<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 2 maggio 2019 n. 106</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Secondo il costante orientamento della Corte, che va ribadito, la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio </em>a quo<em>, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale); a tale disciplina è possibile derogare − senza contraddire il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità − soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (</em>ex plurimis<em>, sentenze n. 248, n. 217, n. 194, n. 153 e n. 77 del 2018, con allegate ordinanze dibattimentali). Non è ammissibile dunque l’intervento, nei giudizi davanti alla Corte, dei titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, dato il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso di tali soggetti a questo giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo (sentenze n. 35 del 2017 e n. 71 del 2015, con allegate ordinanze dibattimentali, nonché sentenza n. 119 del 2012).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’atto di intervento dinanzi alla Corte va depositato non oltre il termine di 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’atto introduttivo del giudizio, previsto dall’art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale: secondo il costante orientamento della Corte, il termine previsto dal richiamato art. 4, comma 4, deve ritenersi perentorio e non ordinatorio, con la conseguenza che l’intervento avvenuto dopo la relativa scadenza è inammissibile (</em>ex plurimis<em>, sentenze n. 99 del 2018, n. 303 del 2010, n. 263 e n. 215 del 2009).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 87, 88, 89 e 90, della legge n. 107 del 2015, sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, 97, quarto comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU: nelle ordinanze di rimessione è lo stesso Consiglio di Stato a riferire che, nei giudizi </em>a quibus<em>, il d.m. n. 499 del 2015, con il quale è stata data applicazione alle disposizioni censurate, non è impugnato nella relativa integralità, ma soltanto nella parte in cui esso non ha consentito agli appellanti la partecipazione alla procedura ivi bandita; in tali giudizi si controverte, dunque, della sola illegittimità dell’esclusione dal corso-concorso del 2015, mentre rimane estranea alle impugnazioni devolute al Consiglio di Stato la complessiva disciplina che istituisce e regola tale procedura. La motivazione del rimettente a sostegno della rilevanza delle questioni sollevate fa leva sulla natura del complesso normativo censurato, quale «</em>unica fonte<em>» del potere esercitato con l’atto impugnato: secondo questa prospettazione, l’invocata caducazione di tale </em>corpus<em> normativo determinerebbe la radicale nullità dell’atto che di esso fa applicazione; il rimettente sembra ricostruire, quindi, le conseguenze dell’accoglimento della questione di legittimità costituzionale in termini di nullità del d.m. n. 499 del 2015 per difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi); tuttavia, nel regolare le modalità di configurazione e svolgimento della procedura selettiva, le disposizioni censurate stabiliscono le specifiche condizioni per l’esercizio del potere di indire il concorso, ma non ne costituiscono il fondamento; la relativa violazione integra, dunque, un motivo di annullamento. In ogni caso, alla luce del principio della domanda e del rispetto dei limiti segnati dai motivi di ricorso, gli argomenti spesi dal rimettente non risultano idonei a sostenere le ragioni della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale attinenti all’intero </em>corpus<em> normativo, che istituisce e regola la procedura selettiva in esame, ed è quindi estraneo, nella relativa integralità, alla questione sottoposta al rimettente.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Deve essere dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in via subordinata, relativa all’art. 1, comma 88, lettera a), della legge n. 107 del 2015, tale disposizione consentendo la partecipazione al concorso riservato in funzione dell’esito favorevole delle prove del concorso del 2011, a prescindere, quindi, dalla attuale pendenza di ricorsi: essa contempla, infatti, i vincitori e i soggetti che abbiano superato positivamente le fasi di tale concorso, successivamente annullate in sede giurisdizionale; in considerazione della specifica situazione giuridica fatta valere dalle parti appellanti nei giudizi </em>a quibus<em> – quali ricorrenti nell’ambito di giudizi amministrativi concernenti gli atti del concorso del 2011 – la denunciata preclusione all’accesso alla procedura riservata non discende da tale disposizione, ma da quella della successiva lettera b), essendo questa difatti, la norma, dedicata alla definizione del contenzioso ancora pendente avverso precedenti concorsi, della quale il giudice </em>a quo<em> è chiamato a fare applicazione, poiché è questa che – non contemplando la situazione degli appellanti – ha inibito la loro partecipazione alla procedura del 2015; il requisito della rilevanza è soddisfatto, pertanto, solo rispetto alla questione avente ad oggetto tale disposizione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, lettera b), della legge n. 107 del 2015, sollevata in via subordinata dal Consiglio di Stato in riferimento all’art. 3 Cost.: nello stabilire i criteri per l’ammissione al concorso, questa disposizione riconosce ad alcune categorie di aspiranti la possibilità di partecipare ad un corso intensivo di formazione, finalizzato all’immissione nei ruoli dei dirigenti scolastici ed è sulla ragionevolezza di tali criteri identificativi dei beneficiari di questo speciale percorso formativo che si appuntano le censure del rimettente e delle parti private costituite. Tali criteri fanno riferimento al contenzioso relativo alle risalenti procedure concorsuali del 2004 e del 2006, le quali prevedevano requisiti di ammissione e prove concorsuali differenti rispetto a quelli del successivo concorso bandito nel 2011: nell’ambito di quest’ultima procedura, infatti, hanno trovato applicazione le disposizioni di cui al d.P.R. 10 luglio 2008, n. 140 (Regolamento recante la disciplina per il reclutamento dei dirigenti scolastici, ai sensi dell’articolo 1, comma 618, della legge 27 dicembre 2006, n. 296); d’altra parte, lo svolgimento delle selezioni concorsuali aveva dato luogo ad un contenzioso giurisdizionale, che in alcune Regioni aveva portato all’annullamento della relativa procedura, a distanza di alcuni anni dalla relativa conclusione. Pertanto, anche in passato, il legislatore era ripetutamente intervenuto adottando disposizioni volte a definire la situazione dei partecipanti a tali concorsi, ciò essendo avvenuto dapprima con l’art. 1, commi 605 e 619, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «</em>Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)»,<em> e in seguito con l’art. 24-quinquies del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31; attraverso la previsione di canali di accesso riservato per alcune categorie di candidati dei precedenti concorsi, si è voluto rispondere, allo stesso tempo, ad esigenze di certezza dei rapporti giuridici e di tempestività nel reclutamento di dirigenti scolastici. In linea di continuità con questi precedenti interventi normativi, la disciplina introdotta dalla lettera b) si è prefissa, dunque, l’obiettivo di regolare situazioni meritevoli di specifica attenzione da parte del legislatore, al fine di dare una definitiva soluzione al contenzioso amministrativo che ha investito alcuni concorsi, evitando che i relativi effetti continuassero a rendere problematica la programmazione del servizio e aumentassero il fenomeno delle reggenze; la scelta effettuata dalla legge n. 107 del 2015 ha, quindi, consentito di sopperire tempestivamente alle carenze di organico, tenendo nella debita considerazione la diversità dello stato, sia a livello procedimentale, sia giurisdizionale, in cui versavano le procedure concorsuali che si sono susseguite, e in alcuni casi rinnovate, nel corso di oltre un decennio; nel raffronto tra la situazione dei ricorrenti che hanno impugnato gli atti del concorso del 2011 e quella dei soggetti contemplati dalla disposizione censurata sono altresì rilevanti la durata, nonché la diversa consistenza – anche quantitativa – del contenzioso scaturito dalle due situazioni, poiché è da questi stessi elementi che discende il prevedibile impatto sul regolare svolgimento del servizio scolastico. Il bilanciamento tra i contrapposti interessi, operato dalla legge n. 107 del 2015, accorda dunque una particolare tutela alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e di efficacia dell’azione amministrativa, anche sotto il profilo della relativa tempestività, a fronte di una compressione non irragionevole del diritto di accesso all’impiego pubblico e del principio del pubblico concorso.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 87, 88, 89 e 90, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), sollevate dal Consiglio di Stato, sezione sesta, in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, con le ordinanze di rimessione; va dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, lettera a), della legge n. 107 del 2015, sollevata dal Consiglio di Stato, sezione sesta, in riferimento all’art. 3 Cost., con le ordinanze di rimessione; va infine dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, lettera b), della legge n. 107 del 2015 sollevata dal Consiglio di Stato, sezione sesta, in riferimento all’art. 3 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.</em></p>