Corte Costituzionale, sentenza 17 marzo 2021 n. 41
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
4.– Le questioni sollevate dalle due ordinanze di rimessione in massima parte si sovrappongono sia quanto alle disposizioni censurate, sia quanto ai parametri evocati, e sono comunque oggettivamente connesse.
Devono quindi essere riuniti i relativi due giudizi incidentali.
5.– Va preliminarmente affermato che sussistono le condizioni di ammissibilità delle questioni di costituzionalità sollevate da entrambe le ordinanze di rimessione sul piano della rilevanza.
Indubbio è infatti che le disposizioni censurate condizionano la ritualità della costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 del codice di procedura civile, delle pronunce impugnate nei giudizi a quibus, in quanto emesse da un collegio della corte d’appello con la partecipazione di un giudice ausiliario (ex multis, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 19 settembre 2014, n. 19741); ritualità contestata dalle parti ricorrenti in entrambi i giudizi di cassazione con distinto motivo di impugnazione.
La non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale è diffusamente e puntualmente argomentata nelle ordinanze di rimessione.
I dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Corte di cassazione si fondano, essenzialmente, sulla circostanza che la stabile destinazione dei giudici ausiliari di cui agli artt. 62 e seguenti del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, rientranti nella categoria dei giudici onorari, alla composizione dei collegi nelle corti d’appello, uffici presso i quali gli stessi sono istituiti in piante organiche ad esaurimento, potrebbe contrastare soprattutto con l’art. 106, secondo comma, Cost.; norma che, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, consentirebbe la partecipazione di giudici onorari ai collegi soltanto in via temporanea e per far fronte a situazioni eccezionali.
Inoltre, l’ordinanza iscritta al r.o. n. 84 del 2020 sottolinea che il dubbio di legittimità costituzionale sarebbe vieppiù corroborato tenendo conto di altre previsioni della Costituzione, come gli artt. 106, primo comma, e 102, primo comma, che prefigurano una chiara scelta per l’affidamento in via generale dell’esercizio della giurisdizione ai soli magistrati professionali. In sostanza, il secondo comma dell’art. 106 Cost. non potrebbe essere interpretato nel senso di legittimare l’assegnazione ai giudici onorari di tutte le funzioni che un giudice di carriera può esercitare in quanto tale, comprese quelle di componente di un organo collegiale, senza trasmodare i limiti entro i quali la Costituzione ha consentito, in via eccezionale, che giudici onorari possano partecipare all’esercizio della funzione giurisdizionale.
6.– All’esame delle questioni è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Nel dichiarato intento di ridurre la durata dei giudizi civili dinanzi alle corti d’appello, al fine di raggiungere gli obiettivi indicati nei programmi di gestione di cui all’art. 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, le norme censurate hanno istituito l’inedita figura dei giudici ausiliari d’appello, aventi il compito di integrare i collegi e di redigere un certo numero di decisioni per ciascun anno.
In particolare, l’art. 63 del d.l. n. 69 del 2013 prevede la nomina, con decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura (CSM), di un numero complessivo massimo in origine determinato in 400 giudici ausiliari, selezionati tra magistrati e avvocati dello Stato a riposo, professori, ricercatori universitari e avvocati, in base ad alcuni titoli, tra i quali ha assunto infine rilievo preferenziale, in sede di conversione, quello di avvocato, con prevalenza dei candidati più giovani, purché iscritti all’albo da almeno un quinquennio.
I giudici ausiliari, distribuiti tra le diverse corti d’appello operanti sul piano nazionale in virtù di una pianta organica ad esaurimento determinata con decreto del Ministro della giustizia, sentito il CSM, con l’indicazione dei posti disponibili per ciascuna di esse ed entro il limite massimo di 40 per ufficio (art. 65, comma 1, del predetto decreto), sono nominati per cinque anni, prorogabili una sola volta per il medesimo periodo, seguendo il procedimento contemplato per la nomina (art. 67, commi 1 e 2, del decreto).
Pertanto la destinazione “naturale” dei giudici ausiliari è la composizione dei collegi delle corti d’appello, presso le quali gli stessi sono incardinati in un ruolo ad esaurimento.
L’unica limitazione contemplata sul piano normativo rispetto all’attività di tali giudici è quella di cui all’art. 62, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, per la quale gli stessi non possono essere chiamati a comporre i collegi nei quali la corte d’appello decide in unico grado di merito, fatta eccezione per il procedimento per l’ottenimento dell’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, previsto dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile).
L’art. 68, comma 1, dello stesso d.l. n. 69 del 2013 prevede, inoltre, che i giudici togati costituiscono la maggioranza del collegio, del quale può fare parte un solo giudice ausiliario.
Al fine di preservarne l’autonomia, l’art. 69 del medesimo decreto stabilisce che i giudici ausiliari d’appello non possono operare nel distretto nel quale sono iscritti al momento della nomina o sono stati iscritti nei cinque anni precedenti e sono obbligati ad astenersi – e, quindi, sono ricusabili ove non lo facciano – oltre che nelle ipotesi disciplinate dall’art. 51 cod. proc. civ., anche in quella in cui siano stati associati o comunque collegati, mediante il coniuge, i parenti o altre persone, con lo studio professionale di cui ha fatto parte o fa parte il difensore di una delle parti. I giudici ausiliari d’appello devono inoltre astenersi quando abbiano in precedenza assistito, nella qualità di avvocato, una delle parti in causa o uno dei difensori ovvero abbiano svolto attività professionale come notaio per una delle parti in causa o uno dei difensori (art. 70 del d.l. n. 69 del 2013).
Oltre alla possibilità di proroga quinquennale, i giudici ausiliari sono sottoposti ad una conferma annuale finalizzata ad una costante verifica dell’attività svolta dagli stessi (art. 71 del d.l. n. 69 del 2013).
Infine l’art. 72, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 prevede espressamente che «i giudici ausiliari acquisiscono lo stato giuridico di magistrati onorari».
7.– Su un piano più generale, è anche opportuno ripercorrere brevemente, per l’inquadramento giuridico delle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione, i momenti caratterizzanti le riforme della magistratura onoraria nel nostro sistema processuale.
Le prime figure di giudici onorari, introdotte dopo l’Unità d’Italia dal regio decreto 6 dicembre 1865, n. 2626, sull’ordinamento giudiziario, furono il vice pretore onorario ed il conciliatore.
In particolare, il vice pretore onorario era un funzionario non togato escluso dalla carriera giudiziaria, in origine abilitato solo a tentare la conciliazione delle controversie, al quale successivamente è stata attribuita un’area di competenza in materia contenziosa civile e penale limitata alla cosiddetta giustizia minore. La funzione caratterizzante, già all’epoca, tale giudice onorario – reclutato fra i laureati in giurisprudenza che avevano compiuto ventuno anni, i notai ed i procuratori esercenti nominati con decreto reale – era quella di coadiuvare il pretore nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Il giudice conciliatore era nominato dal Re su proposta dei consigli comunali tra cittadini che, a prescindere da qualificazioni di tipo giuridico, avevano compiuto i venticinque anni di età ed erano residenti nel Comune. L’incarico, di durata triennale, era onorario e svolto a titolo gratuito, ma utile ai fini del successivo accesso al pubblico impiego. In origine il conciliatore poteva, se non riusciva a procurare l’amichevole composizione della lite tra le parti, decidere egli stesso la controversia, entro ambiti molto limitati di competenza che furono, tuttavia, successivamente ampliati.
Il conciliatore apportò negli anni un significativo ausilio ai giudici professionali ai quali furono così affidate un numero percentualmente limitato di controversie al punto che, sin dalla fine dell’Ottocento, e per i primi decenni del Novecento, lo stesso definiva una parte percentualmente molto elevata del contenzioso in materia civile (con punte che arrivavano ad oltre l’80 per cento).
Pertanto, al momento della redazione della Costituzione, queste due “figure” di giudici onorari (conciliatore e vice pretore onorario) erano entrambe inserite nell’ambito di uffici giudiziari monocratici, mentre i tribunali decidevano in composizione esclusivamente collegiale e vi erano addetti solo magistrati di carriera, in sostanziale continuità con l’assetto precedente.
Anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, il giudice conciliatore ha continuato a non dover possedere particolari requisiti tecnico-giuridici, e, costituito in ogni Comune, era nominato dal CSM tra i cittadini italiani residenti nel medesimo Comune idonei ad assolvere degnamente, per requisiti di indipendenza, carattere e prestigio, le funzioni di magistrato onorario. La carica durava tre anni, rinnovabili. La competenza del giudice conciliatore era limitata alla giustizia civile minore e ricomprendeva alcune materie considerate bagattellari.
La figura dei conciliatori – che pure aveva avuto notevole dignità e rilievo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, sia per la capillare distribuzione sul territorio sia per il volume di affari trattati – è andata incontro, nei decenni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, per una pluralità di fattori, a una progressiva decadenza che ha finito con l’invertire la proporzione nella distribuzione della crescente domanda di giustizia tra magistratura onoraria e togata nel contenzioso civile di primo grado.
La sfiducia nel conciliatore, non disgiunta dalle difficoltà dei Comuni di sostenerne i costi di funzionamento, ha indotto il legislatore – nonostante il tentativo di rivitalizzazione dell’istituto attuato dalla legge 30 luglio 1984, n. 399 (Aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore), mediante un incremento della competenza per valore e l’attribuzione allo stesso del potere di decidere secondo equità – a sopprimere la sua figura e a istituire, quale nuovo giudice onorario per le controversie di minore entità, il giudice di pace, con la legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace).
8.– L’arretrato che, nel tempo, si era formato nei ruoli dei giudici professionali, anche per effetto della progressiva minore incidenza dell’attività del conciliatore e, in seguito, per la ritardata attuazione della predetta legge istitutiva dei giudici di pace, ha dato la stura a una serie di interventi più limitati volti alla riduzione delle pendenze dinanzi ai tribunali, realizzati, in particolare, dall’art. 90, comma 5, della legge 26 novembre 1990, n. 353 (Provvedimenti urgenti per il processo civile), come modificato dall’art. 9 del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432 (Interventi urgenti sul processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1995, n. 534, e dalla legge 22 luglio 1997, n. 276 (Disposizioni per la definizione del contenzioso civile pendente: nomina di giudici onorari aggregati e istituzione delle sezioni stralcio nei tribunali ordinari), la quale ha così istituito una nuova figura di magistrato onorario, il «giudice onorario aggregato» (GOA).
In seguito, sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, il legislatore ha modificato profondamente l’assetto degli uffici giudiziari di primo grado. Il decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) ha abolito le preture e ne ha trasferito le competenze ai tribunali. A ciò si è accompagnata la contestuale modifica dell’art. 48 della legge sull’ordinamento giudiziario che, insieme ad alcune norme inserite nel codice di procedura civile (articoli da 50-bis a 50-quater), ha sancito la regola generale, pur non priva delle eccezioni espressamente stabilite dalla legge, della monocraticità del giudice di tribunale di primo grado.
La stessa legge istitutiva del giudice unico di primo grado, in sostituzione del vice-pretore onorario, che affiancava il pretore, ha poi introdotto, intervenendo sul regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), il giudice onorario di tribunale (GOT) e, negli uffici requirenti, il vice procuratore onorario (VPO).
L’art. 43-bis ordin. giud. – in seguito abrogato in occasione del successivo intervento riformatore della magistratura onoraria del 2016 (vedi infra) – stabiliva che: «I giudici ordinari ed onorari svolgono presso il tribunale ordinario il lavoro giudiziario loro assegnato dal presidente del tribunale o, se il tribunale è costituito in sezioni, dal presidente o altro magistrato che dirige la sezione. I giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari. Nell’assegnazione prevista dal primo comma, è seguito il criterio di non affidare ai giudici onorari: a) nella materia civile, la trattazione di procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito o del giudizio petitorio; b) nella materia penale, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare, nonché la trattazione di procedimenti diversi da quelli previsti dall’articolo 550 del codice di procedura penale».
Tale norma attribuiva quindi ai GOT il medesimo ruolo ancillare prima demandato ai vice-pretori onorari, confermando ed apparentemente ampliando – non essendo riprodotto l’inciso «di regola» che era nel (contestualmente abrogato) art. 34 ordin. giud. – il divieto di tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari.
Il GOT, inoltre, poteva operare in materia sia civile che penale nei limiti delle competenze monocratiche. Peraltro, specie negli anni più recenti, la necessità di fare fronte ad un arretrato consistente e di definire i giudizi civili in tempi ragionevoli, anche per evitare consistenti esborsi pubblici dovuti a numerose condanne per equa riparazione da irragionevole durata dei processi, ha finito con il consentire, anche in forza delle circolari del CSM sulla formazione delle tabelle per gli uffici giudiziari, sia l’assegnazione di ruoli “autonomi” ai giudici onorari di tribunale, sia – per quel che maggiormente rileva in questa sede – la loro partecipazione in supplenza dei giudici professionali anche nei collegi (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 maggio 2008, n. 12644).
Occorre rimarcare, poi, sotto un distinto profilo, che l’art. 245 del d.lgs. n. 51 del 1998 aveva originariamente fissato un termine di cinque anni entro cui il GOT avrebbe dovuto essere indifferibilmente eliminato dall’ordinamento, termine ritenuto all’epoca congruo per una riforma complessiva della magistratura onoraria in conformità ai principi enunciati dall’art. 106, secondo comma, Cost., espressamente richiamati dalla predetta norma. Tuttavia, a dispetto di quanto previsto da tale precetto normativo, le varie figure di giudici onorari esistenti nel sistema processuale hanno continuato di fatto ad operare, di proroga in proroga, fino alla fissazione del termine ultimo «non oltre il 31 maggio 2016», in attesa di una riforma complessiva coerente con il predetto precetto costituzionale.
9.– Il legislatore, anche a seguito delle frequenti rivendicazioni sul piano retributivo e previdenziale dei magistrati onorari, ha operato una riforma complessiva di questa magistratura, contenuta, in attuazione della delega di cui alla legge 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), nel decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57).
Questa riforma ha ridotto, per il primo grado di giudizio, a due le figure dei giudici onorari, ossia i giudici onorari di pace, e, per le funzioni requirenti, i vice procuratori onorari. I giudici onorari dovranno essere reclutati dai locali consigli giudiziari in base a una selezione per titoli e la relativa graduatoria sarà sottoposta per l’approvazione al CSM, la cui delibera sarà poi seguita dalla nomina con decreto del Ministro della giustizia.
L’incarico ha una durata di quattro anni, prorogabile per una sola volta, e non è esclusivo, nel senso che è compatibile con l’esercizio di altre attività professionali, al punto che al magistrato onorario non può essere richiesto un impegno superiore a due giorni settimanali.
I nuovi «giudici onorari di pace» saranno collocati presso l’ufficio del giudice di pace e destinati al contempo a confluire, in tribunale, quali componenti dell’ufficio per il processo in affiancamento al giudice professionale, con possibile attribuzione di funzioni giudiziarie delegate sotto le direttive e il controllo dello stesso giudice professionale.
Al giudice onorario vanno attribuiti compiti preparatori e strumentali (studio, ricerca di dottrina, predisposizioni di schemi di provvedimenti, assistenza anche in camera di consiglio: art. 10, comma 10, del d.lgs. n. 116 del 2017) all’esercizio della funzione giurisdizionale, che rimane riservato al magistrato professionale. Allo stesso possono essere delegati, dal magistrato professionale con riferimento a ciascun procedimento civile, poteri giurisdizionali istruttori e decisori concernenti singoli atti (adozione di provvedimenti «che risolvono questioni semplici e ripetitive», provvedimenti anticipatori di condanna in seguito a non contestazione del credito, assunzione di testimoni, attività conciliativa delle parti, liquidazione dei compensi agli ausiliari) inerenti anche procedimenti riservati al tribunale in composizione collegiale «purché non di particolare complessità» (art. 10, comma 11), in alcuni casi (delimitati quanto alle materie «non sensibili» ed al ridotto valore della causa) può allo stesso essere delegata anche la «pronuncia di provvedimenti definitori» (art. 10, comma 12).
Al contempo è stata ridefinita la competenza dei giudici di pace sia nel settore civile che in quello penale.
Tuttavia il predetto d.lgs. n. 116 del 2017 è stato oggetto di varie critiche, che hanno riguardato soprattutto la situazione dei magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore della riforma. Allo scopo di superare le relative problematiche, nel corso del 2019 è stato presentato un progetto di modifica da parte del Ministro della giustizia, in corso di esame in Parlamento (d.d.l. A. S. n. 1516) nel testo unificato con altri disegni di legge (d.d.l. numeri 1438, 1555, 1582 e 1714).
Del resto, per vari aspetti, l’entrata in vigore della riforma è differita alla data del 31 ottobre 2025 (art. 32 del d.lgs. n. 116 del 2017).
10.– Nel descritto contesto normativo si collocano, dunque, i censurati articoli da 62 a 72 del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che hanno introdotto nell’ambito della magistratura onoraria la figura dei giudici ausiliari d’appello per fronteggiare l’arretrato delle corti d’appello in materia civile, attestato dai dati statistici prodotti dal Governo nel corso dei lavori parlamentari.
I giudici ausiliari si caratterizzano, rispetto alle altre figure di giudici onorari, già note al nostro ordinamento, per la stabile destinazione a un ufficio, come la corte d’appello, che decide sempre in composizione collegiale e pressoché esclusivamente nel grado di impugnazione, e, di qui, sono sorti i dubbi di legittimità costituzionale espressi nelle ordinanze di rimessione.
Come già ricordato, essi non sono nominati per concorso, ma con decreto del Ministro della giustizia previa deliberazione del CSM, in base alla verifica dei requisiti prescritti dalla legge (artt. 63 e 64 del d.l. n. 69 del 2013); acquisiscono «lo stato giuridico di magistrati onorari» (art. 72, comma 1); sono stabilmente incardinati, per la durata di anni cinque prorogabile di altri cinque (art. 67, commi l e 2), nell’organo collegiale, esercitando le relative funzioni giurisdizionali, e sono chiamati a definire nel collegio in cui sono relatori, almeno novanta procedimenti per anno (art. 68, comma 1), senza che vi sia alcun limite – di materia o valore – nell’assegnazione dei procedimenti civili (art. 62, comma 1), con la eccezione dei soli «procedimenti trattati dalla Corte d’appello in unico grado» (art. 62, comma 2). Essi compongono i collegi, secondo la pianta organica definita presso ciascuna corte d’appello tenendo conto delle pendenze e delle scoperture di organico (art. 65, comma 1), in funzione della esigenza di agevolare la definizione dei procedimenti civili, compresi quelli in materia di lavoro e previdenza, secondo le priorità individuate annualmente dai presidenti delle corti di appello con i programmi previsti dal citato art. 37, comma l, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito.
L’impiego nelle corti d’appello dei giudici ausiliari è stato anche ampliato da un successivo intervento normativo.
L’art. 256 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n. 77, ha aumentato l’organico degli stessi – che in precedenza, per effetto dell’art. 1, comma 701, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) era stato ridotto a n. 350 – sino a 850 unità e, contestualmente, ne ha previsto la destinazione, da parte dei presidenti di corte, anche ai collegi in materia penale.
Sotto un distinto profilo, mette conto ricordare che la legge n. 205 del 2017 ha introdotto, con l’art. 1, commi da 961 a 981, alcune misure volte ad agevolare la definizione dei procedimenti civili in materia tributaria pendenti presso la Corte di cassazione. È stata prevista, nei commi 962 e 963, la nomina – con decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del CSM, su proposta formulata dal consiglio direttivo della Corte di cassazione nella composizione integrata a norma dell’art. 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c, della legge 25 luglio 2005, n. 150) – in via straordinaria e non rinnovabile, per un triennio, di magistrati ausiliari nel numero massimo di cinquanta, per lo svolgimento di servizio onorario presso la sezione tributaria della Corte di cassazione. Tali magistrati ausiliari – che hanno ormai quasi esaurito il loro compito, così circoscritto, in vista dell’esigenza eccezionale di fronteggiare l’arretrato di tale sezione, ad un triennio – sono stati selezionati, secondo le indicate disposizioni normative, solo tra i magistrati ordinari, compresi i consiglieri di cassazione nominati per meriti insigni, a riposo da non più di cinque anni al momento di presentazione della domanda e che avessero maturato un’anzianità di servizio non inferiore a venticinque anni.
11.– Tutto ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 106, primo e secondo comma, Cost., suscettibili di esame unitario, sono fondate, con assorbimento di quelle relative alla violazione dell’art. 102, primo comma, Cost.
12.– L’art. 106, primo comma, Cost. laddove stabilisce che «[l]e nomine dei magistrati hanno luogo per concorso» esprime la chiara scelta del Costituente per la regola generale secondo cui i magistrati ordinari – i quali, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, esercitano la «funzione giurisdizionale» (art. 102, primo comma, Cost.) – sono nominati a seguito dell’espletamento di un pubblico concorso; regola rispetto alla quale costituisce eccezione la possibilità prevista dal terzo comma della stessa disposizione, che, su designazione del CSM, siano chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.
Tale assetto, che deriva dall’art. 106, primo e terzo comma, Cost., costituisce, come si evince anche dai lavori preparatori, il punto di arrivo di un complesso dibattito, in sede di lavori dell’Assemblea Costituente, riguardo alle modalità più idonee di assunzione dei magistrati in coerenza con le scelte fondamentali in ordine all’autonomia e all’indipendenza dell’ordine giudiziario da ogni altro potere (art. 104, primo comma, Cost.) e alla soggezione del giudice solo alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), nonché al divieto di istituzione di giudici straordinari o giudici speciali (art. 102, secondo comma, Cost.).
La regola generale del pubblico concorso è stata individuata come quella più idonea a concorrere ad assicurare la separazione del potere giurisdizionale dagli altri poteri dello Stato e la sua stessa indipendenza, a presidio dell’ordinamento giurisdizionale, posto dalla Costituzione, nel Titolo IV della sua Parte II, quale elemento fondante dell’ordinamento della Repubblica.
Questa Corte ha da lungo tempo chiarito che il sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso è strumentale all’indipendenza della magistratura, osservando che, pur se la sua prescrizione, contenuta nell’art. 106, primo comma, Cost., costituisce essenzialmente una norma di garanzia di idoneità a esercitare le funzioni giurisdizionali, nondimeno la stessa concorre a rafforzare e a integrare l’indipendenza della magistratura (sentenza n. 1 del 1967), non diversamente dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107, primo comma, Cost.).
Il concorso pubblico garantisce, da un lato, la possibilità di accesso alla magistratura ordinaria a tutti i cittadini, in aderenza al disposto dell’art. 3 Cost., evitando ogni discriminazione, anche di genere (sentenza n. 33 del 1960) e, da un altro, assicura la qualificazione tecnico-professionale dei magistrati, ritenuta condizione necessaria per l’esercizio delle funzioni giudiziarie. Mira infatti a verificare un iniziale standard uniforme di sapere giuridico, destinato ad affinarsi nel tempo, quale garanzia minima, ma essenziale, dell’esercizio della giurisdizione in modo neutrale.
Questa Corte ha sottolineato in proposito che «la funzione della interpretazione ed applicazione della legge richiede il possesso della tecnica giuridica» da parte dei giudici togati (sentenza n. 76 del 1961).
13.– Il Costituente non ha, però, previsto in termini assoluti l’esclusività dell’esercizio della giurisdizione in capo alla magistratura nominata a seguito di pubblico concorso.
Da una parte, ha contemplato la possibilità, con riserva assoluta di legge, di forme di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia (art. 102, terzo comma, Cost.); possibilità che ha trovato attuazione, nel processo penale, con la previsione dei giudici popolari nelle corti di assise. Altresì possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura (art. 102, secondo comma, Cost.), purché sia garantita l’indipendenza dell’organo (sentenza n. 108 del 1962).
Dall’altra, il Costituente si è dovuto confrontare con una situazione di fatto che, all’epoca e da lungo tempo, vedeva l’esercizio della giurisdizione anche da parte di una magistratura non già ordinaria, intesa come professionale nominata a seguito di concorso pubblico, ma onoraria, nominata diversamente, come si è sopra descritto.
Il sistema dell’epoca era delineato dall’art. 4 ordin. giud. che, nella sua formulazione originaria, differenziava la magistratura onoraria da quella professionale, perché considerava come “appartenenti” all’ordine giudiziario, quali magistrati onorari, i giudici conciliatori, i vice conciliatori ed i vice pretori onorari (secondo comma), mentre “costituivano” l’ordine giudiziario gli uditori, i giudici di ogni grado delle preture, dei tribunali e delle corti, e i magistrati del pubblico ministero (primo comma).
La scelta del Costituente fu essenzialmente conservativa. Si ritenne che una magistratura onoraria – che già esisteva da lungo tempo e che, nella cosiddetta giustizia minore, aveva dato un apporto normalmente valutato in termini positivi – potesse essere compatibile con la regola generale della giurisdizione esercitata da una magistratura professionale alla quale si accede mediante pubblico concorso.
Tale ritenuta compatibilità si tradusse nella formulazione del secondo comma dell’art. 106 Cost.: «La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli».
E tali erano – come si è già sopra ricordato – i magistrati onorari all’epoca della Costituente: il giudice conciliatore, comprensivo del vice-conciliatore, e il vice-pretore onorario (art. 4, secondo comma, ordin. giud. nella formulazione originaria).
Entrambi esercitavano funzioni solo monocratiche e quindi ben potevano qualificarsi come «giudici singoli». Il codice di procedura civile, da poco entrato in vigore, distingueva appunto, quanto al potere di direzione dell’udienza, tra giudice singolo e giudice collegiale (art. 127 cod. proc. civ.). Anche nella legge sull’ordinamento giudiziario, a quel tempo, si distingueva tra il ruolo dei pretori, ossia di giudici monocratici di primo grado, e quello della magistratura collegiale; distinzione netta tanto che il passaggio da un ruolo (di giudice singolo) all’altro (di giudice collegiale) avveniva per concorso (art. 143 ordin. giud.).
All’identificabilità del “giudice singolo” in un magistrato monocratico di primo grado conduceva anche la considerazione che i magistrati onorari dell’epoca (e tali sono stati in seguito per lungo tempo fino agli anni Novanta del secolo scorso) fossero il conciliatore e il vice pretore onorario, tipici giudici (esclusivamente) monocratici di primo grado, addetti alla giustizia minore.
Come anche netta era la distinzione tra magistratura professionale e magistratura onoraria, che poi è stata costante nella giurisprudenza della Corte.
Anche recentemente (sentenza n. 267 del 2020), con riferimento al giudice di pace, la Corte ha affermato: «La differente modalità di nomina, radicata nella previsione dell’art. 106, secondo comma, Cost., il carattere non esclusivo dell’attività giurisdizionale svolta e il livello di complessità degli affari trattati rendono conto dell’eterogeneità dello status del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica “onoraria” del suo rapporto di servizio, affermata dal legislatore fin dall’istituzione della figura e ribadita in occasione della riforma del 2017». Altresì in precedenza la Corte (ordinanza n. 174 del 2012) ha sottolineato l’impossibilità di assimilare le posizioni dei giudici onorari e dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giudiziarie, e l’impossibilità di comparare tali posizioni ai fini della valutazione del rispetto del principio di uguaglianza, a causa dello svolgimento a diverso titolo delle funzioni giurisdizionali, connotate dall’esclusività solo nel caso dei magistrati ordinari di ruolo che svolgono professionalmente le loro funzioni (sentenza n. 60 del 2006, ordinanze n. 479 del 2000 e n. 272 del 1999).
14.‒ Il secondo comma dell’art. 106 Cost., però, fa riferimento a «tutte» le funzioni attribuite a giudici singoli; espressione questa che concorre a definire la figura del magistrato onorario a fronte del magistrato togato professionale.
Per un verso, la norma esprimeva la volontà del Costituente di limitare le funzioni dei magistrati onorari alla giustizia minore, tale essendo considerata quella amministrata dai «giudici singoli» dell’epoca, escludendoli volutamente dai collegi.
Per altro verso, vi era anche che il giudice onorario dell’epoca (segnatamente, il vice pretore) poteva far qualcosa di più delle funzioni di “giudice singolo”. Poteva talvolta svolgere funzioni giurisdizionali in un collegio, ossia funzioni attribuite non a un “giudice singolo”, ma a un giudice collegiale (di norma) di primo grado, qual era il tribunale. Infatti l’art. 105 ordin. giud. sulla supplenza nelle sezioni del tribunale prevedeva che, se in una sezione mancava o era impedito il presidente o alcuno dei giudici necessari per costituire il collegio giudicante, il presidente del tribunale, quando non poteva provvedere con magistrati di altre sezioni, delegava, nell’ordine, un pretore, un aggiunto giudiziario o un vice-pretore. Sicché era possibile che un giudice onorario, qual era il vice pretore, svolgesse funzioni di componente di un collegio in via eccezionale e di supplenza quando non era in concreto possibile il ricorso ad alcun magistrato ordinario togato. In ogni caso si trattava di supplenza nell’attività collegiale di un giudice di primo grado, qual era il tribunale, e giammai di una corte (d’appello o di cassazione).
Si è posto allora il problema se l’esercizio – da parte di un magistrato onorario, seppur in via eccezionale e transitoria – di attività giurisdizionale collegiale fosse compatibile, o no, con la prescrizione dell’art. 106, secondo comma, Cost., che – come già detto – limita il riconoscimento della magistratura onoraria all’esercizio di funzioni di “giudice singolo”, essendo dubbio che, se un “giudice singolo” ordinario togato poteva esercitare, temporaneamente ed eccezionalmente, le funzioni di componente di un collegio giudicante, ciò potesse fare anche un magistrato onorario.
Questa Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale solo alcuni anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione e solo quando si è ritenuto esaurito il periodo transitorio entro cui doveva essere revisionata, anche parzialmente, la legge sull’ordinamento giudiziario per renderla conforme alla Costituzione (sentenza n. 156 del 1963).
Le pronunce di questa Corte da cui emerge la delimitazione della figura del magistrato onorario, rientrante nel paradigma del secondo comma dell’art. 106 Cost., sono essenzialmente le sentenze n. 99 del 1964 e n. 103 del 1998.
15.– Dapprima la questione di legittimità costituzionale dell’art. 105 ordin. giud. – nella sua formulazione originaria tenuta in vita dell’art. 42 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), che ha previsto in generale la sopravvivenza delle norme dell’ordinamento del 1941 non incompatibili con la nuova legge – è stata sollevata in riferimento proprio all’art. 106, secondo comma, Cost.
Questa Corte (sentenza n. 99 del 1964) ha innanzi tutto premesso che le funzioni che possono essere esercitate da magistrati onorari sono quelle del «giudice singolo (pretore e conciliatore)», così confermando la piana lettura secondo cui il “giudice singolo” è un giudice monocratico di primo grado.
Ha poi precisato che il riferimento, contenuto nel secondo comma dell’art. 106 Cost., a «tutte le funzioni attribuite a giudici singoli» deve «intendersi come indicazione generica dell’ufficio nel quale i magistrati onorari possono essere ammessi ad esercitare funzioni giudiziarie». Quindi, se un “giudice singolo”, qual era il pretore, poteva essere chiamato – ricorrendo le condizioni della supplenza di cui all’art. 105 ordin. giud. – a integrare la composizione di un collegio del tribunale, giudice appunto collegiale, ciò poteva legittimamente fare anche un magistrato onorario, quale il vice pretore onorario, trattandosi di «funzioni temporanee ed eccezionali derivanti da un incarico di supplenza», senza che per questo fosse alterato lo status di quest’ultimo che, anche nell’esercizio di queste funzioni, rimaneva un magistrato onorario. Tale particolarissimo esercizio di funzioni giurisdizionali di giudice collegiale è stato ritenuto compatibile con il parametro evocato, perché rispondente a «esigenze eccezionali dell’amministrazione della giustizia».
Il risultato complessivo di questa interpretazione – funzionale, piuttosto che rigorosamente “originalista” – è stato quello di configurare una magistratura onoraria che, seppur non confinata alle sole funzioni monocratiche di primo grado, come avrebbe indotto una lettura testuale del parametro, poteva, in via eccezionale e temporanea, svolgere anche funzioni collegiali, partecipando a collegi del tribunale.
16.– A questa giurisprudenza ha dato continuità la sentenza n. 103 del 1998, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 90, comma 5, della legge n. 353 del 1990, come modificato dall’art. 9 del d.l. n. 432 del 1995, come convertito; disposizione questa che prevedeva la possibilità, per tutti gli affari pendenti alla data del 30 aprile 1995, di disporre la supplenza dei magistrati professionali chiamati a comporre il collegio giudicante del tribunale in materia civile con vice pretori onorari, «anche in assenza delle condizioni […] previste» dall’art. 105 ordin. giud. (ossia la disposizione in precedenza sottoposta a scrutinio della Corte con la citata sentenza n. 99 del 1964).
In questa pronuncia la Corte ha accolto un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata ritenendo che il suo testuale carattere derogatorio in realtà «attinge soltanto all’ordine delle precedenze» nella supplenza.
In tal modo questa Corte ha segnato una linea di confine ben precisa.
Quello che testualmente avrebbe potuto essere un allargamento della figura e del ruolo del magistrato onorario, insito nella previsione che l’assegnazione ai collegi di tribunale poteva avvenire «anche in assenza delle condizioni […] previste» dall’art. 105 ordin. giud. – e quindi potenzialmente anche in mancanza del requisito della supplenza di un magistrato togato – è risultato precluso proprio dall’interpretazione adeguatrice della Corte che ha molto circoscritto la portata dell’innovazione. Deve trattarsi pur sempre di un’«assegnazione precaria e occasionale», riferita a «singole udienze o singoli processi», per essere compatibile con il dettato del secondo comma dell’art. 106 Cost.
Sono l’eccezionalità e la temporaneità dell’incarico di supplenza, al quale è chiamato il magistrato onorario, a scongiurare «il rischio dell’emergere di una nuova categoria di magistrati». Infatti – è detto con molta chiarezza – «la supplenza, rettamente intesa, non trasforma i magistrati onorari addetti a un ufficio monocratico, impiegati eccezionalmente, in magistrati appartenenti a un organo collegiale».
17.– Si è meglio delineata così la figura di magistrato onorario già prevista dalla Costituzione (art. 106, secondo comma), compatibile con la regola generale che vuole che le nomine dei magistrati abbiano luogo per concorso (art. 106, primo comma): è quella di un giudice singolo, perché monocratico di primo grado, che solo in via eccezionale e transitoria, può comporre i collegi di tribunale.
Le disposizioni, portate all’esame di questa Corte nelle due citate pronunce – sia l’art. 105 ordin. giud., sia l’art. 90, comma 5, della legge n. 353 del 1990 – hanno infatti previsto come eccezionale e temporanea l’assegnazione di un giudice onorario a svolgere funzioni collegiali e solo in collegi di tribunale.
18.‒ Dopo l’istituzione del giudice di pace, quale magistrato onorario esclusivamente monocratico di primo grado, in sostituzione del giudice conciliatore (su cui vedi la sentenza n. 150 del 1993), la disciplina della supplenza in collegi di tribunale anche ad opera di un giudice onorario è stata riformulata nell’art. 43-bis ordin. giud., introdotto dall’art. 10 del d.lgs. n. 51 del 1998, che ha previsto che i giudici onorari svolgono presso il tribunale ordinario il lavoro giudiziario loro assegnato dal presidente del tribunale o, se il tribunale è costituito in sezioni, dal presidente o da altro magistrato che dirige la sezione.
Essi possono tenere udienza solo nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari.
Tale disposizione è stata abrogata dall’art. 33, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 116 del 2017, in occasione dell’avvio della riforma della magistratura onoraria. Però una disciplina analoga è stata posta dall’art. 12 dello stesso decreto legislativo, secondo cui i giudici onorari di pace, che sono inseriti nell’ufficio per il processo, possono essere destinati a comporre i collegi civili e penali del tribunale, quando sussistono le condizioni di cui al precedente art. 11 e quando, per situazioni straordinarie e contingenti, non si possono adottare misure organizzative diverse. Ossia occorre che il tribunale (o una sua sezione) presenti vacanze di posti in organico, assenze non temporanee di magistrati o esoneri parziali o totali dal servizio giudiziario, tali da ridurre di oltre il trenta per cento l’attività dei giudici professionali assegnati al tribunale o alla sezione. Oppure è necessario, a giustificare tale impiego dei giudici onorari, che il numero dei procedimenti civili e penali pendenti superi determinate soglie, puntualmente calcolate secondo i criteri del citato art. 11.
Inoltre ai giudici onorari di pace, destinati a comporre i collegi, possono essere assegnati esclusivamente procedimenti pendenti a tale scadenza e del collegio non può far parte più di un giudice onorario di pace.
Vi sono poi delle esclusioni: in ogni caso, il giudice onorario di pace non può essere destinato, per il settore civile, a comporre i collegi giudicanti dei procedimenti in materia fallimentare e i collegi delle sezioni specializzate e, quanto alla competenza nella materia penale, non può comporre i collegi del tribunale del riesame ovvero qualora si proceda per i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale.
19.‒ In definitiva, la lettura che, del secondo comma dell’art. 106 Cost., ha dato questa Corte nelle richiamate pronunce, corroborata nel tempo dalla stessa normativa ordinaria appena indicata, sulla possibilità solo eccezionale di assegnazione di magistrati onorari a un collegio di tribunale, ha tracciato un perimetro invalicabile della magistratura onoraria, identificata nella figura di un giudice monocratico di primo grado, il quale, unicamente a determinate condizioni e in via di supplenza, può anche partecipare allo svolgimento di funzioni collegiali di tribunale.
L’esistenza di questo limite ha trovato conferma anche nella circostanza che, quando si è pensato di ampliare il ruolo della magistratura onoraria, vi è stata un’iniziativa parlamentare di legge costituzionale – il disegno di legge costituzionale n. 4275, presentato alla Camera dei deputati il 7 aprile 2011, avente ad oggetto la riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione – che prevedeva appunto l’eliminazione dal testo dell’art. 106, secondo comma, Cost. proprio dell’inciso «per tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli», lasciando così la sola previsione della possibilità per la legge sull’ordinamento giudiziario di ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari, sì da consentirla anche per funzioni collegiali.
L’iniziativa non ha sortito effetto.
Non di meno, due anni dopo, il legislatore ordinario (d.l. n. 69 del 2013) – seppur per una ragione apprezzabile, ossia «[a]l fine di agevolare la definizione dei procedimenti civili, compresi quelli in materia di lavoro e previdenza» – ha introdotto, a Costituzione invariata (quanto all’art. 106, secondo comma), la nuova e inedita figura di magistrato onorario, oggetto delle disposizioni censurate – il giudice ausiliario d’appello – con l’assegnazione di funzioni attribuite a giudici – non già «singoli», come ancora richiedeva, e tuttora richiede, l’art. 106, secondo comma, Cost. – ma tipicamente collegiali e di secondo grado, quali erano, e sono, quelle esercitate dalle corti d’appello.
La previsione ad opera delle disposizioni censurate dello svolgimento di funzioni (nient’affatto di giudici singoli, ma) di giudici collegiali presso le corti d’appello, dove i giudici ausiliari sono strutturalmente inseriti, come già sopra descritto, risulta essere – per quanto finora esposto – del tutto fuori sistema e si pone in radicale contrasto con tale parametro, congiuntamente all’art. 106, primo comma, Cost.
I giudici ausiliari d’appello non sono riconducibili a figure di «giudici singoli», perché chiamati a esercitare la giurisdizione in composizione stabilmente collegiale, qual è la corte d’appello, e in giudizi di regola di secondo grado.
Tale vizio di illegittimità costituzionale non è eliso dalle prescrizioni dettate dalle disposizioni censurate, quanto alla disciplina dell’incompatibilità, nonché dell’astensione e della ricusazione (artt. 69 e 70 del d.l. n. 69 del 2013), per assicurare, comunque, l’indipendenza e la terzietà del giudice, le quali operano sul diverso piano della concreta realizzazione della tutela giurisdizionale.
Né rileva che la recente riforma della magistratura onoraria, avviata con il d.lgs. n. 116 del 2017, nel disegnare la figura di giudice onorario di pace riconducibile a quella di un giudice singolo, in quanto monocratico, che solo in via eccezionale e transitoria, può comporre i collegi del tribunale, non ripropone più, né affatto considera, quella del giudice ausiliario d’appello.
20.– Conclusivamente, sussiste pertanto la denunciata illegittimità costituzionale degli articoli da 62 a 72 del d.l. n. 69 del 2013, come convertito.
21.– Si pone, infine, l’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione di illegittimità costituzionale è destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello.
L’apporto dei giudici ausiliari finora è stato significativo e apprezzato nelle relazioni dei Presidenti delle corti d’appello sullo stato della giustizia nei singoli distretti. Il loro contributo allo smaltimento o al contenimento dell’arretrato del contenzioso civile è stato assicurato anche dall’espressa previsione dell’art. 68, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, che richiede che ogni giudice ausiliario debba definire, nel collegio in cui è relatore, almeno novanta procedimenti per anno, peraltro computando nella misura di un ottavo di provvedimento i decreti in materia di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo.
È di tutta evidenza che il venir meno di tale apporto recherebbe, nell’immediato, un grave pregiudizio all’amministrazione della giustizia, tanto più nella situazione attuale, che vede come urgente l’esigenza di riduzione dei tempi della giustizia, e quindi anche di quella civile, dove hanno operato e operano i giudici ausiliari presso le corti d’appello.
22.– In generale, a fronte della violazione dei parametri evocati nel sindacato di legittimità costituzionale – quale, nella fattispecie, il contrasto di questa nuova figura di magistrato onorario con l’art. 106, primo e secondo comma, Cost. – è possibile che sussistano altri valori costituzionali di pari – e finanche superiore – livello, i quali risulterebbero in sofferenza ove gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale risalissero (retroattivamente, come di regola) fin dalla data di efficacia della norma oggetto della pronuncia.
Il bilanciamento di questi valori è stato operato dalla Corte in varie pronunce, anche eccezionalmente modulando nel tempo gli effetti della decisione; possibilità questa non preclusa dall’eventualità che, in un giudizio incidentale, una dichiarazione di illegittimità costituzionale, la quale di ciò tenga conto, risulti non essere utile, in concreto, alle parti nel processo principale, atteso che la rilevanza della questione va valutata, al fine della sua ammissibilità, al momento dell’ordinanza di rimessione.
Ciò la Corte ha fatto proprio con riferimento all’amministrazione della giustizia nel caso della nomina dei giudici militari (sentenza n. 266 del 1988) e della pubblicità delle udienze nel processo tributario (sentenza n. 50 del 1989).
La pronuncia che maggiormente ha segnato tale percorso giurisprudenziale è la sentenza n. 10 del 2015 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva un’imposizione tributaria (un’addizionale IRES sugli extra-profitti delle imprese energetiche e petrolifere) a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Ha affermato la Corte che «l’applicazione retroattiva della presente declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.» e cagionerebbe «un irrimediabile pregiudizio delle esigenze di solidarietà sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.».
In seguito la Corte (sentenza n. 246 del 2019) ha dato continuità a tali principi ribadendo che può «eccezionalmente presentarsi l’esigenza di bilanciamento con altri valori e principi costituzionali, i quali in ipotesi risulterebbero gravemente in sofferenza ove tali effetti risalissero, come di regola, retroattivamente fino alla data di efficacia della norma censurata» (da ultimo, sentenza n. 152 del 2020).
In epoca più risalente questa Corte (sentenza n. 13 del 2004) – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale sopravvenuta di una disposizione di una legge statale, a seguito del mutamento delle competenze dopo la revisione del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione, relativamente alle attribuzioni di una figura di dirigente scolastico regionale – ha finanche ritenuto che la norma censurata «deve […] continuare ad operare», essendo destinata a venir meno solo quando le regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, avessero attribuito, con legge regionale, a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche.
23.– Anche nel contesto ora in esame è rilevante la circostanza, del tutto peculiare in questa fattispecie, che l’interazione dei valori in gioco evidenzia, nell’immediato, il già richiamato pregiudizio all’amministrazione della giustizia e quindi alla tutela giurisdizionale, presidio di garanzia di ogni diritto fondamentale, essendo alla Corte ben presente l’esigenza di «evitare carenze nell’organizzazione giudiziaria» (sentenza n. 156 del 1963).
Occorre allora – come soluzione, nella specie, costituzionalmente adeguata alla protezione di tali valori – che la declaratoria di illegittimità delle disposizioni censurate lasci al legislatore un sufficiente lasso di tempo che assicuri la «necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale», segnatamente dell’art. 106, secondo comma, Cost., come e ancor più che nella ricordata pronuncia relativa alla magistratura militare (sentenza n. 266 del 1988). A tal fine la reductio ad legitimitatem può invece farsi, con la sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire.
A tal fine rileva – come dato normativo già presente nell’ordinamento, utile ad orientare ora la decisione nella fattispecie in esame – la previsione, dettata all’epoca per le (nuove) figure di giudice onorario introdotte dal d.lgs. n. 51 del 1998, secondo cui le modifiche dell’ordinamento giudiziario, in forza delle quali tali magistrati onorari potevano essere addetti al tribunale ordinario e alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario, si sarebbero applicate «fino a quando non sarà attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria a norma dell’art. 106, secondo comma, della Costituzione» (art. 245 di tale decreto legislativo).
Un’analoga prescrizione limitativa – allo scopo di evitare, nell’immediato, un pregiudizio all’amministrazione della giustizia – è possibile anche nell’attuale contesto normativo, che vede una riforma in progress della magistratura onoraria (d.lgs. n. 116 del 2017), la cui completa entrata in vigore è già differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale decreto legislativo) e che è attualmente oggetto di iniziative di ulteriore riforma, all’esame del Parlamento (d.d.l. n. S1516, testo unificato dei d.d.l. numeri 1438, 1555, 1582 e 1714). Sicché l’illegittimità costituzionale della normativa censurata può essere dichiarata nella parte in cui non prevede che essa si applichi fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato art. 32 del d.lgs. n. 116 del 2017, così riconoscendo ad essa – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106, primo e secondo comma, Cost.
In tale periodo rimane – anche con riguardo ai giudizi a quibus – legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni, sopra richiamate, che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario. Può ripetersi in proposito – mutatis mutandis – quanto già affermato da questa Corte nella citata sentenza n. 103 del 1998 in riferimento ad altra figura di magistrato onorario del quale comunque è stata garantita «l’imparzialità della funzione giudicante attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione, rimedi bastevoli a questo proposito».
24.– Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del d.l. n. 69 del 2013, convertito in legge, con modificazioni, nella legge n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del d.lgs. n. 116 del 2017.