Corte di Cassazione, III, sentenza del 17.05.2021, n. 13175
In materia di azioni possessorie, la fase di esecuzione del provvedimento interdittale è governata dall’art. 669 octies cpc, e non dalla discilina dell’esecuzione forzata, con la conseguenza che sarà competente a conoscere dell’attuazione del provvedimento il giudice che lo ha pronunciato senza che sia necessario, anzi essendo inopportuna, la notificazione dell’atto di precetto. Consegue da ciò che ogni contestazione contro l’esecuzione dell’interdetto possessorio, sarà tema di eccezione nella fase di merito, essendo inammissibili le opposizioni esecutive. Poichè la sentenza di merito che accolga la domanda possessoria determina l’assorbimento dell’interdetto, l’attuazione del provvedimento idoneo al giudicato dovrà avenire attraverso l’esecuzione forzata.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente articola quattro motivi, lamentando:
– con il primo (rubricato “violazione o falsa applicazione degli artt. 474, 479 e 615 c.p.c.”), che gli intimati erano stati individuati univocamente nel titolo esecutivo giudiziale come idonei destinatari dell’ordine di reintegrazione, sicché le vicende perfino anteriori all’instaurazione del giudizio nel cui corso quello si era formato erano irrilevanti ed inammissibili in sede esecutiva;
– con il secondo (rubricato “violazione o falsa applicazione degli artt. 111 e 404 c.p.c.”), che non può applicarsi il principio affermato da Cass. 3643/13, perché in questo caso il trasferimento del diritto si era avuto perfino prima dell’instaurazione del giudizio nel cui corso si era formato il titolo esecutivo giudiziale azionato, mentre l’acquirente neppure aveva dispiegato opposizione ex art. 404 c.p.c.;
– con il terzo (rubricato “violazione o falsa applicazione dell’art. 480 c.p.c., artt. 669 duodecies e 669 quaterdecies c.p.c.”), che l’opposizione a precetto era fin dall’origine inammissibile, visto che ogni contestazione del titolo esecutivo giudiziale consistente in un provvedimento interdittale possessorio era oggetto di attuazione, quale fase del procedimento possessorio, sicché ogni contestazione andava mossa ai sensi e nelle forme dell’art. 669 duodecies c.p.c.;
– con il quarto (rubricata “violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 96 c.p.c.”), che male è mancata l’irrogazione della condanna per responsabilità aggravata delle controparti, le quali avevano con grave colpa taciuto di aver venduto il bene fin da prima della stessa instaurazione del giudizio possessorio.
2. È preliminare la disamina del terzo motivo: la fondatezza del quale assorbe in senso tecnico ogni altra questione.
3. Infatti, l’attuazione forzosa del provvedimento di reintegrazione nel possesso va conseguita esclusivamente ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. e quindi con forme diverse dall’esecuzione: la concreta realizzazione del comando impartito dal provvedimento possessorio si deve, cioè, svolgere nell’ambito dello stesso giudizio e con le sole forme stabilite dal giudice che lo ha emesso, onde salvaguardare le peculiari esigenze cautelari e conservative che l’hanno determinato e che sono state valutate appunto da quel giudice ed a lui e soltanto a lui sono riservate.
4. Va, sul punto, data continuità al consolidato orientamento secondo cui i provvedimenti interinali di reintegrazione hanno il carattere della esecutività, ma non danno luogo ad esecuzione forzata, atteso che, con essi, non si realizza un’alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di realizzazione forzosa che si svolge ex officio iudicis (Cass. 20/10/1994, n. 8581; Cass. 15/01/2003, n. 481; Cass. ord. 30/03/2007, n. 7922; Cass. 26/02/2008, n. 5010; Cass. 12/03/2008, n. 6621): la loro attuazione, pertanto, deve avvenire senza l’osservanza delle formalità dell’ordinario processo di esecuzione e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto (con la conseguenza che le spese a questo relative, ove intimato, non sono neppure ripetibili; per tutte: Cass. 27/04/1979, n. 2460; Cass. 12/01/2006, n. 407).
5. La forzosa realizzazione del comando contenuto nel provvedimento d’urgenza in materia possessoria dà, così, luogo ad una ulteriore fase del procedimento possessorio, necessariamente devoluta, per imprescindibili esigenze di concentrazione ed effettività della peculiare tutela cautelare del caso e quindi in base ad inderogabile principio di ordine pubblico processuale, alla competenza dello stesso giudice che ha emesso il provvedimento e non già alla serie procedimentale della esecuzione forzata: è, dunque, non solo superflua, ma priva di fondamento normativo la notificazione del precetto ed è preclusa la proposizione del ricorso ex art. 612 c.p.c., ferma restando la facoltà per il giudice del merito di qualificare detto ricorso come semplice istanza al giudice del merito possessorio, ove però ne ricorrano tutti i presupposti.
6. Ne segue che la legittimità dell’attuazione forzosa ex art. 669 duodecies c.p.c., può essere contestata solo nell’ambito dello stesso giudizio possessorio e non invece con l’opposizione all’esecuzione od agli atti esecutivi, sicché tutte le deduzioni svolte da chi la subisce hanno la natura di eccezioni che, inserendosi nel giudizio di merito, sono idonee soltanto a sollecitare l’esercizio dei poteri di modifica e/o di integrazione o revoca del provvedimento impugnato, spettanti al giudice del merito possessorio e non ad altri (in generale: Cass. 20/10/1994, n. 8581; Cass. 25606/1997, n. 5672 del 1997; Cass. 12/03/2008, n. 6621).
7. A diversa soluzione si giunge nel solo in caso in cui oggetto di realizzazione forzosa del comando giudiziale sia la sentenza di merito, che abbia confermato, ma in realtà assorbito in una pronuncia a cognizione piena, il provvedimento di reintegrazione interinale, condannando il convenuto ad un obbligo di fare, non fare o rilasciare: in questa ipotesi l’esecuzione forzata è ammessa in forma ordinaria, ma purché in base alla sentenza e non più al precedente interdetto, poiché essa sarebbe allora fondata su di una sentenza resa all’esito della fase di merito di un ordinario giudizio di cognizione, che, in quanto tale, costituisce un titolo esecutivo ad ogni effetto e può essere azionata nelle relative forme, secondo il processo disciplinato dal libro terzo del codice di rito civile.
8. Nè può ammettersi che l’attuazione forzosa nelle forme libere contemplate dall’art. 669 duodecies c.p.c., costituisca una modalità cui la parte creditrice può rinunciare optando per il modello ordinario dell’esecuzione forzata: l’esigenza di riconduzione del procedimento al giudizio possessorio è a tutela dell’effettività della tutela lato sensu cautelare (o, in ogni caso, interinale) disegnata dal legislatore come necessariamente concentrata in capo al giudice che ha emesso quel provvedimento ed esclude una disponibilità delle forme di tutela.
9. La contraria soluzione adottata talvolta dalla giurisprudenza di questa Corte, nel senso dell’ammissibilità di un’opzione da parte del beneficiario, non solo non è prevalente,nè convincente, ma è per di più confinata ad ipotesi particolari, nella specie neppure configurabili (Cass. 04/05/1993, n. 5152, per l’ipotesi in cui non sia pendente il giudizio di merito al momento della contestazione dell’interdetto; Cass. 01/04/1998, n. 3374, per l’esecuzione dei provvedimenti del giudice della separazione personale, in relazione peraltro a normativa ormai superata).
10. Tale indisponibilità delle forme dell’attuazione (o comunque delle forme come individuate in concreto dal giudice del possessorio) esclude la legittimità della condotta del beneficiario dell’interdetto il quale, attraverso la notificazione del precetto, volesse rendere operativa una modalità procedimentale alternativa a quella contemplata dall’art. 669 duodecies c.p.c., modalità che legittimasse, tra l’altro, anche l’esperibilità delle opposizioni esecutive.
11. Ne consegue che i destinatari di quel – benché in quanto tale anch’esso illegittimo – precetto, neppure potendo con quello essere iniziato – per scolastica nozione integrando un atto anteriore o prodromico – in concreto alcun processo esecutivo od essendo individuabile un corrispondente giudice dell’esecuzione, non possono contestare il precetto loro intimato con il rimedio dell’art. 615 c.p.c.: ogni eventuale contestazione formale o sostanziale dell’attuazione loro minacciata avrebbe potuto e dovuto essere proposta esclusivamente al giudice della causa di merito possessorio, ferma l’irripetibilità delle spese contenute nella intimazione ex art. 480 c.p.c..
12. In definitiva:
– l’interdetto non si esegue, si attua: e tanto implica la devoluzione funzionale ed inderogabile di ogni relativa controversia al giudice della cautela e poi a quello del merito, secondo il principio consacrato nell’art. 669-duodecies c.p.c.;
– poiché non poteva ab origine essere intimato il precetto (e tanto meno minacciata o incoata un’esecuzione), neppure poteva essere proposta un’opposizione, perché tutte le questioni relative all’attuabilità andavano devolute al giudice che aveva emesso il provvedimento cautelare e poi a quello del relativo merito;
– l’opposizione era quindi inammissibile;
– il fatto che parrebbe essere sopravvenuta una sentenza di merito possessorio fa sì che sia sopravvenuto un titolo, questo – e solo questo – sì eseguibile, ma del quale non si tratta in questa sede, relativa soltanto alla attuazione dell’interdetto possessorio.
13. Il terzo motivo di ricorso deve allora trovare accoglimento, in applicazione del seguente principio di diritto: “poiché l’interdetto possessorio, a differenza della sentenza di condanna resa all’esito della successiva fase di merito, non è mai suscettibile di esecuzione, ma soltanto di attuazione ai sensi dell’art. 669 duodecies, richiamato dal capoverso dell’art. 703 c.p.c., sono inammissibili sia l’attività del beneficiario volta a porlo in attuazione nelle forme previste per l’esecuzione e consistente nell’intimazione di un precetto non previsto dalla legge o dal giudice, sia il dispiegamento di contestazioni mediante opposizione a quest’ultimo, l’una e l’altra in violazione della competenza funzionale ed inderogabile del giudice che ha emanato il detto provvedimento possessorio, a questi dovendo rivolgersi il destinatario della notifica di quell’inammissibile precetto per contestare il diritto di conseguire l’attuazione del provvedimento interdittale”.
14. La gravata sentenza va cassata e, poiché non sono necessari altri accertamenti, va ora per allora dichiarata inammissibile l’opposizione proposta da C.G. e B. ed V.E. avverso il precetto loro notificato il 06-11/09/2007 da C.R. e fondato su ordinanza possessoria conseguita in sede di reclamo il 02/08/2007 al Tribunale di Padova dalla sezione distaccata di Cittadella.
15. Restano, siccome non utilmente esaminabili in quella sede, assorbite ma impregiudicate le questioni con quella sollevate, oggetto dei motivi di ricorso primo e secondo; peraltro, anche il quarto è assorbito, invocandosi con la condanna per responsabilità aggravata, del cui mancato accoglimento si questiona, la sanzione di condotte che non potevano rilevare, per quanto fin qui argomentato, nell’inammissibile opposizione avverso il precetto (sebbene a sua volta inammissibile).
16. La peculiarità della fattispecie, connotata dall’attivazione di un rimedio inammissibile avverso un atto del pari illegittimamente formato, rende di giustizia la compensazione totale delle spese dell’intero giudizio fra le parti.
17. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è almeno in parte accolto, deve darsi atto che non sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.