Cass. civ., II, ord., 11.02.2022, n. 4469
MASSIMA
In tema di sepolcro gentilizio, la legittimazione ad agire per ottenere la liberazione dei loculi indebitamente occupati da soggetti privi del diritto ad essere ivi seppelliti spetta a coloro ai quali tale diritto sia attributo dal fondatore e non all’erede di quest’ultimo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
L.L. ha citato davanti al Giudice di Pace di Taranto R.M.V., sostenendo di essere proprietario di una cappella funeraria in […], pervenutagli quale unico erede del padre L.E., il quale aveva provveduto alla relativa costruzione, per poi disporre l’assegnazione dei loculi in favore di alcune persone delle quali aveva comunicato il nome (per l’esattezza, il fratello, due nipoti ed i loro due coniugi).
Questi ultimi, peraltro, avevano rinunciato all’assegnazione, con la conseguenza che i menzionati loculi erano stati occupati, ad avviso dell’attore, in via temporanea dai genitori di R.M.V., in attesa di una diversa sistemazione.
Poiché R.M.V. non aveva restituito i detti loculi, L.L. ne aveva domandato il rilascio, in quanto nel manufatto avevano diritto a trovare dimora solo le salme di persone appartenenti alla famiglia di esso attore.
In seguito alla dichiarazione di incompetenza del Giudice di Pace di Taranto, il Tribunale di Taranto, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2034/2012, ha rilevato il difetto di “legittimazione attiva” di L.L., avendo egli agito sul presupposto dell’esistenza di un “sepolcro gentilizio o familiare“, nella specie non ricorrente, con conseguente rigetto della sua domanda.
L.L. ha, quindi, proposto appello, censurando la sentenza di primo grado per non avere ritenuto, nel caso in esame, la natura gentilizia o familiare del sepolcro.
La Corte di Appello di Lecce, Sez. Dist. Taranto, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 378/2016, ha respinto l’appello.
L.L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
R.M.V. ha resistito con controricorso.
L.L. ha depositato memoria.
- Preliminarmente si osserva che oggetto del presente giudizio è, sulla base della prospettazione di L.L., per quanto risultante dalla sentenza impugnata e dal ricorso, esclusivamente la natura gentilizia o meno del sepolcro in questione.
- Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonché l’omessa indicazione di atti e fatti rilevanti ed il travisamento dei medesimi poiché la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che N.A. e C.G., indicati dal fondatore come beneficiari di due loculi, appartenevano alla sua famiglia, quali coniugi di L.M. ed A., avendo escluso, al contrario, la dedotta relazione di parentela.
Inoltre, il giudice di appello non avrebbe adeguatamente considerato che N.A. e L.M. avevano rinunciato al beneficio, con la conseguenza che i detti loculi sarebbero rientrati nella disponibilità del ricorrente.
La doglianza è in parte inammissibile ed in parte infondata.
Innanzitutto, si rileva che “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal cit. D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass., Sez. 1, n. 26774 del 22 dicembre 2016).
Nella specie, è evidente, dalla lettura della decisione impugnata e del ricorso, che le ragioni poste a fondamento delle due pronunce di merito sono le stesse, per cui il motivo di impugnazione, nella misura nella quale è riconducibile al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è inammissibile.
La doglianza è, poi, da respingere, ove sembra lamentare (deve intendersi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3) che il sepolcro in questione sarebbe stato considerato ereditario in violazione dei criteri che, secondo la giurisprudenza, avrebbero dovuto condurre a qualificarlo come gentilizio.
Infatti, “Nel sepolcro ereditario lo “ius sepulchri” si trasmette nei modi ordinari, per atto “inter vivos” o “mortis causa”, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre in quello gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo “ius sepulchri” è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari di esso, acquistandosi dal singolo “iure proprio” sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, “iure sanguinis” e non “iure successionis”, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o “mortis causa”, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione “mortis causa”” (Cass., Sez. U., n. 17122 del 28 giugno 2018).
Pertanto, la circostanza della individuazione di N.A. e C.G., da parte di L.E. , costruttore del sepolcro, quali beneficiari del diritto ad essere seppelliti nei loculi in esame comporta, come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, che avrebbero dovuto essere eventualmente i menzionati N. e C. a dolersi dell’occupazione delle loro tombe – atteso che, ove fosse stata accertata la natura familiare del detto sepolcro, il loro diritto non sarebbe stato più rinunciabile – e non, invece, il ricorrente il quale, avendo dichiarato di agire come unico erede del costruttore, non aveva titolo per sostituirsi a loro.
Deve affermarsi, quindi, che, in tema di sepolcro gentilizio, la legittimazione ad agire per ottenere la liberazione dei loculi indebitamente occupati da soggetti privi del diritto ad essere ivi seppelliti spetta a coloro ai quali tale diritto sia attributo dal fondatore e non all’erede di quest’ultimo.
- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del regolamento di polizia mortuaria approvato con il D.P.R. n. 803 del 1975, come modificato dal D.P.R. n. 285 del 1990, non essendo consentita l’attribuzione di una concessione perpetua di aree cimiteriali, per di più a soggetti estranei al nucleo familiare di chi sia concessionario.
La doglianza è inammissibile, non risultando che sia stata proposta nei precedenti gradi di giudizio.
- Il ricorso va, quindi, respinto.
- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).