Corte Costituzionale, sentenza 9 ottobre 2020 n. 209
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.− La questione non è fondata.
3.− Va, innanzitutto, chiarito che la professione dell’osteopata, così come quella del chiropratico (ordinanza n. 149 del 1988), già prima del riconoscimento della figura professionale da parte della legge n. 3 del 2018, andava considerata «un lavoro professionale tutelato, ex art. 35, primo comma, Cost., in tutte le sue forme ed applicazioni» e «una iniziativa privata libera ex art. 41 Cost.».
La sempre maggiore diffusione delle medicine cosiddette non convenzionali (nel novero delle quali venivano ricondotte anche l’osteopatia e la chiropratica) aveva, anzi, indotto il Parlamento europeo a evidenziare, con la risoluzione n. 75 del 29 maggio 1997 recante lo Statuto delle Medicine Non Convenzionali, la necessità di «garantire ai pazienti la più ampia libertà possibile di scelta terapeutica assicurando loro il più elevato livello di sicurezza e l’informazione più corretta sull’innocuità, la qualità, l’efficacia e il rischio eventuale delle cosiddette medicine non convenzionali, nonché di proteggerli da persone non qualificate».
E gli ospedali italiani, in questa medesima prospettiva, avevano avviato numerosi studi e sperimentazioni cliniche nel settore dei trattamenti osteopatici, in particolare nei reparti di neonatologia, neurologia, oncologia, ortopedia e geriatria, a prescindere dalla circostanza che la detta professione non fosse ancora riconosciuta e regolamentata.
Neppure erano mancate iniziative in materia da parte delle Regioni, ancorché realizzate in forme diverse, consistenti in specifici riferimenti alle medicine non convenzionali contenuti in alcuni piani sanitari regionali, nella creazione di strutture di studio ed approfondimento (commissioni, osservatori, ecc.) e nel finanziamento di programmi di ricerca in materia.
3.1.− L’ordinamento italiano configura, secondo una classificazione implicitamente confermata anche nelle normative in materia più recenti, tra cui la legge 14 gennaio 2013, n. 4 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate), tre diverse tipologie di professioni: a) le professioni per il cui esercizio la legge prescrive l’iscrizione obbligatoria in albi o elenchi tenuti dagli ordini o collegi professionali; b) le professioni disciplinate comunque dalla legge, ma rispetto alle quali non è richiesto il predetto onere di iscrizione; c) le professioni non regolamentate.
Con specifico riferimento alle professioni sanitarie, il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) distingueva tre categorie: quella delle professioni sanitarie principali (medico chirurgo, veterinario, farmacista e, dal 1985, l’odontoiatra); quella delle professioni sanitarie ausiliarie (levatrice, assistente sanitaria visitatrice e infermiera diplomata) e, infine, quella delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie (odontotecnico, ottico, meccanico ortopedico ed ernista, tecnico sanitario di radiologia medica e infermiere abilitato o autorizzato).
L’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 1999, n. 42 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie) ha, quindi, sostituito la denominazione «professione sanitaria ausiliaria» con quella di «professione sanitaria» e, successivamente, la legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) ha organizzato le professioni sanitarie in quattro distinte aree (professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica; professioni sanitarie riabilitative; professioni tecnico-sanitarie; professioni tecniche della prevenzione).
La legge n. 43 del 2006, stabilendo l’istituzione degli albi e degli ordini professionali per tutte le professioni sanitarie regolamentate, esistenti e di nuova configurazione, ha, poi, introdotto all’art. 5 (modificato dall’art. 6 della legge n. 3 del 2018) uno specifico procedimento per l’individuazione dei nuovi profili professionali.
Infine, la recente legge n. 3 del 2018 ha previsto, all’art. 7, la figura professionale dell’osteopata e del chiropratico, disponendo che gli ambiti di attività e le funzioni caratterizzanti tali professioni, i criteri di valutazione dell’esperienza professionale, nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti dovessero essere stabiliti, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, mentre, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, avrebbero dovuto essere definiti gli ordinamenti didattici della formazione universitaria in osteopatia e in chiropratica, nonché gli eventuali percorsi formativi integrativi.
Tale situazione di pendenza dei procedimenti per la definizione dello statuto professionale dell’osteopata e del chiropratico e dei relativi ordinamenti didattici non si è, però, ancora conclusa.
3.2.− La descritta evoluzione normativa è stata accompagnata da sensibili cambiamenti dell’organizzazione sanitaria e della responsabilità professionale degli operatori sanitari, culminati nell’entrata in vigore della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), che impone alle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie.
La detta legge ha, tra l’altro, previsto l’istituzione, a livello regionale, dei Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente (art. 2, comma 4) e, a livello nazionale, dell’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità (art. 3, comma 1), con la funzione di predisporre linee di indirizzo, volte ad individuare idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario (art. 3, comma 2), e l’emanazione di linee guida cui, salve le specificità del caso concreto, sono tenuti ad attenersi gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale (art. 5).
3.3.− Nell’ambito di questo complesso contesto normativo, caratterizzato da significativi cambiamenti della disciplina delle professioni sanitarie, ma anche dei modelli organizzativi e della responsabilità degli operatori e delle strutture sanitarie, deve essere valutata la portata e la funzione della norma regionale impugnata.
La disposizione in questione, attribuendo agli enti del servizio sanitario regionale la facoltà di attivare progetti sperimentali finalizzati all’inserimento dei trattamenti osteopatici nell’ambito delle discipline ospedaliere, ha lo scopo, nelle more del processo di definizione dello statuto della figura professionale dell’osteopata e del chiropratico, di predisporre, in una ottica di gradualità e di sperimentazione, l’adeguamento dell’offerta sanitaria regionale alle nuove esigenze, in una prospettiva che appare, peraltro, di continuità rispetto al passato, considerati i numerosi studi clinici in materia di trattamenti osteopatici che risultano essere stati effettuati negli ospedali italiani.
D’altronde, il tema dei progetti sperimentali non può non essere valutato pure nella sua dimensione organizzativa e di prevenzione dei rischi connessi all’introduzione delle nuove forme di terapia nelle strutture ospedaliere.
In proposito, questa Corte ha, infatti, specificamente affermato che, laddove le disposizioni impugnate si prestino ad incidere contestualmente su una pluralità di materie, possono, comunque, essere ricondotte a quella della «tutela della salute» quando presentino una stretta inerenza «con l’organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all’utenza» (sentenza n. 181 del 2006).
3.4.− Comunque, a prescindere dalla dimensione di carattere organizzativo della norma regionale e dalla sua attinenza alla materia della «tutela della salute», non evocata sotto alcun profilo dal ricorrente, la riconduzione della disposizione nell’ambito materiale delle «professioni» non consente di ritenere fondata la questione prospettata.
Questa Corte ha, in più occasioni, scrutinato, nell’ambito di giudizi promossi in via principale, normative regionali di regolamentazione di attività professionali.
In tali occasioni è stato costantemente ribadito che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale; e che tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura […] quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali (sentenze n. 138 del 2009, n. 93 del 2008, n. 300 del 2007, n. 40 del 2006 e n. 424 del 2005)» (sentenza n. 98 del 2013).
Nel caso in esame, però, la norma impugnata non introduce alcuna nuova figura professionale, limitandosi a conferire agli enti del servizio sanitario regionale la facoltà di avviare progetti sperimentali finalizzati all’inserimento dei trattamenti osteopatici nell’ambito delle discipline ospedaliere.
D’altra parte, il tema dei progetti sperimentali deve essere nettamente distinto da quello della istituzione di nuove figure professionali e della loro regolamentazione, almeno quando si tratti, come nel caso in esame, di sperimentazioni svolte con il coinvolgimento di soggetti la cui attività era considerata pienamente lecita anche prima del riconoscimento statale della professione (ordinanza n. 149 del 1988).
Sotto altro profilo, va poi ricordato che questa Corte ha, in numerose occasioni, precisato che, fermo il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali è riservata allo Stato, rimane «nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale» (sentenza n. 147 del 2018, con richiamo alla sentenza n. 98 del 2013).
Pertanto, l’esercizio della potestà legislativa regionale, laddove non direttamente incidente sulla istituzione e regolamentazione di nuove figure professionali, non può ritenersi precluso o limitato.
Appare, anzi, legittimo e ragionevole che la Regione Marche abbia ritenuto, a fronte della previsione nella legge n. 3 del 2018 delle istituende professioni dell’osteopata e del chiropratico, di rimettere agli enti del servizio sanitario regionale la facoltà di avviare progetti sperimentali per l’inserimento dei trattamenti osteopatici nell’ambito delle discipline ospedaliere.
Tali progetti non implicano, infatti, sotto alcun profilo, l’anticipazione dell’esito della definizione dello statuto della figura professionale dell’osteopata, anche in considerazione della circostanza che la norma regionale demanda la loro attuazione a specifici protocolli che, fissando le concrete modalità di svolgimento dei trattamenti osteopatici, dovranno necessariamente rispettare la normativa vigente in materia.
4.– Pertanto, la questione di legittimità costituzionale, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri deve essere dichiarata non fondata.