quota lite così introdotto nel rapporto tra le parti, caratterizzato senza alcun dubbio dall’affidamento della persona offesa nei confronti del suo difensore.
2.3. Sul tema occorre ricordare che, come sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione civile (in particolare, Sez. 2 del 06/07/2022, n. 21420) il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.
2.4. Le Sezioni Unite, pronunciando in tema di impugnazione delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, hanno ritenuto che la prescrizione dell’art. 45 del codice deontologico avesse inteso prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui, sicché il giudice deve valutare se la stima effettuata dalle parti, all’epoca della conclusione dell’accordo, sia sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio (Sez. U civili del 25/11/2014, n. 25012, Rv. 633112-01; in senso conforme, Sez. U civili del 04/03/2021, n. 6002, Rv. 660834-02).
2.5. Il divieto del patto di quota lite è, quindi, integrato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi – così – quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.
La possibilità di pattuire tariffe speculative si accompagna quindi alla necessità dell’introduzione di particolari cautele sul piano deontologico, tese a prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui, anche per “distaccare” l’avvocato dagli esiti della lite, diminuendo la portata dell’eventuale commistione di interessi tra il cliente ed il legale (Sez. U civili n. 25012/2014, cit.).
2.6. Ne consegue (in tal senso di recente Sez. 2 civile del 04/09/2024, n. 23738) che il compenso supplementare può essere riconosciuto all’avvocato sulla base del cosiddetto palmario, quale componente aggiuntiva voluta ed attribuita in piena coscienza dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e la difficoltà della prestazione professionale (Sez. U civili del 08/06/2023, n. 16252; Sez. 2 civile del 26/04/2012, n. 6519) […]
- Anche con il terzo motivo di ricorso vengono proposte doglianze asseritamente volte a far rilevare la mancanza di motivazione quanto all’elemento soggettivo del reato, ancora una volta cercando di introdurre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede. […]
3.1. Il giudice di appello, in senso del tutto conforme alla sentenza di primo grado, ha chiaramente delineato la intenzionalità dell’agire del ricorrente nei confronti del V., la chiara previsione, coscienza e volontà della condotta posta in essere dallo stesso, così come la piena consapevolezza degli effetti conseguenti e dei vantaggi del tutto indebiti derivanti da tale contesto, caratterizzato da evidente affidamento della vittima al proprio legale. […]
3.2. La Corte di appello ha […] fatto corretta applicazione, nella articolata e logica valutazione del compendio istruttorio, del principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale costituisce deficienza psichica la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensità tale da agevolare la suggestionabilità della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie (Sez. 2, n. 21464 del 20/03/2019, D., Rv. 275781-01).
3.3. È stata, dunque, correttamente ritenuta la ricorrenza di una situazione di deficienza psichica della persona offesa a carattere oggettivo, che tuttavia non deve necessariamente essere percepita immediatamente da chiunque, atteso che la relativa consapevolezza è richiesta soltanto in capo all’autore del reato, che abbia instaurato con la predetta una conoscenza significativa (certamente ricorrente nel caso in esame) alla cui stregua si sia potuto rendere conto, anche per la sua anomalia e, dunque, particolare arrendevolezza, delle fragilità che la affliggono (Sez. 2, n. 4592 del 15/12/2021, D., Rv. 282587-01).
3.4. Dopo aver considerato tale complessa situazione, la particolare incidenza della stessa è stata certamente provata e riscontrata oltre ogni ragionevole dubbio, atteso l’evidente ed effettivo depauperamento delle consistenze patrimoniali della vittima e l’evidente ingiustizia del profitto realizzato dal ricorrente al quale la persona offesa si era affidata per la tutela delle proprie ragioni (Sez. 2, n. 22481 del 22/04/2021, P., Rv. 281451-01; Sez. 2, n. 20677 del 13/05/2022, D., 283337-01; Sez. 2, n. 31438 del 30/06/2022, C., 283676-01) […]
- Sono state dunque specificamente riscontrate le condizioni più volte richiamate dalla giurisprudenza di legittimità al fine di ritenere ricorrente il reato di cui art. 643 cod. pen., ovvero:
– la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico o deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali;
– l’induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in una apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all’atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto;
– l’abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l’agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza al fine di procurare a sé o ad altri un profitto (cfr., Sez. 2, n. 39144 del 26/03/2013, Alfaro Yepez, Rv. 257068-01; Sez. 2, n. 28080 del 12/06/2015, Benucci, Rv. 264146-01; Sez. 2, n. 8454 del 21/01/2019, D., Rv. 275612-01; Sez. 2, n. 4592 del 15/12/2020, D., Rv. 282587-01).
4.1. In particolare, si deve sottolineare che, per la sussistenza dell’elemento della induzione, non è richiesto l’uso di mezzi coattivi o di artifici e raggiri, ma è pur sempre necessaria una apprezzabile attività di pressione morale, di suggestione, di persuasione (come in particolare avvenuto nel caso in esame), cioè di spinta psicologica che non può ravvisarsi nella semplice richiesta al soggetto passivo di compiere un atto giuridico, come dimostra la circostanza valorizzata dalla Corte di appello di avere gestito la posizione della persona offesa non solo mediante un accordo volto a realizzare assistenza professionale, ma anche ad ottenere un compenso ulteriore secondo modalità non consentite e non comprensibili dalla persona offesa, per il tramite di attività dallo stesso ricorrente stimolate (come la circostanza valorizzata, in modo del tutto logico ed argomentato, di avere spinto la persona offesa a recarsi da un notaio per firmare una procura speciale a favore dello stesso per ricevere anche gli importi liquidati: cfr., Sez. 2, n. 28080 del 12/06/2015, Benucci, Rv. 264146-01; Sez. 2, n. 19834 del 01/03/2019, A., Rv. 276445-01; Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368-01; Sez. 2, n. 29641 del 20/07/2020, B., Rv. 279856-01). […]
4.2. Nel considerare il complesso di azioni che ha caratterizzato l’accertamento della condotta contestata, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di circonvenzione di persone incapaci, debbono essere considerate, per verificare la sussistenza dell’elemento dell’induzione, non solo le condotte tenute dall’imputato al momento della commissione degli atti pregiudizievoli, ma anche tutto ciò che è accaduto successivamente, in quanto indice rivelatore di un antecedente approfittamento della minorata capacità psichica della persona offesa (Sez. 2, n. 32547 del 14/06/2024, S., Rv. 286886-01).
4.3. Il giudizio di merito ha infatti dimostrato, con motivazione del tutto immune da manifesta illogicità ed in assenza dei travisamenti genericamente dedotti, la ricorrenza dell’induzione ed ha correttamente applicato il principio di diritto che qui si intende ribadire secondo il quale il risultato dell’approfittamento dello stato di infermità o di deficienza psichica della vittima rilevante a norma dell’art. 643 cod. pen. può consistere anche nella stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive, sempre che tra queste sia rinvenibile uno squilibrio economico a danno dell’incapace (Sez. 5, n. 771/1976, cit.).