Corte di Cassazione, II Sezione Civile, sentenza 17 settembre 2021, n. 25195
PRINCIPIO DI DIRITTO
La c.d. servitù irregolare – in dipendenza della tipicità dei diritti reali che costituiscono, nel loro complesso, un “numerus clausus” e che sono idonei a determinare anche un vincolo fondiario perpetuo – comporta l’insorgenza di un rapporto obbligatorio tra le parti, siccome avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore di un soggetto e non a realizzare uno scopo di utilità per un fondo (dominante), con l’imposizione di un peso su un altro fondo (servente), ragion per cui il suddetto rapporto va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo di natura permanente a carico della parte che deve adempierlo, dovendo esso caratterizzarsi per la necessaria temporaneità del vincolo che ne deriva.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione e mancanza di decisione e/o di motivazione in relazione alla mancata contestazione da parte del resistente circa le opere-tubature e contestazione limitata alla sola opera-pozzetto.
- Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218,1175 e 1176 c.c., avuto riguardo alla valutazione e qualificazione del rimedio operato dal giudice, avendo escluso che, nella fattispecie, ricorressero le condizioni per la configurazione della proposta azione come “negatoria servitutis”, pur avendo la Corte di appello qualificato il consenso reso da esso ricorrente al M. come atto costitutivo di una servitù irregolare.
- Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – sempre in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 872 c.c., comma 2, e degli artt. 112,113 e 115 c.p.c., non avendo la Corte di appello ritenuto che, nel caso di specie, coevamente alla proposizione di un’actio negatoria servitutis (con riferimento alla rimozione delle opere lesive del suo diritto di proprietà realizzate dal M. ), fosse stata formulata anche una domanda tendente ad ottenere la riduzione in pristino, come prevista dal citato art. 872 c.c..
- Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere respinto, non essendosi venute a configurare le prospettate violazioni, poiché dallo svolgimento del giudizio di primo grado e dalla stessa ammissione del ricorrente, il M.A. aveva, in effetti, chiesto in modo inequivoco il rigetto di tutte le domande avverse, dirette ad ottenere la rimozione sia del pozzetto che delle conduttore. Di conseguenza, la Corte di appello trentina ha preso compiutamente in esame il complessivo “petitum” correlato alla domanda attorea, ordinando la rimozione delle sole condutture per lo scolo delle acque meteoriche provenienti dal tetto in quanto non avevano costituito oggetto di convenzione tra le parti e rigettando nel resto la domanda, sul presupposto che avrebbe dovuto ritenersi non revocabile “ad nutum”, in mancanza di prova sulla provvisorietà dell’autorizzazione ed alla stregua della natura di opere stabili sul terreno realizzate dal M. , l’accordo per effetto del quale era stato collocato sulla particella n. XXX, di proprietà del B. , un pozzetto di scolo – con relative tubature – delle acque meteoriche provenienti dal marciapiedi e dal guardino, al servizio della particella edilizia n. XXX di proprietà dello stesso M.
- Osserva il collegio che è, invece, fondato il secondo motivo per le complessive ragioni che seguono. È opportuno, innanzitutto, precisare che, con la formulazione di questo motivo, il ricorrente non contesta la qualificazione fatta dai giudici di merito dell’accordo orale di concessione della posa in opera di un pozzetto di scolo delle acque meteoriche sulla sua proprietà come costitutivo di una “servitù irregolare”, bensì la natura dell’opera in concreto realizzata, ritenuta dalla Corte di appello come non provvisoria, dovendosi secondo la prospettazione della difesa del B. – ravvisarsi, invece, la sussistenza di un’opera solo temporanea, da considerarsi eseguita in violazione dello stesso accordo intercorso tra le stesse parti, donde la configurabilità dell’inadempimento dell’obbligazione relativa all’oggetto previsto da parte del M. e la derivante revoca del consenso da esso ricorrente prestato alla permanenza del citato pozzetto di scolo sulla particella di sua proprietà.
Pertanto, precisa la Corte, da un punto di vista generale, la difesa del ricorrente pone la questione, particolarmente dibattuta, sui limiti di ammissibilità, in primo luogo, nel nostro sistema civilistico della figura della “servitù irregolare”, della conseguente individuazione delle sue caratteristiche giuridiche e del rapporto intercorrente con la categoria delle servitù prediali in senso proprio, e, quindi, della sua possibile compatibilità, ancorché avente natura obbligatoria, con l’imposizione di un vincolo non temporalmente predeterminato. Prima di risolvere in modo specifico la questione sottoposta al collegio con la censura in esame, è opportuno procedere ad un inquadramento di massima della categoria delle servitù prediali per poi affrontare il problema precipuo della configurabilità delle cc.dd. “servitù irregolari”.
Predialità ed unilateralità, assieme alle connotazioni comuni dei diritti reali (ravvisabili nella possibilità del titolare di esercitare il proprio diritto senza che occorra l’attività collaborativa di terzi, nel legame tra il diritto e l’oggetto su cui è costituito e nell’opponibilità “erga omnes”), delineano gli elementi costitutivi e, quindi, i confini di operatività delle servitù tradizionalmente intese e regolate dal codice civile (artt. 10271028). Si è, tuttavia, osservato in dottrina che, a differenza degli altri “iura in re aliena”, il contenuto delle servitù non deve uniformarsi del tutto alle tipologie previste dalla legge (la cui catalogazione, rimane, pur sempre, un “numerus, essendo consentito ai privati di determinarlo in relazione all’utilità che il diritto, di volta in volta, è demandato a soddisfare, ma ciò necessariamente a condizione che venga rispettata la struttura legale minima contemplata dal codice civile (con particolare riguardo agli artt. 1027 e 1028) e che, quindi, sia accertata la presenza degli elementi caratterizzanti il diritto in discorso.
A tal proposito, soggiunge la Corte, deve rilevarsi che risulta in particolare, inderogabile il requisito della predialità che esprime il principio di cooperazione fondiaria, esaltando il principio della possibile ordinaria “deviazione di inutilità da un fondo ad un altro, allo scopo di valorizzare – con funzione “servente” – una determinata proprietà immobiliare.
Il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge e – secondo il recente orientamento espresso dalle Sezioni unite (con la sentenza n. 28972/2020, con la quale è stato affermato che proprio per effetto dell’operatività del principio appena richiamato è da ritenere preclusa la pattuizione avente ad oggetto l’attribuzione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di una porzione condominiale) – tale caratterizzazione è supportata anche degli argomenti secondo i quali: – l’art. 1322 c.c., colloca nel comparto contrattuale il principio dell’autonomia; – l’ordinamento mostra di guardare sotto ogni aspetto con sfavorevole a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprietà; – l’art. 2643 c.c., contiene un’elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione.
Sulla base di questa impostazione di fondo, quindi, si prospetta del tutto diversa l’ipotesi in cui la suddetta “utilitas” non sia destinata ad un altro fondo ma a vantaggio esclusivo di una determinata persona ed eventualmente a prescindere dalla qualità di proprietario o titolare di altro diritto reale. A questo proposito si suole fare riferimento alla figura delle “servitù irregolari”, le quali, come è noto, non sono menzionate nel codice civile e che concernemente dottrina e giurisprudenza escludono dal novero dei diritto reali e che, invece sono riconducibili – sul piano pratico – a quelle convenzioni che hanno ad oggetto limitazioni della proprietà del fondo altrui a beneficio, però, di un certo soggetto.
La migliore dottrina, chiosa ancora la Corte, ha asserito che la configurabilità delle servitù personali avrebbe, infatti, determinato la presenza nel sistema di una figura difettante dell’essenza stessa della servitù, ovvero della connotazione fondamentale della predialità. Si è, però, aggiunto che tale disconoscimento non ne ha significato, tuttavia, l’espunzione dall’ordinamento, ma semplicemente una riqualificazione in termini di rapporto obbligatorio, che, in alcun modo, legittima il riconoscimento di una categoria propria di “servitù atipiche”.
Con riferimento all’istituto delle “servitù irregolari” si contendono il campo, nella giurisprudenza di questa Corte, due orientamenti: – un primo indirizzo ha stabilito che le convenzioni costitutive di servitù “personali” o “irregolari”, aventi come contenuto limitazioni della proprietà del fondo altrui a beneficio di un determinato soggetto e non di un diverso fondo, devono ritenersi disconosciute dal codice vigente, come da quello abrogato del 1865, essendo dirette a realizzare un interesse non meritevole di tutela perché concretizzantesi in una mera comodità, del tutto personale, di coloro che accedono al preteso fondo servente, ma non in un’utilità oggettiva, pur se indiretta, del fondo dominante (cfr. Cass. n. 2233/1951, Cass. n. 16342/2002; Cass. n. 23708/2014 e Cass. n. 5603/2019); – un secondo indirizzo ha ritenuto che in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori; pertanto, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una “qualitas fundi”, le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria (v. Cass. n. 1387/1981; Cass. n. 2651/2010, Cass. n. 8363/2011 e Cass. n. 3091/2014).
Ad avviso del collegio sussistono ragioni preferenziali che fanno propendere per l’adesione a questo secondo orientamento, a condizione, però, che l’obbligo personale derivante dalla “servitù irregolare” non risulti caratterizzato da un vincolo permanente nel tempo. Le servitù irregolari possono, quindi, essere ritenute ammissibili in quanto siano configurate come il frutto di rapporti obbligatori atipici, e, quindi, come figure che rinvengono una loro legittimazione generale nel principio essenziale della libera iniziativa economica privata, nel riconoscimento della proprietà privata e delle correlate facoltà, nonché, più specificamente, nel principio dell’autonomia negoziale, che consente, entro i limiti imposti dalla legge, con particolare riferimento al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela (ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2), la costituzione di diritti personali a contenuto obbligatorio che conferiscono ad un determinato soggetto la facoltà di ritrarre apposite utilità dal fondo di proprietà altrui esclusivamente per il perseguimento di un vantaggio della persona o delle persone riportate nel relativo atto costitutivo, ma senza il conseguimento di un’utilità fondiaria in senso proprio.
Da qui, prosegue la Corte, la conseguenza che nell’ipotesi di “servitù irregolare”, così come appena inquadrata, non è data, per la sua tutela, “actio in rem”, ma solo quella inerente al rapporto di natura obbligatoria in caso di inadempimento. Il complesso di argomentazioni che precedono – dal quale discende l’incasellamento dell’istituto della “servitù irregolare” nell’ambito dei rapporti obbligatori atipici con esclusione di ogni connotato di realità – conduce, ad avviso del collegio, a riconoscere necessariamente allo stesso un carattere temporaneo, dovendosi considerare estranea al nostro ordinamento ed incompatibile con l’altrui diritto di proprietà la concezione di un’obbligazione personale di natura perpetua (che – se conclusa – sarebbe nulla), in quanto “disintegrerebbe” in modo temporalmente indefinito il diritto di proprietà dal suo contenuto economico (in tali termini si era pronunciata già la risalente Cass. n. 1056/1050, seguita, successivamente, da Cass. n. 4530/1984 e, più recentemente, da Cass. n. 193/2020), eliminandone la facoltà essenziale di poter godere pienamente del bene che ne costituisce oggetto.
Anche in ambito successorio, precisa la Corte, si è sostenuto che l’attribuzione patrimoniale gratuita di un bene con vincolo perpetuo di destinazione imposto dal disponente con clausola modale, è nulla per violazione dell’art. 1379 c.c., risultando eccessivamente compromesso il diritto di proprietà dell’onerato, i cui poteri dispositivi sul bene destinato a circolare, a pena di inadempimento, con il medesimo vincolo risulterebbero sostanzialmente sterilizzati “sine die” (cfr. Cass. n. 15240/2017). Alla stregua del riferito impianto argomentativo non può, perciò, essere recepito il contrario principio sostenuto da un minoritario orientamento di questa Corte (manifestatosi, soprattutto, con la risalente sentenza n. 1911/1969), secondo cui, nell’esercizio del loro potere di autonomia, le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto in relazione anche alla durata di esso, nei limiti imposti dalla legge, la quale, in effetti, spesso limita la durata dei contratti tipici da essa regolati, ma, ove limiti non ne siano stabiliti, il contratto obbligatorio può essere anche voluto dai contraenti come perpetuo (tesi, questa, peraltro sostenuta anche da autorevole dottrina).
Deve, quindi, affermarsi l’applicabilità, nel nostro ordinamento, del principio della generale inammissibilità delle obbligazioni perpetue, il quale non consente ai soggetti la possibilità di vincolarsi senza alcun termine. Per converso, in consonanza con la prevalente dottrina, la perpetuità del diritto si giustifica soltanto dove non si ponga un problema di soggetti vincolati a tempo indeterminato, per essere, invece, questa la ragione essenziale dell’illimitatezza temporale della proprietà. La stessa predominante dottrina, cui accede anche la prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr. la già citata Cass. n. 1056/1950 e, per applicazioni pratiche, Cass. n. 3286/2002 e Cass. n. 26863/2008), considera, del resto, come immanente nel nostro sistema civilistico – quale espressione del generale canone della c.d. buona fede esecutiva di cui all’art. 1375 c.c. – la possibilità dell’assoluta libertà di recedere da un contratto di durata quando le parti non abbiano previsto un termine, in tal senso riconoscendosi una piena legittimazione all’affermazione del principio generale di recedibilità dai contratti a tempo indeterminato, il quale è preposto alla tutela del debitore contro l’indefinita protrazione del vincolo ove la condotta imposta consista nello svolgimento di un’attività o nell’astenersi da essa.
Ciò posto e ritornando all’esame specifico del secondo motivo del ricorso, già si è evidenziato che con esso il ricorrente non contesta la qualificazione giuridica – di “servitù irregolare” – attribuita al rapporto intercorso tra le parti, ma, sulla base della illustrata ricostruzione di tale istituto, ha invocato l’applicabilità della tutela contrattuale derivante dall’inadempimento degli accordi da parte del M. , in tal senso correttamente denunciando la violazione degli artt. 1218,1175 e 1176 c.c..
Coglie, quindi, nel segno il motivo laddove censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, dopo aver ricondotto la concreta fattispecie nell’ambito della “servitù irregolare”, ha escluso il carattere provvisorio e temporaneo dell’accordo “osservando che sarebbe stato ben poco plausibile consentire solo in via temporanea la realizzazione di un’opera infissa al suolo”, ovvero del pozzetto di scolo (v. pag. 5 della relativa motivazione). Ragionando in tal modo, infatti, la Corte territoriale – confermando sul punto la decisione di prime cure – ha erroneamente inscritto la suddetta servitù, qualificata come irregolare, nell’ambito di un quadro connotato da profili di realità, così facendone derivare, a carico del B. , l’assunzione di un’obbligazione comportante una limitazione della sua proprietà senza alcun termine per il conseguimento di un diretto vantaggio del M. e non già a favore del suo fondo.
Pertanto, il ricorrente, nel prospettare la violazione delle disposizioni che regolano l’inadempimento contrattuale (propriamente riconducibile alla natura obbligatoria degli impegni assunti dalle parti in dipendenza della costituzione di una servitù irregolare), ha esattamente confutato l’impugnata sentenza, non avendo la Corte trentina valutato propriamente la condotta del M. in relazione agli accordi – per l’appunto obbligatori conclusi tra le parti e con riferimento alla possibile violazione delle norme denunciate (ed “in primis” dell’art. 1218 c.c.), conferendo, invece, una connotazione reale alla concreta fattispecie, di per sé – per quanto precedentemente chiarito – incompatibile con la natura da riconoscersi alla “servitù irregolare”, escludendo il carattere provvisorio e temporaneo dell’obbligazione di cui si era fatto carico il B.
- Per tutte le argomentazioni complessivamente svolte, conclude la Corte, il secondo motivo merita accoglimento, con il conseguente assorbimento del terzo (afferente ad un aspetto dipendente relativo alla reclamata diversa qualificazione dell’azione proposta dallo stesso ricorrente). Da ciò deriva la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che, nel rivalutare la fattispecie concretamente dedotta in giudizio, si uniformerà al seguente principio di diritto: “la c.d. servitù irregolare – in dipendenza della tipicità dei diritti reali che costituiscono, nel loro complesso, un “numerus clausus” e che sono idonei a determinare anche un vincolo fondiario perpetuo – comporta l’insorgenza di un rapporto obbligatorio tra le parti, siccome avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore di un soggetto e non a realizzare uno scopo di utilità per un fondo (dominante) con l’imposizione di un peso su un altro fondo (servente), ragion per cui il suddetto rapporto va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo di natura permanente a carico della parte che deve adempierlo, dovendo esso caratterizzarsi per la necessaria temporaneità del vincolo che ne deriva”.