<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La vocazione alla trasparenza, sempre più pressante anche quale prezioso strumento contro la corruzione, ha reso in qualche modo recessivo il tradizionale diritto di accesso agli atti previsto dalla legge 241 del 1990, che è quasi trasceso nelle nuove forme, legislativamente previste, rispettivamente dell’accesso civico e dell’accesso c.d. libero e universale. Un fenomeno nel quale, tuttavia, proprio il principio di trasparenza rischia, confondendovisi, di sovrapporsi al diverso (seppur contermine) principio di pubblicità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che annovera tra i principi in tema di Pubblica Amministrazione quello di organizzazione dei pubblici uffici in modo da assicurarne l’imparzialità ed il buon andamento (art.97).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1957</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio viene varato il D.p.R. n.3 in tema di impiegati civili dello Stato, il cui art.15 consacra il principio c.d. di segretezza dell’azione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1966</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio, durante il mandato del presidente Lyndon B. Johnson, vede la luce negli USA Il <em>Freedom of Information Act</em> (FOIA), ovvero "<em>l’atto per la libertà di informazione</em>", una legge sulla libertà di informazione che diventerà il punto di riferimento delle future disposizioni, anche europee, in materia di trasparenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.241 che, mutando prospettiva rispetto al passato, impronta il rapporto tra PA e cittadino, tra gli altri, al canone della pubblicità, della trasparenza e della partecipazione. Particolare importanza riveste l’art.22, il cui comma 2 individua nell’accesso ai documenti un principio generale dell’azione amministrativa, inteso a favorire la partecipazione degli amministrati ed a garantire l’imparzialità e la trasparenza della stessa Amministrazione: proprio in forza di ciò, la regola è che i documenti sono tutti accessibili, ad eccezione di quelli esplicitamente sottratti all’ostensione a norma dell’art.24 (comma 3). Quello disegnato dalla legge 241.90 è tuttavia un diritto di accesso che prevede sul crinale soggettivo dei requisiti di legittimazione (onde non tutti possono accedere) e, su quello oggettivo, dei limiti ben precisi, essendo sottratta all’accesso l’organizzazione e l’attività dell’Amministrazione (potendosene conoscere giusta accesso i soli atti e documenti).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 marzo entra in vigore la legge delega n.15 che prevede tra i propri principi e criteri direttivi anche una revisione della disciplina della trasparenza nell’azione pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce il decreto legislativo n.150 dal cui articolo 11 affiora un rinnovato principio di trasparenza, da intendersi come accessibilità a tutto tondo e totale alle informazioni pubbliche, avvalendosi anche della pubblicazione sui siti istituzionali dei singoli plessi pubblici.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 novembre viene varata la legge n.190 in tema di lotta alla corruzione e all’illegalità nella Pubblica Amministrazione, nel cui contesto viene assunto di determinante efficacia lo strumento della trasparenza, con connessa delega al Governo alla relativa, ulteriore disciplina (art.1, comma 35).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce il decreto legislativo n.33 che, dando attuazione alla delega conferita con la legge 190.12, implementa l’elenco degli atti e dei documenti che la PA ha l’obbligo di pubblicare e valorizza ancora di più i siti istituzionali delle singole Amministrazioni istituendo la obbligatoria sezione “<em>Amministrazione Trasparente</em>”; detta criteri in tema di qualità delle informazioni; disciplina come tecnicamente garantire in modo uniforme la facile reperibilità dei dati e organizza in un articolato normativo unico tutti gli obblighi di pubblicazione sparsi, fino ad allora, in varie disposizioni di legge. Il provvedimento si ricorda soprattutto per avere introdotto nel sistema il c.d. accesso civico, che sostanzia il riconosciuto diritto alla conoscibilità dell’azione amministrativa (e non solo dei relativi atti) in modo totale: proprio per questo viene ampliata la pletora dei possibili titolari della pretesa alla ostensione - giusta pubblicazione – dei dati pubblici cui corrispondono obblighi di pubblicazione che, ove non osservati, diventano appunto da chiunque sollecitabili azionando l’accesso civico. In sostanza, il decreto legislativo 33.13 prevede dati che la PA è obbligata a pubblicare e, a fronte di essi, un diritto di accesso civico di chiunque ad invocarne la pubblicazione, ove non attuata, attraverso un’azione giurisdizionale senza più la necessità di requisiti legittimanti (come per l’accesso c.d. classico di cui alla legge 241.90).</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno viene varato il decreto legge n.69 (c.d decreto del fare) che - nell’emendare e ad un tempo specificare l’accesso civico di cui al decreto legislativo n.33, - individua taluni dati minimi che le Pubbliche Amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare sui propri siti web istituzionali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 luglio esce la sentenza della IV sezione del Tar Lombardia n.1904 che muovendo sostanzialmente dal controllo democratico sull’attività amministrativa quale referente ultimo della introduzione nel sistema del c.d. accesso civico, assume come esso, proprio come tale, spetti a chiunque in modo gratuito ed immotivato, sul solo presupposto onde determinati atti che dovevano essere resi pubblici non sono stati pubblicati dalla pertinente PA.; esso va attivato nei confronti del responsabile della trasparenza dell’Amministrazione di riferimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 agosto viene varata la legge n.98 che converte, con modificazioni, il c.d. decreto del fare n.69.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce la sentenza del Tar Abruzzo n.861 che muove dal presupposto onde – a seguito dell’entrata in vigore del c.d. accesso civico – gli amministrati non possono più considerarsi (solo) tali, dovendo piuttosto atteggiarsi a cittadini (<em>cives</em>) e potendo come tali controllare se la trasparenza della dinamica pubblica imposta dalla legge venga o meno effettivamente attuata dalle Amministrazioni, anche e soprattutto sul crinale de conti pubblici e del controllo sulla reale rispondenza delle spese pubbliche al funzionamento di uffici e servizi destinati a soddisfare i bisogni dei cittadini medesimi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 novembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5515, che si occupa dell’ambito di applicazione del nuovo accesso “<em>civico</em>” rispetto all’accesso tradizionale disciplinato dalla legge 241.90: mentre quest’ultimo riguarda i documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, l’accesso civico di cui al decreto legislativo 33.13 riguarda gli atti che esse sono tenute a pubblicare e che non abbiano pubblicato, e dunque non può assumersi sovrapponibile al primo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 marzo esce la sentenza della sezione III.bis del Tar Lazio n. 3014, che assume tutelabile in via giurisdizionale l’accesso civico attraverso lo strumento di tutela speciale previsto per l’accesso tradizionale dall’art.116 del codice del processo amministrativo: in tal modo è possibile in modo concreto consentire il controllo democratico dell’azione pubblica a cittadini ed enti, <em>sub specie</em> di potere di obbligare l’Amministrazione a pubblicare i documenti e i dati che avrebbe dovuto pubblicare per obbligo di legge e che non ha pubblicato. L’Amministrazione fatta destinataria dell’istanza di accesso civico – che è spiccabile da chiunque e non deve essere motivata – può opporvisi solo affermando di aver pubblicato i dati dei quali si chiede l’ostensione, dovendo tuttavia in questo caso indicare al richiedente il collegamento ipertestuale necessario per consentirgli di compiutamente conoscere il documento, l’informazione o il dato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Tar Lombardia n.2587 che si occupa di una fattispecie di accesso in materia di procedimento di gara di appalto, laddove l’accesso medesimo si fonda sull’interesse alla conoscenza di atti prodotti dall’Amministrazione nel corso del procedimento competitivo: in queste ipotesi, secondo il Tar, non sarebbe invocabile il c.d. accesso civico, e ciò per il motivo onde quest’ultimo si correla all’interesse alla generale conoscibilità di atti dei quali è obbligatoria la pubblicazione. Nell’accesso in materia di gare occorre dunque un requisito legittimante ed uno specifico interesse ad accedere, non potendosi invocare il diritto al c.d. accesso civico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 novembre esce la sentenza della VI sezione del Tar Campania n.5671 secondo la quale le disposizioni sull’accesso civico di cui al decreto legislativo n.33.13 si applicano direttamente anche alle Regioni e agli enti locali in forza dell’art.1, comma 3, del decreto medesimo, laddove si fa riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni erogate dalle Amministrazioni a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione ex art.117, comma 2, lettera m) della Costituzione ed all’esercizio delle funzioni di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’Amministrazione statale, regionale e locale di cui all’art.117, comma 2, lett. r) della Costituzione. Il Tar si sofferma anche sui rapporti tra accesso civico ed accesso tradizionale di cui alla legge n.241.90 assumendo che anche chi è titolare dell’interesse differenziato che lo legittima all’accesso procedimentale tradizionale può decidere di avvalersi del c.d. accesso civico, con riguardo agli atti che devono essere pubblicati dalla PA e che non sono stati pubblicati. Si è al cospetto dell’inverarsi sul piano ordinamentale del <em>right to know</em>, in quanto l’accesso civico garantisce il controllo democratico sull’attività amministrativa e realizza pienamente il principio di trasparenza proprio dove consente un controllo generalizzato dell’opinione pubblica sull’attività amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge n.124 che, all’art.7, conferisce al Governo la delega, tra l’altro, in materia di trasparenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 settembre esce la sentenza della III sezione del TAR Puglia n. 1253 che, in materia di accesso civico di cui al d.lgs. 33/13, afferma l’obbligo in capo al Comune di integrare la pubblicazione delle tavole grafiche di una determinata zona e sottozona del PRG per rendere trasparenti e coerenti fra loro le previsioni normative e grafiche dei vigenti strumenti urbanistici comunali.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 novembre esce la sentenza della II sezione del TAR Calabria n. 1671 che – accogliendo un ricorso avverso il “<em>silenzio</em>” -nel ribadire gli obblighi in capo all’Amministrazione in caso di istanza di accesso civico, afferma essere ricompresa in tale disciplina la pubblicazione dei dati concernenti gli organi di indirizzo politico dell’Ente locale; sussiste infatti, in capo al Comune, l’obbligo di pubblicare i medesimi dati e le relative informazioni, rientrando gli stessi nel novero degli atti e documenti indicati dall’art. 14 del <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">D.L.vo 14 marzo 2013 n. 33</a> che chiunque può chiedere siano pubblicati. Per il Tar l’accesso civico previsto dal <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">D.L.vo 14 marzo 2013 n. 33</a> consente ai cittadini e agli enti di controllare democraticamente se una PA abbia adempiuto agli obblighi di trasparenza previsti dalla legge, segnatamente se abbia provveduto alla pubblicazione di documenti, informazioni o dati, sicché l’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso civico, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del citato <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">D.L.vo n. 33 del 2013</a>, entro 30 giorni, deve pubblicare il documento, informazione o dato richiesto sul sito istituzionale, trasmettendolo contestualmente all’istante, ovvero comunicando a quest’ultimo il collegamento ipertestuale per l’accesso, con la precisazione che in tale ultimo modo (indicazione del pertinente collegamento ipertestuale) la P.A. deve (può) procedere solo allorché il documento, l’informazione o il dato risulti già pubblicato nel rispetto della normativa vigente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio esce il parere del Consiglio di Stato, Sezione consultiva atti normativi, n. 515 che nel pronunciarsi sullo schema di decreto legislativo in materia di trasparenza, rappresenta come occorra trascorrere da una forma di trasparenza di tipo “<em>proattivo</em>” (pubblicazione obbligatoria sui siti internet degli enti pubblici dei dati e delle notizie indicati dalla legge) ad un’altra di tipo “<em>reattivo</em>”, tale da rispondere alle pretese conoscitive ed alle pertinenti istanze degli interessati, così da sostituire il bisogno di conoscere con il diritto di conoscere, sulla scorta del F.O.I.A. (<em>Freedom of Information Act</em>) del 1966. Il Consiglio di Stato rileva peraltro come l’ampio spettro dei limiti previsti per il nuovo accesso libero e universale potrebbe vanificarne la reale portata innovativa rispetto al passato. Proprio muovendo dal F.O.I.A. che, negli USA, prevede un provvedimento di diniego espresso corredato dai relativi motivi, viene stigmatizzata la previsione, per l’accesso libero e universale, di un silenzio rigetto, che il Consiglio di Stato considera già di suo quale istituto problematico, e che si palesa vieppiù tale quando diventa un immotivato ed assai poco “<em>trasparente</em>” diniego silenzioso da giustapporre a ciò che si sostanzia in una autentica estrinsecazione proprio del principio di trasparenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio vede la luce il decreto legislativo n. 97 che, in sede di esercizio della delega conferita con la legge 124.15, ridisegna la trasparenza ed il relativo canone attraverso la novellazione del decreto legislativo n.33.13 e varando il c.d. accesso civico “<em>libero</em>”: fermi restando i limiti posti a tutela di interessi giuridicamente rilevanti (ex art.5.bis), ai sensi del nuovo art.5 del decreto legislativo 33.13 chiunque si vede esplicitamente riconosciuto il diritto di accedere a dati e documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni ed ulteriori rispetto a quelli la cui pubblicazione è già prevista in detto decreto. Lo scopo è quello di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. Trova cittadinanza nel nostro ordinamento il c.d. “<em>diritto di accesso libero e universale</em>” che tuttavia, più che al canone della trasparenza, appare maggiormente riconducibile – come già anche l’accesso civico - al canone della pubblicità dell’azione pubblica. Si tratta di un tipo di accesso che – come quello tradizionale di cui alla legge 241.90 – investe tutti i documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni (a differenza di quello civico, che invece riguarda i soli atti da pubblicarsi obbligatoriamente, ove non pubblicati), e che proprio perché esercitabile da chiunque e verso qualunque atto, impone al legislatore di dettare precisi limiti, più stringenti di quelli che l’art.24 della legge 241.90 richiede per l’accesso tradizionale il quale ultimo, del resto, non è esercitabile da chiunque ma richiede una situazione legittimante ed uno specifico interesse ad accedere: l’istanza di accesso libero e universale può allora non trovare conforto laddove occorra scongiurare un pregiudizio concreto a determinati interessi a) pubblici: sicurezza pubblica; ordine pubblico; sicurezza nazionale; difesa e questioni militari; relazioni internazionali; politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato; indagini su reati e relativo perseguimento; attività ispettive e relativo svolgimento; b) privati: protezione della privacy; libertà e segretezza della corrispondenza; interessi economici e commerciali, con particolare riguardo al diritto d’autore, ai segreti commerciali ed alla proprietà intellettuale in genere. La medesima istanza deve poi essere rigettata laddove concerna atti o documenti oggetto di segreto di Stato, ovvero la legge preveda esplicitamente un divieto di accesso e di divulgazione, comprese le ipotesi in cui tale accesso sia soggetto per legge (non già a divieto ma) al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli previsti dall’art.24, comma 1, della legge 241.90. Quando è possibile garantire i ridetti interessi attraverso il mero differimento, è sufficiente posticipare l’accesso che può peraltro, e sotto altro profilo, essere escluso solo limitatamente a taluni dati o a talune parti del documento oggetto di possibile ostensione.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 novembre esce la sentenza della Grande Camera della Corte EDU nel caso <em>ONG Magyar Helsinki Bizottsàg v. Hungary</em> secondo cui, al fine di garantire una piena ed effettiva libertà di espressione ex art.10 CEDU, è necessario che gli Stati predispongano un regime di accesso agli atti funzionale alla ricerca delle informazioni rilevanti, dal momento che la disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni può risultare indispensabile per assicurare un esercizio effettivo del diritto individuale di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale. Pertanto, pur a fronte di una eventuale difetto di norme che espressamente prevedano l’attività di “<em>ricerca</em>” delle informazioni, è necessario adottare un’interpretazione evolutiva di quelle vigenti che riconduca, in talune ipotesi, il diritto d’informarsi sotto l’egida della CEDU.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 dicembre l’ANAC adotta una delibera contenente le Linee guida sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel D.Lgs. n. 33/2013 come modificato dal D.Lgs. n. 97/2016. Tali Linee guida hanno la finalità di indirizzare le pubbliche amministrazioni nella lettura del D.Lgs. n. 97/2016 al fine di assicurare l’obiettivo dell’accessibilità totale delle informazioni pubbliche, la conoscenza dei dati non costituendo peraltro, né integrando di per sé, la trasparenza e ciò in quanto ciascun dato deve essere trasformato in un’informazione e divulgato attraverso precisi obblighi di pubblicazione. L’assunto di fondo è che la trasparenza e la conoscenza dei dati consentono un controllo diffuso sull’organizzazione e sull’attività amministrativa, e dunque – in ultima analisi - sull’esercizio del potere pubblico. La delibera ANAC in parola (recante il n.1309) detta anche indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art.5, comma 2, del decreto legislativo n.33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 maggio viene pubblicata la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica della PCM n.2/2017 che disciplina l’attuazione concreta della nuove norme sull’accesso civico generalizzato, c.d. FOIA. Tale - redatta in accordo con l’Anac - mira a favorire una coerente ed uniforme attuazione delle norme in tema di accesso civico generalizzato (c.d. modello FOIA), tenendo conto dell’esperienza applicativa e delle criticità affiorate dal<a href="http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/riforma-della-pa/02-05-2017/foia-primo-monitoraggio-del-dipartimento-della-funzione"> monitoraggio svolto dal Dipartimento</a> della PCM, nei primi mesi di attuazione della normativa FOIA ed avvalendosi delle evidenze fornite dalle organizzazioni della società civile e da una consultazione pubblica tenutasi alcuni giorni prima, dall’11 maggio 2017 al 19 maggio 2017, che ha consentito al Dipartimento di raccogliere 105 commenti da parte di 33 partecipanti (tra privati, organizzazioni della società civile, amministrazioni, istituzioni universitarie e di ricerca). Avendo la prassi applicativa evidenziato la necessità di fornire alle Amministrazioni chiarimenti operativi attinenti alla dimensione organizzativa e procedurale interna, nonché al rapporto con i cittadini, la circolare si pone l’obiettivo proprio di fornire alle ridette Amministrazioni le indicazioni necessarie per poter applicare in modo efficace la normativa FOIA in tema di accesso civico generalizzato, giusta raccomandazioni operative inerenti le modalità di presentazione della richiesta di accesso civico generalizzato, gli uffici competenti e i tempi di decisione, i controinteressati e i rifiuti non consentiti, il dialogo tra amministrazione e richiedenti ed il ruolo del c.d. Registro degli accessi. Lo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica considera tuttavia tale circolare come uno strumento non già rigido e cristallizzato, quanto piuttosto dinamico e da migliorare ed arricchire via via con il proseguimento dell’esperienza applicativa, in sinergia con le Amministrazioni che ne sono destinatarie, i cittadini e le organizzazioni della società civile, anche sulla base delle attività di monitoraggio svolte da parte del Dipartimento in parola.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 luglio esce la sentenza della II sezione del TAR Piemonte n. 886 che riconosce gli atti organizzativi e gestionali di una società a controllo pubblico, e i dati che vi sono contenuti, soggetti a trasparenza e, quindi, ad accesso civico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 dicembre esce la sentenza della VI sezione del TAR Campania n. 5901 che afferma illegittimo il diniego di accesso civico su un’istanza tendente ad acquisire documenti ed informazioni concernenti la presenza sul luogo di lavoro di un dipendente a tempo indeterminato di una società a partecipazione pubblica, motivato con esclusivo riferimento alla opposizione del dipendente interessato; infatti, la documentazione dalla quale emergono i rilevamenti delle presenze del personale in servizio rientra proprio nell’ambito della possibilità di controllo sul perseguimento da parte di un dato ente delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo da parte di questo delle risorse pubbliche, finalizzato alla partecipazione al dibattito pubblico.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce il parere del Garante della Privacy n. 7810482 che interviene sul rapporto tra accesso civico generalizzato e tutela della <em>privacy</em>, con particolare riferimento alla diffusione del testo delle sentenze. Si deve considerare, infatti, che i dati e i documenti che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico divengono «<em>pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell'articolo 7</em>», sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali; tale aspetto dell’accesso civico va poi ponderato con la considerazione onde la natura pubblica della sentenza e del processo non implica che siano perciò solo conoscibili da chiunque le generalità degli interessati con tutti i dettagli delle loro personali vicende, spesso delicati anche quando non si riferiscano a minori, ovvero a dati giudiziari o sensibili. Alla luce di ciò, l’accesso alle sentenze può essere limitato ed oscurato al fine di tutelare i soggetti i cui dati, contenuti nelle sentenze, non interessano colui che effettua l’accesso civico per conoscere e studiare un provvedimento giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 febbraio esce la sentenza della I sezione del Tribunale UE nella causa T-851/16 sulla domanda volta a ottenere documenti relativi alle misure di contenimento dei flussi adottate dall’UE e dai suoi Stati membri in cooperazione con la Repubblica di Turchia per fronteggiare la crisi migratoria. Secondo il Tribunale, tale domanda va rigettata in quanto l’ostensione dei documenti richiesti provocherebbe un pregiudizio ragionevolmente prevedibile alla tutela delle relazioni internazionali, al corretto svolgimento delle procedure giurisdizionali e alla possibilità di ricevere pareri giuridici franchi, obiettivi e completi. Spetta inoltre al richiedente dimostrare la presenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione dei documenti richiesti, assente nel caso di specie. È possibile, invece, accordare un accesso parziale ai documenti nella parte in cui la loro diffusione non arrechi pregiudizio agli interessi protetti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della I sezione del TAR Lazio n. 1734 che nega l’autonoma impugnabilità delle linee guida sull’attuazione dell’ art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, “Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali”, in quanto prive di contenuto lesivo diretto nei confronti dei potenziali destinatari, rappresentando un mero atto di indirizzo e supporto che può essere oggetto di impugnazione avanti al g.a. solo unitamente all’atto specifico che, in applicazione di tale indirizzo ove recepito, incida in maniera puntuale sulla posizione giuridica del destinatario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 marzo esce la sentenza della VII sezione del Tribunale UE nella causa T-540/15 che afferma come nessuna presunzione generale di non divulgazione può essere ammessa in relazione ai documenti elaborati nei triloghi (le riunioni informali che i rappresentanti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo tengono nell’ambito della procedura legislativa prima caratterizzate da un elevato grado di riservatezza) che contengano proposte o accordi provvisori tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Sulla base dell’art. 4, par. 3, comma 1, Reg. n. 1049/2001, le istituzioni possono negare l’accesso a taluni documenti di natura legislativa soltanto qualora dimostrino che sussista il rischio di un concreto ed effettivo pregiudizio al processo decisionale e che tale rischio sia ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico. La dottrina non ha mancato di sottolineare l’importanza di tale decisone per valorizzare la trasparenza del processo legislativo europeo, avvicinandolo sotto questo profilo alle tradizionali procedure parlamentari.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 3907 onde il diritto di accesso di cui all’art. 5 <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">d.lgs. n. 33/2013</a> ha l’esclusiva finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, non già di rendere pubblici colloqui privati – qual è quello svoltosi fra il Direttore generale ed un funzionario inavvertitamente fatti oggetto di registrazione – che esulano dall’esercizio di funzioni istituzionali. Inoltre l’accesso dell’accesso va bilanciato con il diritto alla protezione dei dati personali di cui è parola all’art.5 <em>bis</em>, comma 2 lett. c), <a href="http://www.lexitalia.it/n/2474">d.lgs. n. 33/2013</a>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio esce la sentenza della sezione II bis del TAR Lazio n. 7326 in tema di accesso civico generalizzato, che afferma come, per quanto la legge non richieda l’esplicitazione della motivazione della richiesta di accesso, deve intendersi implicita la rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica e non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 luglio esce la sentenza della I sezione del TAR Emilia Romagna – Parma n. 197 che chiarisce i rapporti tra le diverse discipline di accesso civico e accesso in materia di gare. L’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 riconduce espressamente la disciplina applicabile per tutti i documenti (di gara e di esecuzione del contratto) richiesti, fatte salve le eccezioni contenute nello stesso testo normativo di riferimento, alla disciplina ordinaria in materia di accesso; tale speciale disciplina contenuta nell’art. 53 cit. (ivi ricompreso l’espresso richiamo all’applicabilità delle regole in materia di diritto di accesso ordinario) deve considerarsi come un caso di esclusione della disciplina dell’accesso civico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre esce la sentenza della I sezione del TAR Puglia n. 1344 che ritiene rientrare nella disciplina dell’accesso civico una richiesta di ostensione di atti volta a conoscere i requisiti considerati in relazione alla nomina dei componenti del C.d.A. attualmente in carica. Ricorda infatti il Tribunale che l’art. 5 del d.lgs. 33/2013 stabilisce che l’accesso civico generalizzato “non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L’istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione…”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 novembre esce la sentenza della sezione III ter del TAR Lazio n. 11125 che riconosce la possibilità di accesso al testo di un accordo internazionale in corso di ratifica da parte del parlamento, mentre nega tale diritto rispetto a delle lettere inviate al Governo italiano da parte di un Governo estero nell’ambito di un accordo di cooperazione per il contrasto dell’immigrazione irregolare in quanto risulta necessario tutelare la riservatezza in punto di reciproche relazioni internazionali.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della IV sezione del TAR Lombardia n. 45 che riconosce illegittimo il diniego di accesso agli atti di una gara di appalto motivato con riferimento al fatto che la ditta richiedente l’accesso, pur essendo stata invitata, non ha partecipato alla gara stessa, atteso che la mancata partecipazione ad una procedura non implica di per sé l’esclusione da ogni pretesa di accesso ai documenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 20 che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la Corte, in nome di rilevanti obiettivi di trasparenza dell’esercizio delle funzioni pubbliche, e in vista della trasformazione della pubblica amministrazione in una “casa di vetro”, il legislatore ben può apprestare strumenti di libero accesso di chiunque alle pertinenti informazioni, «<em>allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche</em>» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013). Resta tuttavia fermo che il perseguimento di tali finalità deve avvenire attraverso la previsione di obblighi di pubblicità di dati e informazioni, la cui conoscenza sia ragionevolmente ed effettivamente connessa all’esercizio di un controllo, sia sul corretto perseguimento delle funzioni istituzionali, sia sul corretto impiego delle risorse pubbliche.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, la norma che impone l’obbligo di pubblicazione, senza alcuna distinzione, a carico di tutti i titolari di incarichi dirigenziali, appare incostituzionale in quanto si tratta, in primo luogo, di dati che non necessariamente risultano in diretta connessione con l’espletamento dell’incarico affidato. Essi offrono, piuttosto, un’analitica rappresentazione della situazione economica personale dei soggetti interessati e dei loro più stretti familiari, senza che, a giustificazione di questi obblighi di trasparenza, possa essere sempre invocata, come invece per i titolari di incarichi politici, la necessità o l’opportunità di rendere conto ai cittadini di ogni aspetto della propria condizione economica e sociale, allo scopo di mantenere saldo, durante l’espletamento del mandato, il rapporto di fiducia che alimenta il consenso popolare.</p> <p style="text-align: justify;">L’onere di pubblicazione in questione, chiosa la Corte, risulta, sproporzionato rispetto alla finalità principale perseguita, quella di contrasto alla corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione: la norma impone la pubblicazione di una massa notevolissima di dati personali, considerata la platea dei destinatari: circa centoquarantamila interessati (senza considerare coniugi e parenti entro il secondo grado).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo esce la sentenza della I sezione del TAR Lombardia n. 630 che afferma non rientrare nella disciplina dell’accesso civico “generalizzato” i preventivi di spesa per l’affidamento dei servizi di assistenza legale per il recupero dell’evasione ed elusione tributaria, rientrando tali documenti nella disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 marzo esce la sentenza della sezione I quater del TAR Lazio n. 4122 onde, in applicazione del principio di irretroattività della legge, il diritto di accesso civico non può essere esercitato relativamente ad atti, documenti e informazioni esistenti prima della data di entrata in vigore delle norme sul diritto di accesso civico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 3780 sul rapporto tra accesso civico generalizzato e accesso agli atti di una gara.</p> <p style="text-align: justify;">In linea generale va premesso che il legislatore, attraverso l’introduzione dell’accesso civico generalizzato, ha voluto consentire l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori a quelli oggetto di pubblicazione, a “chiunque”, prescindendo da un interesse manifesto. Tale istituto di portata generale, tuttavia non è esente da alcune limitazioni rinvenibili sia in quanto stabilito nell’art. 5-bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013, sia nella scelta del legislatore di far rimanere in vita gli artt. 22 e ss. della l. 241/90 relativi all’accesso c.d. “ordinario”.</p> <p style="text-align: justify;">Nella fattispecie all’esame del Collegio la richiesta di accesso civico generalizzato riguarda gli atti di una procedura di gara ormai definita; in particolare il Consorzio ha chiesto l’ostensione dei seguenti documenti: la documentazione dei singoli atti della procedura; il contratto stipulato con l’aggiudicataria; i preventivi dettagliati, i collaudi, i pagamenti “con la relativa documentazione fiscale dettagliata”. In casi del genere si tratta di stabilire se l’art. 53 del codice dei contratti il quale stabilisce “<em>il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241” possa condurre alla esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, ai sensi del quale “il diritto di cui all’art. 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della l. 241/1990</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">La giurisprudenza amministrativa formatasi innanzi ai TAR, sul punto non è univoca registrandosi diversi orientamenti.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo un primo indirizzo i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 (T.A.R. Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19).</p> <p style="text-align: justify;">Secondo un diverso orientamento, di contro, dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici (da ultimo, T.A.R. Lombardia, sez. IV, n. 45/2019).</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene il Collegio che ai fini di una corretta decisione, si debba muovere dalla lettura coordinata e dalla interpretazione funzionale degli art. 53 d.lgs. 50/2016, che rinvia alla disciplina di cui all’art. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, e dell’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. 33/2013.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 53 del codice dei contratti pubblici, come già chiarito, richiama al primo comma la disciplina contenuta nella l. 241/90, mentre nel secondo elenca una serie di prescrizioni riguardanti il differimento dell’accesso in corso di gara. L’art. 5 bis, comma 3 del d.lgs. n. 33/2013, stabilisce, invece che l’accesso civico generalizzato è escluso fra l’altro nei casi previsti dalla legge “<em>ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a “specifiche condizioni, modalità e limiti” ma non ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Entrambe le discipline, contenute nel d.lgs. 50/2016 e nel d.lgs. 33/2013, mirano all’attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. D’altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della l. 241/90 è spiegabile alla luce del fatto che il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al d.lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del d.lgs. 33/2013.</p> <p style="text-align: justify;">Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “<em>Freedom of information act</em>” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “<em>numerus clausus</em>” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013.</p> <p style="text-align: justify;">L’intento del legislatore delegato è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.</p> <p style="text-align: justify;">La “ratio” dell’intervento è stata declinata in tutte le sue implicazioni dal Consiglio di Stato (cfr. Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>A) Il primo aspetto, cioè la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Deriva da tale principio anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa.</p> <p style="text-align: justify;">In secondo luogo, dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell’art. 5 bis co. 3 d.lgs. n. 33/2013 come novellato – discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti.</p> <p style="text-align: justify;">Non ritiene il Collegio che il richiamo, ritenuto decisivo dal primo giudice, all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici.</p> <p style="text-align: justify;">E’ evidente che il citato d. lgs. n. 97/2016, successivo sia al “Codice dei contratti” che – ovviamente – alla legge n. 241/90, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo, a causa del non raro difetto, sulla tecnica di redazione ed il coordinamento tra testi normativi, in cui il legislatore incorre.</p> <p style="text-align: justify;">Non può, dunque, ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento: sarebbe questa, opinando sulla scia della impugnata sentenza, la strada per la preclusione dell’accesso civico ogniqualvolta una norma di legge si riferisca alla procedura ex artt. 22 e seguenti L. 241/90.</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene, viceversa, il Collegio, che una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. debba valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno.</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>B) Il secondo aspetto, che il citato parere Comm. Speciale 515/2016 del Consiglio ha sottolineato, e che risulta utile ai fini della presente decisione, è che la normativa sull’accesso civico non ha certo regolato positivamente il diritto di chiunque ad accedere agli atti per mera curiosità o per accaparrarsi dati sensibili a lui utili relativi ad ambiti di una impresa concorrente e coperti dalla ordinaria “segretezza aziendale”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “<em>controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche</em>” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33).</p> <p style="text-align: justify;">Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.</p> <p style="text-align: justify;">Il richiamato parere n. 515/2016, con argomenti che trovano nella materia degli appalti un terreno privilegiato, ha correttamente osservato:</p> <p style="text-align: justify;">“<em>La trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […].</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Tali principi trovano, sempre in materia, significativa conferma nella posizione chiara della Commissione Europea, che nella relazione concernente il contrasto alla corruzione in ogni ambito, sottolinea la necessità che l’ordinamento italiano promuova la trasparenza in ogni ambito, e particolarmente negli appalti pubblici “prima” ma anche “dopo l’aggiudicazione”.</p> <p style="text-align: justify;">A tali linee, poi, si è ispirato il Piano Nazionale Anticorruzione, proprio a partire dal 2016, anno di entrata in vigore del d.lgs. introduttivo dell’accesso civico.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 agosto esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 5702 sui rapporti tra accesso civico e accesso procedimentale.</p> <p style="text-align: justify;">Stante il gioco di similitudini e differenze che lega la disciplina dell’accesso civico a quella ex l. 241/1990, deve rimarcarsi la differenza tra i due tipi di accesso che sono tra loro paralleli e diversi, non sovrapponibili come se da entrambi si potesse ritrarre la medesima utilità giuridica, indifferentemente agendo <em>uti cives</em> o con l’accesso ordinario perché si prospetta la titolarità di una data situazione soggettiva.</p> <p style="text-align: justify;">Se non sfugge l’uso pratico dell’accesso civico perlopiù per aggirare i limiti posti dall’art. 24 della l. 241/1990, a ben vedere il rapporto tra tali due tipi di accesso è non già di continenza, ma di scopo e, quindi, di diversa utilità ritraibile, visto che l’accesso procedimentale, fin dalla stesura originale dell’art. 22, co. 1 della l. 241/1990, è preordinato a soddisfare un interesse specifico ma strumentale di chi lo fa valere per ottenere un qualcos’altro che sta dietro alla (e si serve della) conoscenza incorporata nei dati o nei documenti accessibili, donde il forte accento che le norme pongono sulla legittimazione e sui limiti connessi.</p> <p style="text-align: justify;">Per contro, l’accesso civico generalizzato soddisfa un’esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica e non su libertà singolari, onde tal accesso non può mai essere egoistico, poiché qui l’accento cade sul “diritto” non agli <em>open data</em>, che ne sono il mero strumento, bensì al controllo e la verifica democratica della gestione del potere pubblico (o dei concessionari pubblici), e ciò anche oltre la mera finalità anticorruttiva, che pur essendo stata la matrice dell’accesso civico, non ne esaurisce le ragioni.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, l’accesso civico, che concerne anche e soprattutto gli atti e documenti non pubblicati o che la PA non ha inteso pubblicare, non è tuttavia utilizzabile come surrogato dell’altro, qualora si perdano o non vi siano i presupposti di quest’ultimo, perché serve ad un fine distinto, talvolta cumulabile, ma sempre inconfondibile.</p> <p style="text-align: justify;">In base all’art. 1 del D.lgs. 33/2013, l’accesso civico ha pur sempre la sua <em>ratio</em> esclusiva nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni d’istituto e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché nella promozione della partecipazione al libero dibattito pubblico, onde esso non è utilizzabile in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento della P.A. e va usato secondo buona fede, sicché la valutazione del suo uso va svolta caso per caso e con prudente apprezzamento, al fine di garantire, secondo un delicato ma giusto bilanciamento che non obliteri l'applicazione di tal istituto, che non se ne faccia un uso malizioso e, per quel che concerne nella specie, non si crei una sorta di effetto "<em>boomerang</em>" sulla P.A. destinataria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 agosto esce la sentenza della I sezione del TAR Lazio – sede di Latina – n. 530 onde la finalità del c.d. accesso civico di cui all'art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016 è principalmente quella del perseguimento di procedure d'appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione.</p> <p style="text-align: justify;">Analogamente: "<em>Nelle gare pubbliche, l'esigenza di riservatezza delle imprese, in relazione all'interesse commerciale o industriale, è idonea a giustificare esclusioni o limitazioni del diritto di accesso, nei casi in cui la medesima esigenza risulti apprezzabile, lecita e meritevole di tutela in quanto collegata a potenziali pregiudizi derivanti dalla divulgazione di tali dati</em>" (T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 26/03/2019, n. 441).</p> <p style="text-align: justify;">Alla stregua delle suindicate coordinate ermeneutiche il TAR ritiene non ragionevole giustificare il diniego sulla scorta della formale opposizione delle controinteressate, tenuto conto, nel caso di specie, della natura della prestazione oggetto della procedura negoziata che per quanto meritevole di considerazione inerisce pur sempre ad un servizio di pulizia delle scuole per le quali la divulgazione delle offerte tecniche a salvaguardia del Know -how azindale non appare tale da superare l'interesse ad assicurare il fine di garantire lo svolgimento di procedure d'appalto trasparenti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 gennaio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1121 che affronta il problema dell’ammissibilità dell’accesso civico sugli atti relativi alle operazioni di ricerca e salvataggio in mare (cosiddette operazioni SAR: Search and Rescue) concernenti imbarcazioni di migranti, riformando la decisione del TAR Lazio che aveva ritenuto illegittimo il diniego dell’accesso.</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene preliminarmente il Collegio che sia necessario definire, sia pure nei tratti essenziali, le caratteristiche dell’istituto del c.d accesso civico, anche alla luce delle complementari figure di accesso previste nell’ordinamento vigente, così da individuarne oggettivamente finalità e portata.</p> <p style="text-align: justify;">A seguito dell’introduzione, con d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 (<em>Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza</em>), dell’istituto dell’accesso civico generalizzato (di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013), la tutela della trasparenza dell’azione amministrativa risulta rafforzata attraverso una disciplina che si aggiunge a quella che prevede gli obblighi di pubblicazione (artt. 12ss. del d.lgs. n. 33 del 2013) ed alla più risalente disciplina di cui agli artt. 22ss. della l. n. 241 del 1990, in tema di accesso ai documenti.</p> <p style="text-align: justify;">Accanto all’accesso tradizionale – previsto dalla legge sul procedimento amministrativo e caratterizzato dalla strumentalità agli interessi individuali dell’istante, posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini – sono stati quindi introdotti due strumenti con un profilo di tutela dell’interesse generale.</p> <p style="text-align: justify;">In un primo tempo è stato introdotto l’accesso civico c.d. “semplice”, imperniato su obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione di ogni cittadino a richiederne l’adempimento; quindi, l’accesso civico generalizzato, azionabile da chiunque senza previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza alcun onere di motivazione in tal senso della richiesta, allo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall’art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">La diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) non consente quindi una sovrapposizione tra e diverse figure di accesso, destinate ad operare in contesti e per finalità del tutto differenti.</p> <p style="text-align: justify;">Vi è, in primo luogo, una fondamentale differenza tra accesso documentale ed accesso “civico”, sia semplice che generalizzato: il primo consente infatti un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente (generalmente a fini difensivi).</p> <p style="text-align: justify;">L’accesso civico, invece, è funzionale ad un controllo diffuso del cittadino, al fine specifico, da un lato, di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa per l’ipotesi in cui non siano stati compiutamente rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione da una norma di legge, nonché – dall’altro – per operare un più incisivo e preventivo contrasto alla corruzione: in quanto tale consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella accordata dalla l. n. 241 del 1990 ai soggetti privati per la tutela dei propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi però ed in ogni caso i limiti posti dalla legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo. Limiti che non sono caratterizzati dal principio della tassatività, operando piuttosto secondo categorie generali.</p> <p style="text-align: justify;">Espressiva di tale diversità è la constatazione che, mentre la legge n. 241 del 1990 esclude espressamente l’utilizzabilità del diritto di accesso anche ai fini di un controllo generale dell’azione amministrativa (essendo, quest’ultima, una finalità del tutto estranea alla tutela dell’interesse privato ed individuale che solo legittima e giustifica l’ostensione documentale), il diritto di accesso generalizzato è invece riconosciuto proprio “<em>allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico</em>”. La trasparenza perseguita dall’istituto in esame altro non è infatti che lo strumento principale con cui può effettivamente assicurarsi un controllo diffuso del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">Diverse sono conseguentemente le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti, che giustificano l’esclusione della possibilità di accesso: in particolare, per quanto riguarda l’accesso privato ai documenti amministrativi (<em>ex lege </em>n. 241 del 1990), il legislatore ha preventivamente individuato – in modo preciso – le categorie di atti ad esso sottratte (sia mediante espressa previsione di legge, sia rinviando a specifiche fonti regolamentari di attuazione e dettaglio); per contro, la disciplina dell’accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua delle categorie di interessi, pubblici (art. 5<em>-bis</em>, comma primo, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5-<em>bis</em>, comma 2) in presenza dei quali il diritto in questione può a priori essere negato (fermi comunque i casi di divieto assoluto, <em>ex </em>art. 5-<em>bis</em>, comma 3) e rinvia ad un atto amministrativo non vincolante (le <em>linee-guida </em>Anac) per ulteriormente precisare l’ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell’accesso civico generalizzato.</p> <p style="text-align: justify;">Diverse sono anche le conseguenze del mancato accesso, da un punto di vista processuale.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di accesso tradizionale si forma il silenzio rigetto, una volta decorsi infruttuosamente 30 giorni dalla richiesta del privato interessato.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso dell’accesso civico, invece, sia nel caso di diniego parziale o totale che di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, non si forma alcun silenzio rigetto, ma l’istante può attivare una speciale tutela amministrativa interna innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, formulando istanza di riesame alla quale dovrà essere dato riscontro entro i termini di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Sarà quindi onere, per l’interessato, contestare l’inerzia dell’amministrazione attivando lo specifico rito di cui all’art. 117 Cod. proc. amm. ovvero, in ipotesi di diniego espresso (anche sopravvenuto), il rito sull’accesso <em>ex </em>art. 116 Cod. proc. amm.</p> <p style="text-align: justify;">Alla luce del quadro normativo in materia, deve quindi concludersi che uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.</p> <p style="text-align: justify;">Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l’effettività di ciò, a nulla rilevando – tantomeno in termini presuntivi – la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali.</p> <p style="text-align: justify;">Deve pertanto concludersi che, sebbene il legislatore non chieda all’interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l’esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.</p> <p style="text-align: justify;">In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza.</p> <p style="text-align: justify;">Nel giudizio amministrativo la sussistenza dell'interesse e della legittimazione ad agire è infatti valutabile d'ufficio in qualunque momento del giudizio. La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell'azione è rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma primo, Cod. proc. amm.), poiché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l'esercizio dei poteri giurisdizionali (<em>ex plurimis</em>, Cons. Stato, IV, 28 settembre 2016, n. 4024). In difetto dei presupposti di cui sopra sarà quindi preciso onere del soggetto interessato avvalersi – laddove ne sussistano i presupposti – della specifica tutela accordata dalle disposizioni di cui al Capo V della l. 7 agosto 1990, n. 241.</p> <p style="text-align: justify;">Tale conclusione risponde in primo luogo alla necessità di impedire sovrapposizioni tra le diverse (e tuttora vigenti) discipline legislative in materia di accesso, ma è altresì coerente con la specifica finalità dell’istituto ora in esame, consistente – come già detto – esclusivamente nel “<em>favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico</em>” (art. 5, comma 2 d.lgs. n. 33 del 2013), laddove quest’ultimo inciso non rileva in termini puramente generali ed astratti (ossia quale dibattito su qualsiasi oggetto), ma è riferito ai due obiettivi sostanziali che lo precedono nel testo della norma (il che spiega anche la devoluzione proprio all’Autorità nazionale anticorruzione e non ad altri del compito di definire delle <em>linee-guida </em>recanti indicazioni operative in materia di esclusioni e limiti all'accesso).</p> <p style="text-align: justify;">Individuati nei termini che precedono i presupposti operativi dell’accesso generalizzato, vanno ora delineati i limiti concreti alla sua operatività in ragione di prestare una tutela a determinate categorie di interessi.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, l’art. 5-<em>bis</em>, comma primo del d.lgs n. 33 del 2013 prevede che l’accesso civico deve essere rifiutato “<em>se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:</em></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em>a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;</em></li> <li><em>b) la sicurezza nazionale;</em></li> <li><em>c) la difesa e le questioni militari;</em></li> <li><em>d) le relazioni internazionali;</em></li> <li><em>e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; […]</em></li> <li><em> Il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 […]</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Il legislatore individua, dunque, quale ostacolo all’esercizio dell’accesso generalizzato, una serie di interessi – di rilievo costituzionale – la cui tutela è imprescindibile per la funzionalità dell’apparato dello Stato, in quanto attenenti all’essenza stessa della sua sovranità (interna ed internazionale).</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue che il diniego eventualmente opposto all’istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere – <em>ratione materiae </em>– profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza.</p> <p style="text-align: justify;">Il giudice amministrativo può quindi sindacare le valutazioni dell’amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad un’autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale.</p> <p style="text-align: justify;">Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto.</p> <p style="text-align: justify;">Sulla base di tali premesse, il Consiglio di Stato arriva quindi a riformare la sentenza impugnata.</p> <p style="text-align: justify;">In primo luogo, infatti, non vengono ravvisati, nelle istanze a suo tempo prodotte, quali sarebbero gli specifici interessi generali – ossia, direttamente riferibili alla comunità dei cittadini o ad una parte significativa di essi – alla cui promozione e tutela sarebbero state preordinate le istanze medesime; né – più nello specifico – è desumibile l’attinenza delle medesime istanze a precisi obblighi di trasparenza amministrativa imposti dalla legge, ovvero a finalità anticorruttive.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo il Collegio, non è palesemente contraddittoria o abnorme, bensì adeguatamente motivata e coerente con l’assolvimento delle loro funzioni istituzionali, l’eccezione posta dalle Amministrazioni appellanti per escludere l’ostensione delle comunicazioni intercorse fra autorità militari nazionali ed internazionali, che – consentendo a chiunque di conoscere il <em>modus operandi</em>, le tempistiche ed i posizionamenti degli assetti aeronavali – avrebbe danneggiato o messo comunque in pericolo la sorveglianza delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo e, più in generale, l'attività di contrasto dei trafficanti di esseri umani.</p> <p style="text-align: justify;">Né va sottaciuto che, come a suo tempo evidenziato dall’amministrazione competente nel motivare il provvedimento di diniego, “<em>l'eventuale accesso alle comunicazioni/documentazioni relative agli eventi SAR di cui trattasi, comporterebbe un pregiudizio concreto ai rapporti che intercorrono tra Stati ed alle relazioni tra soggetti internazionali, in particolare con il Governo libico e quello maltese</em>” (aspetto, questo, di per sé idoneo ad integrare <em>ex lege </em>un’autonoma causa di esclusione dall’accesso). Sul punto, si vedano anche le linee-guida ANAC, di cui alla <em>Determinazione </em>n. 1309 del 28 dicembre 2016.</p> <p style="text-align: justify;">Sotto diverso ma concorrente profilo deve inoltre ritenersi applicabile al caso di specie il divieto di cui all’art. 1048, comma primo, lett. q) del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (<em>Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare</em>), a mente del quale rientrano tra i documenti sottratti all'accesso, in relazione all'interesse alla salvaguardia della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali, per un periodo massimo di 50 anni, quelli comunque relativi alla “<em>programmazione, pianificazione, condotta e analisi di attività operative esercitazioni NATO e nazionali</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Ora, posto che le attività di pattugliamento e soccorso in mare ad opera di unità militari italiane e straniere cui si riferivano le istanze di accesso rientravano senza dubbio nell’ambito di operazioni militari nazionali (“<em>Mare Sicuro</em>”) o internazionali (“<em>EUNAVFOR MED Operazione Sophia</em>” e “<em>FRONTEX Operazione Themis</em>”) all’epoca in corso, non era oggettivamente possibile distinguere, nelle concrete contingenze del caso, tra attività di ricerca e soccorso (<em>Search And Rescue </em>- SAR) ed attività militari in senso stretto.</p> <p style="text-align: justify;">La <em>European Union Naval Force in the South Central Mediterranean </em>(EUNAVFOR Med - Operation Sophia) è stata la prima operazione militare di sicurezza marittima europea operativa nel mediterraneo centrale, avente quale scopo principale il contrasto al traffico illecito di esseri umani.</p> <p style="text-align: justify;">A sua volta, l’<em>Operazione Themis </em>è un’iniziativa di sicurezza esterna delle frontiere dell'Unione europea condotta da Frontex, (Agenzia europea di vigilanza dei confini) in raccordo con Europol e con il supporto dei Paesi membri dell’Unione europea e degli <em>Schengen Associated Countries</em>, con l’obiettivo di combattere le migrazioni senza controllo ed i crimini transfrontalieri e sotto il coordinamento del Ministero dell’interno italiano.</p> <p style="text-align: justify;">A decorrere dal 1° febbraio 2018, la “<em>Joint Operation Themis</em>” ha sostituito la precedente “<em>Joint Operation Triton</em>”, in corso dal 1° novembre 2014, ridefinendone le aree operative in mare.</p> <p style="text-align: justify;">L’operazione <em>Themis </em>ha il precipuo ed esclusivo scopo di aumentare la sicurezza delle frontiere esterne all’Unione europea attraverso il controllo dei flussi migratori irregolari nel Mediterraneo ed il contrasto della criminalità transfrontaliera.</p> <p style="text-align: justify;">L’eventualità che le unità militari e di pubblica sicurezza, nello svolgimento delle funzioni operative di loro competenza, possano se del caso trovarsi anche coinvolte in operazioni di <em>Searc and Rescue </em>è dunque del tutto ipotetica e casuale, non rappresentando queste ultime l’oggetto delle predette missioni (tali unità al più fornendo, nell’immediatezza, mera assistenza tecnica ed operativa).</p> <p style="text-align: justify;">Nel corso dello svolgimento delle predette attività militari non è dunque possibile separare – come erroneamente ritenuto dal primo giudice – le eventuali e contingenti attività di soccorso in mare dall’attività istituzionale (nel cui contesto le prime finiscono per essere ricomprese) delle unità navali presenti nel Mediterraneo (in acque interne o internazionali), attività che senza alcun dubbio sono integralmente sottratte alla possibilità di accesso ai sensi dell’art. 5-<em>bis</em>, comma primo del d.lgs. n. 33 del 2013.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo, le ragioni delle appellanti risultano condivisibili anche sotto un profilo più propriamente “operativo”, nell’evidenziare come le chiamate di soccorso cui può seguire l’avvio di un’operazione SAR non provengono direttamente dagli scafisti, dai gommoni o dai parenti dei migranti già presenti in Europa, come avveniva in passato, bensì fanno seguito ad avvistamenti effettuati da mezzi aerei assegnati ad una delle predette operazioni militari, i quali allertano i Centri di Coordinamento e Soccorso operanti nel Mediterraneo centrale.</p> <p style="text-align: justify;">Neppure sotto tale profilo vi è dunque la possibilità di distinguere tra attività SAR ed attività militari in senso stretto, ove svolte nel più generale contesto di un’operazione militare già in corso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali differenze intercorrono tra l’accesso civico del 2013 e l’accesso libero e universale del 2016?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>l’accesso civico <strong>non prevede requisiti legittimanti</strong>, <strong>non deve essere motivato</strong> e <strong>non presuppone un interesse qualificato</strong> essendo consentito a <strong>chiunque</strong>, ma riguarda solo i dati per i quali lo stesso decreto prevede, in capo alle Amministrazioni, un <strong>obbligo di pubblicazione</strong>; tale diritto può essere fatto valere solo nel caso in cui la PA <strong>non pubblichi i dati</strong> che deve pubblicare;</li> <li>l’accesso libero e universale <strong>non prevede requisiti legittimanti</strong>, <strong>non deve essere motivato</strong> e <strong>non presuppone un interesse qualificato</strong>, essendo consentito a <strong>chiunque</strong>, e riguarda <strong>non solo i dati che la PA doveva pubblicare e non ha pubblicato</strong>, ma <strong>anche quelli ai quali il richiedente è interessato</strong> e che, come tali, <strong>gli vanno mostrati</strong> (seppure nel rispetto dei <strong>limiti</strong> tracciati dal novellato decreto legislativo 33.13, articoli 5.bis e 5.ter).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale differenza intercorre tra il concetto di dato e quello di informazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il <strong>dato</strong> è un <strong>elemento di base</strong>, e viene conosciuto <strong>in modo oggettivo</strong> da chi ne chiede l’accesso;</li> <li>l’<strong>informazione</strong> si ricava da <strong>una aggregazione di dati</strong>, ed è connotata <strong>soggettivamente</strong> perché si atteggia in modo diverso <strong>a seconda di chi la ritrae</strong> dal detto insieme di dati.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue l’accesso civico e quello libero e universale dal tradizionale accesso di cui alla legge 241.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="241"> <li>nell’<strong>accesso tradizionale</strong> di cui alla legge sul procedimento amministrativo n.241.90, la richiesta di accesso presuppone <strong>un interesse diretto, concreto ed attuale</strong> del richiedente l’ostensione, la cui istanza <strong>va motivata</strong>; esistono <strong>specifici limiti</strong> dettati all’art.24 della legge 241.90. Si tratta di un accesso che, oltre ai <strong>costi di riproduzione</strong> del documento richiesto, sopporta anche gli <strong>oneri connessi al bollo</strong> e <strong>ai diritti di ricerca e di visura</strong>;</li> <li>nell’<strong>accesso civico</strong> (documenti obbligatoriamente da pubblicare) ed in <strong>quello libero e universale</strong> (documenti dei quali non è obbligatoria la pubblicazione) di cui al decreto legislativo 33.13, la richiesta di accesso è spiccabile <strong>da chiunque</strong> e <strong>non deve essere motivata</strong>; esistono <strong>specifici limiti</strong> dettati agli articoli 5.bis e 5.ter del decreto legislativo n.33.13. Si tratta di una forma di accesso <strong>gratuita</strong>, soggetta al solo <strong>rimborso del costo sostenuto e documentato</strong> dalla PA per la <strong>riproduzione dei supporti materiali</strong> che incorporano il documento il che, per l’accesso civico in specie, si spiega con il fatto che esso è scaturigine <strong>di un inadempimento della PA</strong> ai propri obblighi di pubblicazione.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che natura ha l’accesso civico e quello libero e universale, esercitabili ed azionabili da “chiunque”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una <strong>vera e propria azione popolare</strong>, a differenza dell’accesso tradizionale che, proprio per il relativo <strong>non poter essere orientato</strong> ad un <strong>controllo generalizzato</strong> della Pubblica Amministrazione, presuppone una <strong>situazione legittimante</strong> ed un <strong>interesse concreto ed attuale</strong> all’ostensione;</li> <li>si tratta di un “<strong><em>diritto pubblico di libertà</em></strong>”, perché consente la <strong>libera conoscenza</strong> in capo a chiunque dei <strong>modi attizi</strong> nei quali si estrinseca l’azione amministrativa con riferimento alle <strong>varie funzioni pubbliche e competenze</strong>;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue (o accomuna) i due procedimenti di accesso civico da un lato e di accesso libero e universale dall’altro?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="7"> <li>accesso <strong>civico</strong>: può essere richiesto <strong>all’ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti</strong> richiesti, ovvero <strong>all’ufficio relazioni con il pubblico</strong>, ovvero <strong>all’ufficio che la singola PA indica</strong> nella sezione del proprio sito istituzionale denominata “<strong><em>amministrazione trasparente</em></strong>”, ovvero ancora al <strong>responsabile della trasparenza dell’Amministrazione</strong> (coincidente con il <strong>responsabile della prevenzione della corruzione</strong>); i <strong>limiti</strong> degli obblighi di pubblicazione sul sito istituzionale sono stati <strong>individuati a priori dal legislatore</strong> (art.7.bis del decreto legislativo 33.13), onde, a fronte di dati pubblicati ed informazioni sul sito istituzionale della singola PA, <strong>non si configurano controinteressati</strong>; <strong>non</strong> viene coinvolto il <strong>Garante per la protezione dei dati personali</strong>.</li> <li>accesso <strong>libero e universale</strong>: può essere richiesto a <strong>tutti gli uffici cui può essere richiesto l’accesso civico</strong> ad esclusione del <strong>responsabile della trasparenza dell’Amministrazione</strong> (non coinvolgendo dati oggetto di obbligatoria pubblicazione); possono configurarsi dei <strong>controinteressati</strong> e in tal caso la legge prevede <strong>delle sequenze procedimentali</strong> che consentono ai controinteressati <strong>di opporsi</strong> alla richiesta di accesso e alla PA di valutare detta opposizione, determinandosi a valle di essa; <strong>può</strong> essere coinvolto il <strong>Garante per la protezione dei dati personali</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si sviluppa, post-istanza, il procedimento di accesso civico e di accesso libero e universale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la PA (o il difensore civico) ha <strong>30 giorni</strong> per concludere il procedimento;</li> <li>il procedimento si conclude con <strong>provvedimento espresso e motivato</strong>, che va <strong>comunicato</strong> al richiedente e, nel caso di accesso libero e universale, ai <strong>controinteressati</strong>;</li> <li>il provvedimento finale <strong>è positivo</strong>: si tratta di un accoglimento e in tal caso i dati o i documenti richiesti vengono <strong>trasmessi tempestivamente al richiedente</strong> (accesso libero e universale) ovvero tali dati, informazioni o documenti vengono <strong>pubblicati sul sito dell’Amministrazione</strong> e, ove già lo siano stati, viene <strong>indicato al richiedente il relativo collegamento ipertestuale</strong> (accesso civico);</li> <li>il provvedimento finale <strong>è negativo</strong>: può compendiarsi in una <strong>limitazione dell’accesso</strong>, in un <strong>differimento</strong> o in un <strong>diniego</strong> (rifiuto);</li> <li>il <strong>responsabile della prevenzione e della trasparenza</strong> può <strong>informarsi</strong> presso gli uffici sull’esito delle istanze via via presentate; e ciò anche perché è a lui che il richiedente si rivolge con <strong>istanza di riesame</strong> laddove la richiesta di ostensione sia stata rigettata in modo totale o parziale, ovvero non abbia avuto risposta (al contrario, in caso di provvedimento favorevole e ostensivo, può essere chiamato in causa dal <strong>controinteressato</strong>); laddove si tratti di <strong>Regioni o enti locali</strong>, ci si può rivolgere (da parte dell’interessato o del controinteressato, a seconda dell’esito del procedimento di accesso) al <strong>difensore civico</strong> competente per <strong>ambito territoriale</strong>, giusta apposito <strong>ricorso</strong> (rimedio giustiziale) che va notificato alla PA interessata (non essendo presentato direttamente ad essa).</li> <li>il <strong>responsabile della prevenzione e della trasparenza</strong> ha <strong>20 giorni</strong> per decidere il riesame sul provvedimento negativo; il <strong>difensore civico</strong> <strong>30 giorni</strong>;</li> <li>in caso di <strong>rigetto</strong> o <strong>differimento</strong> per <strong>motivi di tutela della sicurezza pubblica o dell’ordine pubblico</strong> (accesso libero e universale), il responsabile della prevenzione e della trasparenza deve coinvolgere nell’istruttoria anche il <strong>Garante per la protezione dei dati personali</strong>, con allungamento dei termini procedimentali (altrettanto è tenuto a fare il difensore civico, con analoghi effetti dilatori);</li> <li>avverso i <strong>provvedimenti negativi originari</strong> della PA competente, ovvero avverso le <strong>successive determinazioni adottate in sede di riesame</strong> (o dal difensore civico), si può spiccare <strong>ricorso al Tar</strong> ai sensi dell’<strong>116 c.p.a.</strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p>