<p style="text-align: justify;">Con la sentenza n. 29459/2019 (e con quelle gemelle nn. 29460/2019 e 29461/2019) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto due rilevanti questioni riguardanti il diritto del cittadino straniero al riconoscimento della protezione umanitaria, componendo un contrasto insorto all’interno della Prima sezione civile.</p> <p style="text-align: justify;">In relazione al primo contrasto, le Sezioni Unite hanno stabilito che l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avvenuto con il d.l n. 113/2018, convertito con modificazioni con l. n. 132/2018, non incide sull’esame delle domande proposte prima dell’entrata in vigore della novella (5 ottobre 2018), per le quali continua ad applicarsi il previgente art. 5, comma 6, d.lgs n. 286/1998 (Testo unico dell’immigrazione) che contiene una clausola generale incentrata sulla sussistenza di “seri motivi di carattere umanitario” da valorizzare, ai fini del rilascio di un permesso temporaneo, in funzione degli obblighi costituzionali e internazionali assunti dallo Stato italiano.</p> <p style="text-align: justify;">Le Sezioni Unite, in estrema sintesi:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>hanno sancito l’irretroattività della novella, ribadendo che il divieto di applicazione retroattiva delle norme (art. 11 preleggi), pur non godendo di copertura costituzionale, assolve comunque ad una imprescindibile funzione di garanzia dell’immutabilità della rilevanza giuridica di fatti che si siano già compiutamente verificati o di fattispecie non ancora esaurite;</li> <li>hanno chiaramente affermato che il diritto alla protezione umanitaria sorge in dipendenza di situazioni di vulnerabilità soggettiva ovvero oggettiva che preesistono al loro accertamento da parte della Commissione territoriale o del giudice, le cui decisioni hanno perciò natura dichiarativa e non costitutiva;</li> <li>hanno precisato, a tale riguardo, che il diritto alla protezione umanitaria – a differenza di quanto sostenuto dall’ordinanza di rimessione – non scaturisce da una “fattispecie complessa e a formazione progressiva” i cui presupposti vengono ad esistenza nel corso del procedimento, poiché quest’ultimo è semplicemente volto all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto, che si verificano prima e indipendentemente dal suo svolgimento;</li> <li>hanno stabilito che, sebbene il diritto alla protezione umanitaria sorga “<em>quando si verifica la situazione di vulnerabilità quale sussumibile nella fattispecie all’epoca vigente</em>”, il regime giuridico della protezione da accordare si determina in relazione al momento di presentazione della domanda, poiché “<em>è con la domanda in sede amministrativa che il titolare del diritto esprime il bisogno di tutela, e il bisogno di tutela per ragioni umanitarie va regolato secondo le modalità previste dal legislatore nazionale</em>”, sicché è “<em>il tempo della sua presentazione a individuare il complesso delle regole applicabili</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Da tali premesse la Corte muove per affermare il principio secondo cui la normativa introdotta con il d.l. 113/2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contenuta all’art. 5, comma 6, del Testo unico dell’immigrazione e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione alle domande di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima della sua entrata in vigore (5 ottobre 2018), le quali andranno scrutinate sulla base della normativa vigente all’epoca della loro presentazione. In tali ipotesi, il riconoscimento del permesso di soggiorno in base alla normativa previgente comporterà però il rilascio del “nuovo” permesso di soggiorno per “casi speciali”, oggi previsto dall’art. 1, comma 9, del d.l. n. 113/2018.</p> <p style="text-align: justify;">Va soltanto aggiunto che con questa decisione le Sezioni Unite si collocano nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla costruzione del diritto d’asilo costituzionale (art. 10, comma 3, Cost.) e all’inquadramento della protezione umanitaria tra le forme attraverso le quali quel diritto trova concretamente attuazione nell’ordinamento italiano.</p> <p style="text-align: justify;">La seconda questione, relativa alla rilevanza del grado di integrazione sociale e lavorativa raggiunta dal richiedente protezione nel Paese di accoglienza ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, è stata risolta dalle Sezioni Unite confermando l’orientamento nettamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità (e di merito) e inaugurato con la celebre sentenza della Cassazione n. 4455/2018.</p> <p style="text-align: justify;">Le Sezioni Unite hanno infatti ribadito che il profilo del radicamento del migrante sul territorio italiano non può essere esaminato isolatamente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ma deve essere comparato “<em>con la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">La pronuncia in esame riafferma inoltre che il diritto alla protezione umanitaria non può mai discendere dal solo contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza, pena la considerazione non già della situazione individuale del singolo soggetto, ma quella del suo Paese di origine, in termini generali e astratti, senza alcun collegamento significativo con la condizione personale del richiedente.</p> <p style="text-align: justify;"><em>Vincenzo Carnì</em></p>