Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 5 settembre 2024, n. 33855
PRINCIPIO DI DIRITTO
Concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso è fondato.
- Non è in contestazione che all’imputato si (contesti) solo la illegittima autenticazione a S della firma apposta su un atto di querela. Rispetto a tale quadro di riferimento la sentenza impugnata è gravemente viziata. Secondo la Corte di appello sussisterebbe la competenza territoriale di Avellino perché la condotta contestata “risulta consistere… anche nel deposito presso la Procura della Repubblica di Avellino di un atto di querela recante la sottoscrizione del querelante autenticata dall’imputato” (così testualmente la Corte a pag. 2 della sentenza impugnata).
Si tratta di un’affermazione non condivisibile per due motivi. Il primo è che, diversamente dagli assunti della Corte, la imputazione non contiene nessun riferimento al deposito della querela da parte dell’imputato. Dunque, una indebita estensione del perimetro dell’accusa.
Il secondo motivo è che, ove pure si volesse ragionare con la Corte, nondimeno l’affermazione sarebbe errata. Ai sensi dell’art. 337, comma 1, cod. proc. pen., la querela recante sottoscrizione autentica “può essere anche recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato”.
Per giurisprudenza consolidata la querela sottoscritta con firma autenticata dal difensore non richiede ulteriori formalità per la presentazione da parte di soggetto diverso dal proponente, pur se privo di delega scritta (Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv, 255583). Dunque, anche se fosse stato contestato il deposito, nondimeno l’atto abusivo sarebbe stato solo quello della autenticazione.
- Chiarito ciò, la sentenza deve essere comunque annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
3.1. Secondo le Sezioni unite, concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011- dep. 2012-Cani, Rv. 251820).
3.2. Nel caso di specie, all’imputato, si contesta, come detto, solo un atto abusivo, una sola autenticazione di una sola firma di un querelante. Si tratta tuttavia di un atto non esclusivo; ai sensi infatti dell’art. 39-disp. att. cod. proc. pen. l’autenticazione della sottoscrizione degli atti per i quali è prevista l’autenticazione può essere effettuata oltre dal funzionario di cancelleria, dal notaio, dal difensore, dal sindaco, da un funzionario delegato dal sindaco, dal segretario comunale, dal giudice di pace, dal presidente del consiglio dell’ordine o da un consigliere da lui delegato.
Dunque un solo atto, non esclusivo. Si tratta inoltre di un’attività non esclusiva e posta in essere una sola volta e con modalità tali da non rivelare né una sua continuità e neppure l’esistenza di una minima organizzazione idonea a creare un’apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto non abilitato. Una condotta non sussumibile nella fattispecie contestata.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.