Corte di Cassazione civile, sezione II, sentenza 22 ottobre 2024, n. 27344
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione, o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio, che devono rivelare in modo non equivoco, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere di passaggio a favore del preteso fondo dominante, per cui non basta avere prova dell’esistenza di una strada, o di un percorso idoneo a consentire il passaggio, essendo essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente, ed occorrendo quindi un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
1.1 Preliminarmente occorre rilevare che il controricorso di B.B. e C.C. è stato notificato nel rispetto del termine di quaranta giorni dalla ricevuta notifica del ricorso del 13.1.2020 previsto dall’art. 370 comma 1 c.p.c. Ed invero, l’ultimo giorno utile per notificare il controricorso, calcolando il termine dal giorno successivo alla notifica del ricorso (13.1.2020), ossia dal 14.1.2020, per il principio dies a quo non computatur in termine, sarebbe scaduto il 22.2.2020, che però era un sabato, per cui il termine è stato prorogato automaticamente al lunedì successivo in base al combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 155 c.p.c., ossia al 24.2.2020, ed è appunto in tale data che i B.B. e C.C. hanno notificato al legale domiciliatario della ricorrente il loro controricorso. Ciò comporta l’infondatezza della relativa eccezione. 1.2 Le eccezioni sollevate dai controricorrenti, peraltro oggetto di rinunzia, hanno trovato soluzione in giurisprudenza (v. Cass. 13.5.2024 n. 13555, sulle modalità di autenticazione della procura speciale ex art. 380 bis cpc). 1.3 Quanto alla questione (posta d’ufficio con l’ordinanza interlocutoria) del deposito ad opera del legale di parte ricorrente, avv. Filippo Tatò, insieme all’istanza didecisione ex art. 380 bis comma 2 c.p.c., della copia digitalizzata della procura cartacea rilasciatagli dalla cliente e da lui personalmente autenticata senza l’attestazione di conformità all’originale, la stessa deve ritenersi superata, sia in quanto la controparte non ha sollevato contestazioni su tale conformità nel primo suo scritto difensivo successivo all’avversa istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2 c.p.c. (la memoria ex art. 378 c.p.c.), sia in quanto la sentenza n. 2077 del 19.1.2024 delle sezioni unite della Corte di Cassazione ha ritenuto che l’inserimento della copia digitalizzata di unaprocura cartacea autenticata nella busta telematica con la quale un atto firmato digitalmente è depositato (nella specie l’istanza di decisione exart. 380 bis comma 2 c.p.c.), anche senza l’attestazione di conformità della copia digitalizzata all’originale cartaceo, consenta di ritenere la procura speciale come apposta in calce all’atto depositato telematicamente e firmato digitalmente. 1.4 Le altre questioni poste con l’ordinanza interlocutoria (applicazione dell’art. 96 cpc in caso di decisione sfavorevole, ma per ragioni diverse rispetto alla proposta e partecipazione al Collegio del consigliere delegato) non sono funzionali ai fini della decisione e quindi sono da ritenersi superate. Venendo all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi la ricorrente, in relazione ai numeri 3) e 5) c.p.c., lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell’art. 115 c.p.c. per omesso esame delle prove testimoniali rese dai testimoni addotti dalla A.A. (D.D., E.E., F.F., G.G., H.H.), dalle quali emergeva che all’epoca dell’acquisto della A.A. il terreno da lei acquistato non era attraversato da strade, ma coltivato e separato da un muretto a secco, senza aperture, dal fondo dei B.B. e C.C., per essere state considerate solo le deposizioni rese dai testi addotti dai B.B. e C.C. (I.I., J.J., K.K., L.L., M.M. e N.N.), per l’omesso esame delle raccomandate del 2001, 2003 e 2007 indicate come interruttive del termine utile per l’usucapione, e delle risultanze della CTU, che in base agli atti catastali ed ai rilievi effettuati, aveva negato l’esistenza da oltre 45 anni del passaggio carrabile sul fondo della A.A. Va premesso che è inammissibile la qualificazione come omesso esame di un fatto storico decisivo dell’omesso esame di elementi probatori (vedi Cass. sez. un. 22.6.2017 n. 15486), categoria nella quale rientra il lamentato omesso esame di alcune prove testimoniali e delle raccomandate asseritamente interruttive dell’usucapione, queste ultime peraltro inidonee, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, ad interrompere il corso del possesso ad usucapionem, in quanto l’interruzione presuppone l’esercizio di un’azione giudiziale (vedi Cass. n.21929/2021; Cass. n. 6688/2019; Cass. n.11698/2017 ; Cass. n.15927/2016; Cass. n. 15199/2011). Il motivo è invece fondato solo nella parte in cui si lamenta, sotto il profilo dell’omesso esame, che la sentenza impugnata ha completamente ignorato le risultanze della CTU, che pure era stata disposta, e che come riportato alla pagina 10 del ricorso, in omaggio al principio dell’autosufficienza, eseguito il sopralluogo, aveva concluso “che non è dimostrabile materialmente l’esistenza del passaggio carrabile che collega i fondi dei convenuti con la complanare in quanto non ci sono atti catastali e rilievi che possono attestare la reale presenza del passaggio carrabile da oltre quarantacinque anni sul fondo della parte attrice, né può essere riconducibile ad una striscia di terreno di proprietà ANAS in quanto catastalmente la titolarità è della parte attrice” (vedi sull’applicabilità del vizio dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. nel caso di totale omesso esame di una CTU Cass. n.18956/2021 ; Cass. n. 18598/2020; Cass. n. 2736/2019; Cass. n.13770/2018; Cass. n. 13399/2018). Diverso sarebbe stato l’esito dello scrutinio in sede di legittimità, se la Corte d’Appello di Lecce avesse effettuato, nell’esercizio del suo libero convincimento, una valutazione, quale che fosse, dell’espletata CTU, in quanto in quel caso tale valutazione non sarebbe stata sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti di censura ancora consentiti sulla motivazione, perché riservata al giudice di merito. Si rende pertanto necessario un nuovo esame. 2. Col secondo motivo parte ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1159, 1031, 1061, 1140, 2697 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c. Si duole la A.A. che nella ricostruzione logico-giuridica della Corte d’Appello di Lecce manchi la descrizione e l’esatta individuazione delle opere visibili e permanenti destinate al passaggio, nonché la prova delle modalità di esercizio del passaggio, del termine iniziale e finale del preteso passaggio. Il secondo motivo è fondato per quanto di ragione. L’impugnata sentenza, infatti, secondo la prospettazione della ricorrente, non si è uniformata alla giurisprudenza di questa Corte, che ai fini dell’usucapione di una servitù di passaggio, in base all’art. 1061 cod. civ., richiede la presenza di opere visibili e permanenti, che non solo rendano evidente l’esistenza del passaggio, ma mostrino ai terzi per il tempo necessario a fare maturare l’usucapione, che l’onere del passaggio grava sul preteso fondo servente proprio a vantaggio del preteso fondo dominante, in quanto non ha individuato l’esistenza nel tempo di un unico passaggio per raggiungere i fondi dei B.B. e C.C. attraverso la proprietà A.A., accertando un’asfaltatura nel 1994 di un tratto di strada che conduce alla complanare che prima era costituito solo da roccia affiorante, e riconoscendo che la precedente strada vicinale, che consentiva l’accesso al terreno dei B.B. e C.C. dalla statale prima era più lunga rispetto al tracciato attuale. La sentenza impugnata, a pagina 3, ha basato l’accoglimento della domanda di usucapione della servitù di passaggio sulla proprietà A.A., a favore dei fondi di proprietà B.B. e C.C., sulle testimonianze rese dai testimoni da questi addotti relative all’esercizio del passaggio per uso agricolo attraverso percorsi variati nel tempo (prima il tratturo che si dipartiva da una strada vicinale preesistente alla complanare realizzata in occasione dell’allargamento della statale n. (Omissis) del 1994 che con percorso più lungo dell’attuale arrivava al loro fondo; poi un più breve percorso dapprima costituito da roccia affiorante e poi asfaltato, ma pacificamente solo nel 1994), e sull’esistenza di un varco nella proprietà B.B. e C.C., prima chiuso da due paletti con una catena e poi da una sbarra, concentrandosi peraltro solo sul percorso e non sull’esistenza di opere visibili e permanenti, che per oltre venti anni prima dell’inizio del giudizio(8/10.3.2008) dovevano rendere palese anche a terzi che il peso del passaggio gravava in via permanente sul preteso fondo servente a favore del preteso fondo dominante, ossia del cosiddetto “quid pluris” richiesto dall’art. 1061 cod. civ. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione, o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio, che devono rivelare in modo non equivoco, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere di passaggio a favore del preteso fondo dominante, per cui non basta avere prova dell’esistenza di una strada, o di un percorso idoneo a consentire il passaggio, essendo essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente, ed occorrendo quindi un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù (vedi in tal senso Cass. ord. n. 11123/2022 in motivazione a pagina 5; Cass. ord. n.29579/2021 in motivazione a pagina 12; Cass. ord. 6.5.2021 n.11834 ; Cass. ord. 17.3.2017 n. 7004). Nel caso in esame, in definitiva, la sentenza impugnata ha riferito la nozione di opere visibili e permanenti dell’art. 1061 cod. civ. soltanto all’esistenza del percorso stradale, e di un accesso al fondo B.B. e C.C. dapprima delimitato da due paletti con catena e poi da una sbarra, senza alcuna specificazione temporale dell’apertura e soprattutto con variazione nel tempo del percorso di accesso e dello stesso materiale del piano di calpestio del passaggio, asfaltato solo dopo l’ampliamento della strada statale n. (Omissis) nel 1994, trascurando completamente il necessario accertamento del suddetto quid pluris, idoneo a dimostrare, agli occhi dei terzi, l’esistenza del peso sui pretesi fondi serventi, a specifico favore dei pretesi fondi dominanti, per il tempo (venti anni) necessario alla maturazione dell’usucapione del diritto di passaggio carrabile su un unico percorso. Si rende pertanto necessaria, anche in relazione a tale motivo, la cassazione della sentenza per un nuovo esame dei fatti alla luce del corretto significato dell’art. 1061 cod. civ. 3. Col terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1158, 1031, 1061, 1140, 2697 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c. Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello di Lecce abbia accertato l’usucapione della servitù di passaggio carrabile senza trarre le conseguenze sul piano del possesso del passaggio, e quindi dell’acquisto a titolo originario del diritto reale invocato, della riconosciuta variazione nel tempo del percorso, delle modalità di esercizio e della visibilità del passaggio. Tale motivo deve ritenersi logicamente assorbito per effetto dell’accoglimento, per quanto di ragione, dei primi due motivi. Il giudice di rinvio (che si individua nella Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione) dovrà rivalutare gli atti tenendo conto anche della consulenza tecnica e della corretta interpretazione dell’art. 1061 cod. civ., ed all’esito provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.