<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza 21 giugno 2021, n. 24138</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>PRINCIPIO DI DIRITTO</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Sul</strong> <strong>proprietario (o titolare di altro diritto reale)</strong> <strong>dell’area di sedime o dell’immobile abusivamente realizzato non grava alcuna posizione di garanzia <em>ex</em> art. 40, cpv., c.p., volta all’impedimento dei reati edilizi commessi in relazione al proprio immobile, dovendosi piuttosto dare prova, caso per caso, dell’effettiva responsabilità del proprietario ovvero del relativo concorso nel reato commesso da terzi sull’immobile di cui egli sia titolare, in particolare mediante la valutazione complessiva di tutte quelle situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, dai quali sia possibile desumere la sussistenza, oltre che di una signoria meramente legale sul bene, anche di un dominio effettivo sul bene stesso, nonché trarre</strong> <strong>elementi integrativi della colpa del proprietario e prove della relativa compartecipazione, anche solo morale, all’esecuzione delle opere.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> I primi due motivi, omogenei siccome inerenti il tema della intervenuta ordinanza funzionale alla correzione di un ritenuto errore materiale, devono essere esaminati congiuntamente.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>1.1.Va osservato che in caso di <strong>contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza</strong>, la regola della <strong>prevalenza del dispositivo</strong>, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, <strong>non è assoluta</strong>, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (Sez. 3 -, n. 3969 del 25/09/2018 (dep. 28/01/2019) Rv. 275690 - 01 B.). In tal senso si è osservato che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo, è legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l’errore medesimo ed eliminarne i relativi effetti (Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018 Rv. 273269 – 01 Cipriano).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.2. In linea con tali principi, i giudici di secondo grado hanno correttamente evidenziato come, a fronte della contestazione di <strong>reati edilizi</strong> e inerenti la <strong>normativa antisismica</strong>, consumati attraverso la realizzazione di due manufatti, rispettivamente in legno di mt. 5 x 5,10 x 3,80 e in legno e mattoni di mt. 4,15 x 8,65 x 2,60, l’indicazione nel dispositivo di condanna delle dimensioni del primo, nonostante la specificazione in motivazione dell’impossibilità di ascrivere con certezza il medesimo, comunque prescritto, ad un preciso autore, con conseguente disposto dissequestro, formulato specificando anche la consistenza, solo in legno, del medesimo, in contrapposizione a quello in "muratura" per il quale in motivazione emergeva condanna, avesse dato luogo ad un legittimo intervento di <strong>correzione di errore materiale</strong> - mediante sostituzione, nel dispositivo di condanna, del riferimento al manufatto di mt. 5 x 5,10 x 3,80 con quello di mt. mt. 4,15 x 8,65 x 2,60 disposto dal primo giudice con apposita ordinanza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Rispetto a tale articolata e adeguata motivazione, osserva la Corte, nulla vale obiettare la circostanza per cui in realtà il manufatto di mt. 4,15 x 8,65 x 2,60 fosse in realtà non solo in muratura, ma anche in legno, atteso che si tratta dell’unico manufatto tra i due recante strutture in muratura. Sarebbe altresì solo assertiva, in assenza di puntuali allegazioni, la considerazione per cui per il manufatto minore in realtà non sarebbe stato mai disposto il sequestro.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3. La correttezza della qualificazione della ordinanza del primo giudice, in termini di integrazione del dispositivo, sub specie di una correzione di errore materiale, consente anche di esaminare l’ulteriore rilievo inerente <strong>l’interesse del ricorrente allo svolgimento della procedura in camera di consiglio</strong>, prevista ai sensi dell’art. 130 c.p.p. ed invece esclusa attraverso l’adozione di una decisione de plano.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In proposito, si deve tenere conto del principio per il quale il provvedimento di correzione di errore materiale disposto dal giudice con <strong>procedura "de plano"</strong>, invece che ritualmente, previa celebrazione di camera di consiglio, è illegittimo solo allorquando il ricorrente deduca un concreto interesse a partecipare alla camera di consiglio per allegare fatti o situazioni decisive, direttamente incidenti sul provvedimento impugnato (Sez. 5 -, n. 28085 del 04/06/2019 Rv. 277247 - 01). In altri termini, è richiesto che il <strong>contraddittorio</strong> cui è strumentale la prevista procedura in camera di consiglio sia <strong>funzionale alla allegazione di circostanze concrete e decisive ai fini della decisione</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tanto non ricorre nel caso di specie, essendo stata allegata dal ricorrente solo l’obiezione, in punto di diritto, circa la qualificazione della integrazione disposta quale correzione di errore materiale in ragione della ritenuta portata innovativa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con assenza, quindi, di elementi concreti e decisivi non presi in considerazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Invero, il profilo dedotto, se fondato, avrebbe avuto rilievo non già sub specie di mancata partecipazione alla udienza camerale ex art. 178 c.p.p., quanto con riguardo all’esercizio di poteri ormai preclusi al giudice all’esito del processo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Quanto, infine, al rilievo secondo il quale, con riferimento al manufatto di mt. 5 x 5,10 x 3,80 la corte di appello non avrebbe potuto pronunziarsi, non essendo intervenuta per la relativa imputazione alcuna decisione in primo grado, è sufficiente rilevare la carenza di interesse. Invero il ricorrente, pur non essendo stato condannato in primo grado in ordine al predetto manufatto, ha proposto appello richiedendo l’assoluzione ovvero la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ottenendo quest’ultima decisione, indubbiamente favorevole.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Quanto ai restanti motivi inerenti tutti la responsabilità dell’imputato, prosegue la Corte, essi paiono fondati.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Va premesso che il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29, <strong>non</strong> attribuisce al titolare del diritto reale sull’area di sedime o sull’immobile abusivamente realizzato alcuna <strong>posizione di garanzia</strong>; ne consegue che <strong>il proprietario (o il titolare di altro diritto reale) non può essere per ciò solo ritenuto responsabile dell’abuso commesso sul proprio immobile</strong>, nemmeno facendo ricorso al meccanismo di imputazione causale di cui all’art. 40 cpv. c.p. (Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625, che ha affermato che la responsabilità del proprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene nè può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l’<strong>inapplicabilità dell’art. 40 c.p., comma 2</strong>, ma dev’essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all’interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato; nello stesso senso anche Sez. 3, n. 47083 del 22/11/2007, Tartaglia, Rv. 238471; in senso contrario, ma con pronuncia isolata sul punto, Sez. 4, n. 19714 del 03/02/2009, Assante Di Ponzillo, Rv. 243961).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La questione, della prova della responsabilità del proprietario (ovvero del suo <strong>concorso nel reato commesso da terze persone sul suo immobile)</strong> non può essere risolta solo in base alla mera titolarità di situazioni giuridiche attive sul bene. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è restia a sostenere che la titolarità di un diritto reale sull’immobile abusivamente realizzato possa di per sé dimostrare che il proprietario sia anche il committente dell’opera, quand’anche solo a titolo concorsuale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il diritto reale sull’immobile costituisce un <strong>indizio</strong> grave, ma pur sempre un indizio che, a norma dell’<strong>art. 192 c.p.p., comma 2</strong>, deve essere valutato insieme con altri.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La gravità dell’indizio, chiosa ancora la Corte, può risentire di molteplici variabili come la circostanza per cui la disponibilità giuridica può non corrispondere al possesso e dunque all’<strong>effettiva disponibilità materiale dell’immobile</strong>. Nemmeno l’intima adesione del proprietario alla condotta altrui è sufficiente a fondare l’affermazione della responsabilità penale a titolo di concorso nel reato, se essa non si trasforma in un <strong>contributo morale effettivo all’altrui illecita condotta</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La titolarità del diritto reale determina, insomma, una <strong>signoria "legale"</strong> che non sempre corrisponde, nei fatti, ad un dominio effettivo sul bene che ne è oggetto e non autorizza pertanto suggestive quanto automatiche attribuzioni al titolare del diritto di ogni modificazione del bene stesso. È piuttosto il <strong>possesso</strong> inteso in senso civilistico, quale potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.), che da questo punto di vista esprime meglio di ogni altra la situazione di <strong>dominio effettivo sul bene</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Vertendosi in tema di responsabilità penale, soggiunge la Corte, l’informazione probatoria derivante dalla titolarità del diritto reale sul bene deve dunque essere filtrata alla stregua dei principi dettati in materia dal codice di rito e, innanzitutto, dalla <strong>presunzione di innocenza</strong> prevista dall’art. 27 Cost., atteso che, va ribadito, in sede penale la titolarità di un diritto reale sul bene abusivamente realizzato o modificato costituisce un’informazione probatoria, un indizio (grave, non sempre univoco) di colpevolezza, ma non la sua prova (in motivazione Sez. 3, n. 38492 del 19/05/2016 Rv. 268014 - 01).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte, quale giudice delle regole e della logica che presiedono alla sua ricostruzione, ha nel tempo fornito, senza pretesa di completezza, una serie di elementi dalla cui valutazione congiunta si può ragionevolmente desumere, oltre ogni ragionevole dubbio, la piena partecipazione (o compartecipazione) del proprietario alla realizzazione dell’immobile abusivo.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si è così affermato, in termini generali, che la responsabilità del proprietario per la realizzazione di costruzione abusiva deve essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili certamente anche dalla <strong>disponibilità giuridica e di fatto del suolo</strong> e dal suo <strong>interesse specifico alla realizzazione del manufatto ivi esistente</strong>, pure allo stesso appartenente in virtù della disciplina civilistica dell’accessione (Sez. 3, n. 35376 del 24/05/2007, De Filippo, Rv. 237405, che ha anche sostenuto che in tal caso l’affermazione della responsabilità del proprietario può essere affermata in mancanza di ogni altra contraria risultanza probatoria).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta anche dalla <strong>presentazione della domanda di condono edilizio</strong>, dai <strong>rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario</strong>, dalla <strong>presenza di quest’ultimo "in loco"</strong> e dallo svolgimento di <strong>attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori</strong> o dal <strong>regime patrimoniale dei coniugi </strong>(Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella, Rv. 261522; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253065), oppure dalla presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e dalla successiva domanda di sanatoria delle opere realizzate (Sez. 3, n. 33487 del 05/07/2006, Laforè, Rv. 235124).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Si può riassuntivamente affermare che, ai fini della configurabilità della responsabilità del proprietario del fondo sul quale risulta realizzato un manufatto abusivo può tenersi conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, del suolo e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (in applicazione del principio del "cui prodest"), ma altresì dei rapporti di parentela o di affinità tra esecutore dell’opera abusiva e proprietario, dell’eventuale presenza "in loco" di quest’ultimo, dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell’esecuzione dei lavori, della richiesta di provvedimenti abilitativi successivi, del regime patrimoniale dei coniugi, e complessivamente di <strong>tutte quelle situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove di una compartecipazione, anche solo morale, all’esecuzione delle opere da parte del proprietario</strong>.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Allo stesso tempo, tuttavia, non esiste un catalogo predefinito di indizi dai quali poter univocamente trarre la conclusione della responsabilità del proprietario per gli abusi edilizi commessi nell’area di sedime o sull’immobile di proprietà. E nel contempo le direttrici principali di questi ragionamenti non devono costituire il mezzo per eludere il principio della responsabilità personale da reato e della sua affermazione oltre ogni ragionevole dubbio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È comunque necessario, precisa la Corte, che l’azione appartenga al proprietario sotto ogni profilo, oggettivo (e dunque causale) e soggettivo, e che in questa delicata opera ricostruttiva il Giudice penale si conformi ai principi di diritto penale sostanziale utilizzando gli arnesi probatori forniti esclusivamente dal codice di rito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel caso in esame, conclude la Corte, il ricorrente ha evidenziato alcuni dati rilevanti circa l’approfondimento del giudizio di responsabilità, contrapposti alla sua titolarità dell’area ove insiste il manufatto e al ritenuto interesse al medesimo in relazione all’azienda paterna ove si rinviene il manufatto, quali l’insistenza dell’opera su area ove in concreto operava non lui personalmente quanto la ditta del padre, la produzione di fatture per l’edificazione rilasciate al padre, la cessazione dei lavori abusivi con la sopravvenuta infermità del genitore, l’iniziativa del medesimo per avviare la procedura di sanatoria, l’assenza dell’imputato nel corso dei lavori. Circostanze specificamente dedotte e in ordine alle quali i giudici non hanno formulato esplicite risposte, oltre peraltro a condividere (attraverso espresso richiamo alle motivazioni di primo grado) considerazioni non cristalline: come il ritenere, alla luce del decesso del padre del ricorrente pochi giorni dopo l’interruzione dei lavori, che egli non avesse potuto curare personalmente gli stessi (con implicito coinvolgimento, quindi, personale, del figlio), a fronte, tuttavia, del ritenuto mero concorso morale del medesimo e della incontestata prosecuzione dei lavori solo fino al febbraio / marzo del 2016, epoca del sopraggiunto malessere del padre, come emerso da apposita testimonianza citata in sentenza.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="4"> <li><em> Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata relativamente al manufatto in muratura di mt. 4,15 x 8,65 x 2,60, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia con riguardo alla responsabilità del ricorrente. Deve dichiararsi nel resto inammissibile il ricorso.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>
