Cass. pen., V, ud. dep. 01.04.2022, n. 12192
MASSIMA
L’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo pecca di specificità, non confrontandosi esso con la ricostruzione svolta dai giudici di merito.
La decisione di secondo grado non può, infatti, essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che la motivazione di entrambe sostanzialmente si dispiega in sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (trattasi di cd. doppia conforme); e da esse emerge con chiarezza che l’imputato non occupava transitoriamente l’immobile, ma risedeva stabilmente presso di esso dal (omissis) e che fu lo stesso imputato ad ammettere di essersi allacciato abusivamente al contatore intestato ad altro soggetto, ivi non residente.
Sicché le censure formulate col primo motivo, nell’appalesarsi meramente reiterative rispetto a quelle formulate in appello, ove ricevevano adeguata risposta anche mediante il richiamo alla pronuncia di primo grado, denotano di non essersi confrontate, come avrebbero dovuto, con la complessiva ricostruzione del fatto, ampiamente indicativa della colpevolezza dell’imputato.
1.2. Quanto alla contestazione dell’aggravante è solo il caso di evidenziare che il motivo al riguardo era stato formulato in appello in maniera del tutto generica e inappropriata, essendosi l’appellante limitato a citare la giurisprudenza di questa Corte con riferimento al mezzo fraudolento che non ha alcuna attinenza con l’aggravante della violenza sulla cosa, contestata e ravvisata nel caso di specie, sicché rimane preclusa a questa Corte la valutazione che si sollecita, ora, al riguardo in maniera del tutto nuova e con evidenti incursioni in fatto.
1.3. Il motivo con cui ci si duole del mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 131 bis è manifestamente infondato avendo la corte territoriale correttamente già evidenziato come il limite edittale della pena precludesse, a monte, l’applicabilità di tale ipotesi.
1.4. Anche in relazione allo stato di bisogno deve rilevarsi l’assoluta genericità del motivo formulato in appello ove in maniera del tutto sfumata vi è un accenno ad esso; la corte territoriale, ciò nondimeno, ha adeguatamente motivato anche al riguardo, evidenziando come l’appellante non avesse indicato alcuna valida ragione per la quale dovesse riconoscersi la scriminante di cui all’art. 54 c.p., al di là di un riferimento generico e non documentato ad un disagio economico; carenza a cui il ricorso tenta di ovviare tardivamente in questa sede con riferimenti, peraltro, a circostanze genericamente indicate e che comunque non danno conto delle coordinate fattuali necessarie per la configurazione dello stato di necessità in relazione alla fattispecie in scrutinio.
Ed invero, come ha già avuto correttamente modo di evidenziare, richiamando la giurisprudenza di legittimità, la corte territoriale, l’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti.
1.5. Il quinto motivo, erroneamente indicato come sesto, che lamenta la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 è del tutto generico e comunque nuovo, in quanto non formulato in appello; e quindi inammissibile.
1.6. Il sesto motivo, erroneamente indicato come settimo, che lamenta il mancato riconoscimento delle già concesse attenuanti generiche con giudizio di prevalenza è del tutto generico e comunque nuovo non risultando formulato in appello (in cui ci si limitava genericamente a lamentare la eccessiva gravosità della pena inflitta, di mesi otto di reclusione e di Euro 200,00 di multa).
- Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.