In tema di ripetizione di indebito oggettivo di cui all’art 2033 cod. civ., deve essere attribuita continuità a quell’orientamento giurisprudenziale in forza del quale il passaggio in giudicato della sentenza di condanna al pagamento, così come della sentenza che, chiudendo il processo di esecuzione, approvi il piano di riparto ovvero assegni i beni ai creditori, precludono l’esperimento,da parte del debitore, dell’azione di ripetizione. In effetti tale preclusione risponde alla ratio di certezza e stabilità dell’assetto regolamentare impresso dal giudicato.
Consegue da ciò che il pagamento effettuato all’esito della notificazione dell’atto di precetto o successivamente all’atto di pignoramento, al fine di evitare l’espropriazione, costituiscono forme di adempimento spontaneo che non precludono processualmente il successivo esperimento dell’azione di ripetizione.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 342 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., n. 4”.
La società ricorrente deduce che l’appello dell’A. avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c., in quanto non sufficientemente specifico.
Il motivo è infondato.
L’appello – secondo quanto si evince dal contenuto dello stesso, trascritto nel ricorso – è da ritenere sufficientemente specifico, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., come interpretato nella giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte (“Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”: Cass., Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991 – 01; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018, Rv. 648722 – 01), in quanto da esso emergono con chiarezza sia le questioni oggetto di contestazione, sia le doglianze relative alla decisione impugnata.
- Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e degli artt. 615, 487 e 510 c.p.c., nonché dell’art. 24 Cost. ex art. 360 c.p.c., n. 3; nullità della sentenza di appello e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione degli artt. 615, 487 e 510 c.p.c., nonché dell’art. 24 Cost.”.
La società ricorrente contesta la decisione impugnata, nella parte in cui la corte di appello ha affermato (con riguardo all’azione di ripetizione di indebito avanzata ai sensi dell’art. 2033 c.c. per gli importi richiesti e pagati direttamente all’A. , in proprio) che la preclusione all’azione di ripetizione di indebito da parte del debitore – che si determina, secondo la giurisprudenza di questa Corte, all’esito della definizione del processo di espropriazione forzata, con l’attribuzione al creditore delle somme dovute – vale anche in caso di pagamento spontaneo, se avvenuto a seguito di intimazione di precetto di pagamento, per la possibilità del debitore intimato di proporre l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c..
Il motivo è manifestamente fondato.
L’indirizzo di questa Corte richiamato a sostegno dell’affermazione della corte di appello – indirizzo che non è in discussione nella presente sede – è fondato sull’applicazione del principio della preclusione processuale in relazione al provvedimento giurisdizionale che definisce il processo esecutivo con la definitiva approvazione del piano di riparto e/o l’assegnazione ai creditori degli importi dovuti e liquidati in loro favore.
Si tratta di un principio generale più ampio e generale di quello che sta alla base della preclusione derivante dal giudicato, ma la cui ratio comune è quella di assicurare stabilità ai risultati del processo (sia esso di cognizione che di esecuzione).
È quindi evidente che, proprio per la sua stessa ratio, tale principio non potrebbe essere in alcun modo esteso al di là dell’ipotesi in cui l’adempimento dell’obbligazione sia avvenuto in via coattiva, all’esito – ed in virtù – di un processo esecutivo ormai definitivamente chiuso con la soddisfazione almeno parziale dei creditori procedenti (fatti salvi, naturalmente, gli esiti delle opposizioni e dei rimedi endoprocessuali promossi nel suo ambito ed eventualmente ancora pendenti al momento della chiusura, o addirittura successivi alla stessa, in quanto idonei ad incidere sui relativi risultati).
Il pagamento spontaneo che eventualmente avvenga all’esito dell’intimazione del precetto di pagamento (pacificamente ritenuto atto stragiudiziale, d’altronde) non costituisce atto di adempimento coattivo che avviene nè all’esito, nè in virtù di un processo esecutivo; ed altrettanto è a dirsi per il pagamento spontaneo che eventualmente avvenga, anche dopo il pignoramento, ma prima della definizione del processo esecutivo, o per il pagamento effettuato allo scopo di evitare il pignoramento stesso.
In tutte queste ipotesi non possono sussistere preclusioni di natura processuale.
È altresì opportuno precisare che, nell’ottica fin qui esposta, non può attribuirsi alcun rilievo preclusivo, con riguardo all’azione di ripetizione di indebito, alla possibilità per l’intimato di proporre l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c., esattamente come non ha valore preclusivo, in generale, la possibilità di proporre una azione di accertamento negativo delle eventuali pretese manifestate dal creditore in via stragiudiziale.
Conviene infatti ribadire ancora una volta che l’affermata preclusione derivante dalla definizione del processo di esecuzione forzata ha natura strettamente processuale, non sostanziale e, quindi, non solo presuppone necessariamente l’esistenza di un processo ma anche che tale processo sia regolarmente giunto alla sua regolare definizione, abbia cioè conseguito il suo esito ordinario e che il provvedimento giurisdizionale che esprime tale esito non sia più modificabile sulla base dei rimedi endoprocessuali esperibili dalle parti.
La decisione impugnata va pertanto cassata e va formulato in proposito il seguente principio di diritto, cui dovrà attenersi la corte di appello in sede di rinvio:
“deve considerarsi spontaneo (e non avvenuto coattivamente, all’esito ed in virtù di un processo esecutivo) l’adempimento dell’obbligazione posto in essere a seguito di intimazione di precetto di pagamento, così come quello che eventualmente avvenga anche dopo il pignoramento, ma prima che il processo esecutivo sia definito con la distribuzione del ricavato della vendita dei beni pignorati o della relativa assegnazione, nonché quello effettuato allo scopo di evitare il pignoramento stesso, onde, in tutte tali ipotesi, non può in alcun modo ritenersi preclusa – in virtù del pagamento stesso – la successiva ordinaria azione di ripetizione di indebito; a tal fine, nessun rilievo può attribuirsi alla possibilità per l’intimato di proporre opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., la quale resta un rimedio facoltativo la cui mancata proposizione non ha di per sé, sul piano sostanziale, alcun effetto preclusivo della possibilità per il debitore di esperire una successiva azione di ripetizione di indebito”.
- Il terzo motivo è rubricato come segue: “riproposizione delle deduzioni già formulate in ordine al secondo motivo di appello formulato dall’avv. A. , dichiarato assorbito nella sentenza impugnata”.
La censura ha ad oggetto gli importi richiesti nelle intimazioni di pagamento contestate a titolo di spese di precetto. La domanda di restituzione di tali importi, già accolta in primo grado e oggetto del gravame della società ricorrente, è stata ritenuta assorbita e non esaminata in secondo grado.
Il motivo è inammissibile, riguardando una questione che non è stata oggetto di decisione nella pronunzia impugnata.
D’altra parte, la corte di appello, in sede di rinvio, applicando i principi di diritto enunciati in relazione al motivo di ricorso che precede, e dovendo quindi ritenere ammissibile la domanda di ripetizione di indebito proposta nei confronti dell’A. , dovrà verificare in concreto gli importi effettivamente pagati dalla società intimata in eccesso rispetto a quanto dovuto sulla base dei titoli esecutivi e, quindi, dovrà prendere in esame anche la indicata questione (eventualmente anche tenendo conto, ai fini della verifica delle spese di precetto auto-liquidate dal creditore intimante, dell’effettivo valore del credito legittimamente richiesto).
- Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043, 2056 e 1227 c.c. ex art. 360 c.p.c., n. 3”.
Il motivo ha ad oggetto il rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla società ricorrente nei confronti dell’avvocato A. , con riguardo alle somme indebitamente pagate ai suoi assistiti, sulla base degli atti di precetto dallo stesso redatti.
Esso è inammissibile.
4.1 La corte di appello ha rigettato la domanda risarcitoria della società intimata sulla base di due distinte rationes decidendi, autonome ed entrambe sufficienti da sole (in astratto) a reggere la decisione.
4.2 Ha in primo luogo affermato che sarebbe da escludere in radice la configurabilità di una responsabilità extracontrattuale, in quanto il pagamento era stato spontaneo e gli atti di precetto non erano stati oggetto di opposizione. Sembra in tal modo ribadita l’erronea affermazione in diritto della preclusione dell’azione di ripetizione a seguito della mancata proposizione dell’opposizione all’esecuzione a seguito di intimazione di precetto di pagamento, già esaminata in relazione al secondo motivo del ricorso.
Si può quindi – per tale aspetto – fare semplicemente rinvio alle considerazioni esposte con riguardo al predetto motivo di ricorso, per concludere che tale ratio decidendi effettivamente non risulta conforme a diritto.
4.3 Vi è peraltro una ulteriore ratio decidendi espressa a sostegno del rigetto dell’azione risarcitoria, fondata sul difetto di allegazione, da parte dell’attrice, di una condotta colposa “di induzione” al pagamento del professionista che aveva redatto gli atti di precetto in contestazione.
In relazione a questa seconda ratio decidendi (idonea, da sola, a reggere la decisione), le censure formulate dalla società ricorrente non colgono nel segno.
Secondo la corte di appello, non è sufficiente, in diritto, che il procuratore della parte, nel redigere l’atto di precetto, indichi importi superiori a quelli che poi risultino effettivamente dovuti, per affermare una sua condotta colposa, rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., in rapporto di relazione causale con il danno eventualmente derivante al debitore dal pagamento dell’intero importo precettato in favore del creditore; è invece necessario che la condotta del professionista si concretizzi quanto meno in una colposa induzione al pagamento dell’importo non dovuto, condotta che va specificamente allegata e provata dal preteso danneggiato.
Nella specie, una siffatta specifica allegazione è stata ritenuta del tutto assente nella domanda di parte attrice, la quale si era limitata ad affermare che nei precetti redatti dall’avvocato A. erano stati richiesti importi eccedenti il dovuto.
Il principio di diritto sopra esposto, che costituisce evidentemente il fondamento giuridico della decisione impugnata, non è adeguatamente colto e criticato nel motivo di ricorso in esame.
La società ricorrente si limita, in realtà, semplicemente a ribadire ancora una volta, in modo del tutto assertivo – e quindi senza concretamente confrontarsi con l’argomentazione sopra esposta – che sussisterebbe la colpa del professionista laddove egli, in qualità di procuratore della parte creditrice, rediga un precetto di pagamento per importi superiori a quelli effettivamente dovuti, in ragione della sua stessa qualifica professionale e dei relativi obblighi di probità e correttezza.
Non chiarisce cioè se, e per quali ragioni, non sarebbe condivisibile l’affermazione in diritto della corte di appello, per cui non può affermarsi automaticamente, ai sensi dell’art. 2043 c.c., la responsabilità del legale che effettui, quale procuratore della parte, una richiesta che si riveli parzialmente infondata, nei confronti della controparte che spontaneamente vi adempia, solo per avere veicolato la suddetta pretesa, se non ricorra una condotta quanto meno colposa del professionista di induzione in errore della controparte.
Non viene in alcun modo chiarito – neanche nella presente sede – per quali ragioni la condotta del legale dovrebbe in tal caso ritenersi di per sé colposa e idonea ad indurre in errore il debitore intimato, e non si configuri invece come dovuta attività di adempimento dell’obbligo professionale di veicolare le pretese della parte rappresentata, eventualmente anche ove esse possano rivelarsi dubbie e/o non del tutto fondate, specie considerato che, ovviamente, la rappresentazione di pretese infondate a mezzo di un legale non può di per sé ritenersi una condotta idonea ad indurre in errore la controparte e quindi comportare in via automatica una responsabilità risarcitoria, tenuto conto della situazione di conflitto che, per definizione, sussiste tra le parti stesse nonché dei principi e delle specifiche disposizioni normative che regolano la responsabilità professionale dell’avvocato e, più in generale, la responsabilità processuale.
La parte ricorrente mostra dunque di non aver colto adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto in esame.
D’altra parte non viene neanche precisato, in fatto – di fronte al rilievo del difetto di allegazione dell’originaria domanda, operato dalla corte di appello – se e quali allegazioni sarebbero state eventualmente effettuate nell’atto introduttivo (o con eventuali tempestive successive precisazioni della domanda) a sostegno della prospettazione di una condotta colposa del professionista effettivamente idonea all’induzione in errore del debitore.
- Il quinto motivo è rubricato come segue: “Sulle spese di lite”.
Il motivo resta assorbito, in quanto la sentenza impugnata va cassata con rinvio e, quindi, la corte di appello dovrà nuovamente decidere anche in ordine alle spese dell’intero giudizio.
- È accolto il secondo motivo del ricorso, che è per il resto rigettato.
La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Corte di Cassazione, III, ordinanza dell’08.06.2021, n. 15963